domenica 14 settembre 2014

Peter Hopkirk: il Grande Gioco non è mai terminato

Negli ultimi giorni di agosto, a Londra, è morto Peter HOPKIRK (1930-2014), viaggiatore, reporter ed autore di alcuni volumi di fondamentale importanza per la comprensione della realtà storica e geopolitica degli immensi territori tra Russia, Mongolia, Tibet, Afghanistan... Testi di cui non si può che consigliare la lettura, anche perché godibili quanto e più di un romanzo, nonché magistralmente tradotti in italiano.

Il 31 agosto, su La Stampa di Torino, è apparso un articolo di Ilaria Maria Sala che ha rotto almeno in parte il silenzio che ha avvolto, in un'Italia concentrata sul proprio ombelico, la scomparsa dello studioso. Lo proponiamo qui in omaggio ad un grande storico e narratore.

Scrive Ilaria Maria Sala:

Sono state settimane, mesi concitati sulla scena internazionale: tempi di frontiere modificate, d’impensabili califfati improvvisamente emersi dalle rovine di guerre annose, di conciliaboli diplomatici che cercano di dare un senso a equilibri geopolitici in costante movimento, davanti alla contesa per le isole dell’Asia orientale e alle nuove alleanze economiche tra la Mongolia, la Cina e la Russia. E proprio in questo clima di imprevisti politici così profondi sembra quasi impossibile che la notizia della scomparsa di Peter Hopkirk (a Londra, a 84 anni) sia passata talmente in sordina. 

Peter Hopkirk
Peter Hopkirk, l’autore di volumi come Il Grande Gioco, o Diavoli stranieri sulla Via della Seta, o ancora La conquista di Lhasa - tutti pubblicati in Italia da Adelphi - ha infatti saputo andare alle fonti di alcuni dei maggiori conflitti della seconda metà del XIX secolo e della prima metà del XX, riportando in vita quegli avventurieri, soldati, ufficiali, spie, idealisti, rivoluzionari e archeologi che si sono succeduti nei corridoi più segreti del vasto continente eurasiatico, tessendo storie tra le più incredibili e avvincenti. Personaggi di volta in volta eroici o improbabili, guidati da una smania di potere, di gloria, di sete di emozioni o di fame di cultura, che si sono avvicendati ora al servizio della Corona britannica, ora a quello della Rivoluzione bolscevica. 

Il cuore dell’Asia è stato percorso però anche da deliri più ristretti, su cui Hopkirk si è lungamente soffermato, che videro improbabili personaggi come il Barone Sanguinario, al secolo Barone Ungern-Sternberg, sognare un nuovo Impero Mongolo. O uomini come il Generale Ma, messosi alla testa di alcune popolazioni musulmane del Turkestan Orientale sotto controllo cinese (oggi chiamato Xinjiang), in cerca di appoggi diplomatici per creare un nuovo Stato. I sogni truculenti di Unger-Sternberg e quelli forse più idealisti di Ma e di altri signori della guerra sfiorarono in linea d’aria il lento avanzare di Aurel Stein, studioso e archeologo di origine ungherese, naturalizzato britannico, che scoprì i preziosissimi manoscritti di Dunhuang, in lingue note e sconosciute, e li comprò per quattro soldi da un monaco bizzarro, reso mezzo matto dai decenni di solitudine ai bordi del deserto, per poi spedirli in 24 casse alla British Library, dove tutt’ora giacciono, tesoro fra i tesori che ancora oggi vengono studiati e analizzati.
Per diciannove anni Hopkirk era stato giornalista al Times di Londra, specialista del Medio e Estremo Oriente. Poi aveva lasciato il giornalismo per diventare scrittore a tempo pieno, rincorrendo nell’Asia Centrale, nel Nord dell’India, della Cina, del Pakistan e dell’Afghanistan i fili di verità storica di quelle che erano state le letture più intense della sua giovinezza.


Così, partendo da Kim, il capolavoro coloniale di Ruyard Kipling, «bardo dell’Impero britannico», Hopkirk ha ritessuto il canovaccio di quel «Grande Gioco» che vedeva la Russia e la Gran Bretagna combattersi a colpi di spionaggio e imboscate per cercare di invadere l’India, l’una, e conservare i suoi possedimenti coloniali, l’altra. In mezzo a russi e inglesi si mescolavano indiani e cinesi, afghani, francesi e tibetani, pakistani e uzbeki alla ricerca di una causa, o della difesa di territori guardati con ingordigia da altri. Hopkirk è stato il primo a spiegare che nessuno poteva davvero pretendere a una legittima sovranità sul Tibet, per quanto l’interferenza britannica, ancora una volta alla caccia di stratagemmi per assicurarsi i suoi possedimenti indiani, abbia per sempre complicato le cose, dopo la disgraziata invasione armata di Francis Younghusband.

Migliaia di lettori sono stati svegli tutta la notte mentre Hopkirk li portava a cavalcare con lui nelle gole rocciose di terre che aveva percorso in lungo e in largo, figura ancora in bilico tra un’idea di onore d’era coloniale e il rifiuto sempre più ampio del colonialismo. Anno dopo anno, studenti di russo e di cinese sono arrivati in classe con gli occhi arrossati dopo essersi divorati senza spegnere la luce i suoi volumi, che hanno dato uno spessore umano tutto particolare ai movimenti semi-segreti delle più grandi potenze mondiali in zone aride e brulle, che a più riprese sono sembrate il centro intorno a cui si sarebbero decise le sorti del pianeta. 


Hopkirk, infatti, prima di tutto ha saputo raccontare con il rigore dello storico appassionato i momenti più complessi e intricati di alcuni degli episodi contenuti nei plichi dell’intelligence e nei romanzi d’avventura più eterni, quelli di Kipling, di un certo Conrad e di molto John Buchan, divenendo un John LeCarré degli archivi, dal ritmo incalzante e dalle infinite suggestioni. Proprio per questa forte vena letteraria, il suo ultimo lavoro è stato il delicatissimo Alla ricerca di Kim, dove un Hopkirk ormai maturo vuole concedere al ragazzo che era stato di rispondere a ogni curiosità sul suo romanzo più amato –, ripercorrendo ogni tappa delle avventure del piccolo orfano di Lucknow divenuto membro dei servizi segreti indiani. E regalando a noi, suoi lettori, altre ore di emozioni. 
                   
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Il film "Kim" del 1950
L’articolo termina con la segnalazione di uno scritto di Hopkirk sul famoso romanzo del premio Nobel Rudyard KiplingKim (del 1901), del quale si ricordano anche diverse versioni cinematografiche.
E desideriamo ugualmente terminare con il suggerimento di rileggere tale romanzo (*), dopo averlo letto nella nostra gioventù, ponendo la nostra attenzione sia alle pagine di Kipling sia alle notizie che quotidianamente ci giungono dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Russia, da tutto lo scacchiere dove il Grande Gioco ebbe inizio e dove tuttora continua, con pedine vecchie e nuove, con altri obiettivi, con altre regole… forse.


(*) in particolare, si consiglia l'edizione Adelphi (2003).