Nel
X capitolo del Lalitavistara Sūtra si è letto di come il giovane principe Siddhārtha,
colui che sarebbe poi divenuto il Buddha Śākyamuni, sia stato condotto,
preceduto da un corteo di diecimila donne e in compagnia di diecimila bambini,
presso la scuola di scrittura, e di come abbia stupito l’insegnante elencandogli
sessantaquattro tipi di scrittura, molti dei quali ignoti allo stesso docente. E
di come Siddhārtha abbia poi recitato tutto l’alfabeto sanscrito, facendo
corrispondere ad ogni lettera un preciso insegnamento di Dharma [http://zenvadoligure.blogspot.com/p/blog-page_20.html].
Più
o meno nello stesso periodo in cui il Sūtra veniva composto, in un paese molto
lontano dall’India del Nord un anziano padre di nome Giuseppe mandava presso la
scuola di rabbi Zaccheo il giovanissimo figlio adottivo, di nome Gesù, del quale
non aveva ancora compreso le reali qualità, affinché imparasse l’alfabeto.
La
vicenda è narrata in uno dei testi noti come Vangeli apocrifi, ovvero non autentici, erronei, esclusi dal canone,
anche se il termine apocrifo deriva
dal greco apokrutpto, e significa
quindi più precisamente nascondere, occultare. Si tratta del Vangelo
dello Pseudo-Tommaso, più noto con il titolo I fatti dell’infanzia del Signore, un testo apparentemente
sconcertante, crudo, favolistico, ma in realtà molto profondo, oltre che di
piacevole lettura.
L’incontro
tra Gesù e rabbi Zaccheo è leggibile nella bellissima versione dello Pseudo-Tommaso
pubblicata dall’Editore Einaudi alle pagine 34-36 di un dotto volume della
collana I Millenni, curato da M.
Craveri, che raccoglie molti testi apocrifi, tra i quali la Natività di Maria, la Storia di Giuseppe il falegname, il Vangelo di Pietro, i Vangeli gnostici di Tommaso, di Filippo,
della Verità…, tutte opere senza le quali la letteratura e l’arte cristiana
sarebbero infinitamente più povere. Ed anche, ci permettiamo di suggerire, ne sarebbero
sminuiti anche molti aspetti della stessa devozione cristiana, nelle sue forme
più popolari, ma non per questo meno sincere e significative.
Ha
scritto Origene (185-254) in una sua omelia che “Ecclesia quattuor habet evangelia, haeresis plurima”. Ma per noi,
questo non è che un ulteriore buon motivo per avvicinarsi anche a questi scritti…
La
narrazione riportata nello Pseudo-Tommaso è molto breve, si tratta di poche
righe.
[Si
veda anche qui al cap. 31: http://www.gesuperultimo.org/gpu_images/PseudoVangeloMatteo_apocrifi.pdf]
Ma a
partire da qui, in maniera del tutto fedele, il noto studioso di miti e simboli
Robert Graves (1895-1985) ha sviluppato
la vicenda all’interno del suo romanzo Io, Gesù, già pubblicato in Italia
con il titolo Jesus Rex, nel quale ha
raccontato la vita di Gesù-uomo mantenendo un perfetto equilibrio tra storia,
mito, finzione letteraria, religione e filosofia, cultura ebraica, greca e
latina.
Riportiamo,
proponendone la lettura in parallelo con la vicenda “scolastica” di Siddhārtha,
i passi del romanzo di Graves dedicati a Gesù studente dell’alfabeto ebraico
(pag. 219 e seg.):
![]() |
Robert Graves |
Il rabbi [disse a Gesù]: “Affrettiamoci a
iniziare insieme il nostro studio. Ti insegnerò tutto sull’alfabeto.”
Prese uno stampino di legno dalla cassetta
dell’alfabeto e impresse una lettera su una tavoletta d’argilla. “Questa è la
Alef, ragazzo, la prima lettera; di’ con me: Alef.”
Gesù ripeté docilmente: “Alef”.
“Esamina attentamente il carattere. È la
Alef, ripeti la parola. “
E Gesù ripeté: “Alef”.
“Ancora una volta, per essere ben sicuri.
“
“Alef.”
“Eccellente. Ora possiamo passare alla
lettera successiva, che è la Bet. “
“Ma, rabbi – esclamò Gesù con disappunto
–, non mi hai ancora insegnato la. Alef. Qual è il significato del carattere?
Lo scrivano mi ha detto che certamente tu l’avresti saputo.”
L’insegnante fu sorpreso. “Alef significa.
Alef vale a dire bue.”
“Sì, rabbi. So che Alef significa bue, ma
perché il carattere ha la forma che ha? Somiglia alla testa di un bue con il
giogo sul collo, ma perché è inclinato con un angolo così strano?”
Il rabbi sorrise e disse: “Pazienza,
figliolo. Prima impara a conoscere le lettere e poi, se vorrai, a discuterne la
forma. Ti dirò, tuttavia, una cosa a proposito dell’Alef. Si tramanda la
leggenda che agli albori del tempo ci fu una disputa tra le lettere dell’alfabeto,
ciascuna delle quali pretendeva il diritto di precedenza sulle altre.
Perorarono la propria causa al cospetto del Signore, dilungandosi
prolissamente. Soltanto Alef non disse nulla e non avanzò rivendicazioni. Il
Signore si compiacque dell’Alef e promise che avrebbe iniziato i Dieci
Comandamenti proprio con quel carattere; e così fece con ANOKHI ADONAI, “Io
sono il Signore”. E una lezione, fanciullo, di modestia e silenzio. Allora,
questa è la lettera Bet. Ripeti: Bet”.
“Se
mi ordini di dire Bet, dirò Bet. Ma io già conosco le ventisei lettere dell’alfabeto
e so scriverle nell’ordine esatto, sia nei caratteri antichi sia in quelli
moderni. Non hai intenzione di rispondere alla mia domanda sull’Alef? Perché
sicuramente ogni carattere dell’alfabeto, se è davvero un’invenzione ingegnosa,
deve rappresentare una qualche verità che con tale lettera è collegata. Forse
il bue scuote la testa spazientito? Oppure è morto sul colpo?”
Il rabbi sospirò e disse con fermezza:
“Torna a casa in pace da tuo padre, piccolo Gesù, prima che arrivino gli altri
scolari, e digli da parte mia che deve mandarti da un insegnante più dotto di
me”.
Gesù tornò tristemente da Giuseppe col
messaggio del rabbi. Domandò Giuseppe: “Ma perché mai il rabbi ti ha rimandato
a casa così presto?”
“Perché gli ho domandato il motivo per cui
la lettera Alef ha la forma che ha, e lui non ha saputo dirmelo.”
Giuseppe si consultò con Maria e decise di
mandare Gesù da un altro rabbi che godeva di grande fama di erudito e che
insegnava all’altro capo della città.
Il giorno seguente Gesù si recò dal
secondo insegnante al quale, nel frattempo, il primo aveva riferito cos’era
accaduto; il secondo maestro era ben deciso a impedire al ragazzino di turbare
le normali attività scolastiche ponendo domande impertinenti, come le definiva
lui.
“E chiaro come il sole” disse il secondo
insegnante. “Quel bambino ti ha preso in giro. Dev’essere stato quel furfante
di scrivano ad aizzarlo.”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma sembra
un fanciullo innocente e non posso attribuirgli intenzioni così maliziose.”
Entrato nella nuova aula e salutato il
maestro con reverenza, Gesù unì la sua voce al coro in risposta alla
benedizione e poi si sedette sul tappeto a gambe incrociate assieme agli altri
ragazzi, ma si sentì ordinare seccamente di alzarsi.
Si alzò.
“Sei venuto a imparare da me?” domandò il
maestro. “Sì, rabbi.”
“Ho
saputo dal tuo precedente insegnante, il dotto rabbi Osea, che conosci già l’alfabeto.
“E’ vero, rabbi.”
“Sei davvero un fanciullo istruito! Sei
forse già un esponente della letteratura sacra?”
“Per grazia del nostro Dio ho mosso i
primi passi, rabbi.”
“I primi passi, e come?”
“Ho iniziato con la lettera Alef.”
“Splendido, splendido! E senza dubbio
avrai scoperto perché quel carattere ha la forma che ha?”
“Ho riflettuto sulla questione tutta la
notte, pregando, rabbi, e stamattina mi è stata data la risposta.”
“Degnati di illuminarci con la tua
prodigiosa rivelazione.”
Gesù aggrottò le sopracciglia, pensieroso,
e poi disse: “Eccola. La Alef è la prima delle lettere, e la Alef è il bue che
è il sostegno dell’uomo, il primo e il più onorevole dei suoi beni a quattro
zampe”.
“Giustifica questa tua asserzione. Perché
il più onorevole non è l’asino?”
“Il bue è menzionato prima dell’asino nel
Comandamento contro il ricorso al malocchio.”
“Che impudenza! E perché non la pecora?
Hai preso in considerazione la pecora?”
“Ho preso in considerazione la pecora,
sebbene non sia menzionata nel Comandamento; e chiaramente il bue è più
onorevole, come si arguisce dall’allegoria dei due matrimoni di Giacobbe: per
prima ha sposato Lia, che sarebbe la vacca, e per seconda Rachele, che sarebbe
la pecora.”
L’insegnante frenò la collera crescente e
disse: “Prosegui, Hiram di Tiro!”
“La Alef, per come vedo io il carattere, è
un bue offerto in sacrificio, col giogo ancora sul collo; ciò significa che lo
studio della letteratura deve iniziare col sacrificio. Dobbiamo consacrare al
Signore il nostro primo e più prezioso bene, che è simboleggiato dal bue
aggiogato, vale a dire la nostra docile fatica finché non crolliamo morti. Ecco
la risposta che mi è stata data.”
“Dimmi, sei venuto in questa scuola in
qualità di allievo o in qualità di dottore della Legge?” esclamò l’insegnante
parlando con il lento e cantilenante tono ironico che i suoi allievi avevano
imparato a temere più dei suoi scoppi di rabbia.
Ribatté Gesù in tutta semplicità: “Ho
sentito dire: ‘Chi semina raccoglie’. Mi hai domandato perché la prima lettera
dell’alfabeto ha la forma che ha e ti ho fornito la spiegazione che mi è stata
data in risposta alla mia preghiera. E questa è stata la mia semina. Quanto al
raccolto, vorrei sapere, se sei disposto a seminare a tua volta, spiegandomi
perché l’ultima lettera dell’alfabeto ha la forma che ha”.
Il maestro afferrò la verga di storace e
avanzò verso Gesù bofonchiando in tono minaccioso. Domandò, pallido per la collera:
“L’ultima lettera dell’alfabeto! Alludi alla lettera Tau, rabbi Gesù?”
“Non sono io il rabbi, tu sei il rabbi; ed
è alla Tau che alludo.”
“La Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto e
la ragione della sua forma non è difficile da intuire. La Tau ha la forma di
una croce, e la croce vergognosa è la fine alla quale sono destinati gli
scolari impudenti che presumono di spaccare un capello in quattro col loro
maestro. Gesù, figlio del falegname, attento! Poiché la sua ombra già incombe
sul tuo cammino!”
Gesù balbettò: “Se ti ho offeso, rabbi, ne
sono veramente dispiaciuto. Chiederò a mio padre di mandarmi a un’altra
scuola”.
“Non prima che ti abbia punito come
meriti, rampollo di stoltezza. Infatti sta scritto: ‘La stoltezza risiede nel
cuore di un fanciullo, ma la verga del castigo l’allontanerà’. Col fanciullo
stolto e presuntuoso non ho pazienza; e il fanciullo assennato ha timore della
mia verga.”
Rispose audacemente Gesù: “Rabbi,
considera bene ciò che ci stai dicendo. Non conosci l’opinione del dotto
Hillel: ‘Un maestro iracondo non sa insegnare, né un fanciullo impaurito può imparare?’”
Era più di quanto il maestro potesse
tollerare. Calò la verga con tutta la sua forza sul capo di Gesù, e la verga
volò in mille pezzi.
Gesù
non batté ciglio né tentò di difendersi, ma rimase a fissare l’uomo adirato, il
quale tornò al suo scranno e cercò di riprendere la lezione. Ma all’improvviso
si portò le mani all’altezza del cuore e stramazzò in avanti, morto.
Così si concluse l’istruzione scolastica
di Gesù, poiché nessun altro rabbi di Leontopoli lo voleva come allievo. Nei
mesi che seguirono, i passanti lo segnavano a dito per strada, scuotendo il
capo e borbottando: “Ecco il ragazzo che ha ucciso il suo maestro facendo
domande impudenti! Eppure dicono che quel dotto gli abbia risposto per le rime
prima di morire e gli abbia predetto che sarebbe finito sulla croce dei criminali”.
Da
leggere:
M.
Craveri (a cura di), I Vangeli Apocrifi, Ed. Einaudi
R.
Graves, Io, Gesù, Ed. Longanesi
R.
Graves, I miti ebraici, Ed. Longanesi
R.
Graves, I miti greci, Ed. Longanesi