domenica 25 agosto 2013

Meditazione di fine stagione

Una breve ma salutare meditazione proposta dal maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh, da praticare quanto più possibile.
Una meditazione decisamente controcorrente, rispetto ai “valori” di eterna giovinezza che la nostra società quotidianamente ci propone e ci impone.
Per aiutare “Sorella Morte” ad uscire dal muro di silenzio in cui è stata confinata, per farle riprendere i suoi tempi nei nostri lutti sempre più brevi e timidi, nelle cerimonie sempre più frettolose e sommarie, che non devono disturbare i ritmi del consumo e della produzione.
Una meditazione quale antidoto alla paura della morte, della vecchiaia, del cambiamento, del distacco da tutto ciò che riteniamo importante ed imprescindibile.



Inspirando, so che è nella mia natura morire. Espirando, so che non c’è modo di sfuggire alla morte. Si tratta di un fatto semplice e vero che siamo riluttanti ad affrontare e che desideriamo si perda nel nulla, perché abbiamo paura. È doloroso per noi guardare questa verità nel profondo. La morte è una realtà che dobbiamo affrontare. La mente subconscia cerca sempre di dimenticarla perché, quando entriamo in contatto con questa paura senza essere equipaggiati dell’energia della consapevolezza, soffriamo. Il nostro meccanismo di difesa ci spinge a dimenticare: non vogliamo sentirne parlare. Ma in fondo alla mente, la paura della morte ci accompagna sempre e ci opprime.
Quando affronteremo davvero il fatto che un giorno moriremo (e forse prima di quanto pensiamo), non ci renderemo più ridicoli facendo cose assurde, per conservare l’illusione di poter vivere per sempre. Contemplare la nostra mortalità ci aiuta a concentrare l’energia sulla pratica di trasformare e guarire noi stessi e il nostro mondo."


da: Thich Nhat Hanh, Paura, Ed. Bis 2013

domenica 18 agosto 2013

No comment...

Quello che segue è un articolo sul movimento "Soka Gakkai" ("Società per la creazione di valore"), pubblicato su L'Espresso del 23 luglio da Alessandro Gilioli.
Molte sarebbero le cose da dire, sia sul movimento sia sull'articolo, in particolare sulle modalità del "fare informazione" religiosa (e non). Ma si preferisce pubblicarlo senza alcuna osservazione o commento.
Ci permettiamo solo di evidenziare in giallo alcuni passaggi dell'articolo, senza dubbio meritevoli di riflessione e di approfondimento.


"Soka Gakkai, in Italia è boom

di Alessandro Gilioli

A Corsico, periferia di Milano, il 19 ottobre sarà inaugurato il nuovo "kaikan": 18 mila metri quadri tra alberi, prati ed edifici futuribili usciti dalla fantasia dell'architetto Giampiero Peia. Un tempio, lo definiremmo noi: un centro di studi, educazione, meditazione e dialogo, preferiscono dire loro, che insistono sempre sul proprio carattere laico e umanistico più che religioso.

"Loro" sono quelli della Soka Gakkai, scuola buddista la cui crescita recente in Italia sta assumendo gli aspetti di un vero boom: più 10 per cento all'anno ed estensione sempre più capillare oltre le roccaforti storiche di Roma e Firenze fino ai comuni più piccoli, dal Piemonte alla Sicilia. Per un totale di 70 mila fedeli certificati - quelli che hanno ricevuto il "Gohonzon" in una cerimonia d'ingresso che potremmo paragonare al battesimo - oltre ai praticanti occasionali. Più del doppio, nel nostro Paese, rispetto alla comunità ebraica, ma soprattutto con un record numerico assoluto rispetto a ogni altro Stato europeo.

Un successo silenzioso, perché i fedeli della Soka Gakkai non vestono d'arancione, non fanno visibili attività di proselitismo e quasi sempre praticano individualmente, in casa propria o in piccoli gruppi informali che non necessitano di luoghi di culto.

Un successo tuttavia troppo rapido per restare sotto traccia: proprio nelle scorse settimane in alcune librerie Feltrinelli è apparso un angolo dedicato ai loro libri o dvd e ai piccoli oggetti a scopo, diciamo, liturgico. Mentre per l'inizio di agosto è previsto addirittura un treno speciale che da Napoli, Roma e Firenze porterà quasi 2 mila praticanti a Milano per una lectio di un maestro di dottrina in trasferta dal Giappone.

In Italia la Soka Gakkai è arrivata negli anni Sessanta ma già con una lunga storia alle spalle: si ispira ovviamente agli insegnamenti del Buddha storico (V secolo a. C.) nella lettura anti istituzionale e riformata di Nichiren Daishonin (un "San Francesco" nipponico, contemporaneo proprio del Poverello di Assisi) incarnata nella scuola creata negli anni Trenta del Novecento dal pedagogo Tsunesaburo Makiguchi, sempre in contrapposizione all'establishment del Giappone imperiale. 

Piaccia o no, insomma, non si tratta di New Age, sebbene non manchino gli avversari e le critiche (a tratti ferocissime): soprattutto di settarismo, ma anche di distorsione dell'ortodossia buddista e di eccessiva robustezza economica, peraltro fondata sulle libere (spesso abbondanti) donazioni degli aderenti.

Tra gli amici, invece, non ci sono solo i Vip praticanti di cui spesso si parla (da Roberto Baggio a Sabina Guzzanti, fino a Carmen Consoli) ma anche politici con cui in passato la Soka ha collaborato (come Veltroni e Boldrini) fino a pezzi della Chiesa cattolica come la comunità di Sant'Egidio. Un rapporto che tra l'altro ha portato la Soka italiana a essere invitata per la prima volta nella storia in Vaticano da un papa (Bergoglio), insieme agli altri rappresentanti delle religioni non cattoliche.

Tutti segni della crescente importanza di questa comunità la cui diffusione anche nel nostro Paese ha probabilmente più di una causa. La prima delle quali sembra essere l'efficacia che la pratica in questione avrebbe nel modificare concretamente in meglio la vita di chi la fa propria, con una rivoluzione valoriale basata sul principio secondo cui ci si avvicina di più alla felicità lavorando su stessi in rapporto all'esterno che non dipendendo dall'esterno, dagli accadimenti positivi o negativi che ci capitano durante l'esistenza.

In questo senso va anche la cantilena ripetuta dai praticanti, il celebre mantra "Nam Myoho Renge Kyo", che in una traduzione letterale significa "dedico la mia vita al Dharma, alla Legge mistica del Sutra del Loto": fuori dalle metafore, "dedico la vita a far mio ogni giorno l'insegnamento buddista sull'interdipendenza fra ogni esistenza, sulla legge di causa ed effetto in cui ciascuna persona è immersa e sulla possibilità che anche dalle condizioni più ostili possa fiorire una vita preziosa" (come appunto il loto che nasce nella palude melmosa).

In estrema sintesi, il buddista della Soka si impegna a ricordarsi sempre che ciascun suo singolo gesto o pensiero impatta sia su se stesso sia sugli altri: quindi ogni "negatività" o "positività" prodotta con il proprio agire ha un effetto tanto sulla propria felicità quanto su quella del pianeta. Di qui anche il significato di "Soka Gakkai" (Società per la creazione di valore) e di qui anche le battaglie più "politiche" per la pace, contro le armi nucleari, per l'ambiente, per il rispetto tra etnie e religioni. Anche se il fulcro vero della comunità sta nell'insegnamento, che avviene tanto con libri e lezioni quanto attraverso il dialogo di ogni praticante con chi gli sta vicino, amici, parenti, colleghi. Un tipo di proselitismo basato sul principio secondo cui bisogna "aiutare ogni persona a essere felice, quale che sia la sua condizione" e che però non si concretizza in attività di gruppo, campagne pubblicitarie o opere missionarie.

Oppure, a complemento del dialogo quotidiano, ci sono i libri: sempre di più, anche in Italia. Come quello della scrittrice Rossana Campo, autrice tradotta in tutta Europa che l'anno scorso ha fatto il suo coming out con "Felice per quello che sei. Confessioni di una buddista emotiva", un testo tra autobiografia e divulgazione. «Mi sono avvicinata alla Soka, all'inizio, perché ero sempre in guerra con parti di me, sebbene facessi una vita brillante, a Parigi, da giovane scrittrice di successo», racconta Campo. 

«Praticando, ho imparato ad abbracciare la vita, a capire come le radici del mio essere siano legate agli altri, a tutto quanto». Oggi Campo si dedica al Daimoku (la recitazione) tutti i giorni, un'ora al giorno, in quello che definisce «un percorso intimo e solitario» con il quale «imparo a essere felice per me, per i miei cari e per l'umanità», sempre per via della codipendenza di tutti i fenomeni, dentro e fuori di noi. 

L'aspetto concreto - il banalissimo «funziona, mi rende più felice» - è quello che ha convinto a farsi buddista, più di vent'anni fa, anche l'attore Antonello Dose, noto al grande pubblico come conduttore della trasmissione "Il ruggito del coniglio", su Radio 2. Dose dice della Soka, semplicemente, che gli ha «salvato la vita» perché «ti insegna a gestire le cose che ti accadono in maniera diversa». 

E ancora: «E' come scoprire di avere un telecomando dentro, con cui puoi accendere il tuo stato vitale». Di famiglia molto cattolica, Dose ha aspettato cinque anni, dai primi "Nam Myoho Renge Kyo" al giorno in cui ha ricevuto il Gohonzon. Oggi pratica anche lui tutti i giorni per un'ora, appena sveglio, dalle cinque e mezza del mattino. «Se non lo facessi», dice, «non potrei nemmeno uscire di casa, figuriamoci andare in diretta». In più, come diversi fra i buddisti di più lunga data, riceve ogni giovedì pomeriggio in casa un gruppo di amici per recitare insieme.

Ma sbaglieremmo a pensare che la Soka sia solo un rifugio di artisti e creativi: basta trascorrere una giornata in un "kaikan" per incontrare fedeli di ogni età e di ogni estrazione sociale, dai pensionati ai precari, dai professionisti ai manager. Ma anche imprenditori come Mario Guareschi, 65 anni, proprietario di un'impresa di ingegneria civile con sede a Parma e commesse in tutto il mondo: «Cosa è cambiato nella mia vita dopo essere diventato buddista? Tutto», dice. «Nel senso che sono sempre quello di prima, con la differenza che riesco a comprendere i meccanismi dell'esistenza e li applico continuamente in tutti i campi. Ho accumulato la certezza che tutto dipende da me, che sono quello che sono perché mi sono fatto così e se non mi va bene posso cambiare, anche istantaneamente». 

Quanto al rapporto con il suo mestiere, Guareschi spiega: «Il mercato è neutro, noi ne possiamo vedere la parte illuminata o quella oscura. E il concetto di "creazione di valore", al centro dell'insegnamento della Soka, è il punto che va messo anche alla base dell'imprenditoria».

Proprio il rapporto fra buddismo ed economia è uno dei temi più attuali e dibattuti in questa fase di recessione e di società liquida, in cui la scomparsa delle certezze novecentesche secondo alcuni trova la sua "naturale" risposta proprio nel concetto di impermanenza insegnato da Siddharta Gautama 2.500 anni fa.

Secondo William Wollard, autore de "Il buddista riluttante", uno dei testi divulgativi di maggior successo della Soka, «i nostri principi sembrano coincidere con l'inizio di un cambiamento nel modo in cui il mondo si prepara a valutare l'idea di progresso, distante dai parametri strettamente economici e finanziari che hanno caratterizzato il secolo scorso». In altre parole, pur senza scomodare troppo Max Weber, l'ipotesi è che il messaggio di Nichiren Daishonin stia alla crisi morale del capitalismo (e alla "decrescita felice") un po' come la Riforma protestante e calvinista stava ai suoi rombanti albori."