martedì 30 giugno 2015

Straniero in terra straniera

In questo stesso 30 giugno, 105 anni fa, il poeta indiano Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913, scrisse questi versi, che voglio dedicare, in quest’epoca di nuove grandi migrazioni di popoli, a coloro che, a partire dai miei familiari, chiesero e tuttora chiedono un posto in cui stare, in pace, in mezzo a tutti, in mezzo a noi.





Sto guardando ad ognuno di voi:
datemi un posto in mezzo a tutti.
In terra, sono tutti,
dove non c'è da pagare il posto,
dove non c'è segno di separazione,
dove non c'è onore o disonore;
un posto in mezzo a tutti.

Dove non c'è velo
e nudi ci si può far conoscere;
dove non c'è
nulla di mio,
dove non c'è egoismo,
dove colmerò la mia miseria
del suo altissimo dono.

Datemi un posto in mezzo a tutti.


(30 giugno 1910)




da:

R. Tagore, Ghitangioli, Ed. Guanda

lunedì 29 giugno 2015

Il Dhammapada, i fondamenti della Legge

Oltre quarant’anni or sono uscì, per i tipi delle Edizioni “Buddhismo Scientifico”, il volume Etica buddhista ed etica cristiana, ovvero una traduzione diretta dalla lingua Pali del fondamentale testo buddhista noto come Dhammapada.
Il curatore dell’opera, il Dott. Ing. Luigi Martinelli, fondatore della Associazione Buddhista Italiana in Firenze, fu autore della traduzione, dei commenti ad ogni singolo capitolo nonché dell’Introduzione, che desideriamo qui proporre alla lettura e alla riflessione.
Come già evidente nel titolo del volumetto, ormai introvabile nelle librerie, è centrale nell’opera il confronto costante tra gli insegnamenti dell’etica buddhista e quelli dell’etica cristiano-occidentale, un confronto che rimane sempre equanime, imparziale e preciso, che non vuole “far apparire cose diverse come uguali o cose uguali come diverse”.



Introduzione a: Etica buddhista ed etica cristiana, di Luigi Martinelli

""Il Dhammapada è un testo del Canone Pali Buddhista appartenente al secondo Cesto della Tipitaka, cioè al grup­po dei discorsi o insegnamenti del Buddha o Nikaya. Detto gruppo si suddivide in diversi sottogruppi. Si hanno così i «34 discorsi lunghi» o Digha Nikaya, i «152 discorsi medi» o Majjhima Nikaya, i «Discorsi raggruppati» o Samyutta Nikaya, i «Discorsi ordinati» o Anguttara Ni­kaya e infine una miscellanea di «Discorsi minori» o Kud-dhaka Nikaya. A quest'ultimo sottogruppo di opere minori appartengono alcuni dei testi più noti e più antichi del Canone Buddhista. Tra questi sono da considerare il Dham­mapada, di cui presentiamo una traduzione, il Suttanipata, l'Udana, l'Ittivuttaka, il Theraghata e il Therighata, opere che contengono espressioni di eccezionale profondità e bel­lezza.
Il Dhammapada, insieme al corrispondente testo san­scrito Udanavarga, viene considerato come un testo basico da tutte le scuole Buddhiste per il suo contenuto etico che interessa tutti i campi della vita umana.
Nei suoi 26 Capitoli troviamo indicata, a linee più o meno estese, tutta la Dottrina Buddhista nelle sue peculiari caratteristiche. Del resto la stessa denominazione Dhamma­pada dalle parole Pali Dhamma (Dottrina) e pada (piede o basico elemento) indica il suo contenuto che si potrebbe propriamente tradurre in «Basici Elementi della Dottrina».
Del Dhammapada sono state fatte una grande quantità di traduzioni dall'originale lingua Pali in tutte le lingue, compresa quella italiana, tra cui ricordiamo le traduzioni del Frola e del Pavolini (attualmente tutte e due fuori stampa).
Essendo il Dhammapada il libro del Canone Buddhista che espone tutti gli elementi della Dottrina, in modo suc­cinto, ma attraente, e adattato alla vita pratica, abbiamo ritenuto necessario provvedere ad una nuova traduzione del testo originale, che, tenuto conto delle traduzioni già esi­stenti, specialmente in lingua inglese, si attenesse stretta­mente al testo Pali conservandone lo spirito, affinché il let­tore principiante, al quale il libro è principalmente desti­nato, possa, in modo inconfondibile, comprenderlo nel suo vero significato, senza essere tentato di cercarne delle inutili interpretazioni nascoste tra le righe, cosa che lo stesso Buddha ha sempre ripudiato.
A questo punto è sorta in noi la visione della necessità di corredare questa nuova traduzione con un commento adatto al lettore occidentale, non per spiegare il significato del testo che risulta quasi sempre ben chiaro, ma per orien­tare il lettore, che non conosca in modo profondo la Dot­trina del Buddha, verso una più naturale investigazione pratica di confronto tra l'insegnamento etico buddhista e quello dell'etica che potremmo chiamare cristiano-occiden­tale perché derivata dall'influenza del cristianesimo sulle abitudini e sulla mentalità propria dei popoli dell'Occi­denti. Infatti, un lettore occidentale, di fronte ad un testo di insegnamento pratico come il Dhammapada, pensiamo che non possa esimersi, dato anche il particolare carattere discorsivo degli stessi occidentali, dal manifestare in modo più o meno palese una certa tendenza al confronto con le abitudini, usi e idee a cui, da due millenni, egli è stato acclimatato. Poiché è molto facile, in certi casi, giudicare per eccesso o per difetto in modo errato, senza mantenere una opinione equanime, abbiamo ritenuto utile un com­mento orientativo nel senso di dare a questo lettore una interpretazione basica dei capitoli del Dhammapada nel loro significato generale più aderente alla Dottrina del Buddha come esposta in tutti gli altri testi Canonici in modo più vasto e dettagliato.
Questo Commento di confronto non ha, né potrebbe avere carattere critico per nessuno, perché è al di fuori della mentalità di un buddhista di esporre opinioni che portino a qualsiasi tipo di malevolenza. D'altra parte, però, il chiarire le posizioni della Dottrina Buddhista, troppo spesso fraintesa o rimaneggiata, è un dovere a cui più volte gli stessi primi discepoli del Buddha si accinsero, quando qualcuno tentò di far dire al Sublime cose che erano al di fuori del suo insegnamento. Noi buddhisti sentiamo, perciò, questo dovere di presentare uno dei testi più importanti nel suo aspetto interpretativo più puro.
Se, qualche volta, di confronto tra Buddhismo e Cri­stianesimo si può parlare, non è per valorizzare l'uno o per svalorizzare l'altro, anzi la ricerca dei loro punti in comune è cosa di ovvio interesse. Però, una Dottrina chiara che vuol trovare dei punti in comune con altre Dottrine non deve confondere il lettore ignaro ponendo in ombra le pe­culiari differenze che costituiscono la base dell'insegnamento del Fondatore, né tentare con circonlocuzioni ipocrite, chia­mandole esoteriche come ora è tanto di moda, tentare di far dire alle parole cose che sono al di fuori del loro signi­ficato oramai attestato da secoli di uso. Un confronto freddo e imparziale non è mai nocivo all’avvicinamento di due Dottrine e ne può anzi provocare un migliore accordo che non una ricerca ipocrita e sforzata di far apparire cose diverse come uguali o cose uguali come diverse.
Come il Buddha ha più volte ripetuto, il lettore non dovrà dar credito di fede né alle sue parole né tanto meno alle nostre, dovrà, se lo ritiene opportuno, da sé stesso sperimentare e approfondire gli insegnamenti dati da questo testo alla luce di tutti gli elementi che le sue condizioni particolari di vita, in quel momento, gli permettono. Non può essere verità assoluta tra le cose impermanenti e condizionate e quindi anche un testo, sacro o no, fa parte delle cose che sono una volta nate e che periranno. Ma certamente, testi come il Vangelo Cristiano e il Dhammapada sono utili zattere per traversare il fiume nel Cammino verso la perfezione, e, se usate in tempo e luogo propizio, possono produrre un rapido progresso verso la Meta. Si usino, perciò, questi testi con fiducia ma con prudenza, verificandoli continuamente alla luce della esperienza pratica. Vi si troveranno sempre alcuni elementi nuovi adatti al particolare momento della nostra vita e la loro utilità pratica diventerà allora evidente senza volerne distorcere il significato letterale quando esso è ovvio.
Il Dhammapada è composto di 26 Capitoli, scritti in affascinante forma poetica, intarsiati di numerose, preziose e geniali similitudini che fanno sì che ogni capitolo ci appare come un delizioso e completo quadro pittorico del­l'argomento trattato. I 26 Capitoli trattano ventisei argo­menti tutti tratti dalla vita pratica del mondo esteriore o dalla vita psichica del mondo interiore dell'uomo. Tutti i problemi del rapporto dell'uomo verso il mondo esterno e verso la propria psiche vengono esaminati alla luce della Dottrina insegnata dal Buddha 2500 anni or sono.
I soggetti sono trattati in modo diretto, senza dare pos­sibilità ad equivoci o false interpretazioni. Non esistono interpretazioni esoteriche o nascoste, le parole hanno il loro significato usuale e gli esempi, tratti quasi sempre da fatti della vita di tutti i giorni, servono soltanto a chiarire meglio i concetti per mezzo di una analogia. Più volte il Buddha, nei suoi discorsi ha affermato il vantaggio di ado­perare similitudini per rendere evidenti concetti difficili o non spiegabili con parole, perché, egli dice, l'uomo intel­ligente è così portato ad afferrare facilmente il significato di quanto si vuol comunicare. Questi esempi non sono, però, simbolici nel senso di contenere significati nascosti o esoterici o riservati a un gruppo limitato di persone o adepti. Tutto l'insegnamento del Buddha è sempre per tutti coloro che lo possono o vogliono capire usando sol­tanto la mente.
Soltanto nel capitolo 4 e nel capitolo 33 viene preso un soggetto come simbolo. Si tratta di una pianta e di un animale: il fiore di loto e l'elefante. Ma anche in questi casi il simbolo ha il carattere semplice di un esempio pra­tico preso dalla natura per la comprensione dell'argomento trattato con chiaro ed aperto significato facile a capirsi da qualsiasi lettore attento e consapevole.
Apparentemente gli argomenti dei 26 Capitoli sembrano distribuiti alla rinfusa senza una connessione tra di loro, però, a nostro avviso, questa è soltanto una falsa apparenza.
La sequenza dei capitoli non può essere stata fatta senza un preciso scopo perché tutti i testi del Canone buddhista sono sempre costituiti con particolare e ben definito ordi­namento e, assai raramente, non viene seguito un qualche raggruppamento senza che abbia un significato che sia le­gato a una utilizzazione pratica dell'insegnamento.
Abbiamo, perciò, pensato che anche gli argomenti del Dhammapada, esposti in capitoli, dovevano costituire un qualcosa di unitario e che la loro successione doveva ri­spondere ad uno schema predisposto e ben preciso.
Studiando, allora, l'ordinamento dei capitoli, ci sembra che questo coordinamento non solo ci sia, ma risponda al seguente fine ben determinato. Partendo da considerazioni realistiche confermabili dalla osservazione diaria dell'am­biente che ci circonda e dalle reazioni più comuni della nostra psiche, si vuol mostrare la via che logicamente con­duce all'uomo buddhista ideale, profilato nelle sue pecu­liari caratteristiche descritte nell'ultimo capitolo dell'opera.
Il Dhammapada è, così, un libro che oltre ad affermare le varie qualità etiche che interessano la Dottrina Buddhista dando una ragione appropriata a quelle qualità morali che conviene scartare, fornisce anche un progressivo metodo di crescenti virtù da acquistare per passare dalla ignoranza alla saggezza, dall'oscurità alla Illuminazione, dalla schia­vitù alla Liberazione.
Il capitolo primo costituisce, con i suoi argomenti, qua­si un indice generale di tutta l'opera, ed è impostato in modo caratteristico perché fa uso del metodo dialettico di esaminare le diverse situazioni sempre da due punti di vista opposti tra di loro. Già il titolo del Capitolo, la cui traduzione letterale del vocabolo Pali Yamaka significa dop­pio o coppia riferendosi, come in altri testi buddhisti, ad una coppia di contrari o opposti, sta a dimostrare che la prima nozione che ci fornisce la vita è che ogni cosa può sempre essere vista da due punti di vista distinti. Questa è la base etica della vita perché vivere vuol dire bilanciarsi continuamente tra le due opposte facce di ogni azione o pensiero e operare una scelta che può essere giusta o er­rata e condurci, quindi, verso una maggiore pace oppure verso una maggiore sofferenza.
Risulta, perciò, che tutto il problema per eliminare la sofferenza consiste nel saper fare, volta per volta, una op­portuna scelta di azioni, di parole e di pensieri. La qualità più importante che occorrerà, allora, coltivare per imboc­care la scelta giusta è, evidentemente, l'attenzione continua verso tutte le cose della vita. Per questo troviamo che il capitolo secondo tratta immediatamente della importanza e necessità del coltivare l'attenzione come base per la Via Buddhista di Liberazione dalla sofferenza. Soltanto mediante l'attenzione si potrà discernere l'errore derivato dall'igno­ranza sulla vera realtà delle cose, soltanto mediante l'at­tenzione si potrà verificare che è soltanto la nostra atavica ignoranza che ci impedisce di avere l'evidenza che l'impermanenza delle cose è la causa unica della sofferenza e che, quindi, non potremo aspettarci da queste cose, che per loro natura nascono, durano un tempo e poi muoiono, se non sofferenza e dolore anche quando esse appaiono masche­rate sotto l'aspetto di gioia o piacere.
Ma l'organo che è adibito alla importantissima funzione dell'attenzione è la mente, perciò l'educazione e lo svilup­po della mente dovrà avere un'importanza capitale per la Via Buddhista di Liberazione e troviamo, infatti, che alla mente viene dedicato, immediatamente, il terzo capitolo del Dhammapada.
Ma quale sarà la prima cosa che la mente osserverà nel mondo circostante? Quale cosa per prima colpirà la sua attenzione? Il capitolo quarto, con il suo simbolico fiore, dà la sua risposta: la mente potrà osservare che tutte le cose nascono, vivono un tempo e poi muoiono, come un fiore che sboccia, manda il suo profumo, vien reciso e ap­passisce.
I capitoli 5 e 6 descrivono il risultato pratico che pro­duce questa osservazione del mondo e che porta a dividere gli esseri in due categorie. L'ignorante è colui che da queste osservazioni non ricava la giusta conseguenza che le cose sono impermanenti e, perciò, fonte di sofferenza, per loro stessa natura, e, quindi, nella loro mutabilità sono prive di un elemento basico sostanziale o sé a cui ragionevol­mente attaccarsi. Il saggio, invece è colui che dalla espe­rienza dell'attenzione nota queste evidenti verità.
Come ampliazione della definizione di saggio del Capi­tolo sesto ne consegue la definizione di uomo santo del Capitolo settimo. Il santo o Aharat, per il buddhismo, è la stessa esperienza di saggezza messa continuamente in pra­tica perché oramai fusa e assimilata nello stesso individuo. Perciò la santità, per il buddhismo, è la conseguenza dello sviluppo e della espansione della saggezza al di là del piano puramente discorsivo.
Dal Capitolo 8 al Capitolo 15 vengono trattate con maggior dettaglio e nei loro apparenti vantaggi e svantaggi, le qualità della vita pratica che contraddistinguono il sag­gio, l'ignorante e il santo. Il Capitolo 8 o delle Migliaia fornisce, infatti, una norma pratica basica della saggezza: contentarsi di poco, ma ben fatto. Questo fa il saggio.
I capitoli seguenti trattano, invece, delle sofferenze che angustiano e caratterizzano la persona ignorante. Il Capi­tolo 9 tratta del male o errore in generale, il Capitolo 10 tratta della violenza o malevolenza che è una prima causa basica della sofferenza umana perché porta a discordie, guerre, miserie ecc. rendendo nemici gli esseri tra di loro. Il Capitolo 11 tratta della vecchiaia o decadenza visibile in tutte le cose e in ogni momento e mette in evidenza la se­conda causa basilare della sofferenza, cioè il desiderio. Il Capitolo 12 pone l'attenzione sul coltivare la propria per­sonalità che è beneficioso quando non ci si attacchi ad essa, essendo questo attaccamento la terza causa basica della sof­ferenza. Infine il Capitolo 13 è dedicato al mondo esterno che ci circonda e che è causa di sofferenza per coloro che, stoltamente, non lo considerano nella sua transitoria realtà, cioè come un «miraggio» e che vengono così afferrati dalla quarta causa fondamentale della sofferenza che è l'ignoranza della vera realtà delle cose.
I Capitoli 13 e 14 trattano invece delle qualità che ac­quistano coloro che, eliminata l'ignoranza, sono arrivati alla santità. Il vantaggio di essere liberi e illuminati pro­duce la calma, la tranquillità, la pace e una continua, se­rena, intensa felicità.
Dopo questo panoramico esame degli aspetti evidenti che l'esperienza dei nostri sensi ci fornisce rispetto alla realtà che ci circonda, esame che dovrebbe averci convinti della convenienza di seguire il cammino della Santità e ri­fuggire il cammino della illusione e dell'errore, fornendoci quella specie di retta fiducia che è necessaria per decidersi ad imboccare la Via della Liberazione indicata dal Buddha, i capitoli seguenti del Dhammapada, in modo logicamente coordinato, spiegano, a colui che si è deciso a seguire la Via, come è possibile perseguirla.
Il sistema ha inizio con una educazione mentale del pensiero, perché, occorre ricordare, che fin dai primi versi del primo capitolo si proclama che è la mente che crea il suo mondo e, pertanto, solo da essa possiamo aspettarci dolore o felicità.
Il Capitolo 16 afferma la necessità di eliminare dalla mente i desideri bramosi o passioni, come gli affetti, gli amori e gli attaccamenti, il Capitolo 17 afferma che l'ira fa parte della malevolenza ed è il secondo ostacolo per una educazione della mente. Il Capitolo 18 insiste sulla neces­sità di purificare in ogni senso e in ogni sua piccola impu­rezza la stessa mente, usando un processo meticoloso di osservazione attenta. Questo al fine di raggiungere, come indicato nel seguente Capitolo 19, la possibilità di essere giusto, cioè di avere sempre una retta opinione sugli avve­nimenti e sulle persone.
Questa purificazione, nei suoi tre aspetti di purificazione dal desiderio, di purificazione dalla malevolenza e di puri­ficazione da errati giudizi, è la strada per entrare nel Cam­mino della Liberazione come è indicato nel Capitolo 20 e i cui versi sono anche veri gioielli di arte poetica.
Nel Capitolo 21, apparentemente sconnesso, vengono in­dicate le difficoltà che si incontreranno nel Cammino, però nel Capitolo 22 si mostrerà, anche, a quali conseguenze e maggiori rovine si andrebbe incontro se, a questo punto, queste difficoltà ci impedissero di proseguire o, peggio an­cora, ci inducessero a tornare indietro.
Il Capitolo 23 fornisce al viandante un simbolo o mo­dello, preso dal mondo animale, che raffigura colui che si sforza lungo il Cammino della Liberazione. È l'elefante, considerato ammirevole e sacro in tutti gli angoli dell'Asia, il quale, con la sua intelligenza, la sua forza, la sua pazienza, la sua calma e il suo amore, quando occorra, per la soli­tudine dà l'esempio di come si debba procedere nella difficile Via intrapresa, cioè con ferma tranquillità, con pa­ziente insistenza, senza lasciarsi prendere da esaltazioni o depressioni, contenti di avanzare sempre ogni giorno sia pur di poco verso la mirabile Meta.
Come spiegato in altri testi del Canone buddhista, è, però, soltanto con la eliminazione totale del desiderio, a cui è dedicato il Capitolo 24, causa prima della sofferenza e dell'errore, che il praticante può entrare in pieno nel Cammino raggiungendo la condizione di « Non ritorno » o Anagami, cioè, soltanto quando la bramosia per qualun­que cosa, bella, brutta, inferno o paradiso, sia sradicata completamente, il cerchio delle rinascite dolorose sarà rotto e la sofferenza completamente distrutta. Soltanto allora il praticante sentirà il bisogno naturale di distaccarsi comple­tamente dalle cose del mondo senza alcun rimpianto, in ma­niera quasi automatica, e diverrà un asceta, un Bhikkhu, come descritto nel Capitolo 25 penultimo del Dhammapada. Oramai egli sarà dedicato soltanto al raggiungimento del­l'unico scopo: il Nibbana.
L'ultimo Capitolo, il 26, a coronamento della Via per­corsa, mostra, sotto il nome di brahmano (cioè uomo di­vino) quali sono le innumerevoli qualità e pregi che un tale uomo viene ad avere. Questo Capitolo è, perciò, il riassunto delle qualità etiche di colui che ha raggiunto la perfezione buddhista, che è Libero dalla sofferenza, che è prossimo al Nibbana.

Da questo breve schema che abbiamo tracciato, si vede come il Dhammapada, con i suoi 26 Capitoli, sia armoni­camente costruito e come ogni capitolo segua coerentemen­te il precedente e prepari il terreno per il seguente secondo una linea ben stabilita di progresso.""



IL VERO ZEN

































mercoledì 24 giugno 2015

UNISABAZIA 2015 - 2016

Presentiamo qui di seguito i programmi dei due corsi che si terranno, a cura di chi scrive, presso l’Unisabazia nel prossimo anno accademico 2015 – 2016.

UNI
SABAZIA
Comuni di Vado Ligure, Bergeggi, Quiliano

UNISABAZIA – ANNO ACCADEMICO 2015 – 2016


TITOLO DEL CORSO: MITI E SIMBOLI D’ORIENTE – II parte


Nel simbolo, il particolare rappresenta il generale non come un sogno né come un’ombra, ma come una subitanea rivelazione dell’imperscrutabile” (Goethe). Partendo ancora una volta da questa indicazione metodologica e proseguendo lo studio iniziato nell’anno accademico 2011-12, saranno esaminati altri importanti elementi simbolici e mitologici della spiritualità dell’Estremo Oriente.

1)                 La Trimurti: Brahma il creatore
2)                 La Trimurti: Shiva il distruttore
3)                 La Trimurti: Visnu il conservatore
4)                 Krishna, l’infinitamente affascinante
5)                 Lo Yantra
6)                 Il T'ai Chi T'u e il Taoismo
7)                 Il Drago, energia cosmica tra Cielo e Terra
8)                 Dorje Shugden e la controversia con il Dalai Lama
9)                 Milarepa, un mistico e mago del Tibet tra storia e mito
10)             Milarepa nel cinema di Liliana Cavani.



 TITOLO DEL CORSO:  CONSAPEVOLEZZA E RILASSAMENTO


Il corso si articola in 12 incontri. Ogni incontro sarà dedicato allo studio e alla pratica di semplici movimenti del corpo e di tecniche di rilassamento psicofisico, prevalentemente di origine orientale (qi gong, yoga, zen...), basate sulla consapevolezza del corpo e del respiro.
Il corso è adatto a tutti e non richiede alcuna esperienza né particolari requisiti fisici o conoscenze teoriche.
È necessario un abbigliamento comodo (tuta e scarpe da ginnastica o simili) e, se possibile, un tappetino su cui potersi distendere.

Date le caratteristiche del corso, il numero degli iscritti non potrà essere superiore a 15.