LALITAVISTARA SUTRA - Capitoli XVII - XXII


Capitolo diciassettesimo

La pratica dell’ascetismo

Il Bodhisattva si reca presso Rudraka e dibatte con lui intorno ad alcuni punti della dottrina. Ben presto realizza il sapere del maestro e si prepara a lasciarlo. Vedendo la facilità con cui il Bodhisattva ha compreso l’insegnamento di Rudraka, cinque discepoli di quest’ultimo lo abbandonano e seguono il Bodhisattva a Gaya. – Le tre similitudini fino ad allora sconosciute. Il Bodhisattva esamina pratiche di ogni tipo, per mezzo delle quali gli asceti credono di conseguire la felicità; accorgendosi che si tratta di strade sbagliate, assume la determinazione di non seguirne nessuna. – Pratiche ascetiche del Bodhisattva per un periodo di sei anni. Egli diviene così magro e prostrato che gli dei spaventati temono che possa morire. – Essi avvertono la madre, la quale si reca presso di lui. – Il Bodhisattva è così debole che riconosce a stento la propria madre; tuttavia la conforta e la congeda. – Gli abitanti del luogo, vedendo il corpo smagrito del Bodhisattva, lo scambiano per uno spirito dei cimiteri. 
O Monaci, in quel tempo un figlio di Rāma chiamato Rudraka si era stabilito nei pressi della città di Rājagṛha e lì dimorava con un grande seguito di discepoli, in numero di settecento. Egli insegnava loro il Dharma che attraverso la pratica dell’ascetismo conduce allo stato nel quale non vi è né percezione né assenza di percezione. Il Bodhisattva vide dunque Rudraka, figlio di Rāma, guida della comunità, maestro del gruppo dei discepoli, uomo famoso, seguito, molto amato, stimato dai saggi.
E avendolo visto nacque in lui questo pensiero: Rudraka, in verità, è la guida della comunità, il maestro del gruppo dei discepoli, è famoso, seguito, molto amato e stimato dai saggi. Se, stando al suo cospetto, non seguissi una condotta disciplinata e non praticassi l’ascetismo, egli non potrebbe avere una chiara visione di me, non avrebbe una diretta percezione, la dimostrazione del fatto che le contemplazioni, l’assorbimento meditativo, il conseguimento della pace mentale, sono soltanto dei composti, con ciò che ne consegue.
Io stesso potrò così indicargli un mezzo tale per cui questo gli sarà di tutta evidenza. Gli dimostrerò che le contemplazioni, il conseguimento della pace mentale, l’assorbimento mondano non possono portare ad un risultato. Dopo essermi posto io stesso al seguito di Rudraka, figlio di Rāma, divenendo suo discepolo, potrò dimostrargli l’inutilità degli assorbimenti prodotti da ciò che è composto e la superiorità delle qualità della meditazione che io pratico.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva, motivato da questo pensiero, si recò presso Rudraka, figlio di Rāma, e gli chiese:
Amico, chi è il tuo maestro? Di chi sono gli insegnamenti che tu hai interamente compreso?
Così interrogato, Rudraka, figlio di Rāma, rispose al Bodhisattva: Non ho, amico, alcun maestro, ed ho compreso tutto questo da solo.
Il Bodhisattva replicò: Che cosa hai compreso?
Rudraka rispose: La via del conseguimento della quiete, dello stato dove non vi è né percezione né assenza di percezione.
Il Bodhisattva chiese: Posso ricevere da te la dottrina e gli insegnamenti sulla via verso l’assorbimento meditativo?
Rudraka rispose: Certamente! Così sarà, fino a quando non avrai compreso l’insegnamento.
Allora il Bodhisattva si mise in disparte e sedette incrociando le gambe.
Non appena si sedette, egli, possedendo il controllo della mente, realizzò le centinaia di modalità della quiete mentale, mondane ed extramondane, in tutte le loro forme e nei loro dettagli, e questo grazie alla superiorità dei meriti acquisiti, alla superiorità della sua saggezza e dei frutti della sua pratica precedente e alla conoscenza di tutti gli assorbimenti meditativi.
Quindi il Bodhisattva, in piena consapevolezza ed attenzione, si alzò dal suo posto, si avvicinò a Rudraka, figlio di Rāma, e gli disse: O amico, al di là della via del conseguimento della quiete, al di là dello stato in cui non vi è percezione né non percezione, ve ne è un altro?
Egli rispose che non ve ne erano altri.
Allora il Bodhisattva pensò: Rudraka non è il solo ad avere fede, disciplina, consapevolezza, concentrazione, saggezza. Anche io possiedo fede, disciplina, consapevolezza, concentrazione, saggezza.
Poi si rivolse così al figlio di Rāma, Rudraka: Anche io ho realizzato gli insegnamenti ai quali tu hai attinto.
Egli rispose: Bene! Vieni, dunque, tu ed io li esporremo a questa comunità. E, in vista di un fine condiviso, affidò al Bodhisattva l’incarico di maestro.
Ma il Bodhisattva replicò: O amico, questa via non conduce al non attaccamento (al mondo), né all’assenza di passioni, né alla liberazione (dal saṃsāra), né alla pace interiore, né alla saggezza, né al conseguimento del Risveglio, né allo stato di Śramaṇa, né al Nirvāṇa.
Perciò, o Monaci, il Bodhisattva abbandonò Rudraka, figlio di Rāma, e i suoi discepoli, dicendo a se stesso: Ne ho abbastanza di costui!
In quello stesso tempo, cinque uomini di alta casta praticavano come studenti sotto la guida di Rudraka, figlio di Rāma.
Nella loro mente sorse questo pensiero: Ciò che da molto tempo studiamo con sforzo e pratichiamo, ciò di cui non possiamo comprendere i limiti e la fine, tutto questo è stato compreso e realizzato con poca fatica dallo Śramaṇa Gautama, e tuttavia non ne è soddisfatto e cerca qualcosa di superiore. Senza dubbio costui diverrà il maestro del mondo. E condividerà con noi ciò che realizzerà.
A causa di questo pensiero i cinque uomini di alta casta si allontanarono da Rudraka e si unirono al Bodhisattva. 
Successivamente, o Monaci, il Bodhisattva, rimasto a Rājagṛha fino a quando lo ritenne opportuno, viaggiò nel territorio del Magadha insieme con i cinque compagni.
In quello stesso tempo, tra Rājagṛha e Gaya, un gruppo di persone stava partecipando ad una festa. Il Bodhisattva fu da esse invitato a fermarsi e a partecipare alla festa insieme con i suoi cinque compagni.
Quindi, il Bodhisattva viaggiando attraverso il territorio del Magadha si diresse verso Gaya, dove arrivò. Lì il Bodhisattva dimorò sulla sommità del monte Gaya, praticando con impegno. Mentre si trovava in quel luogo, sorsero nella sua mente tre similitudini mai udite fino ad allora, impensate fino a quel momento [1]. Quali sono le tre similitudini?
1. Vi sono degli Śramaṇa e dei Brāhmaṇi che non sono stati capaci di separare il loro corpo dagli oggetti del desiderio, che non hanno mantenuto la loro mente distaccata dagli oggetti del desiderio ma, al contrario, si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi. A costoro l’attaccamento agli oggetti del desiderio non ha arrecato la pace. Anzi, essi provano una sensazione dolorosa, acuta, cocente, crudele, che tormenta il loro spirito e brucia il loro corpo. Perciò sono incapaci di comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
Essi sono come un uomo che, desiderando del fuoco e avendo bisogno di luce, dopo aver preso due pezzi di legno verde da strofinare l’uno contro l’altro li sfregasse dopo averli immersi nell’acqua: costui non potrebbe far scaturire il fuoco e produrre la luce.
Nello stesso modo, agli Śramaṇa e ai Brāhmaṇi che non sono stati capaci di separare il loro corpo e la loro mente dagli oggetti del desiderio ma si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi, a costoro l’attaccamento agli oggetti del desiderio non ha arrecato la pace. Anzi, essi provano una sensazione dolorosa, acuta, cocente, crudele, che tormenta il loro spirito e brucia il loro corpo. Perciò sono incapaci di comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani. Questa fu la prima similitudine che sorse nella mente del Bodhisattva.
2. Sorse inoltre in lui questo pensiero: Vi sono degli Śramaṇa e dei Brāhmaṇi che hanno separato il loro corpo dagli oggetti del desiderio, che hanno mantenuto la loro mente distaccata dagli oggetti del desiderio. Tuttavia, si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi. A costoro l’attaccamento agli oggetti del desiderio non ha arrecato la pace. Anzi, essi provano una sensazione di dolore, acuta, cocente, crudele, la quale tormenta il loro spirito e brucia il loro corpo; perciò essi sono incapaci di comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
Essi sono come un uomo che, desiderando del fuoco e avendo bisogno di luce, dopo aver preso un pezzo di legno verde e dopo averlo portato in un luogo asciutto, lo sfregasse con un pezzo di legno umido: egli non potrebbe produrre del fuoco.
Nello stesso modo, agli Śramaṇa e ai Brāhmaṇi che hanno separato il loro corpo dagli oggetti del desiderio, che hanno mantenuto la loro mente distaccata dagli oggetti del desiderio, ma ciononostante si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi, a costoro l’attaccamento agli oggetti del desiderio non ha arrecato la pace. Anzi, essi provano una sensazione di dolore, acuta, cocente, crudele, la quale tormenta il loro spirito e brucia il loro corpo; perciò essi sono incapaci di comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
Questa fu la seconda similitudine, mai udita fino e mai pensata fino ad allora, che sorse nella mente del Bodhisattva.
3. E ancora, vi sono degli Śramaṇa e dei Brāhmaṇi che mantengono il loro corpo e la loro mente distaccati dagli oggetti del desiderio, ma che si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi. Benché essi abbiano conseguito la pace, cionondimeno provano una sensazione di sofferenza, acuta, cocente, crudele. Tuttavia essi possono comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
Essi sono come un uomo che, desiderando del fuoco e avendo bisogno di luce, dopo aver preso un pezzo di legno secco e dopo aver portato un altro pezzo di legno secco in un luogo asciutto, li sfregasse l’uno contro l’altro: costui potrebbe far scaturire il fuoco e produrre la luce.
Quegli Śramaṇa e quei Brāhmaṇi che mantengono il loro corpo e la loro mente distaccati dagli oggetti del desiderio, ma che si sono compiaciuti degli oggetti del desiderio, se ne sono nutriti, inebriati, ne sono stati corrotti, ne sono stati arsi, benché abbiano conseguito la pace, cionondimeno provano una sensazione di sofferenza, acuta, cocente, crudele. Tuttavia essi possono comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
Questa fu la terza similitudine, mai udita fino e mai pensata fino ad allora, che sorse nella mente del Bodhisattva [2].
Successivamente, o Monaci, il Bodhisattva pensò: Quanto a me, io certamente mantengo il corpo e la mente distaccati dagli oggetti del desiderio, benché mi sia compiaciuto degli oggetti del desiderio, me ne sono nutrito, inebriato, ne sono stato corrotto, ne sono stato arso. Tuttavia ho conseguito la pace. E benché essa sia dolorosa, tormenti lo spirito e bruci il corpo ed io provi una sensazione di sofferenza, acuta, cocente, crudele, ciononostante sono certamente in grado di comprendere chiaramente la superiorità della nobile saggezza rispetto agli insegnamenti mondani.
In seguito, o Monaci, il Bodhisattva, dopo essere rimasto fino a quando lo ritenne opportuno a Gaya, sulla cima del monte Gaya, si recò a piedi verso il villaggio di Senāpati, nei pressi di Urubilva [3]. Lì vide il fiume chiamato Nairañjanā, dalle acque pure, con belle scalinate, adorno di piante e piacevoli boschetti, con pascoli e villaggi su entrambe le sponde. Il Bodhisattva fu estremamente compiaciuto di quel luogo: In verità, questo luogo è pianeggiante, piacevole, ottimo per dimorarvi. È perfetto per un figlio di nobile famiglia che intenda dedicarsi alla rinuncia. E poiché io sono profondamente motivato verso la rinuncia, voglio rimanere qui.
Allora, o Monaci, sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: All’epoca delle cinque degenerazioni [4] io sono disceso nel Jambudvīpa, tra esseri con motivazioni di infimo livello, tra schiere di Tīrthika [5] seguaci di erronee visioni; essi sono interamente concentrati sul corpo fisico e cercano di purificarlo attraverso varie forme di privazioni e mortificazioni che, in completa ignoranza, insegnano. Per esempio, alcuni utilizzano i mantra, o leccano le mani, alcuni non chiedono nulla [6], o non dicono nulla; mangiano radici di ogni sorta, non mangiano né carne né pesce, non si spostano durante la stagione delle piogge, si astengono da bevande inebrianti e distillati di cereali; alcuni accettano cibo da una, o tre, cinque, sette famiglie; altri si nutrono di radici, frutta, alghe d’acqua dolce, erba kuśa, foglie, sterco di vacca, urina di vacca, latte, caglio, burro, melassa, grano non macinato; alcuni mangiano, dopo averlo lavato, ciò che le gru e i colombi hanno avanzato dopo essersi nutriti; altri cercano i loro mezzi di sussistenza nei villaggi o nei deserti; o vivono come le vacche, le gazzelle, i cani, i cinghiali, le scimmie, gli elefanti; taluni vivono in piedi e in silenzio; alcuni mangiano da uno a sette bocconi di cibo, o mangiano una sola volta al dì, o una sola volta nel giorno e nella notte, o quattro, cinque, sei volte; altri digiunano seguendo le fasi lunari; certuni indossano penne di avvoltoio o di gufo, o hanno per veste un’assicella, oppure erba muñja, corteccia di pianta asana [7], erba dūrvā, erba valvaja, o un mantello di pelle di cammello [8], di capra o di cavallo, o una pelle qualsiasi. Alcuni dormono su un telo bagnato, o nell’acqua, o usando come giaciglio la cenere, la ghiaia, le pietre, una tavola di legno, le spine, l’erba, un bastone; altri dormono con la testa in basso o su un lembo di nuda terra. Possiedono uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette o più vesti, oppure vivono nudi. Alcuni praticano le abluzioni, altri non si bagnano. Taluni portano lunghi capelli intrecciati sul capo, mangiano una sola bacca di kōla [9], o un chicco di sesamo o di riso, o addirittura della cenere. Spalmano sul loro corpo della polvere, del letame o del fango. Si adornano con peli, crani, capelli, unghie, stracci, ossa umane. Bevono acqua calda, o l’acqua di cottura del riso, o filtrata in un telo, o bollita in un paiolo. Alcuni si tingono con carbone, tinture minerali, zafferano [10]; radono la testa; portano con sé una brocca d’acqua, un cranio umano, una mazza.
Quegli sciocchi credono che la purezza consista in ognuna di queste pratiche!
Alcuni respirano fumo, o aspirano il fuoco, fissano il sole, praticano il Pañcatapas [11], mantengono sempre la stessa posizione, su un piede solo, le braccia alzate: queste sono le pratiche ascetiche alle quali si sottopongono.    
Alcuni camminano su paglia o altre sostanze in fiamme, carbone ardente, forni tandoori, pietre arroventate, falò accesi; smettono di nutrirsi e si recano nel deserto o sulle sponde di acque consacrate e lì, fino alla morte, percorrono la via che hanno scelto.
Perseguono la purezza recitando oṁ, oppure vaṣat, svadhā, svāhā; recitando mantra, leggendo le sacre scritture e le Dhāranī. Ritenendosi puri, prendono rifugio in Brahmā, Indra, Rudra, Viṣṇu, Devī, Kumāra, Mātṛ, Kātyāyani, Candra, Āditya, Vaiśravaṇa, Varuṇa, i Vasu, gli Aśvin, i Nāga, gli Yakṣa, i Gandharva, gli Asura, i Garuḍa, i Kinnara, i Mahoraga, i Rākṣasa, i Bhūta, i Kumbhānda, i Pārśada [12], i Gaṇa, i Pitṛ, i Piśācā, i Devaṛṣi, i Rājaṛṣi, i Brahmāṛṣi. Ad essi, credendoli dotati di essenza propria, rendono omaggio. 
Taluni prendono rifugio anche nella terra, nell’acqua, nel fuoco, nel vento e nello spazio; nelle montagne, nelle valli, nei fiumi, nelle sorgenti, nei laghi, negli stagni, nelle vasche d’acqua, nei mari, nei bacini, nei pozzi, nei fossati; negli alberi, negli arbusti, nelle liane, nelle erbe, nei tronchi; nelle stalle, nei cimiteri, nei crocicchi, nei mercati, nelle porte. Rendono omaggio alle case, alle colonne, alle rocce; alle mazze, alle spade, agli archi, alle asce, alle frecce, alle lance, ai tridenti. Credono che siano fonte di benedizioni il caglio, il burro chiarificato, i semi di senape, l’orzo, le collane, l’erba dūrvā, le perle, l’oro, l’argento, e altro ancora.
Queste sono le pratiche dei Tīrthika, ciò a cui fanno ricorso in preda al timore della rinascita. E allora alcuni pensano: Con questi mezzi conseguiremo sia lo Svarga sia la liberazione definitiva. 
Ma così dicendo a se stessi si avviano su un sentiero errato, prendono rifugio in ciò che non può offrire protezione, scambiano per benedizioni ciò che tali non sono, considerano puro ciò che è impuro.
Per questo io stesso mi impegnerò in pratiche ascetiche tali per cui tutte le opinioni opposte saranno distrutte. Dimostrerò agli esseri che non tengono in conto degli effetti karmici delle azioni l’ineluttabilità dei frutti dell’azione. E quanto alle divinità dei reami della meditazione concentrativa e della forma, se potrò dimostrare una meditazione superiore desterò il loro interesse.
Quindi, o Monaci, avendo così riflettuto, il Bodhisattva si impegnò per sei anni in terribili forme di ascesi, difficili da praticare, le più dure tra le più difficili. Poiché egli ha praticato cose difficili, è stato allora chiamato Duskaratcārya [13]. Non vi è alcun essere nell’universo, umano o non umano, che sia in grado di praticare forme di ascesi così difficili, con l’eccezione di un Bodhisattva che sia giunto alla sua ultima rinascita e che sia entrato nella meditazione chiamata Āsphānaka.
Questa meditazione è chiamata Āsphānaka perché quando il Bodhisattva dimorava nella pace [14] del quarto assorbimento l’inspirazione e l’espirazione rallentarono e cessarono completamente. In questo assorbimento meditativo non c’è pensiero, nessuna mente concettuale, nessun movimento, nessun cambiamento; esso è stabile, onnipervasivo, indipendente da tutto. Prima di allora non era stato conseguito da nessuno, discepoli, maestri, Pratyekabuddha o un Bodhisattva che non avesse intrapreso tale via.  Da qui il nome di Āsphānaka.
Questa meditazione è paragonata allo spazio, in quanto come lo spazio è immutabile e indivisibile. Per questo è detta Āsphānaka.
Nel frattempo, o Monaci, il Bodhisattva sedette a gambe incrociate sulla nuda terra; poi, dopo essersi seduto, soggiogò il proprio corpo per mezzo della mente e lo sottopose a tormenti. E fece questo al fine di mostrare cose meravigliose a coloro che seguono le vie mondane; per sminuire l’orgoglio dei praticanti delle vie erronee; per sconfiggere gli avversari; per corrispondere ai desideri degli dei; per dimostrare l’azione del karma a coloro che sostengono che nulla permane e a coloro che ritengono che tutto è eterno [15]; per mostrare i frutti dell’accumulazione dei meriti; per spiegare l’azione della saggezza; per distinguere i livelli della meditazione; per mostrare il potere dell’energia del corpo; per sviluppare completamente lo sforzo eroico della mente.
Così, o Monaci, per otto notti invernali io soggiogai [16] e torturai il mio corpo: rivoli di sudore scendevano dalle mie ascelle e dalla mia fronte e cadevano a terra; divenivano ghiaccio, si riscaldavano ed evaporavano. Come se un uomo forte afferrasse per il collo un uomo molto debole e lo tormentasse, nello stesso modo, o Monaci, mentre domavo il corpo con la mia mente e lo affliggevo, rivoli di sudore scendevano dalle mie ascelle e dalla mia fronte e cadevano a terra; divenivano ghiaccio, si riscaldavano ed evaporavano.
Successivamente, o Monaci, sorse in me questo pensiero: Mi impegnerò nella pratica della meditazione Āsphānaka. Mentre praticavo quella forma di assorbimento, l’inspirazione e l’espirazione attraverso il naso e la bocca si fermarono; dalle aperture delle mie orecchie uscirono dei forti rumori, dei suoni molto forti, come per esempio quando si comprime il mantice di una fucina e ne scaturisce un suono molto forte. In questo stesso modo, o Monaci, quando la mia inspirazione e la mia espirazione si fermarono, dalle aperture delle mie orecchie uscì un forte rumore, un suono molto forte.
Poi, o Monaci, pensai: Mi dedicherò ancora alla pratica della meditazione Āsphānaka. A quel punto, o Monaci, le mie orecchie, il mio naso e la mia bocca si chiusero. Il respiro salì nel cranio alla sommità del capo. Come se qualcuno con una lancia acuminata perforasse il cranio, in quello stesso modo, o Monaci, essendo la bocca, il naso e le orecchie chiusi, il soffio del respiro urtò il cranio alla sommità del capo.
In quel momento alcuni Deva avendo visto la sofferenza del Bodhisattva così dissero: Ahinoi! Il giovane Siddhārtha sta certamente morendo!
Altri replicarono: No, non sta morendo, questo è quanto accade agli Arhat [17] che dimorano nell’assorbimento meditativo. Quindi, recitarono questi versi:
1. No, in verità il figlio del re degli Śākya non morirà qui, in solitudine, senza aver adempiuto al suo voto, lasciando i tre mondi nella sofferenza e privi di guida, senza aver raggiunto il suo scopo!
2. Ah! Tu, che sei il primo degli esseri la cui promessa è ferma, ci hai invitato all’ascolto del puro Dharma [18]. Dov’è, o Guida, Essere puro, la ferma promessa che ci facesti in passato, nel cielo di Tuṣita?
Poi gli dei si recarono presso gli dei del reame dei Trentatré e così parlarono a Māyādevī: Per il giovane principe è giunta l’ora della morte!
Allora Māyādevī, circondata da una schiera di Apsarā, alla mezzanotte scese lungo le sponde del fiume Nairañjanā, nel luogo in cui si trovava il Bodhisattva, e vide il suo corpo smagrito. Vedendolo così, simile ad un cadavere, si mise a piangere, soffocata dai singhiozzi.
In quel momento recitò questi versi:
3. Quando nascesti nel parco di Lumbini, figlio mio, come un leone, senza alcun sostegno, tu facesti sette passi.
4. Ma le belle parole che pronunciasti dopo aver rivolto lo sguardo nelle quattro direzioni dello spazio – Questa è la mia ultima rinascita! – non si avvereranno.
5. Le parole che Asita ti rivolse – Tu sarai un Buddha nel mondo – sono una falsa profezia. Egli non aveva previsto l’impermanenza.
6. Tu, figlio mio, non hai goduto dello splendore incantevole di un re Cakravartin. Ed ora stai morendo nella foresta senza aver conseguito il supremo Risveglio!
7. A chi posso rivolgermi per (aiutare) mio figlio, per il quale piango, nel mio profondo dolore? Chi dunque potrebbe, come io vorrei, restituire un soffio di vita a mio figlio? [19]
8. Chi è questa donna che piange amaramente, con i capelli scarmigliati e il bel viso sconvolto? Chi si lamenta così intensamente per il proprio figlio e si getta a terra sconvolta?
9. Per dieci mesi ti ho portato nel mio grembo come un diamante. Figlio mio, io sono tua madre, sono io che piango disperata.
Allora il Bodhisattva confortandola le disse: Non devi piangere, tu ritroverai tuo figlio. Io renderò fruttuosa la tua sofferenza. La rinuncia da parte di un Buddha non è sterile. Io realizzerò la profezia di Asita, realizzerò la predizione di Dipaṃkara. È possibile che il mondo si spezzi in cento parti, che il monte Meru sia inghiottito dalle acque, che le innumerevoli stelle precipitino sulla terra, che io rimanga l’ultimo uomo, ma io non morirò! Per questo motivo non devi abbandonarti al dolore. Non è lontano il momento in cui assisterai al Risveglio di un Buddha!   
Ascoltando queste parole Māyādevī sentì accapponare la pelle per la gioia. Cosparse il Bodhisattva di fiori di māndārava, girò per tre volte intorno a lui presentandogli il lato destro del corpo e quindi ritornò nella propria dimora, accompagnata da musiche divine.
In quel momento, o Monaci, nacque in me questo pensiero: Alcuni tra gli Śramaṇa e i Brāhmaṇi credono che assumendo piccole quantità di cibo ci si purifichi. Così pensai: È necessario che anche io assuma poco cibo. E realizzai, o Monaci, che avrei dovuto mangiare un solo frutto di kōla [20] e non un secondo. Se voi pensaste, o Monaci, che in quel tempo il frutto di kōla fosse più grande, ebbene non è così. In verità in quel tempo il frutto di kōla era lo stesso. Così, mangiando un solo frutto di kōla, il mio corpo divenne estremamente magro e debole. Simili, o Monaci, ai nodi di una pianta asītakī o di una pianta kālā: così erano le mie membra e le mie articolazioni. Simili alle zampe di un granchio: così erano le mie costole. Come in una stalla di animali da soma o di elefanti caduta in rovina, diroccata sui due lati, gli spazi tra le travi sono visibili da entrambe le parti, nello stesso modo le mie costole erano visibili all’interno del corpo, da entrambi i lati. Come una treccia di capelli è diseguale, ha alti e bassi, nello stesso modo era diseguale la mia colonna vertebrale, con alti e bassi. Come una zucca tagliata troppo presto avvizzisce sempre più e secca del tutto, nello stesso modo la mia testa avvizziva sempre più e rinsecchiva completamente. Come nell’ultimo mese dell’estate i riflessi delle stelle sono scesi in fondo al pozzo e si vedono a malapena [21], nello stesso modo le pupille dei miei occhi si sono affossate e si distinguono a fatica. Simili alle zampe di una capra o di un cammello, così erano le mie spalle, il mio ventre, il mio petto, tutto il corpo. E, o Monaci, quando dicevo: Tocco il mio addome con la mano, in realtà toccavo la colonna vertebrale. Poi dissi: Ora mi alzo in piedi, ma quando mi alzai ero talmente ricurvo che ricaddi a terra. Rialzatomi a fatica, quando ripulii con le mani le mie membra coperte di polvere, tutti i peli ormai morti si staccarono dal corpo. Lo splendore della mia carnagione, che un tempo era bella e delicata, era scomparso, a causa delle dure mortificazioni alle quali mi sottoponevo. Le persone che vivevano nel villaggio vicino al luogo in cui praticavo pensavano: Ah, lo Śramaṇa Gautama davvero è diventato nero!  Ha il colore del pesce madgura, lo Śramaṇa Gautama! Il colorito della sua carnagione, che un tempo era bella e delicata, è scomparso!
Sorse in me, o Monaci, questo pensiero: Devo applicarmi con maggiore impegno a mangiare poco cibo. E realizzai che avrei dovuto assumere un solo chicco di riso, e non due. Se voi pensaste, o Monaci, che in quel tempo il chicco di riso fosse più grande, ebbene non è così. In quel tempo il chicco di riso era come è oggi. E, o Monaci, mangiando un solo chicco di riso il mio corpo divenne ben presto così è stato detto fino ad ora: Ah, davvero lo Śramaṇa Gautama ha il colore del pesce madgura! Il colorito della sua carnagione, che un tempo era bella e delicata, è scomparso! Questo è ciò che si diceva.
Sorse allora in me, o Monaci, questo pensiero: Devo applicarmi con impegno ancora maggiore a mangiare poco cibo. E realizzai che avrei dovuto assumere un solo grano di senape, e non due. Se voi pensaste, o Monaci, che in quel tempo il grano di senape fosse più grande, ebbene non è così. In quel tempo il grano di senape era come è oggi. E, o Monaci, mangiando un solo grano di senape il mio corpo divenne ben presto così è stato detto fino ad ora: Ah, davvero lo Śramaṇa Gautama ha il colore del pesce madgura! Il colorito della sua carnagione, che un tempo era bella e delicata, è scomparso!
Sorse poi in me, o Monaci, questo pensiero: Alcuni tra gli Śramaṇa e i Brāhmaṇi credono che astenendosi dall’assumere cibo ci si purifichi. È necessario che mi impegni ad astenermi completamente dall’assumere ogni tipo di nutrimento.
Allora, o Monaci, non assumendo alcun cibo il mio corpo divenne estremamente emaciato, magro, privo di forza. Così le mie membra e le mie articolazioni divennero due, tre, quattro, cinque, dieci volte più magre dei nodi della pianta asītakī o della pianta kālā. Le mie costole divennero simili alle zampe di un granchio, simili alle travi del tetto di una stalla per animali da soma; la mia spina dorsale divenne come una treccia di capelli; il cranio della mia testa come una zucca; le pupille dei miei occhi come il riflesso delle stelle sul fondo di un pozzo. E quando, o Monaci, dissi a me stesso: È bene che mi sollevi e muova le mia membra, ricurvo, caddi rovesciato a terra. Poi, alzatomi a fatica, mentre sfregavo le mie membra i peli si staccarono, corrosi alla radice.  E anche il colorito della mia carnagione, che un tempo era bella e delicata, era scomparso, a causa delle dure mortificazioni alle quali mi sottoponevo. E le persone che vivevano nel villaggio vicino al luogo in cui praticavo pensavano: Ah, lo Śramaṇa Gautama è davvero nero! Lo Śramaṇa Gautama è davvero bluastro! Ha il colore del pesce madgura, lo Śramaṇa Gautama!
In quel tempo il re Śuddhodana inviò ogni giorno un messaggero per osservare il Bodhisattva.

Nel frattempo, o Monaci, il Bodhisattva mostrò cose meravigliose al mondo, per distruggere l’orgoglio dei praticanti delle vie erronee; per sconfiggere gli avversari; per corrispondere ai desideri degli dei; per dimostrare l’azione del karma a coloro che sostengono che nulla permane e a coloro che ritengono che tutto è eterno. Viveva con un solo grano di sesamo, con un solo frutto di giuggiolo, con un solo chicco di riso [20] per mostrare i frutti dell’accumulazione dei meriti, per spiegare l’azione della saggezza, per distinguere i livelli della meditazione. Per questo mostrò per sei anni la difficile pratica delle mortificazioni. Per sei anni, senza venir meno alla sua determinazione, rimase seduto a gambe incrociate, nella stessa postura, senza mai abbandonare la nobile pratica. Anche se il sole bruciava, non si spostò mai all’ombra, e dall’ombra non passò mai al sole. Non cercò riparo dal vento, dal sole o dalla pioggia. Non scacciò mai i tafani, le zanzare o i serpenti. Non defecò mai, né urinò, né sputò, né soffiò il naso. Non piegò le membra né le allungò. Non si sdraiò sul fianco, non si distese sul ventre né sulla schiena. In autunno, in primavera e nell’inverno nuvoloni, tempeste, pioggia, grandine si abbatterono sul corpo del Bodhisattva, il quale non si riparò mai nemmeno con la mano. Non respinse gli oggetti dei sensi, ma nemmeno li inseguì. Coloro che passavano accanto a lui, ragazzi e giovinette del villaggio, pastori di mucche o di buoi, tagliatori di erba, raccoglitori di legname o di sterco di vacca, tutti pensavano: È un demone della polvere. Lo deridevano e lo coprivano di polvere. 
In quel tempo, nel corso di sei anni, il corpo del Bodhisattva divenne talmente gracile, debole e magro che quando qualcuno gli metteva dei fili d’erba o del cotone nelle orecchie, quelli uscivano dal naso. Se li infilavano nel naso emergevano dalle orecchie. E se li mettevano nelle orecchie uscivano dalla bocca. Oppure venivano fuori dalle orecchie e dal naso se li mettevano nella bocca. Ciò che gli trafiggeva il naso usciva dalle orecchie, dal naso e dalla bocca.
I Deva, i Nāga, gli Yakṣa, i Gandharva, gli Asura, i Garuḍa, i Kinnara, i Mahoraga, che erano testimoni della qualità del Bodhisattva, dimoravano giorno e notte accanto a lui, gli rendevano omaggio e gli rivolgevano preghiere.
E lì, grazie al Bodhisattva che mostrava la pratica delle austerità, dodici Niyuta di dei e di uomini giunsero a completa maturazione nei tre Veicoli.
A questo proposito è detto:
10. La mente del Bodhisattva, che ricolmo di ogni qualità ha abbandonato la città, ha generato gli abili mezzi a beneficio ed in aiuto degli esseri.
11. Nell’era delle cinque degenerazioni, nella quale ci si rivolge verso un Dharma corrotto, egli è nato nel Jambudvīpa, per mettere fine alla pratica di un Dharma mondano.
12. [Questo mondo] è pieno di Tīrthika, quegli insensati che fanno mostra di sé come oggetti di curiosità, mediante le torture che infliggono ai loro corpi, credendo di ottenere la purificazione.
13. Essi camminano nel fuoco e nei burroni, nudi e coperti di polvere e di cenere. Per mortificare il loro corpi praticano intensamente il Pañcatapas.
14. Alcuni di quegli ignoranti recitano i mantra o leccano le mani; non assumono cibo uscito da vasi di bronzo o offerto da una porta socchiusa,
15. oppure in un luogo dove si trovi un cane, o dove sia stato detto loro di rimanere o di andare. Dopo aver ricevuto un’offerta da una casa, essi credono di aver conseguito la purezza.
16. Rifiutano il burro chiarificato, l’olio di sesamo, il miele, la melassa, il latte, il caglio, il pesce e la carne; mangiano grano di Śyāmāka [22] e legumi; mangiano le fibre del loto, semi di garḍula e germogli di riso.
17. Si nutrono di radici, di foglie e di frutti; indossano vesti di erba kuśa, di pelli o di stracci; altri vagano nudi e, insensati, dicono: Ecco la verità, tutto il resto è menzogna!
18. Tengono le mani sollevate in alto; portano i capelli annodati sulla testa; avendo completamente smarrito il sentiero camminano su una via erronea, desiderando una buona rinascita.
19. Dormono sull’erba, appoggiati a bastoni, sulla cenere; si coricano anche sulle spine, rannicchiati su se stessi; alcuni rimangono su una gamba sola, con il viso sollevato, fissando il sole e la luna.
20. Essi adorano una sorgente, uno stagno, un lago, il mare, un fiume; oppure la luna, il sole, un albero, una montagna, una cisterna.
21. Con varie forme di mortificazione essi, insensati, prosciugano il loro corpo! Accecati dalle false visioni, precipitano presto nei reami inferiori.
22. La difficile pratica delle austerità e delle mortificazioni nella quale mi impegno [23] è certamente molto dura; è severa, impossibile da portare a termine per gli dei e per gli uomini.
23. Ed io mi dedicherò alla meditazione Āsphānaka, con una postura solida come il diamante; una forma di concentrazione che i Pratyekabuddha sono incapaci di dimostrare. 
24. Vi sono nell’universo dei e uomini che si compiacciono delle erronee visioni dei Tīrthika; al fine di portarli a completa maturazione è necessario che io intraprenda una ascesi severa e difficile.
25. Il Bodhisattva rimase seduto con le gambe incrociate sulla nuda terra e mostrò il metodo di sostentarsi con un solo frutto di kōla, un solo grano di senape, un solo chicco di riso.
26. Avendo del tutto arrestato il flusso dell’inspirazione e dell’espirazione, immobile, mostrò la sua forza. Per sei anni si dedicò alla meditazione Āsphānaka, la suprema concentrazione:
27. priva di pensiero concettuale, priva di pensiero giudicante, stabile, immutabile. Egli si immerse nella concentrazione onnicomprensiva, che permea lo spazio intero.
28. Non passò dal sole all’ombra, né dall’ombra al sole; stabile come il monte Meru, praticò la meditazione Āsphānaka.
29. Senza alcun riparo contro il vento e la pioggia, senza proteggersi dalle zanzare, dai tafani e dai serpenti, con una pratica senza distrazione si immerse nella concentrazione onnicomprensiva.
30. Ma non fu solo per se stesso che egli praticò la meditazione Āsphānaka; con mente compassionevole, egli pensò anche agli altri, al beneficio di tutti gli esseri.
31. E i giovani del villaggio, i pastori di vacche, i raccoglitori di erbe, pensarono che fosse un demone e lo coprirono di polvere.
32. Lo cosparsero di immondizie e lo schernirono. Ma egli non vi prestò attenzione, non si turbò. Si impegnò soltanto nella concentrazione onnicomprensiva.
33. Non si sollevò né si distese, non fece nulla per proteggere il proprio corpo, non defecò né urinò. Non si distrasse nel mezzo dei rumori, e non guardò gli altri.
34. La sua carne, il sangue, la pelle, i legamenti e le ossa erano disseccati e attraverso il torace si vedeva la spina dorsale, che era come i nodi di una treccia di capelli.
35. I Deva, gli Asura, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva lo proteggevano e vedendo le sue qualità gli rendevano omaggio giorno e notte.
36. E così pregavano: Possiamo anche noi divenire presto come lui, la cui mente è come il cielo, e impegnarci nella concentrazione Āsphānaka!
37. La sua pratica non è solo per se stesso, non è motivata dal piacere della meditazione né dalla ricerca della felicità; ma dalla compassione per gli altri e per il beneficio di tutti gli esseri.
38. Gli avversari sono sconfitti. I Tīrthika dallo spirito debole sono soggiogati. La legge di causa ed effetto è dimostrata, così come la insegnò Kāśyapa [24] attraverso la sua parola. 
39. Questo Risveglio è lo stesso Risveglio che conseguì Krakuccandra [25]. Esso è difficile da conseguire, anche dopo numerosi eoni. Con la motivazione della felicità degli esseri, egli si dedica alla meditazione Āsphānaka.
40. Dodici niyuta di esseri sono condotti nei tre Veicoli. A tal fine, colui che possiede il nobile Intelletto si immerge nella contemplazione onnipervasiva.

Capitolo intitolato: La pratica dell’ascetismo, il diciassettesimo
 


NdT


[1] Sull’uso di similitudini e parabole nella letteratura del Buddhismo si veda: http://zenvadoligure.blogspot.it/2012/10/unisabazia-200910-le-parabole-del-buddha.html
[2] Nella traduzione di De Foucaux non vengono riportati alcuni passi della seconda e terza similitudine che si ripetono identici. In nota, il Traduttore dice: queste abbreviazioni e le successive appartengono al testo. La versione inglese riporta invece il testo nella sua interezza. Molto spesso nei sūtra buddhisti intere sezioni si ripetono identiche e per questo sovente le traduzioni sostituiscono quei passi con punti di sospensione o altri segni tipografici. Questo forse permette una lettura più scorrevole, ma qui ritengo preferibile proporre il testo nella sua interezza, con le ripetizioni: esse non sono mai state di ostacolo nella pratica, ma anzi costituivano un ausilio nello studio dei sūtra, nella lettura individuale e collettiva, nella memorizzazione, nella recitazione durante le cerimonie ecc. Repetita iuvant, dicevano i Padri.
[3] Il nome Senāpati non è riportato da De Foucaux, mentre lo si trova nella versione inglese, secondo cui si tratta di un villaggio vicino a Urubilva (o Uruvilva), nel Magadha. In De Foucaux si dice invece che il Bodhisattva giunge nel villaggio di Urubilva, dove viveva un général d’armée, un generale dell’esercito. In effetti il termine senāpati indica in sanscrito un alto ufficiale dell’esercito (sena, esercito + pati, signore).
Già nella riga precedente, De Foucaux scriveva che il Bodhisattva era rimasto a Gaya, sur le mont Gayāśīrṣa. Ma il termine sanscrito śīrṣa significa capo, cima (es. nello Yoga: Śīrṣāsana, la postura sul capo), per cui la traduzione corretta è: sulla sommità del monte Gaya, come riportato nella versione inglese e in quella tibetano-francese.
[4] Secondo la teoria dei kalpa, l’epoca nella quale viviamo è detta epoca degenerata, feccia dei tempi. Nel suo corso si verifica il declino dell’insegnamento di un buddha e si intensificano le cinque degenerazioni (pañca kaṣāya):
1. degenerazione della Visione (incremento dei punti di vista erronei),
2. degenerazione delle passioni (che aumentano l’odio e la violenza nel mondo),
3. degenerazione dei tempi (si incrementano le circostanze negative che causano il declino nelle condizioni dell’esistenza),
4. degenerazione della longevità (la durata della vita diminuisce),
5. degenerazione degli esseri senzienti (aumento dei difetti fisici e mentali negli esseri senzienti).
Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 128.
[5] Tīrthika o Tīrthya, coloro che seguono dottrine religiose errate, in particolare gli “estremisti” seguaci dell’eternalismo o del nichilismo. Nella versione inglese si trova esplicitamente detto: i non-Buddhisti.
[6] La versione inglese recita: rimangono seduti. Quella francese dal tibetano: non raccolgono, o non accumulano nulla. Quanto al leccare le mani, tutti e tre i testi concordano nella traduzione, anche se non è affatto chiaro di che tipo di pratica ascetica si tratti.
[7] Pterocarpus marsupium, o Kino indiano, una leguminosa usata nella cura del diabete.
[8] Si rammenti l’iconografia tradizionale di San Giovanni Battista: Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico (Marco, 1, 6).
[9] Ziziphus jujuba, ovvero il giuggiolo. La versione inglese parla invece di juniper, ginepro.
[10] Qui la versione di De Foucaux è più confusa: (alla lettera) portano del carbone, dei segni di colore, abiti rossastri, tre bastoni (legati insieme). 
[11] La pratica delle cinque austerità, alla lettera l’ardore dei cinque fuochi. Consiste nello stare seduti in meditazione sotto il sole, dall’alba al tramonto, tra quattro falò ardenti.
[12] Il termine non è presente nei testi consultati. Sul web la parola sanscrita parsada indica colui che fa parte di una comunità, o anche del seguito di un dio. La versione inglese riporta preta, gli spiriti avidi di cui già si è parlato, più genericamente i defunti. Per tutti gli altri termini si vedano le relative voci in: M. & J. Stutley, Dizionario dell’Induismo.
[13] Probabilmente il termine deriva da duḥkha, sofferenza, dolore, disagio (in pali dukkaratā significa difficoltà) + ācārya, maestro spirituale.
[14] La versione inglese traduce con equanimità. In De Foucaux questi passi dedicati alla meditazione sono, se tradotti alla lettera, quasi incomprensibili.
[15] Nichilisti ed eternalisti.
[16] Da qui inizia una sezione nella quale la narrazione è nuovamente svolta in prima persona.
[17] Meritevole, vincitore del nemico, chi ha vinto le passioni, colui che ha conseguito il quarto livello di perfezionamento nella tradizione Hīnayāna.
[18] Evidentemente il Bodhisattva è colui che rivolge l’invito, non colui che lo riceve, come in De Foucaux.
[19] I versi 3-7 e 9 riportano le parole di Māyādevī; nel verso 8 colui che parla è evidentemente il Bodhisattva. Secondo la versione inglese Māyādevī si getta a terra, in De Foucaux si legge invece che ella se tient debout sur la terre, rimane in piedi.
[20] Le parole da viveva a riso non compaiono in De Foucaux ma sono presenti nella altre versioni consultate.
[21] A causa del basso livello dell’acqua nella stagione calda.
[22] Echinochloa frumentacea, il giavone del frumento.
[23] Nei versi 22, 23 e 24 la narrazione è nuovamente svolta in prima persona.
[24] Kāśyapa (in pali: Kassapa) secondo la tradizione Hīnayāna è uno dei Buddha del passato, l’immediato predecessore del Buddha Gautama Śākyamuni.
[25] In pali: Kakusandha, un altro dei Buddha del passato. De Foucaux non lo nomina (lo si trova nella versione inglese) e traduce così questo verso: Dove è il Risveglio così difficile da conseguire nel corso di numerosi eoni?

Il Buddha "ascetico"





Capitolo diciottesimo 

Il fiume Nairañjanā

Mentre il Bodhisattva si impegna nelle pratiche ascetiche il demone cerca incessantemente di indurlo in tentazione, ma senza riuscirvi. Intanto il Bodhisattva comprendendo che lo stato di debolezza in cui si trova non costituisce la Via che conduce alla suprema Saggezza decide di assumere una maggiore quantità di cibo. – Allora i suoi cinque discepoli lo abbandonano. – Dieci giovinette del villaggio gli offrono del cibo. – Egli ritrova la salute e la sua bellezza. – Dissotterra un sudario e ne fa una veste monastica. – Una delle fanciulle del villaggio prepara una zuppa per il Bodhisattva con il latte di mille vacche. – Segni che compaiono sul latte. – Il Bodhisattva si bagna nel fiume Nairañjanā. – Gli dei fanno cadere su di lui fiori e profumi di ogni sorta e raccolgono con rispetto l’acqua che ha toccato il suo corpo.  
O Monaci, nei sei anni durante i quali il Bodhisattva praticò l’ascesi il demone Pāpīyān [1] lo seguì costantemente passo dopo passo, spiandolo, cercando, senza riuscirvi, una qualsiasi occasione. Non trovandone, se ne andò scoraggiato e scontento.
A questo proposito è detto:
1. Nel luogo in cui si trovano piacevoli foreste e boschetti di liane, ad est di Urubilva, dove scorre il fiume Nairañjanā,
2. Namuci [2] si avvicinò a colui che, stabile nella sua determinazione, stava praticando la rinuncia, e cercava con energia di conseguire la beatitudine.
3. Si rivolse a lui proferendo soavi parole: Figlio degli Śākya, alzati! Che bisogno hai di tormentare il tuo corpo?
4. Per coloro che sono vivi la vita è la cosa migliore. Vivendo, tu puoi praticare il Dharma. In verità, vivendo puoi fare cose tali per cui in seguito non avrai rimpianti.
5. Tu sei magro, pallido, stremato; la morte ti è accanto; la morte, che ha mille possibilità, mentre la vita ne ha una sola.
6. Per colui che giorno e notte offre e compie il sacrificio del fuoco maturerà un grande merito. Praticando la rinuncia, che cosa puoi fare?
7. La via della rinuncia è fonte di sofferenza, è difficile domare la mente.
Queste sono le parole che Māra rivolse al Bodhisattva.
8. A Māra che così diceva il Bodhisattva replicò: Pāpīyān, compagno dei folli, tu sei venuto qui per te stesso [3].
9. Il tuo intendimento non è misurare i miei meriti. Se tu fossi interessato ai meriti, parleresti piuttosto così.
10. Io non mi preoccupo della morte, poiché la vita certamente termina con la morte. Dedicandomi completamente alla pratica religiosa, io non ritornerò più (nel mondo).
11. Il vento può prosciugare persino le acque dei fiumi. Nello stesso modo può prosciugare il corpo e il sangue di coloro che hanno abbandonato se stessi.
12. Quando il sangue sarà prosciugato, la carne certamente seccherà; e quando la carne sarà consumata, altrettanto diverrà chiara la mente.
13. Ed ancor più cresceranno la motivazione, la dedizione e la concentrazione per me, che vivo in questo modo e che ho conseguito la percezione superiore, e non mi preoccupo del mio corpo. Guarda dunque la purezza del mio essere!
14. Io possiedo determinazione e forza. Possiedo anche la saggezza. Non vedo nessuno al mondo che sia in grado di distogliermi con la forza dalla mia diligenza.
15. È meglio la morte, che ruba la forza vitale, piuttosto che vivere una vita indegna tra gli uomini. È meglio la morte in battaglia piuttosto che una vita da sconfitti.
16. Colui che non è un eroe non può sconfiggere un esercito, conquistare le armate e guadagnarsi il rispetto. Ma un eroe può battere un esercito [4]. Presto, o Māra, io ti sconfiggerò!
17. I desideri sono il tuo primo esercito; il secondo è il malcontento; il terzo, la fame e la sete; la brama è il tuo quarto esercito.
18. La pigrizia e l’indolenza sono il quinto; la paura è il sesto; il dubbio è il settimo; collera e ipocrisia costituiscono l’ottavo.
19. Le lodi e l’ambizione, il rispetto, la fama acquisita con l’inganno, esaltare se stessi e denigrare gli altri:
20. ecco l’armata del demone, l’amico diabolico che infligge tormenti. Molti Śramaṇa e Brāhmaṇi ne sono vittime.     
21. Questo tuo esercito che soggioga questo mondo e quello degli dei, io lo distruggerò per mezzo della conoscenza, così come un vaso di argilla non cotto è distrutto dall’acqua.
22. Con la consapevolezza come fondamento e la saggezza saldamente stabilita, io agirò con diligenza. Cosa farai tu, spirito malevolo?
Dopo queste parole, il demone Pāpīyān triste, confuso, umiliato, colmo di risentimento, scomparve in quello stesso luogo.
A quel punto, o Monaci, sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Vi sono Śramaṇa o Brāhmaṇi che in passato, nel futuro e nel presente causano a loro stessi sensazioni che feriscono lo spirito, che tormentano il corpo, dolorose, acute, brucianti, aspre, intollerabili; essi si sottopongono ad una estrema sofferenza.
Allora, o Monaci, io pensai [5]: Per mezzo di queste azioni e di ciò che ho acquisito non sono stato in grado di manifestare alcuna visione di un’autentica conoscenza al di sopra degli insegnamenti mondani. Non è questa la via che conduce al Risveglio; non può essere la Via che porta nel futuro alla cessazione di nascita, vecchiaia, malattia e morte. Altro è il Sentiero verso il Risveglio, che, nel futuro, conduce alla cessazione di nascita, vecchiaia, malattia e morte.
E, o Monaci, sorse in me questo pensiero: Fui io che, nel giardino di mio padre, seduto all’ombra di una melarosa, raggiunsi il primo livello di concentrazione meditativa, che è libero dal desiderio e dalle negatività, sorge dalla discriminazione ed è accompagnato dalla gioia e dalla beatitudine, e vi dimorai [6]. Fui io che dopo aver conseguito il quarto livello della concentrazione vi dimorai. Quella può essere la Via verso il Risveglio che condurrà alla cessazione dell’esistenza ciclica, della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte. Questo è ciò che pensai. E nacque in me la netta convinzione che quella fosse la Via verso il Risveglio.
E pensai inoltre: La Via che conduce al conseguimento del Risveglio supremo non può essere percorsa attraverso lo sfinimento (del corpo). D’altra parte, se io mi avvicinassi al Bodhimaṇḍa [7] con il solo potere della mia conoscenza e della mia saggezza, ma con il corpo allo stremo, la mia ultima esistenza non manifesterebbe la compassione, e non sarebbe davvero questo il Sentiero verso il Risveglio. Solo dopo aver assunto del cibo e aver riacquistato l’energia del mio corpo potrò dirigermi verso il Bodhimaṇḍa.
Allora, o Monaci, i figli degli dei che provavano compassione verso questo essere indebolito ed avevano profondamento compreso nella loro mente il mio pensiero e la mia decisione vennero presso di me e mi dissero: Non assumere il cibo a cui stai pensando. Noi ti nutriremo attraverso i tuoi pori.
Ma io, o Monaci, pensai: Ho fatto voto di non mangiare, e le persone che vivono vicino al luogo in cui dimoro penserebbero che lo Śramaṇa Gautama non assume cibo, mentre invece i figli degli dei che provano compassione per questo essere stremato mi nutrirebbero attraverso i pori. Ma questa sarebbe da parte mia la più grande delle menzogne.
Così il Bodhisattva per evitare una menzogna non ascoltò i figli degli dei e ritornò alla decisione di assumere cibo [8].
Allora, o Monaci, dopo aver trascorso sei anni dedicandosi alle pratiche ascetiche, il Bodhisattva si alzò e pronunciò queste parole: Ora assumerò del cibo, come una zuppa di legumi, una zuppa di riso e della melassa.
Intanto i cinque asceti così pensavano: Sulla base delle sue azioni e di ciò che ha conseguito, lo Śramaṇa Gautama non potrà in nessun modo manifestare con chiarezza alcuna visione di un’autentica conoscenza al di sopra degli insegnamenti mondani. Al contrario oggi assume del cibo, come potrà quindi dedicarsi ad azioni meritorie? È un ignorante e un folle. E con quel pensiero abbandonarono il Bodhisattva e recatisi a Varanasi si stabilirono a Ṛṣipatana, nel bosco del Mrīgadāva [9].
Dal primo istante in cui il Bodhisattva aveva cominciato a praticare l’ascetismo dieci giovani figlie del capo del villaggio erano giunte per incontrarlo, venerarlo e aiutarlo. I cinque asceti si prendevano cura di lui, e gli portavano la bacca di kōla, il chicco di riso o il grano di senape. Le giovani figlie del capo del villaggio si chiamavano Balā, Balaguptā, Supriyā, Vijayasēnā, Atimuktakamalā, Sundarī, Kumbhakārī, Uluvillikā, Jātilikā e Sujātā. 
Queste fanciulle avevano preparato per il Bodhisattva diversi tipi di cibo e glieli offrirono tutti. Il Bodhisattva li mangiò e in seguito si recò regolarmente nel villaggio del distretto per le elemosine e riprese il suo splendore e il suo vigore. Per questo il Bodhisattva fu poi chiamato il bel Monaco, il grande Śramaṇa.
O Monaci, dal primo momento in cui il Bodhisattva aveva intrapreso la via dell’ascetismo fino a quello in cui aveva abbandonato la pratica delle mortificazioni al fine di riprendere vigore, la giovane figlia del capo villaggio Sujātā ogni giorno aveva distribuito cibo ad ottocento Brāhmaṇi con questa preghiera: Possa il Bodhisattva, ricevendo da me questo cibo, conseguire il perfetto e compiuto Risveglio e divenire un Buddha! Questa era la preghiera che ella recitava. 
O Monaci, essendo passati sei anni le mie vesti color ocra erano estremamente consunte. Quindi, o Monaci, nacque in me questo pensiero: Sarebbe una buona cosa se trovassi qualcosa con cui coprirmi!
In quei giorni, o Monaci, morì Rādhā, una servitrice di Sujātā, la figlia del capo villaggio. Dopo essere stata avvolta in un telo di canapa fu portata in un cimitero, dove fu abbandonata. Io scorsi quel telo coperto di polvere, mi chinai allungando la gamba sinistra con e la mano destra che si abbassava per prenderlo [10]. Allora gli dei della terra rivolsero queste parole agli dei del cielo: O amici, quale meraviglia! Che fatto straordinario! In verità, ecco il discendente di una grande famiglia reale che dopo aver rinunciato alla regalità di un Cakravartin pensa di inchinarsi per un telo polveroso!
Udite le parole degli dei della terra, gli dei del cielo le riportarono agli dei Cāturmahārājakāyika, questi agli dei Trāyastriṃśa, questi agli dei Yama, questi agli dei Tuṣita, questi agli dei Nirmāṇarati, questi agli dei Paranirmitavaśavartin, questi agli dei Brahmakāyikas. Così, o Monaci, in quel momento, in quello stesso istante, queste parole, queste stesse parole, riecheggiarono fino all’Akaniṣṭha [11]: O amici, quale meraviglia! Che fatto straordinario! In verità, ecco il discendente di una grande famiglia reale che dopo aver rinunciato alla regalità di un Cakravartin pensa di inchinarsi per un telo polveroso!
Intanto, o Monaci, il Bodhisattva pensò ancora: Ho trovato un telo polveroso. Sarebbe buona cosa se trovassi dell’acqua! E su quello stesso luogo gli dei colpirono con forza la terra con le loro mani e vi apparve uno stagno. Ancora oggi quello stagno è chiamato Pāṇihata (colpito con le mani).
Il Bodhisattva pensò inoltre: Ho trovato l’acqua. Sarebbe buona cosa se trovassi una pietra su cui lavare questo straccio polveroso.
In quello stesso istante Śakra portò lì una pietra. Il Bodhisattva iniziò a lavare il telo coperto di polvere. Śakra, il re degli dei, disse allora al Bodhisattva: o Essere Puro, dallo a me, lo laverò io.
Ma il Bodhisattva, al fine di manifestare la condotta di un monaco, lo lavò con le proprie mani senza darlo a Śakra. Poiché dopo essere entrato nello stagno si sentiva stanco e il suo corpo era indebolito, disse a se stesso: Uscirò dall’acqua. Ma il demone Pāpīyān, spinto dalla gelosia, con la magia innalzò di molto i bordi dello stagno. Sulla riva dello stagno c’era un grande albero kakubha [12] e il Bodhisattva, per adeguarsi alle tradizioni e per compiacere la dea (dell’albero), le chiese: Fai abbassare, o dea, un ramo di questa pianta. Ella abbassò un ramo e il Bodhisattva vi si aggrappò e uscì dall’acqua. Dopo essere uscito, sotto l’albero kakubha adattò il telo di canapa a veste monastica e lo cucì. Ancora oggi quel luogo è chiamato Pānśukūlasīvana (cucitura del telo polveroso).
In quel momento un figlio degli dei Śuddhāvāsakāyika di nome Vimalaprabha offrì al Bodhisattva delle vesti di color ocra, come si conviene ad uno Śramaṇa. 
Il Bodhisattva le accettò e al mattino, indossando i suoi abiti monastici, si diresse verso il luogo in cui aveva praticato l’ascesi. Lì, a mezzanotte, gli dei avevano detto a Sujātā, la figlia di Nandika, il capo del villaggio di Urubilva: Colui al quale hai fatto grandi offerte ha abbandonato la pratica delle mortificazioni e assumerà del cibo nutriente e puro. Un tempo tu hai espresso questo voto: Possa il Bodhisattva, dopo aver mangiato questo cibo da me preparato, conseguire il perfetto e compiuto Risveglio! Ora fai ciò che deve essere fatto.
Allora, o Monaci, Sujātā, figlia del capo-villaggio Nandika, avendo udito le parole degli dei subito si procurò il latte di mille vacche, lo scremò per sette volte ricavando la crema più pura, versò in una pentola di terracotta nuova la crema e il riso più fresco, la mise su un focolare nuovo e preparò il cibo. Mentre lo cucinava si manifestarono dei segni premonitori: al centro del latte apparvero uno Śrīvatsa, uno Svastika, un Nandyāvarta, un loto, un Vardhamāna e altri segni di buon auspicio [13].
Ella quindi pensò: Poiché si manifestano questi segni premonitori, senza alcun dubbio il Bodhisattva dopo aver mangiato questo cibo conseguirà il perfetto e compiuto Risveglio.
Un sapiente esperto nelle profezie e versato nella conoscenza dei segni premonitori giunse in quel luogo e preannunziò che qualcuno avrebbe conseguito l’immortalità.
Sujātā mise poi il cibo su uno sthaṇḍila [14], che ricoprì di fiori e asperse con acqua profumata, e disse ad una servitrice di nome Uttara: Va’, Uttara, invita il brāhmaṇo, io sorveglierò la zuppa di latte e miele. Molto bene, mia Signora! – rispose la domestica, che dirigendosi verso levante scorse il Bodhisattva. Nello stesso modo, dirigendosi verso sud, verso ponente e verso nord, sempre vide colà il Bodhisattva. Infatti in quel momento tutti i Tīrthika avversari erano stati trattenuti dai figli degli dei Śuddhāvāsakāyika e non si vedeva nessuno di loro. Allora ella ritornò e disse alla sua signora: In verità, o Signora, non si scorgono né Śramaṇa né Brāhmaṇi; ovunque io vada, da una parte o dall’altra, vedo soltanto il bel monaco.
Sujātā replicò: È proprio lui il monaco per cui ho preparato tutto questo. Conducilo qui.  – Va bene, Signora.
E dopo aver così parlato Uttara si recò presso il Bodhisattva, si inchinò ai suoi piedi e gli trasmise l’invito da parte di Sujātā.
In seguito, o Monaci, il Bodhisattva si recò presso la dimora di Sujātā, la figlia del capo-villaggio, e sedette sul seggio che era stato preparato per lui. Allora, o Monaci, Sujātā, la figlia del capo-villaggio, offrì al Bodhisattva una ciotola d’oro ricolma di zuppa al latte e miele. Il Bodhisattva quindi pensò: Poiché Sujātā mi ha offerto questo cibo, se oggi lo mangerò conseguirò senza dubbio il perfetto e compiuto Risveglio di un Buddha.
Quando il Bodhisattva ebbe mangiato quel cibo chiese a Sujātā, figlia del capo-villaggio: Sorella, cosa devo fare di questa ciotola d’oro? Essa rispose: È per te.
Il Bodhisattva replicò: Non ho bisogno di una ciotola siffatta.
Sujātā aggiunse: Fanne ciò che vuoi, io non offro a nessuno il cibo senza offrirgli anche la ciotola.
Allora il Bodhisattva uscì da Urubilva portando con sé la ciotola delle elemosine e al mattino giunse presso il Nairañjanā, il fiume dei Nāga. Poi, dopo aver posato di lato la ciotola e le sue vesti entrò nel fiume per rinfrescare le membra.
O Monaci, mentre, il Bodhisattva si bagnava molte centinaia di migliaia di figli degli dei per rendere omaggio al Bodhisattva cosparsero il fiume con essenze e polvere di sandalo e di aloe e gettarono nelle acque fiori divini di vari colori. A quel punto il fiume Nairañjanā fu ricoperto di fiori e di essenze divine. E milioni di dei raccolsero l’acqua con la quale il Bodhisattva si era lavato e la portarono ognuno nella propria dimora, per preparare un reliquiario e per venerarla.
Quanto ai capelli e alla barba del Bodhisattva, Sujātā, la figlia del capo-villaggio, pensò che fossero oggetti sacri e li raccolse per preparare un reliquiario e per venerarli.
Uscito dall’acqua, il Bodhisattva osservò la riva, cercando dove sedersi. Allora la figlia dei Nāga che dimorava nel fiume Nairañjanā uscì dalla terra e offrì al Bodhisattva un trono meraviglioso. Il Bodhisattva vi si sedette e mangiò la zuppa di latte e miele fino a che ne ebbe bisogno, ricordando con affetto Sujātā, la figlia del capo-villaggio. Dopo che ebbe mangiato, gettò nell’acqua la ciotola d’oro senza alcun attaccamento. Immediatamente Sāgara, re dei Nāga, sentì nascere in lui la fede ed il rispetto, la prese e si diresse verso la sua dimora dicendo: Questa ciotola è degna di venerazione!
Allora Indra, il distruttore di città, assunse le sembianze di un Garuḍa con la folgore nel becco e cercò di sottrarre la ciotola d’oro al re dei Nāga. Ma poiché non vi riusciva la chiese con gentilezza nelle sue vere sembianze e la portò nella dimora degli dei Trāyastriṃśa per preparare un reliquiario e venerarla. Dopo che ve la ebbe deposta proclamò la Festa della Ciotola delle elemosine, nel giorno del cambiamento della luna. Ancora oggi presso gli dei del Cielo dei Trentatré si tiene ogni anno la Festa della Ciotola. Quanto al trono, fu preso dalla stessa figlia dei Nāga per preparare un reliquiario e venerarlo.
Non appena il Bodhisattva ebbe mangiato cibo a sufficienza, nello stesso istante grazie al potere dei meriti e alla forza della saggezza riapparve la bellezza che il suo corpo aveva in passato, con i trentadue marchi maggiori e gli ottanta segni minori, e un’aura risplendente intorno a lui grande come le sue braccia distese.
A questo proposito è detto:
23. Dopo aver trascorso sei anni praticando austerità e mortificazioni il Beato pensò: Se io, che possiedo la forza della concentrazione, della conoscenza trascendente e della saggezza, mi recassi con il corpo emaciato ai piedi del ficus, il re degli alberi [15], per divenire un Buddha che possiede l’onniscienza, significherebbe che non provo compassione per gli esseri del presente [16].
24. Ma poiché ho mangiato un cibo abbondante e nutriente ed ho restituito energia al mio corpo, è necessario che io mi rechi ai piedi del ficus, il re degli alberi, per conseguire l’onniscienza di un Buddha. [Infatti] gli dei e gli uomini, che possiedono scarsi meriti e ricercano la saggezza nelle vie erronee, sono incapaci, nel loro stato di debolezza, di conseguire il nettare dell’immortalità con i loro corpi e le loro menti.
25. Sujātā, la figlia del capo-villaggio, che in passato aveva compiuto molte azioni virtuose e che costantemente faceva offerte, disse a se stessa: Che questa guida degli esseri possa portare a compimento la sua pratica! La fanciulla ascoltò la richiesta degli dei, prese la zuppa di latte e miele e recatasi sulla riva del fiume Nairañjanā con spirito gioioso lì si fermò.
26. Colui che nel corso di migliaia di kalpa ha costantemente praticato la disciplina, con la mente tranquilla, in perfetta quiete, circondato dagli dei e da schiere di Nāga e di Ṛṣi, si recò presso il fiume Nairañjanā. Dopo averlo attraversato, il giovane principe la cui mente era rivolta alla liberazione degli esseri pensò di bagnarsi. Sceso al fiume, il Saggio puro ed immacolato, ricolmo di compassione nei confronti di tutti gli esseri, vi si bagnò.
27. Gli dei, scesi al fiume a centinaia di migliaia, pieni di gioia, riversarono nell’acqua essenze e polveri profumate, le migliori tra tutte. Il Bodhisattva dopo essersi bagnato rimase sulla riva, puro e sereno. Migliaia di dei raccolsero l’acqua nella quale egli si era bagnato per rendere omaggio al Supremo Essere.
28. Un figlio degli dei gli donò delle vesti di color ocra, pure e belle. Dopo aver indossato quegli abiti a lui convenienti, il Beato restò lungo la riva del fiume. Una figlia dei Nāga, con lo spirito colmo di gioia, gli preparò un trono sul quale la Guida del mondo sedette nella pace.
29. La saggia Sujātā offrì (al Bodhisattva) il cibo in una ciotola d’oro e dopo esseri prostrata ai suoi piedi [17] gli disse felice: Fruisci del mio cibo, Guida (degli esseri).
Avendo mangiato tutto il cibo di cui aveva bisogno, il Saggio gettò la ciotola nell’acqua. Purandara [18], Signore degli dei, la prese dicendo: Sarà oggetto di venerazione.
30. Quando il Vittorioso ebbe mangiato quell’eccellente cibo a sufficienza, in quello stesso istante la forza del suo corpo si ristabilì in lui come in passato, insieme con il suo splendore e la sua regalità. Rilasciò a Sujātā e ai Deva insegnamenti di Dharma che furono loro di grande beneficio, poi Colui che ha la postura del leone e del cigno e il passo del re degli elefanti si incamminò verso l’albero del Risveglio.

Capitolo intitolato: Il fiume Nairañjanā, il diciottesimo.



NdT


[1] Malvagio. Uno dei nomi di Māra, il Distruttore, il Maligno, personificazione della Morte. 
[2] Altro nome di Māra.
[3] Qui la traduzione di De Foucaux è poco chiara, per cui ci rifacciamo alla versione inglese e a quella di Pauthier e Brunet.
[4] Secondo De Foucaux: Chi non è un eroe non può vincere un esercito, ma l’eroe che ha sconfitto un esercito non si inorgoglisce per la vittoria.
[5] Si ritorna ancora alla narrazione in prima persona.
[6] Si veda il cap. XI.
[7] Il luogo del Risveglio.
[8] De Foucaux traduce, anche in precedenza, con nourriture abondante, mentre nella versione inglese si legge solid food. Mi pare preferibile parlare semplicemente di cibo (solido o liquido che sia), intendendo una alimentazione normale (non certo abbondante), sufficiente per riprendere le forze.
[9] Il Parco delle Gazzelle.
[10] La traduzione di De Foucaux descrive in maniera un poco diversa il gesto del Bodhisattva: dopo aver afferrato con la mano sinistra quel telo polveroso e aver allungato la mano destra mi chinai per prenderlo. Alla luce delle successive parole degli dei pare più corretta la versione inglese, che descrive in effetti un vero e proprio inchino, con un ginocchio posato a terra.
[11] Che non è inferiore a niente. L’ultimo dei cieli degli dei del regno della forma pura. Al di là iniziano i regni del senza-forma.
[12] Terminalia Arjuna. È un grande albero che viene utilizzato per scopi medicinali e ornamentali.
[13] Si veda la nota 52 al cap. VII.
[14] Una porzione di terreno delimitata e livellata, approntata per compiere atti sacrificali.
[15] Il ficus religiosa sotto il quale il Bodhisattva conseguì il Risveglio. Conosciuto anche come pipal o aśvattha.
[16] La versione inglese parla di esseri del futuro.
[17] De Foucaux traduce qui: après avoir lavé les pieds, forse con il pensiero rivolto alle narrazioni cristiane…
[18] Distruttore di città, epiteto di Indra.

 
Il fiume Nairanjana nel 2012


Capitolo diciannovesimo

In cammino verso il luogo del Risveglio

Dopo aver fatto un bagno e aver assunto del cibo, il Bodhisattva ritrova la forza del corpo, per poter trionfare sul demone. – Partenza per il luogo del Risveglio. – Grandi preparativi degli dei lungo la via. – Durante il cammino del Bodhisattva dal suo corpo scaturisce una luce che allevia le sofferenze di tutti gli esseri. – Arrivo sul luogo del Risveglio. – Il Bodhisattva ricordando che i suoi predecessori si sono seduti in quel luogo su uno strato di erba, ne chiede un fascio ad un venditore e prepara un seggio di erba. Poi, volgendosi a Levante, fa voto di non alzarsi dal suo seggio prima di aver conseguito il Risveglio.

Così, o Monaci, dopo essersi bagnato nel fiume Nairañjanā il Bodhisattva si nutrì e fece ritornare forza e vigore nel suo corpo, poi si diresse verso il grande albero del Risveglio, in un luogo della terra che possiede sedici qualità, al fine di sconfiggere definitivamente il demone.
Quindi il Bodhisattva si incamminò, e il suo passo era quello degli uomini nobili, il passo che non è turbato da nulla; il passo di colui i cui sensi sono controllati; il passo sicuro; il passo del re del monte Meru; il passo diritto, privo di tortuosità; il passo libero dall’illusione, che non è troppo lento né troppo veloce; un passo che non devia, che non è pesante, che non rallenta; un passo privo di macchie, il passo della virtù, senza fallo, senza oscurazioni; un passo libero dalle passioni; il passo del leone, del re dei cigni; il passo del re dei Nāga, il passo di Nārāyaṇa; un passo che fluttua sul terreno, che lascia sul suolo l’impronta di una ruota con mille raggi; il passo di colui le cui unghie sono del colore del rame e le cui dita sono unite da una membrana; il passo che fa fuoriuscire un suono dalla terra; il passo di colui che scuote il re dei monti; il passo di colui che rende uniforme ciò che è alto e  ciò che è basso; il passo di colui che facendo scaturire un raggio di luce dallo spazio tra le sue dita palmate fa sì che gli esseri che ne sono toccati abbiano una rinascita felice; il passo che poggia sul loto immacolato; il passo che proviene dalle azioni meritorie compiute nel passato; il passo che conduce verso il trono dei Buddha precedenti; il passo di una mente stabile ed indistruttibile come il diamante; il passo che distrugge tutte le sofferenze dei reami inferiori; il passo che genera ogni felicità; il passo che indica la via della liberazione; il passo che annichilisce la forza di Māra; il passo che per mezzo del Dharma ferma la schiera malvagia degli avversari; il passo che distrugge il velo dell’ignoranza; il passo che annulla le cause dell’esistenza ciclica; il passo che eclissa Śakra, Brahmā, Maheśvara e i Guardiani del Mondo; il passo dell’unico Signore del trichiliocosmo; il passo di Svayambhū  a cui nessuno è pari; il passo che conduce all’onniscienza; il passo della consapevolezza e della discriminazione; il passo che porta alla pace; il passo che distrugge completamente la vecchiaia e la morte; il passo che conduce alla città del Nirvāṇa, che è felice, priva di passioni, libera dal timore del demone – fu con un tale passo che il Bodhisattva si incamminò verso il Bodhimaṇḍa [1].
Così, o Monaci, tutto il percorso dal fiume Nairañjanā fino al Bodhimaṇḍa fu ripulito dai figli delle divinità dei venti e delle nubi, mentre i figli degli dei delle nubi della pioggia lo cosparsero con acque profumate e fiori odorosi. Tutti gli alberi delle terre del trichiliocosmo inchinarono le loro cime in direzione del Bodhimaṇḍa. E i bambini nati in quel giorno si addormentarono con il capo rivolto verso il Bodhimaṇḍa. Inoltre tutte le montagne che esistevano nel trichiliocosmo, a cominciare dal monte Sumeru, si inchinarono verso il Bodhimaṇḍa.
Tutto il percorso dal fiume Nairañjanā fino al Bodhimaṇḍa fu adornato dai figli degli dei Kamavatchara [2] per una distanza pari ad un krośa. Da ambo i lati della strada venne eretta per magia una piattaforma composta di sette tipi di pietre preziose, dell’altezza di sette palme, protetta in alto da un prezioso reticolato abbellito da parasole divini, stendardi e vessilli. Alla distanza di un tiro di freccia erano state create per magia sette palme composte di sette tipi di materiali preziosi. Ad ogni palma che si innalzava dalla piattaforma, adorna di una preziosa ghirlanda, era appeso un frutto di palma. In mezzo ad ogni due palme fu scavato uno stagno ricolmo di acqua profumata, con il fondo di sabbia d’oro, ricoperto di fiori di loto blu, gialli, rossi e bianchi, circondato da una preziosa ringhiera, abbellito da splendide scalinate di perle e lapislazzuli, animato dal canto di tordi, gru, cigni, oche, cicogne e pavoni. Ottantamila Apsarā irroravano la strada con acqua profumata e altre ottantamila Apsarā la cospargevano con fiori freschi dai divini profumi. Davanti ad ogni palma era stata costruito un podio meraviglioso, e su ognuno di essi si trovavano ottantamila Apsarā che reggevano scrigni con essenze di sandalo e di aloe o bruciaprofumi dai quali emanavano fumi d’incenso. E su ogni podio le Apsarā, divise in gruppi di cinquemila, facevano udire canti e musiche di strumenti divini.
In tal modo, o Monaci, il Bodhisattva si incamminò: percorrendo terre profondamente scosse, emettendo centinaia di milioni di raggi di luce, tra centinaia di migliaia di strumenti musicali che suonavano; sotto una abbondante pioggia di fiori; in mezzo a migliaia di vessilli svolazzanti, con centinaia di migliaia di tamburi che risuonavano mentre venivano battuti; tra cavalli, elefanti e tori che facevano udire i loro versi girando tre volte intorno a lui presentandogli il fianco destro; tra centinaia di migliaia di pappagalli, ghiandaie, cuculi, kalabiṅka, jivañjiva [3], cigni, oche, cicogne e pavoni che gli rendevano omaggio; tra centinaia di migliaia di segni di buon auspicio – percorrendo una strada così adornata il Bodhisattva si diresse verso il Bodhimaṇḍa. 
Nella notte in cui il Bodhisattva decise di conseguire il perfetto e compiuto Risveglio, in quella stessa notte colui che è detto Vaśavartin, il sovrano del grande trichiliocosmo, Brahmā Sahāmpati, così parlò al suo seguito: O amici, è necessario che siate consapevoli di questo: il Bodhisattva ha indossato la grande armatura, è protetto dalla solida armatura; non ha abbandonato il suo grande voto; il suo spirito non è prostrato; è giunto al termine di tutti i cammini di un Bodhisattva; ha portato a compimento tutte le Pāramitā; ha conseguito il dominio di tutte le terre dei Bodhisattva e conosce perfettamente tutte le aspirazioni di un Bodhisattva; è unito alle cinque facoltà sensoriali di tutti gli esseri senzienti [4]; è entrato in tutti i luoghi segreti dei Tathāgata; è andato al di là di tutte le vie delle opere del demone; per quanto concerne le radici dell’acquisizione dei meriti è indipendente dagli altri; è benedetto da tutti i Tathāgata; mostra a tutti gli esseri la via della completa liberazione; è la guida della grande schiera che distrugge tutti gli eserciti del demone; è il solo eroe del trichiliocosmo; ha ottenuto tutte le medicine del Dharma ed è il grande Re dei medici; ha conseguito i mezzi per ottenere la completa liberazione; è il grande Re del Dharma, colui che genera la grande luce della saggezza; è il Re del grande stendardo, colui che non è distolto dagli otto dharma mondani [5], simile ad un grande fiore di loto (sulle cui foglie l’acqua scivola via); non ha dimenticato le formule magiche di alcun insegnamento; è simile al grande Oceano, libero dall’attaccamento e dall’avversione; è inamovibile e incrollabile come il grande Sumeru; è privo di ogni difetto, perfettamente puro, la sua mente è luminosa come una gemma preziosa; ha il dominio di ogni fenomeno ed è al di là di ogni intenzione. Simile al grande Brahmā, il Bodhisattva procede verso il Bodhimaṇḍa, determinato a conseguire il perfetto e compiuto Risveglio di un Buddha, al fine di sconfiggere definitivamente le schiere di Māra; al fine di ottenere i dieci poteri e i diciotto dharma non mischiati di un Buddha; al fine di mettere in movimento la Ruota del Dharma; al fine di far risuonare il ruggito del grande Leone; al fine di purificare l’Occhio del Dharma di tutti gli esseri; al fine di soggiogare grazie al Dharma tutti gli avversari; al fine di mostrare il perfetto adempimento del suo precedente voto; al fine di conseguire il perfetto dominio su tutti i fenomeni. È dunque necessario che voi tutti vi affrettiate per rendere omaggio al Bodhisattva.
A questo punto il grande Brahmā Vaśavartin pronunciò questi versi:
1. Colui grazie al cui splendore, meriti e fama si può conoscere il grande Sentiero [6], l’amore, la compassione, la gioia, l’equanimità, costui, dopo aver praticato per mille eoni, si è diretto verso l’albero del Risveglio. Rendete omaggio dunque al Muni che adempie ai suoi voti.
2. Se si prende rifugio in lui, non si temono i reami inferiori né si prova inquietudine. Dopo aver conseguito la felicità divina si dimora nel regno di Brahmā. Avendo portato a compimento per sei anni difficili pratiche, egli cammina verso l’albero del Risveglio. Tutti noi rendiamogli omaggio, ricolmi della più grande gioia!   
3. Egli è il Re dei tremila (mondi), il migliore dei Maestri, il Sovrano del Dharma. Nelle città di Śakra, di Brahmā, di Sūrya (il Sole) e di Candra (dio della Luna) nessuno è pari a lui. Alla sua nascita centinaia di milioni di mondi furono profondamente scossi in sei diversi modi. Ecco che oggi avanza verso il supremo meraviglioso albero (del Risveglio) per sconfiggere le schiere del demone.
4. Andiamo presso di lui, per rendere omaggio a colui il cui viso non può essere guardato nemmeno da coloro che dimorano qui, nel reame di Brahmā; a colui il cui corpo che reca i segni migliori tra tutti è adorno dei trentadue marchi; a colui la cui parola tocca il cuore, dolce, piacevole e armoniosa come quella di Brahmā; a colui la cui mente è calma e libera dall’avversione. 
5. Coloro che desiderano conseguire un’eterna felicità nelle dimore di Brahmā e di Indra; ovvero coloro che desiderano tagliare la rete di tutti i legacci delle afflizioni mentali; ovvero coloro che desiderano ottenere il Risveglio di un Realizzatore solitario che non ha mai potuto ascoltare gli insegnamenti da altri – se la loro motivazione è conseguire il risveglio del Buddha nei tre mondi, che rendano omaggio alla Guida suprema!
6. Colui che ha rinunciato alle terre circondate dall’Oceano, ad innumerevoli oggetti preziosi, a palazzi con finestre ovali e padiglioni, a carri ed animali, ad una terra adorna di splendide ghirlande di fiori, pura, fornita di stagni e di giardini; (colui che ha rinunciato) alle proprie mani, ai piedi, al capo, agli occhi e alle membra – costui sta avanzando verso il luogo del Risveglio.
In quel momento, o Monaci, il grande Brahmā che domina il trichiliocosmo esercitò il suo potere sull’intero mondo del grande trichiliocosmo, lo rese uniforme come il palmo di una mano, senza pietre né ghiaia, coperto di diamanti, di perle, di cristalli, di lapislazzuli, di conchiglie, di coralli, d’oro e d’argento.  Lo rivestì di uno strato di erba verde in forma di Nandyāvarta [7] rivolto a destra, morbido al tatto come seta di Kāchilindi. Allora tutti i mari divennero calmi come la terraferma e tutti gli esseri che vivono nella acque furono liberi da ogni sofferenza.
Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo dopo aver visto quella terra così splendida adornarono con cura centomila Campi dei Buddha nelle dieci direzioni dello spazio per rendere omaggio al Bodhisattva.
E centomila incommensurabili Campi dei Buddha nelle dieci direzioni dello spazio furono ovunque abbelliti dai Bodhisattva per rendere omaggio al Bodhisattva con offerte che oltrepassavano quelle approntate dagli dei e dagli uomini. Tutti i Campi dei Buddha apparivano come un unico Campo abbellito con ornamenti e offerte diversi. E non fu più possibile distinguere tra loro i Lokāntarika, né i Kālaparvata, né i Cakravāla né i Mahācakravāla [8].
E sedici figli degli dei vigilarono sul Bodhimaṇḍa. Essi erano: Utkhalī, Sūtkhali, Prajāpati, Śūrabhala, Keyūrabala, Supratiṣṭhita, Mahindhara, Avabhāsakara, Vimala, Dharmeśvara, Dharmaketu, Siddhapātra, Apratihatanetra, Mahāvyūha, Śilaviśuddhanetra e Padmaprabha. Così i sedici figli degli dei, i quali avevano tutti acquisito una incrollabile pazienza, vigilarono sul Bodhimaṇḍa e per rendere omaggio al Bodhisattva lo adornarono. Tutto intorno fino ad una distanza di ottanta yojana (il Bodhimaṇḍa) era contornato da sette altari costruiti con sette materiali preziosi, circondati da sette filari di (alberi) Tāla, da sette reticolati preziosi adorni di campanelle e da sette fili preziosi; era ricoperto da un tessuto confezionato con l’oro del fiume Jambu, un tessuto tempestato di sette gemme preziose e filato con un filo d'oro del fiume Jambu e cosparso con fiori di loto dorati; (il Bodhimaṇḍa) era profumato con essenze dagli aromi più soavi e ombreggiato da un prezioso baldacchino. Nel Bodhimaṇḍa si trovavano tutti i diversi alberi che nascono nei mondi divini ed umani nelle dieci direzioni dello spazio.  E si trovavano nel Bodhimaṇḍa anche tutte le specie di fiori nati nell’acqua o sulla terra nelle dieci direzioni dello spazio. Inoltre erano visibili nel Bodhimaṇḍa i Bodhisattva dei mondi delle dieci direzioni dello spazio, i quali adornavano il Bodhimaṇḍa con i loro accumuli incommensurabili di saggezza e di meriti.
In questo modo, o Monaci, tali ornamenti sovrannaturali si manifestarono nel Bodhimaṇḍa grazie ai figli degli dei che ne erano i guardiani. A quella vista i Deva, i Nāga, gli Yakṣa, i Gandharva e gli Asura ebbero l’impressione che le loro dimore fossero simili a campi crematori. E dopo aver ammirato quello sfoggio espressero così la loro ammirazione: Ecco l’inconcepibile manifestazione della perfetta maturazione dei meriti!
Le quattro divinità dell’albero del Risveglio, Veṇu, Valgu, Sumanas e Ojopati, per rendere omaggio al Bodhisattva si avvicinarono tutte all’albero, il quale ha radici perfette, un tronco perfetto, rami perfetti, foglie, fiori e frutti perfetti, altezza e circonferenza perfette [9], è bello, piacevole a vedersi, è alto come ottanta palme e grazie ad una tale crescita è imponente, gradevole per chi lo osserva, magnifico; è circondato da sette altari, da sette filari di palme preziose, da sette preziosi graticci adorni di campanelle, da sette anelli di fili preziosi: gli occhi non si stancavano di ammirare quell’albero, simile al Pārijāta e al Kovidāra [10]. In quell’angolo del mondo, solido come il diamante, della stessa sostanza del più solido diamante di tutto il trichiliocosmo, che non può essere distrutto – lì il Bodhisattva sedette, con la motivazione di conseguire il supremo e perfetto Risveglio.
O Monaci, mentre il Bodhisattva camminava verso il Bodhimaṇḍa una luce si diffuse dal suo corpo, tale per cui grazie ad essa tutte le sofferenze ebbero sollievo, tutte le inquietudini furono dissolte, tutte le sensazioni dolorose dei reami inferiori cessarono. Tutti gli esseri le cui facoltà erano alterate si ristabilirono; i malati furono liberati dalle loro sofferenze; coloro che erano assaliti dalla paura furono rassicurati; tutti coloro che vivevano in schiavitù furono liberi dai loro vincoli; i poveri ricevettero delle ricchezze; gli esseri tormentati dalle afflizioni ne furono liberati; gli affamati furono saziati; gli assetati ricevettero di che dissetarsi; le donne partorirono felicemente; coloro che erano affaticati e indeboliti ritrovarono il vigore; in quel momento nessun essere provò attaccamento, avversione, ignoranza, collera, lussuria, malvagità, invidia o gelosia. In quel momento nessuno morì, né trasmigrò nei reami inferiori né venne alla luce.
In quel momento ogni essere fu ricolmo di amore e di compassione verso gli altri, ognuno si sentì padre o madre di un altro.
A questo proposito è detto:
7. Fino al confine estremo dell’inferno Avīcī, nel quale dimorano esseri infernali orribili a vedersi, la sofferenza degli esseri ebbe sollievo ed essi provarono una sensazione di felicità.
8. Tutti gli esseri nati nel reame degli animali, che si uccidono tra loro, venendo a contatto con la luce del grande Muni generarono pensieri di pace e compassione.
9. Tutti gli spiriti famelici, quanti ne sono nel reame dei Preta, grazie allo splendore del Bodhisattva ricevettero cibi e bevande.  
10. Tutti gli stati di infelicità furono distrutti, i reami inferiori furono svuotati, tutti gli esseri gioirono e furono ricolmi di una divina felicità.
11. Coloro che erano privi della vista e dell’udito e gli altri che avevano membra imperfette, tutti riacquistarono le loro facoltà e belle membra.
12. Tutte le oscurazioni che tormentano costantemente gli esseri: l’attaccamento, l’avversione, le altre oscurazioni umane – furono pacificate ed essi provarono una grande felicità.
13. Coloro che avevano perso il senno ritrovarono l’equilibrio, i poveri ottennero ricchezze, i malati guarirono e i prigionieri furono liberati dai loro ceppi.
14. Non vi furono più avversione, né invidia, né malvagità né dispute; tutti furono costantemente pronti ad aiutarsi l’un l’altro con pensieri amorevoli.
15. Come l’amore di una madre e di un padre verso il loro unico figlio: così fu l’amore degli uni verso gli altri.
16. La rete dei raggi di luce del Bodhisattva illuminò incommensurabili Campi del Buddha, numerosi quanto i granelli di sabbia della Gaṅgā, da ogni lato, nelle dieci direzioni dello spazio.
17. I monti Cakravāla scomparvero alla vista, ed anche i Kālaparvata, e tutti i grandi mondi diversi apparvero come un unico mondo.
18. Simili al palmo di una mano, si manifestarono ricoperti di ogni tipo di gioielli. E per onorare il Bodhisattva tutti i Campi furono adornati.
19. Sedici divinità dedicatesi a venerare il Bodhimaṇḍa lo adornarono fino ad una distanza di ottanta yojana. 
20. E i grandi ornamenti degli illimitati milioni di mondi, tutti quanti furono visibili in quel luogo grazie al potere del Bodhisattva.
21. Gli dei, i Nāga, gli Yakṣa, i Kinnara e i Mahoraga pensarono che al confronto le loro dimore celesti altro non fossero che campi di cremazione.
22. Quando videro quegli ornamenti gli dei e gli uomini furono stupefatti. (Essi esclamarono:) Una simile beneaugurante manifestazione è senza dubbio il frutto dei meriti di costui!
23. Senza alcuno sforzo del corpo, della parola e della mente tutte le sue azioni giunsero a compimento, così come tutte le aspirazioni che aveva espresso.
24. Ugualmente sono giunte a compimento le aspirazioni degli altri, grazie alle sue azioni del passato; questa benedizione è stata prodotta dalla perfetta maturazione delle sue azioni.
25. Il Bodhimaṇḍa fu ornato dalle quattro divinità (dell’albero) del Risveglio, e per questo risaltò come il divino albero del corallo.  
26. E le qualità degli ornamenti del Bodhimaṇḍa messi in opera dalle divinità non possono essere pienamente descritte per mezzo delle parole.
In tal modo, o Monaci, la dimora di Kālika, re dei Nāga, fu illuminata dalla luce che fluiva dal corpo del Bodhisattva, una luce perfettamente pura, priva di ombre, che generava felicità ed estasi nel corpo e nello spirito, che cancellava ogni oscurazione, e apportava a tutti gli esseri piacere, gioia, pace mentale e allegria. A tale vista Kālika, re dei Nāga, recitò di fronte al suo seguito questi versi:
27. Ho visto una luce splendente come quella di Krakuccandra o quella di Kanakāḥvaya, e simile alle luci immacolate di Kāśyapa [11], il Sapiente, Re del Dharma. Quindi senza dubbio è apparso un Protettore che reca i segni principali, che possiede la luce della Saggezza, grazie alla quale la mia dimora è stata illuminata e adornata da una splendente luminosità dorata.
28. In questa dimora non si vede la luce splendente della luna o del sole, né quella del fuoco o della pietra Maṇi, né la luce immacolata del fulmine o delle stelle; e nemmeno la luce di Śakra né quella di Brahmā, né quella degli Asura. Il mio palazzo completamente avvolto nelle tenebre a causa delle azioni negative commesse in passato,
29. questo mio palazzo oggi risplende come illuminato dal fulgore della virtù, che è simile a quello del sole. (Questa luce) genera felicità nello spirito; il corpo ne gioisce, le membra sono rinvigorite; le sabbie ardenti che cadono sul corpo sono divenute fresche. È chiaro che colui che ha praticato azioni virtuose nel corso di innumerevoli eoni sta procedendo verso l’albero del Risveglio.
30. Presto, prendete i bei fiori dei Nāga, le belle vesti profumate, le collane di perle, i bracciali, le polveri odorose, gli incensi delle migliori essenze; fate udire cori e musiche dei diversi strumenti, battete gli ottimi tamburi e i tamburelli; andate dunque a rendere omaggio al benefattore, che è degno di venerazione nel mondo intero!
31. Alzatosi, in compagnia delle femmine dei Nāga, rivolse lo sguardo verso le quattro direzioni (dello spazio). Vide allora colui che è simile al monte Meru, avvolto nello splendore, circondato da milioni di dei e di Dānava, da Brahmā, da Indra e dagli Yakṣa, che con spirito ricolmo di gioia gli rendevano omaggio e gli indicavano la strada (dicendo): Questa è la Via!
32. Al colmo della felicità, il re dei Nāga dopo aver reso omaggio al Supremo Essere ed essersi prosternato ai suoi piedi, rimase di fronte al Muni. Le femmine dei Nāga con spirito gioioso resero omaggio al Muni e gettarono fiori, incenso e profumi facendo risuonare gli strumenti musicali.
33. E il re dei Nāga, ricolmo di gioia, a mani giunte lo venerò per le sue autentiche perfezioni: O Guida, è meraviglioso vedere te, il più nobile Essere del mondo, dal viso simile ad una luna piena. Vediamo in te i segni così come un tempo li videro i Ṛṣi. Oggi, al pieno del tuo vigore, dopo aver sconfitto il demone conseguirai lo stato cui aspiri,
34. per il quale, in passato, praticando il controllo, la generosità e la disciplina, hai rinunciato a tutti i beni; per il quale attraverso la concentrazione hai sviluppato l’energia della buona condotta, dell’etica, dell’amore, della compassione e della tolleranza; per il quale, stabile nello sforzo entusiastico, gioendo nella concentrazione, sei divenuto una fiaccola di saggezza. Poiché le tue aspirazioni sono state interamente compiute, oggi tu sarai un Vittorioso.
35. Poiché gli alberi con le loro foglie, i fiori e i frutti si inchinano verso l’albero del Risveglio; poiché mille vasi pieni d’acqua compiono la circumambulazione; poiché schiere di Apsarā felici fanno intendere i loro canti melodiosi; poiché stormi di cigni e cicogne che volteggiano in cielo dedicandosi ai loro giochi
36. compiono gioiosi la circumambulazione intorno al Ṛṣi, oggi tu sarai un Arhat. Poiché splendidi raggi di luce dorata si diffondono per centinaia di reami; poiché le sofferenze sono tutte lenite e le creature sono liberate dal male; poiché le dimore di Candra e Sūrya sono bagnate dalla pioggia e soffia un vento dolce, oggi, o Guida degli esseri, sarai nei tre reami colui che libera dalla nascita e dalla vecchiaia.
37. E poiché gli dei hanno abbandonato le gioie del desiderio e sono venuti a te per venerarti; poiché Brahmā e gli immortali ministri di Brahmā hanno interrotto le dolcezze della meditazione; poiché coloro che nei tre reami sono primi per la loro potenza, tutti sono giunti qui di fronte a te, tu diverrai oggi il Re dei medici, colui che nei tre regni libera dalla nascita e dalla vecchiaia.
38. Poiché la Via che percorri, la stessa lungo la quale sono giunti i Beati Krakuccandra, Kanakāḥvaya e Kāshyapa, è stata altresì purificata dagli dei; poiché fiori di loto perfetti, puri, immacolati e belli, sono sbocciati attraverso il terreno laddove cammini, colmo di straordinario vigore, oggi tu conseguirai lo stato di Arhat.  
39. Milioni di demoni, in numero incommensurabile quanto i granelli di sabbia della Ganga, non possono smuoverti, né allontanarti dall’albero del Risveglio. Tu, che hai agito per il beneficio del mondo, hai fatto molte centinaia di migliaia di offerte, numerose come i granelli di sabbia della Ganga. Per questo oggi tu risplendi.
40. I pianeti e la luna, le stelle e il sole, potrebbero cadere dal cielo sulla terra; la più grande delle montagne potrebbe sollevarsi dal terreno; l’Oceano potrebbe prosciugarsi; ma un grande sapiente insegnerebbe nelle quattro direzioni dello spazio che tu, giunto ai piedi del re degli alberi, non ti alzeresti senza aver prima conseguito il Risveglio [12].
41. Ho ottenuto un grande guadagno, una grande ricchezza, o Auriga (degli esseri), poiché ti ho incontrato; ho reso omaggio alla tua persona e ho lodato le tue qualità; pieni di ardore verso il Risveglio, tutti noi, le femmine dei Nāga, io e i miei figli, saremo liberi dalla nascita. Tu procedi come un superbo elefante: si possa anche noi camminare come te!
A questo punto, o Monaci, la prima tra le spose di Kālika, il re dei Nāga, chiamata Suvarṇaprabhāsā, accompagnata e preceduta da una schiera di figlie dei Nāga che recavano molti preziosi parasole, molti tessuti e collane di perle; che reggevano oggetti preziosi, ghirlande con profumi divini e umani, urne ricolme di essenze; che facevano udire il suono degli strumenti e i cori – tutte fecero cadere una pioggia di fiori preziosi sul Bodhisattva che stava camminando e gli resero omaggio con questi gāthā:
42. A te che sei infallibile, coraggioso, impavido, privo di paure, di sfiducia, di abbattimento; a te che sei colmo di gioia, invincibile, al di là degli attaccamenti, immacolato, privo di offuscamenti, lontano dalle passioni, a te che sei giunto alla liberazione, o grande Ṛṣi, rendiamo omaggio!
43. Tu sei il medico che rimuove il dolore, la guida di coloro che necessitano di essere guidati, il supremo medico che libera dai mali del mondo; avendo considerato i sofferenti privi di asilo e di protezione, ti sei manifestato nei tre mondi come rifugio al fine di proteggerli.
44. Poiché schiere di dei devoti e gioiosi fanno cadere dall’alto dei cieli una fitta pioggia di fiori e fanno discendere grandi quantità di tessuti, tu sarai un Vittorioso; fa’ risplendere la felicità!
45. Avvicinati al re degli alberi, siedi senza alcun turbamento; sconfiggi gli eserciti del demone [13]; strappa le reti delle afflizioni mentali. Così conseguirai [14] il supremo Risveglio, perfetto, ricolmo di pace, pari a quello che fu raggiunto dai Vittoriosi del passato.
45. Per ottenerlo, nel corso di innumerevoli eoni hai compiuto difficili azioni per la liberazione di tutti gli esseri. Il tuo voto sta per compiersi: avvicinati al re degli alberi, consegui il supremo Risveglio!
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva generò questo pensiero: Dove erano seduti i Tathāgata del passato quando raggiunsero il supremo e perfetto Risveglio? Erano seduti su un seggio di erba.
Allora centinaia di migliaia di dei Śuddhāvāsakāyika che dimoravano nel cielo intesero attraverso le loro menti il pensiero del Bodhisattva e così dissero: Ben detto, grande Essere, ben detto! Quando i Tathāgata del passato raggiunsero il supremo, perfetto e compiuto Risveglio erano seduti su un seggio di erba.
A quel punto, o Monaci, il Bodhisattva vide sul lato destro della strada Svastika, il venditore di erba, che stava raccogliendo delle erbe verdi, tenere, fresche, gradevoli, intrecciate tra loro e arrotolate verso destra, simili al collo del pavone, morbide al tatto come (la seta di) Kāchilindi, profumate, dai bei colori che rallegravano lo spirito. A quella vista, il Bodhisattva lasciò il sentiero e avvicinatosi al luogo in cui si trovava Svastika, il venditore di erbe, e gli parlò con voce dolce: fu un discorso comprensibile, perfettamente comprensibile; del tutto chiaro, lineare, gradevole, bello, degno di essere ascoltato e ricordato, accattivante, incoraggiante, gioioso, amichevole, autorevole, privo di esitazioni e di durezza, non precipitoso, dolce, armonioso, piacevole a udirsi; rallegrava il corpo e lo spirito, cancellava l’attaccamento, l’avversione, l’oscuramento mentale, le dispute, i litigi; era simile al canto del cuculo e a quello del kuṇāla e del jivañjiva; pari al suono del tamburo e a melodiosi accordi musicali; non alterato, sincero, limpido, giusto, simile alla voce melodiosa di Brahmā; pari al suono dell’Oceano in tempesta o al rumore delle montagne che franano; era elogiato dal Signore dei Deva e dal Signore degli Asura; profondo, difficile da comprendere; ha privato della forza demoni potenti, ha ridotto al silenzio gli avversari; simile al formidabile ruggito del leone, simile al nitrito di un cavallo e al barrito di un elefante, risonante come la voce di un Nāga, pari al suono riecheggiante delle nubi gonfie di pioggia, pervadeva tutti i campi dei Buddha nelle dieci direzioni dello spazio, ha incoraggiato tutti gli esseri bisognosi di guida; non era affrettato, né agitato, né troppo lento; era rigoroso, appropriato, adeguato al momento, tempestivo; conteneva centomila insegnamenti, nobile, pacato, pronunciato con ininterrotto vigore; sebbene proferito con una sola voce era compreso in tutte le lingue, faceva conoscere tutti i significati, generava ogni sorta di felicità, mostrava la via della liberazione; spiegava la molteplicità delle vie, non ignorando coloro che lo ascoltavano, secondo le esigenze di tutti i seguaci, conformemente a ciò che era stato insegnato da tutti i Buddha.
Fu con un tale discorso che il Bodhisattva rivolse a Svastika, il venditore di erbe, questi gāthā:
47. Svastika, ascolta! Procurami subito dell’erba: oggi ho bisogno di erba. Dopo aver sconfitto il potente demone con le sue schiere, raggiungerò la pace suprema del Risveglio, in vista della quale nel corso di migliaia di kalpa ho profondamente praticato la generosità, la disciplina, il controllo, la rinuncia, l’etica, l’osservanza dei voti, le austerità. Il perfetto ottenimento avverrà oggi.
48. Oggi io conseguirò il potere della pazienza e il potere della virtù eroica, il potere della concentrazione e il potere della saggezza, il potere dei meriti, della realizzazione e della perfetta liberazione.
49. Oggi io conseguirò il potere dell’intuizione e il potere degli abili mezzi, il potere magico, il potere dell’amore privo di attaccamento, il potere del discernimento e della verità.
50. Ed anche tu conseguirai il potere illimitato dei meriti, poiché oggi mi fai dono di questa erba. E questa non è per te cosa da poco: tu stesso diverrai un maestro senza eguali.
51. Avendo ascoltato queste parole nobili e dolci da parte della Guida (del mondo), Svastika, contento, estasiato, radioso, con il cuore ricolmo di gioia prese una manciata di erba fresca, delicata al tatto, tenera e gradevole e rimanendo in piedi davanti al Bodhisattva gli rivolse queste parole, profondamente felice:
52. Allora, se con questa poca erba puoi ottenere lo stato supremo, l’immortalità, il perfetto Risveglio, tranquillo, difficile da trovare, di coloro che percorrono la Via dei Vittoriosi del passato – allora, grande Oceano di qualità, la cui gloria è incommensurabile, fa’ prima raggiungere a me il Risveglio, lo stato supremo, dove non vi è più morte.
53. – Il Risveglio, o Svastika, è conseguito da coloro che siedono su un seggio della migliore erba dopo aver praticato nel corso di numerosi eoni molte austerità e azioni difficili da compiere. Quando una persona intelligente si è evoluta attraverso la saggezza, i meriti e la conoscenza degli abili mezzi, a seguito di ciò i vittoriosi Muni fanno una predizione dicendo: Tu sarai libero dagli attaccamenti.
54 . Se il Risveglio, o Svastika, potesse essere donato agli esseri senzienti dopo aver preparato una ciotola di riso cotto [15], non avrei alcuna esitazione. Quando avrò conseguito il Risveglio, tu saprai che io condividerò l’immortalità. Allora tu verrai presso di me, ascolterai e metterai in pratica gli insegnamenti e poi sarai libero dalle oscurazioni [16].
A quel punto, o Monaci, mentre il Bodhisattva si avvicinava ai piedi dell’albero del Risveglio i figli degli dei e i Bodhisattva pensarono: Qui, dopo essersi seduto, il Bodhisattva conseguirà il Risveglio e diverrà un Buddha perfetto e compiuto. Così adornarono ottantamila alberi del Risveglio. Vi erano colà degli alberi del Risveglio composti di fiori, alti cento yojana; alcuni alberi, fatti di essenze, erano alti mille yojana; altri alberi del Risveglio, composti di sandalo, erano alti centomila yojana; altri ancora, fatti di tessuti, erano alti cinquecentomila yojana; alcuni alberi del Risveglio, fatti di gioielli, avevano l’altezza di un milione di yojana; altri alberi del Risveglio, anch’essi formati da oggetti preziosi, erano alti diversi milioni di niyuta di koti di yojana. Taluni alberi del Risveglio, composti anch’essi da materiali preziosi, raggiungevano l’altezza di centomila niyuta di koti. Ai piedi di ognuno di questi alberi del Risveglio, prepararono nelle forme più convenienti dei troni addobbati, ricoperti da molti tipi di tessuti divini. Alla radice di un albero del Risveglio prepararono un trono di fiori di loto; presso la radice di un altro, un altro trono di loto; ai piedi di un terzo, un trono di essenze; ai piedi di un altro ancora, un trono di oggetti preziosi.
Il Bodhisattva si immerse in un assorbimento meditativo chiamato Lalitavyūha (schieramento giocoso). Mentre il Bodhisattva era immerso nella contemplazione del Risveglio chiamata Lalitavyūha, in quello stesso istante apparvero seduti su ognuno dei troni, ai piedi degli alberi del Risveglio, dei Bodhisattva con i corpi perfettamente forniti dei trentadue marchi maggiori e degli ottanta segni secondari del Bodhisattva.
E ognuno dei Bodhisattva, come pure ognuno dei figli degli dei, pensò: Il Bodhisattva è seduto proprio sul mio trono, e non su quello di un altro. Così come essi generarono tale pensiero, nello stesso modo grazie al potere della contemplazione Lalitavyūha del Bodhisattva tutti gli esseri infernali, quelli nati in forma animale o nel reame di Yama, dei e uomini, tutti gli esseri, in qualsiasi condizione fossero rinati, videro il Bodhisattva seduto su un trono ai piedi dell’albero del Risveglio.
Ed ancora, con lo scopo di soddisfare completamente l’intelletto degli esseri meno evoluti, il Bodhisattva raccolse una manciata di erba, si avvicinò all’albero del Risveglio e compì sette giri intorno ad esso offrendo il fianco destro; poi preparò egli stesso un perfetto cuscino di erba, con le punte verso l’interno e le radici verso l’esterno. Quindi, come un leone, come un eroe, in modo potente, stabile, coraggioso, vigoroso; come un Nāga, come un essere che possiede il supremo potere; come Svayambhū, come un saggio, come un essere senza pari; come un essere speciale, nobile, glorioso, famoso, generoso, diligente, paziente, senza timore, concentrato, sapiente; in maniera avveduta, meritoria; come un essere che ha sconfitto l’attacco del demone, come un essere che ha raggiunto la perfezione – in tale modo assunse la postura con le gambe incrociate e sedette sul cuscino di erbe, rivolto verso oriente, con la schiena eretta; quindi, rammentando perfettamente la propria determinazione, con voce ferma proclamò:
56. Qui, su questo seggio, il mio corpo potrà disseccarsi, la mia pelle, le mie ossa, la mia carne potrà dissolversi. Ma il mio corpo non si muoverà da questo stesso seggio prima che io abbia conseguito il Risveglio, così difficile da ottenere anche attraverso molti eoni!   

Capitolo intitolato: In cammino verso il luogo del Risveglio, il diciannovesimo
  
    

NdT


[1] Il luogo del Risveglio. 
[2] Il Regno del Desiderio.
[3] Si narra che sul monte Himavat vivesse un uccello chiamato jivañjiva. Esso aveva un corpo e due teste, una delle quali era solita consumare frutta raffinata per dare forza e vigore al corpo. L'altra divenne gelosa e pensò: Perché quella testa dovrebbe sempre mangiare frutti buoni, che non ho mai assaggiato? Di conseguenza mangiò un frutto velenoso e le due teste morirono allo stesso tempo.
[4] La facoltà dell’occhio, dell’orecchio ecc. Non sono l’organo sensoriale, bensì costituiscono la base delle coscienze sensoriali. Cfr. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 203.
[5] Si veda la nota 8 del cap. II.
[6] De Foucaux parla qui della voie de Brahmā, ma è preferibile tradurre con il solo termine sentiero, o Via, in quanto si tratta evidentemente della Via del Bodhisattva.
[7] Una ruota destrogira, segno di gioia e buona sorte, simile allo Svastika.
[8] Nella versione inglese si legge che scomparve lo spazio tra i mondi, come pure le montagne nere intorno e le piccole e grandi mura perimetrali. Aggiunge inoltre che tutti i Reami dei Buddha potevano essere visti avvolti dalla luce che il Bodhisattva emanava.
[9] Nella sua versione De Foucaux si limita a dire che l’albero ha radici, tronco, rami ecc., il che non lo renderebbe affatto speciale. La perfezione di ogni suo aspetto è invece sottolineata sia nella versione inglese sia nella traduzione francese del testo tibetano.
[10] Rispettivamente l’albero corallo e un’orchidea che raggiunge i 5 mt di altezza.
[11] Sono i nomi di tre dei Buddha del passato.
[12] Simili nel significato, con qualche variante, le traduzioni proposte dalla versione inglese (Qualche persona istruita potrebbe magicamente mostrare ciascuno dei quattro elementi, ma è impossibile che tu giunga presso il re degli alberi e ti alzi prima di aver ottenuto il Risveglio) e da quella francese dal testo tibetano (Qualsiasi uomo saggio potrebbe insegnare da ognuna delle quattro direzioni che tu, giunto presso il re degli alberi, non andrai via senza aver conseguito il Risveglio).
[13] Traduzione preferibile a quella proposta da De Foucaux: gli eserciti del demone sono sconfitti.
[14] Idem: Dopo aver conseguito…
[15] Ovvero mediante un atto di elemosina.
[16] Di gran lunga preferibile la traduzione inglese di questo breve passo, che costituisce un caposaldo del Buddhismo: la liberazione può essere solo il frutto della propria pratica personale. Nella versione di De Foucaux scompare l’elemento dell’impegno personale, in quanto traduce con écoute celui qui possède la loi, senza distinguere tra il momento dell’ascolto e quello della messa in pratica del Dharma. Il Buddha indica la Via della Liberazione, così come un medico riconosce una patologia e prescrive una cura, ma non “trasmette” la guarigione.

Il Luogo del Risveglio (Bodhgaya, 2012)



Capitolo ventesimo

Prodigi nel luogo del Risveglio

Mentre il Bodhisattva siede nel Bodhimaṇḍa, emana una luce che illumina gli innumerevoli campi dei Buddha nelle dieci direzioni dello spazio. Stimolati da tale luminosità i Buddha arrivano da ogni parte e fanno apparire ogni genere di oggetti preziosi che offrono al Bodhisattva. Gli dei si uniscono ad essi e fanno cadere dal cielo una grande pioggia che genera gioia e felicità.   
Così, o Monaci, mentre il Bodhisattva sedeva presso il luogo del Risveglio, sei divinità Kamavatchara che dimoravano ad Oriente [affermarono]: Che nulla ostacoli il Bodhisattva! Dicendo queste stesse parole gli dei si insediarono anche nelle regioni del Sud, dell’Ovest e del Nord.
Quindi, o Monaci, mentre il Bodhisattva sedeva presso il luogo del Risveglio emanò il raggio di luce chiamato Ispirazione del Bodhisattva. Grazie a quel raggio, in ogni luogo nelle dieci direzioni dello spazio furono illuminati tutti gli incommensurabili, innumerevoli reami di Buddha, che hanno per confine il cielo e sono composti dai più sottili fenomeni.
Allora, ad oriente, dall’immacolata regione del mondo del Tathāgata Vimalaprabhāsa, un Bodhisattva di nome Lalitavyūha incoraggiato dal raggio di luce uscì dal campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva, e si avvicinò al luogo del Risveglio dove si trovava il Bodhisattva. Al fine di rendergli omaggio manifestò un potere sovrannaturale tale per cui mostrò, nelle dieci direzioni dello spazio fino al suo estremo confine, tutti i reami di Buddha come un unico maṇḍala di lapislazzuli, di un puro colore blu scuro. Fece sì che il Bodhisattva seduto nel Bodhimaṇḍa fosse visibile a tutti gli esseri nati nelle cinque condizioni dell’esistenza. Questi esseri senzienti indicarono l’uno all’altro con un dito il Bodhisattva dicendo: Chi è questo essere dalle forme affascinanti? Chi è questo essere con un aspetto così splendente? E il Bodhisattva fece anche apparire davanti a quegli esseri altri Bodhisattva, i quali recitarono questo verso:
1. Costui è un essere nel quale non dimorano né attaccamento né avversione né offuscamenti, è libero da tutte le usuali inclinazioni. Grazie alla luce del suo corpo nelle dieci direzioni dello spazio tutte le luci hanno cessato di risplendere. Nel corso di un grande numero di eoni egli ha accumulato un tesoro di saggezza, di assorbimento meditativo e di meriti. Śākyamuni, il più illustre dei grandi Muni, illumina ogni punto dello spazio.
Successivamente, o Monaci, dalla regione meridionale (chiamata) Ratnavyūha, dove dimorava il Tathāgata Ratnārcis, un Bodhisattva Mahāsattva di nome Ratnacchattrakūṭasaṃdarśana, incoraggiato dal raggio di luce ad uscire dal campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva e, al fine di rendergli omaggio, riparò l’intera area del maṇḍala con un prezioso parasole.
Allora Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo si dissero l’un l’altro: Di quali meriti questo è il frutto, grazie al quale possiamo vedere la manifestazione di un così prezioso parasole?
A quel punto dal prezioso parasole scaturì questo verso:
2. A colui che con amorevole gentilezza ha donato un infinito numero di preziosi parasole profumati ad incomparabili esseri che hanno conseguito la Liberazione; a colui che reca i marchi maggiori, che è un benefattore, che possiede la forza di Nārāyaṇa, che si è accostato all’albero del Risveglio; è a lui, ricolmo di qualità, che questo omaggio è offerto.
Successivamente, dalla regione occidentale detta Campakavarṇā, nel reame del Tathāgata Puṣpāvali Vanarāji Kusumitābhijña, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Indrajāli (rete di Indra), incoraggiato dal raggio di luce del campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva. E dopo essersi avvicinato riparò con un unico prezioso parasole l’intera area del maṇḍala (di lapislazzuli), al fine di rendere omaggio al Bodhisattva.
Allora, nelle dieci direzioni dello spazio, gli dei, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva si dissero l’un l’altro: Perché mai una simile manifestazione di luce?
E dal prezioso parasole scaturì questo gāthā:
3. Miniera di gioielli, prezioso stendardo, gioiello dei tre mondi, il più pregiato tra gli oggetti preziosi, gioiello famoso, colui che si diletta nel nobile Dharma, colui che mai spezzerà la successione dei tre tesori e che per la sua diligenza conseguirà la suprema Saggezza – a lui io rendo omaggio!
Successivamente, dalla regione settentrionale detta Sūryāvartā, nel reame del Tathāgata Candrasūryajihmīkaraprabha, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Vyūharāja, incoraggiato dal raggio di luce del campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva. Al fine di rendere omaggio al Bodhisattva rivelò nel maṇḍala di lapislazzuli tutte le manifestazioni delle qualità dei regni dei Buddha di tutte le parti del mondo nelle dieci direzioni dello spazio. E i Bodhisattva così parlarono: Per quale motivo simili manifestazioni?
E dall’interno di ogni manifestazione scaturì questo gāthā:
4. Il suo corpo nel corso del tempo è stato reso perfettamente puro dai meriti e dalla saggezza; la sua parola è stata resa perfettamente pura dai voti, dalle pratiche ascetiche e dal vero Dharma; la sua mente è stata resa perfettamente pura dalla coscienziosità, dalla rinuncia, dall’amore e dalla compassione. A lui, che è giunto presso il re degli alberi, a questo capo degli Śākya è reso omaggio.
Successivamente, dalla regione di sud-est detta Guṇakara, nel reame del Tathāgata Guṇarājaprabhāsa, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Guṇamati, incoraggiato dal raggio di luce del campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva. Al fine di rendere omaggio al Bodhisattva fece apparire nel maṇḍala di lapislazzuli un palazzo a più piani dotato di tutte le migliori qualità. E dal palazzo scaturì questo verso:
5. Grazie alle qualità di costui risplendono, con il solo sentore di quelle qualità, i Deva, gli Asura, gli Yakṣa e i Mahoraga [1]; in possesso di tali tratti, nato in una famiglia regale dalle grandi qualità [2], Oceano di qualità, egli siede accanto all’albero del Risveglio.
Successivamente, dalla regione di sud-ovest detta Ratnasambhava, nel reame del Tathāgata Ratnayaṣti, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Ratnasambhava, incoraggiato dal raggio di luce del campo di Buddha, circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva. Al fine di rendere omaggio al Bodhisattva fece apparire nel maṇḍala di lapislazzuli dei vyōmaka (templi celesti) di pietre preziose, incommensurabili e incalcolabili, e dai vyōmaka scaturì questo verso:
6. Colui che ha rinunciato alla terra con il suo Oceano e a innumerevoli oggetti preziosi, ai palazzi e alle più belle dimore con finestre ovali, ai carri con i cavalli, alle sale per le assemblee abbellite con padiglioni e addobbate con ghirlande, ai parchi; (colui che ha rinunciato persino) ai propri piedi, alle mani, al capo e agli occhi – eccolo seduto nel luogo del Risveglio.
Successivamente, dalla regione di nord-ovest detta Meghavatī, nel reame del Tathāgata Megharāja, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Meghakūṭābhigarjitasvara, incoraggiato dal raggio di luce (del campo di Buddha), circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva e dopo aver reso manifesta una nube di benzoino e di sandalo nero generò una pioggia di essenza di sandalo di Uraga al fine di rendere omaggio al Bodhisattva. E dal centro della nube di sandalo scaturì questo verso:
7. Dopo aver diffuso la nube del Dharma su tutto l’insieme dei tre mondi, colui che possiede lo splendore della completa liberazione e della conoscenza fa cadere come pioggia il Dharma privo di oscuramenti e il nettare che conduce al Nirvāṇa. Egli reciderà tutte le liane del desiderio e delle afflizioni, così come i legacci delle inclinazioni. Facendo dischiudere come un fiore, per mezzo della concentrazione, la forza dei poteri e delle percezioni sovrannaturali, farà dono della sorgente della fede.
Successivamente, dalla regione di nord-est detta Hemajālapratichannā, nel reame del Tathāgata Ratnacchatrābhyudgatāvabhāsa, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Hemajālālaṃkṛta, incoraggiato dal raggio di luce (del campo di Buddha), circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva e in tutte le terrazze superiori e nei preziosi padiglioni celesti emanò immagini di Bodhisattva perfettamente adorni dei trentadue marchi maggiori. Ognuno di essi reggeva ghirlande di fiori dei mondi divini ed umani e manteneva il proprio corpo inchinato verso il Bodhisattva. Tutti i Bodhisattva offrirono le corone di fiori e recitarono questo gāthā:
8. Io mi inchino a colui che ha reso omaggio con immenso rispetto a centinaia di migliaia di Buddha, dopo aver sviluppato la fede; a colui che parla con la voce di Brahmā dal suono melodioso e che è giunto nel luogo del Risveglio.
Successivamente, dalla regione inferiore detta Samantavilokitā, nel reame del Tathāgata Samantadarśin, un Bodhisattva Mahāsattva [3], incoraggiato dal raggio di luce (del campo di Buddha), circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva e generò nel maṇḍala di lapislazzuli dei fiori di loto d’oro sbocciati nel fiume Jambu. Al centro dei fiori si manifestarono a mezzo busto delle donne perfette nelle forme e nell’aspetto, che indossavano tutti i loro ornamenti, offrivano con entrambe le mani collane, braccialetti e bracciali, recavano fiori, stoffe e ghirlande; nel Bodhimaṇḍa, al di sotto del luogo in cui sedeva il Bodhisattva, con i loro corpi inchinati, esse recitarono questo verso:
9. Egli si è sempre inchinato davanti ai maestri spirituali, ai Buddha, agli Śrāvaka e ai Pratyekajina [4]. Privo di orgoglio, disciplinato, ha provato la gioia della consapevolezza. Inchinatevi davanti a colui che è ricolmo di qualità.
Successivamente, dalla regione superiore detta Varagaṇā, nel reame del Tathāgata Gaṇendra, un Bodhisattva Mahāsattva chiamato Gagaṇagañja, incoraggiato dal raggio di luce (del campo di Buddha), circondato e preceduto da un incalcolabile numero di Bodhisattva si avvicinò al Bodhimaṇḍa dove si trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio e rimase sospeso nel cielo; e dall’alto dei cieli fece cadere una pioggia di oggetti come mai prima di allora, nelle dieci direzioni dello spazio e in tutti i campi dei Buddha, si era visto o si era sentito dire: fiori, incensi, profumi, ghirlande, oli, essenze profumate, abiti monastici, tessuti, ornamenti, parasole, stendardi, bandiere, vessilli, gioielli, pietre preziose, oro, argento, collane di perle, cavalli, elefanti, carri da guerra, soldati, carretti, alberi, frutti, ragazzi, giovinette, Deva, Nāga, Yakṣa, Gandharva, Asura, Garuḍa, Kinnara, Mahoraga, Śakra, Brahmā, i Guardiani del Mondo, uomini ed esseri non umani. La grande pioggia che cadeva generava felicità per tutti gli esseri, e non spaventava né recava danno ad alcuno.
A questo proposito è detto:
10. Dalle dieci direzioni dello spazio tutti i figli dei Vittoriosi sono giunti per rendere omaggio alla Saggezza del grande Benefattore (degli esseri). Ascoltate quale era la moltitudine, la simmetria, l’ordine, la prontezza, il meraviglioso allestimento delle emanazioni dei figli dei Vittoriosi.
11. Alcuni sono giunti nel cielo come nuvole cariche di pioggia, offrendo centinaia di migliaia di ghirlande; altri sono giunti con preziosi diademi che ornano i loro capelli, mostrando in cielo un carro divino di fiori.
12. Alcuni sono giunti ruggendo come i leoni della terra, proclamando la vacuità (Śūnya) priva di causa e priva di oggetto come sommo bene; altri sono giunti muggendo come tori e spargendo fiori splendidi come mai si erano visti prima di allora.
13. Alcuni sono giunti nello spazio e gridano come pavoni, mostrando mille colori sui loro corpi. Altri, simili a lune piene nel cielo, sono giunti proclamando la ghirlanda delle qualità del figlio dei Vittoriosi.
14. Alcuni, simili ad astri solari, emanano raggi di luce e rendono oscure le dimore di Māra. Altri sono giunti reggendo stendardi puri come quello di Indra [5]; essi sono giunti al Bodhimaṇḍa poiché hanno accumulato tesori di meriti.
15. Alcuni distendono nell’alto dei cieli una rete adorna di pietre preziose che illuminano la terra come bellissime lune nuove [6]; essi spargono ghirlande e mazzi di fiori māndārava, sumanā, varcika e champaca sul Bodhisattva perfetto che siede sotto il re degli alberi.
16. Alcuni sono giunti facendo tremare la terra sotto i loro piedi, e la terra così fortemente scossa procura gioia alle persone. Altri sono giunti tenendo il monte Meru sul palmo delle loro mani e spargono fiori dai canestri rimanendo sospesi nell’aria.
17. Alcuni sono giunti tenendo sul loro capo i quattro mari, e diffondono sulla terra i migliori profumi. Altri sono giunti recando i loro preziosi bastoni e indicano da lontano il Bodhisattva.
18. Alcuni sono giunti con i loro corpi in forma pacifica [7], come Brahmā, e mantengono una mente calma, perfettamente tranquilla, immersa nella contemplazione. Dai loro pori fuoriesce un suono melodioso che esprime amore, pazienza, compassione e felicità senza limiti.
19. Alcuni sono giunti come il dio Indra, preceduti da centinaia di migliaia di divinità. Avvicinatisi all’albero del Risveglio, a mani giunte, essi spargono oggetti preziosi posseduti da Indra.
20. Alcuni sono giunti come i Guardiani delle quattro direzioni dello spazio, circondati da Gandharva, Kinnara e Rākṣasa; essi fanno cadere una pioggia di fiori brillanti come il fulmine e lodano l’eroe con le voci dei Gandharva e dei Kinnara.
21. Alcuni sono giunti recando alberi con fiori e frutti, e i fiori diffondono i profumi più gradevoli. Rimanendo tra il fogliame e mostrandosi a mezzo busto, inchinati verso il Dhāraṇīmaṇda [8], i Buddha spargono fiori.
22. Alcuni sono giunti portando stagni pieni di fiori di loto gialli, blu e bianchi. Seduti nel calice di ogni loto, coloro che recano sul corpo i trentadue marchi maggiori (del Grande Essere) lodano il Saggio la cui mente è priva di contaminazioni.
23. Alcuni sono giunti con corpi grandi come il monte Meru; dal cielo essi lanciano i loro stessi corpi che cadendo si trasformano in ghirlande di fiori freschi che gettano ombra su tutti i tremila campi dei Vittoriosi.
24. Alcuni sono giunti mostrando i loro occhi ardenti come le fiamme che alla fine di un kalpa causano la distruzione del mondo e la sua rinascita. (Voci che escono) dai loro corpi espongono le innumerevoli porte del Dharma [9]; avendole udite, centinaia di milioni di esseri abbandonano la brama.
25. Alcuni sono giunti con voci simili a quelle dei Kinnara, con bei visi, labbra come frutti del Bimba [10] e volti tondi, insieme con giovani fanciulle che indossano meravigliose collane. Le schiere degli dei le osservano senza mai essere sazi della loro vista.
26. Alcuni sono giunti con corpi indistruttibili come il diamante, trattenendo con i loro piedi le masse delle acque sottostanti. Alcuni sono giunti con il viso simile al sole o alla luna piena; essi diffondono luminosità e chiarezza, poiché hanno distrutto le afflizioni e l’errore.
27. Alcuni sono giunti adorni di diamanti e tenendo nelle mani pietre preziose; dopo aver ombreggiato [11] dozzine di milioni di terre, essi fanno cadere una pioggia dei gioielli migliori e di fiori dai profumi più dolci, generando gioia, benessere e felicità per molti esseri.
28. Alcuni sono giunti recitando raccolte di grandi e preziosi Dhāraṇī, e centinaia di migliaia di Sūtra escono dai loro pori. Poiché possiedono forza, saggezza e suprema intelligenza, essi causano la realizzazione anche delle persone più orgogliose.
29. Alcuni sono giunti recando il Meru come fosse un tamburo. Lo battono con forza e producono nel cielo un suono molto piacevole; diffondendosi nelle dieci direzioni dello spazio in decine di milioni di terre, quel suono (fa comprendere queste parole): Oggi il Maestro (del mondo) conseguirà l’immortalità!

Capitolo intitolato: Prodigi nel luogo del Risveglio, il ventesimo

 

 NdT


[1] Significa, come più chiaramente tradotto nella versione inglese, che le qualità degli esseri divini non sono comparabili con quelle del Bodhisattva.
[2] De Foucaux non traduce il termine Guṇarāja, per cui pare che il Bodhisattva sia nato in una famiglia con tale nome. Traduco invece separatamente le due parole che compongono Guṇarāja con gli aggettivi regale (da raja) e fornito di qualità (da guṇa), come attributi degli Śākya.
[3] De Foucaux non riporta il nome del Bodhisattva. Secondo la versione inglese si tratta di Ratnagarbha.
[4] Il Vittorioso Solitario, il Pratyekabuddha.
[5] Ovvero l’arcobaleno, chiamato Indradhanush, l’arco di Indra, l’antico dio legato al fulmine, alla pioggia, alla fertilità o alla siccità.
[6] Secondo la versione di De Foucaux, si legge che i Bodhisattva dispiegano in cielo, oltre alla rete di gioielli, anche des Chandras et des Suchandras qui brillent sur le sol. Ovvero delle Lune (Candra) e le loro Bellezze (Sucandra), come oggetti distinti.
[7] Gli esseri celesti possono manifestarsi in forme pacifiche o in forme irate, a seconda delle circostanze.
[8] Dhāraṇī è un nome della dea-Terra, e significa ciò che sostiene qualcosa. Dhāraṇīmaṇda può quindi essere tradotto come centro della Terra.
[9] Ovvero gli insegnamenti.
[10] Sono i frutti, di colore rosso vivo, della pianta nota come baby anguria o zucca edera.
[11] Secondo la versione inglese, proprio con quelle pietre preziose.

Il tempio Mahabodhi a Bodhgaya



Capitolo ventunesimo

Sconfitta del demone

Il Bodhisattva, seduto nel Bodhimaṇḍa, pensa che non potrà conseguire il Risveglio senza aver prima sfidato il demone; fa subito scaturire dal punto tra le sopracciglia un raggio di luce che illumina le dimore dei demoni nei tremila mondi. Il sovrano dei demoni influenzato da quella luce fa trentadue tipi di sogni che preannunciano la sua sconfitta. Si risveglia inquieto, riunisce tutti i suoi compagni e li esorta alla battaglia, contro il parere di alcuni dei suoi figli. – L’esercito del demone. – Esso cerca di spaventare il Bodhisattva, ma nulla può turbarlo. – I demoni si riuniscono in consiglio. – Essi attaccano il Bodhisattva. Le armi scagliate contro di lui si trasformano in fiori. – Collera del demone di fronte a questa visione. – Egli interroga il Bodhisattva, ma al cospetto della dea della Terra subito fugge con i suoi. – Invia le sue figlie per sedurre il Bodhisattva. – Questi senza nemmeno guardarle le avverte che i loro sforzi sono inutili. – Otto dee glorificano il Bodhisattva, mentre i figli degli dei sminuiscono il demone. Ira del demone. – Egli attacca nuovamente il Bodhisattva, ma i demoni malvagi fuggono terrorizzati dal rumore scaturito dalla terra colpita dalla mano del Bodhisattva.

Questi, o Monaci, furono gli allestimenti che i Bodhisattva misero a punto con cura nel Bodhimaṇḍa per rendere omaggio al Bodhisattva. Il Bodhisattva stesso rese manifesti nel Bodhimaṇḍa tutti gli ornamenti predisposti in tutti i reami dei Bhagavat del passato, del futuro e del presente nelle dieci direzioni dello spazio.
Successivamente, o Monaci, mentre il Bodhisattva sedeva nel Bodhimaṇḍa sorse in lui questo pensiero: Di certo qui, nel reame del desiderio, il demone Māra è re e signore, colui che detiene il potere; non è possibile che io consegua le qualità perfette e complete del Risveglio a sua insaputa. Devo dunque provocare Māra Pāpīyān; una volta sconfitto, tutti gli dei del reame del desiderio e tutti gli altri si sottometteranno. Inoltre, coloro che tra le schiere del demone Māra, quei figli degli dei del reame di Māra che hanno generato atti virtuosi [1], dopo aver visto le mie azioni leonine, rivolgeranno le loro menti verso il perfetto e completo Risveglio.
Dopo aver così riflettuto, o Monaci, il Bodhisattva fece scaturire dal punto tra le sopracciglia, il ciuffo di peli detto Ūrṇā, un raggio di luce chiamato Sarvamāramaṇḍalavidhvansanakāri (che provoca la distruzione di tutte le schiere del demone). Tutte le dimore di Māra nell’intero trichiliocosmo sembrarono oscure al confronto di quel raggio di luce [2] e ne furono fortemente scosse. Tutto l’insieme delle tremila grandi migliaia di mondi fu interamente illuminato da un immenso chiarore. E da quella luce Māra Pāpīyān sentì uscire queste parole:
1. Questo Essere assolutamente puro nel corso di numerosi eoni ha attraversato molte esistenze; il figlio di Śuddhodana dopo aver rinunciato al regno è partito in veste di benefattore alla ricerca dell’immortalità – che oggi egli, giunto sotto l’albero del Risveglio, compia ancora uno sforzo!
2. Dopo essere andato al di là egli stesso, faccia andare al di là gli altri! Dopo aver liberato se stesso, egli liberi gli altri! Dopo aver conseguito la fine della sofferenza, la faccia conseguire agli altri! Dopo essere entrato nel perfetto Nirvāṇa, faccia entrare nel Nirvāṇa gli altri!
3. Egli svuoterà, senza alcuna eccezione, i tre reami inferiori; riempirà la città degli dei e degli uomini. Egli, il benefattore, avendo conseguito l’immortalità, farà dono dell’Amṛta e della suprema felicità della saggezza e dell’assorbimento profondo.
4. Egli svuoterà la tua città, o alleato di colui che è nero (Kṛṣṇa [3]). Privato del tuo esercito da un Essere che non ha eserciti, senza le tue schiere, senza alleati, tu, o Māra, non saprai dove andare né cosa fare, quando Colui che è generato da se stesso farà cadere la pioggia del Dharma.
Quindi, o Monaci, Māra, turbato da quei versi sconcertanti, fece un sogno sotto trentadue forme. Quali erano i trentadue aspetti? Erano questi [4]:
Egli vide la sua dimora immersa nelle tenebre.
La vide avvolta dalla polvere e piena di sabbia e sassi.
Vide se stesso correre nelle dieci direzioni dello spazio, turbato e inseguito dalla paura.
Il suo diadema era caduto e gli orecchini staccati.
Sentì le labbra, la gola e il palato prosciugati.
Il suo corpo era in preda al tormento.
I suoi giardini erano privi di foglie, di fiori e di frutti.
Le acque degli stagni si erano ritirate ed essi erano completamente asciutti.
I cigni, le cicogne, i pavoni, i kalabiṅka, i kuṇāla, i jivañjiva e gli altri stormi di uccelli avevano le ali tagliate.
I tamburi, le conche, i tamburelli, i timpani, i liuti, i sitar, le tiorbe, i cimbali e tutti gli altri strumenti musicali erano spezzati e sparsi a terra.
Vide se stesso abbandonato dalle persone che amava e dal suo seguito, con il viso cupo, messo in disparte e preoccupato.
La sua prima consorte, ornata da una collana, era caduta a terra e si batteva violentemente il capo con le mani.
I più coraggiosi, i più forti, i più brillanti, i più saggi tra i suoi figli si inchinavano davanti al Bodhisattva giunto nel Bodhimaṇḍa, il più nobile dei luoghi.
Le sue figlie gridavano e piangevano: Padre mio! Ah, padre mio!
Il suo corpo era vestito con un abito sporco.
Il suo capo era impolverato, egli era pallido, debole e privo del suo splendore.
Il palazzo, le gallerie, i lucernari, gli archi erano ricoperti di polvere e cadevano in rovina.
I generali dell’esercito, i comandanti degli Yakṣa, dei Rākṣasa, dei Kumbhānda, dei Gandharva, tutti tenevano il capo tra le mani e fuggivano piangendo e gridando.
E i signori degli dei del reame del desiderio, Dhṛtarāṣṭra, Virūḍhaka, Virūpākṣa, Vaiśravaṇa, Śakra, Suyāma, Santuṣita, Sunirmita, Vaśavartin e gli altri, il demone Pāpīyān li vide tutti con il viso rivolto verso il Bodhisattva, pronti a servirlo.
Nel bel mezzo della battaglia la sua spada non uscì dal fodero.
Egli emetteva grida di disperazione, e vedeva se stesso abbandonato dal suo seguito.
I vasi di buon auspicio, già pieni, erano rovesciati davanti alle sue porte.
Il brāhmaṇo Nārada lanciava maledizioni.
Il custode Ānandita emetteva grida di dolore.
La distesa dei cieli fu circondata dalle tenebre.
La dea della fortuna, Śrī, che dimora nel reame del desiderio, era sconsolata.
Egli vide che il suo grande potere non esisteva più.
I suoi alleati non erano più tali.
I suoi reticoli, con le loro gemme e le perle, erano stati fatti a pezzi, strappati, distrutti, caduti a terra.
Māra vide la sua dimora interamente scossa con forza.
Vide gli alberi recisi e le mura di cinta crollate.
Māra vide tutto il suo esercito sconfitto, a testa bassa.
Fu così, o Monaci, che il demone Pāpīyān fece un sogno sotto trentadue diverse forme. Si svegliò tremante, spaventato, radunò tutti coloro che dimoravano nel palazzo, insieme con la sua armata, il suo seguito, i comandanti dell’esercito e le guardie delle porte e dopo aver verificato che fossero tutti riuniti rivolse loro questi versi:
5. Il demone (Namuci), oppresso dalla tristezza per aver visto tutto questo in sogno, convocò i suoi figli insieme con il suo seguito e il demone che comandava l’esercito, chiamato Siṁhahanu. A tutti loro si rivolse l’alleato di Kṛṣṇa (il nero) [5]:
6. Oggi ho udito giungere dal cielo i versi di un canto secondo cui un essere dal corpo adorno dei segni maggiori, nato tra gli Śākya, è giunto presso l’albero del Risveglio dopo aver praticato per sei anni austerità terribili e difficili da portare a compimento. Dovete fare un grande sforzo!
 7. Se il Bodhisattva conseguirà egli stesso il Risveglio, potrà risvegliare centinaia di milioni di esseri. Egli svuoterà la mia dimora, e quando otterrà l’amṛta ed entrerà nella perfetta quiete in essa non rimarrà nulla.
8. Dunque, avanziamo con un grande esercito! Colpiremo il Monaco, che è solo ai piedi del re degli alberi. Mobilitate in fretta le quattro armate dell’esercito. Se desiderate compiacermi, agite velocemente!
9. Anche in un mondo pieno di Pratyekabuddha e di Arhat che giungono al Nirvāṇa la mia forza non verrebbe meno! Ma se costui diverrà il Vittorioso, il Re del Dharma, il lignaggio dei Vittoriosi, in numero incalcolabile, non sarà spezzato.
Allora, o Monaci, un figlio del demone, di nome Sārthavāha, così si rivolse al demone Pāpīyān:
10. Perché, padre, il tuo viso è triste e pallido? Perché il tuo cuore batte? Perché tutte le tue membra tremano? Cosa hai udito? Cosa hai visto? Presto, parla! Dopo aver riflettuto sapremo cosa sia meglio fare.
11. Il demone, messo da parte l’orgoglio, rispose: Ascolta, caro figlio. Ho visto in sogno cose terribili, assolutamente spaventose. Se vi raccontassi tutto, qui, senza omettere nulla, cadreste a terra svenuti.
Sārthavāha disse:
12. Se il momento della guerra è giunto, non vi è nulla di negativo nella vittoria, ma essere sconfitti è un male. Se hai visto in sogno simili presagi, allora può essere meglio attendere, per non essere umiliati in battaglia.
Māra replicò:
13. L’uomo con una mente determinata sarà vittorioso nel combattimento. Facendo affidamento sul coraggio, se agiremo nel giusto modo la vittoria sarà nostra. Quale potrà mai essere la forza di colui che vedendomi con il mio esercito non si alzerà per rendere omaggio con il capo ai miei piedi?
Sārthavāha ribatté:
14. Per quanto un esercito sia numeroso, se non è forte sarà vinto in battaglia anche da un solo potente eroe. Quandanche i tremila mondi fossero pieni di lucciole, un unico sole basterebbe per eclissarle e annichilirle.
E ancora:
15. Colui che a causa dell’orgoglio e della mancanza di senno e di lucidità agisce stoltamente non può essere ricondotto alla ragione [6].
Quindi, o Monaci, il demone Pāpīyān non seguì il consiglio di Sārthavāha e fece allestire il suo grande esercito composto da quattro armate di soldati, molto forte e coraggioso in battaglia, formidabile, da far rizzare i capelli sul capo, al punto che fino ad allora né gli dei né gli uomini ne avevano visto uno simile e nemmeno ne avevano sentito parlare. I soldati avevano la facoltà di cambiare i loro volti e di trasformarsi in milioni di modi; le mani, i piedi e i corpi erano avviluppati nelle spire di centomila serpenti; brandivano spade, archi, frecce, picche, mazze, asce, proiettili, martelli, bastoni, catene, clave, dischi, vajra; i corpi erano protetti da ottime corazze; alcuni avevano le teste, le mani, i piedi rivolti all’indietro; oppure le teste, gli occhi, i volti erano fiammeggianti; o gli addomi, i piedi, le mani erano deformi; i visi risplendevano di una luce spaventosa; altri visi e denti erano deformati; alcuni avevano canini enormi e  terrificanti; lingue spesse e penzolanti; lingue ruvide come stuoie; occhi rossi e splendenti come quelli del serpente nero che è pieno di veleno. Alcuni vomitavano serpenti velenosi, altri, dopo aver preso nelle loro mani i serpenti velenosi, li ingoiavano [7]. Alcuni, come dei Garuḍa [8], avevano afferrato in mare carne umana, sangue, mani, piedi, teste, fegato, visceri, mucchi di ossa, e li mangiavano. Alcuni avevano corpi fiammeggianti, lividi, neri, bluastri, rossi o gialli; altri avevano occhi deformati, infossati come pozzi, infuocati, strappati, storti; altri ancora possedevano occhi roteanti, scintillanti, orribili. Alcuni si avvicinavano spavaldi, recando nelle mani montagne incendiate, salendo su altre montagne in fiamme. Alcuni dopo aver strappato un albero con le sue radici correvano verso il Bodhisattva. Alcuni avevano orecchie di caprone, orecchie di maiale, orecchie di elefante, orecchie pendenti, orecchie di cinghiale. Altri non avevano orecchie. Alcuni avevano il ventre come una montagna, il corpo debole, simile ad un mucchio di ossa, il naso rotto; altri avevano il ventre come una giara, i piedi simili a crani, la pelle, la carne e il sangue disseccati; le orecchie, il naso, le mani, i piedi, gli occhi, la testa tagliati. Taluni, assetati di sangue, si tagliavano la testa l’un l’altro; alcuni, con voci roche, spezzate, alterate, spaventose, emettevano versi come: houm! houm! pitchout! houlu! houlu! [9] Alcuni gridavano: afferrate, afferrate! Colpite, colpite! Spezzate! Frantumate! Strappate! Annientate il monaco Gautama insieme con l’albero! È così che essi dicevano. Alcuni avevano musi di lupo, di sciacallo, di maiale, di asino, di bue, di elefante, di cavallo, di cammello, di bufalo, di onagro, di lepre, di yak, di rinoceronte, di Śarabha [10], aspetti deformi che incutevano terrore. Alcuni possedevano corpi simili a quello di un leone, di una tigre, di un orso, di una scimmia, di un leopardo, di un gatto, di un caprone, di un ariete, di un serpente, di una mangusta, di un pesce, di un makara [11], di un śiśumāra [12], di una tartaruga, di una cornacchia, di un avvoltoio, di un gufo, di un garuḍa… Alcuni avevano strane forme: una testa, due teste, fino a centomila teste; altri non avevano alcuna testa. Altri avevano da un solo braccio fino a centomila braccia; oppure non avevano nessun braccio. Alcuni avevano da uno a centomila piedi; altri non avevano piedi. Ad alcuni fuoriuscivano serpenti velenosi dalle orecchie, dalla bocca, dal naso, dagli occhi e dall’ombelico. Alcuni, brandendo spade, archi, frecce, lance, accette, asce, dischi, mazze di ferro, giavellotti, fulmini, proiettili infuocati, dardi, armi di ogni sorta, correvano minacciosi verso il Bodhisattva e gli danzavano intorno. Taluni avevano tagliato dita umane e ne avevano fatto collane che indossavano. Alcuni esibivano collane composte di ossa e teschi. Alcuni avevano il corpo ricoperto di serpenti velenosi. Alcuni recavano sul capo un teschio [13] e cavalcavano elefanti, cavalli, cammelli, asini, tori e bufali. Alcuni avevano la testa sotto e i piedi in alto. Alcuni avevano i capelli come aghi. Alcuni li avevano come peli di bue, di asino, di cinghiale, di mangusta, di caprone, di ariete, di Śarabha, di gatto, di scimmia, di lupo, di sciacallo; correndo contro il Bodhisattva, vomitavano serpenti velenosi, divoravano palle di ferro, sputavano fiamme, producevano una pioggia fiammeggiante di rame e di ferro, facevano scaturire una pioggia di fulmini, lanciavano saette, facevano cadere una pioggia di sabbie di ferro infuocate, ammassavano nuvole nere, producevano una fitta oscurità, emettevano suoni. Alcuni cercavano di spaventare il Bodhisattva roteando delle catene, precipitando alte montagne, agitando vasti mari, scalando grandi montagne, saltando e correndo verso il Meru, re dei monti; gettavano le loro membra da una parte all’altra, agitavano i loro corpi, sghignazzavano, si battevano il petto, percuotevano il corpo; scuotevano i capelli, con le teste in fiamme, i capelli dritti, correvano veloci da ogni parte con occhi di lupo.
Alcune anziane donne sconsolate si avvicinarono al Bodhisattva e gli dissero: Ah, figlio mio! Figlio mio, alzati! Presto, mettiti in salvo!
Delle forme femminili di Rākṣasa, di Piśācā, di Preta, prive di un occhio, zoppe, smagrite, tormentate dalla fame, con le braccia protese, il viso deformato, urlando spaventosamente, terrificanti, correvano contro il Bodhisattva. Tutto era ricoperto da quell’esercito di demoni riunitisi da ogni dove, che si estendeva per una distanza di ottanta yojana. Così come il singolo esercito di Māra, ugualmente da ogni lato e nell’aria tutto era riempito dalle armate dei demoni Pāpīyān, che a centinaia di milioni occupavano l’intero trichiliocosmo.
A questo proposito è detto:
16. Forme di Yakṣa, di Kumbhānda, di Mahoraga, di Preta e di Piśācā: tutte le forme più ripugnanti e spaventose che vi fossero nel mondo erano là, manifestate da quei malvagi.
17. Numerosi Yakṣa, con una testa, due, tre, fino a mille teste; con un braccio, due, tre, fino a mille braccia.
18. E molti altri, con un piede, due, tre, fino a mille piedi; con il volto blu e il corpo giallo, o col viso giallo e il corpo blu.
19. Avevano il volto di una specie e il corpo di un’altra. In tal modo si avvicinava l’intero esercito dei demoni. Esso faceva soffiare il vento e cadere la pioggia; i fulmini si susseguivano a centinaia di migliaia.
20. Un dio scatenò una tempesta, gli alberi caddero, ma neppure una foglia dell’albero del Risveglio si mosse. Un dio della pioggia fece diluviare, i torrenti strariparono sulla terra ricoperta dalle acque.
21. Su questi innumerevoli eventi spaventosi cadde la notte, durante la quale gli alberi inanimati caddero. A fronte di tutte quelle forme spaventose fino all’eccesso, di quelle figure deformi, terrificanti,
22. lo spirito di colui che reca i segni delle migliori qualità e dello splendore rimase imperturbabile, simile al monte Meru. Simili a illusioni, simili a sogni, simili a nubi: in questo modo egli guardò quei fenomeni. 
23. Riflettendo sulla reale essenza dei fenomeni [14], egli meditò mantenendo stabile la mente nel Dharma. Sorse in lui questo pensiero: poiché dico ‘io’, poiché dico ‘mio’, è per questo motivo che nasce negli esseri l’attaccamento all’esistenza e al corpo.
24. Solo l’ignorante che è attaccato al corpo può aver timore, solo così la paura potrebbe impadronirsi di me vedendo tutto questo. Ma il figlio degli Śākya sa che la propria esistenza è impermanente e che i fenomeni sono prodotti da cause e condizioni.
25. Poiché la sua mente è simile al vasto cielo, egli non è turbato dalla vista dell’ingannatore e di tutta la sua armata.
Così, o Monaci, tra quelle migliaia di figli del demone Pāpīyān coloro che erano dalla parte del Bodhisattva, con a capo il demone Sārthavāha, si schierarono alla destra. Coloro che erano dalla parte del demone Pāpīyān si schierarono sul lato sinistro. Allora il demone Pāpīyān così parlò ai suoi figli:
Con quale tipo di esercito potremo sottomettere il Bodhisattva?
Dal lato destro il figlio del demone, di nome Sārthavāha, rivolse al proprio padre questi versi:
26. Come uno che voglia svegliare il re dei serpenti che dorme, come uno che voglia svegliare il re degli elefanti che dorme, come uno che voglia svegliare il re degli animali che dorme: tale è colui che vuole distogliere il re degli uomini dalla sua pace.
Dal lato sinistro il figlio del demone di nome Durmati così parlò:
27. Alla mia vista si schiantano i cuori di tutti gli uomini, come pure quelli dei grandi alberi che possiedono molta linfa. Se costui fosse colpito dalla mia vista così come se fosse colpito dalla morte, quale potere dovrebbe possedere per continuare a vivere nel mondo?
Da destra colui il cui nome è Madhuranirghoṣa obiettò:
28. Tu dici: la linfa che si trova qui negli alberi, la spezzo guardandoli. La stessa cosa avviene con gli uomini. Ma quandanche tu potessi spaccare il monte Meru con il solo sguardo, davanti a costui i tuoi occhi non si aprirebbero nemmeno!
E ancora:
29. Nessun uomo vorrebbe attraversare il mare usando le braccia o berne le acque; ma quandanche fosse possibile, io dico che guardare il viso di costui sarebbe molto più difficile!
Da sinistra colui il cui nome è Śatabāhu disse:
30. Il mio corpo possiede cento braccia ed io lancerò cento frecce in un sol colpo. Spezzerò il corpo di questo Monaco, padre mio. Sii sereno e va’ senza indugiare!
Da destra Subuddhi replicò:
31. Tu possiedi cento braccia, ma quale differenza c’è tra cento braccia e cento peli, quando non puoi fare nulla contro di lui anche lanciando con le tue cento braccia altrettante frecce?
Perché questo?
32. Perché nel corpo del Saggio a causa del suo amore non possono penetrare né veleni né frecce. I dardi scagliati si trasformano in fiori per colui che ha conseguito la pace che trascende il mondo.
E ancora:
33. Nel cielo e sulla terra e nelle acque, coloro che, pieni di vigore, siano essi Guhyaka o uomini, brandendo la spada e l’ascia si avvicinano al Maestro degli uomini che possiede il potere della pazienza, costoro, i più forti tra i forti, tutti perdono le forze.
A sinistra Ugratejā disse:
34. Io entrerò in lui e dopo essere entrato brucerò il suo corpo, così come l’incendio delle foresta brucia un albero secco con il tronco e tutte le sue più piccole parti.
A destra Sonetra ribatté:
35. Anche se tu potessi bruciare il Meru e la terra intera penetrandovi, costui non potrebbe essere bruciato nemmeno da tanti tuoi simili quanti sono i granelli di sabbia della Gaṅgā, poiché la sua mente è come il diamante.
E inoltre:
36. È possibile che tutte le montagne crollino, che il grande oceano si prosciughi, che il sole e la luna precipitino sulla terra e che la terra stessa si dissolva,
37. ma colui che ha assunto il compito di aiutare gli esseri e si è impegnato nell’adempimento del suo voto non si alzerà dai piedi del grande albero senza aver conseguito il supremo Risveglio!
A sinistra Dīrghabāhugarvita affermò:
38. Io posso, rimanendo qui con te, sbriciolare con la mia mano il sole, la luna e le stelle.
39. Io posso, come un gioco, prendere le acque dei quattro oceani. O padre, dopo aver afferrato il Monaco lo sceglierò dall’altra parte dell’oceano!
40. Che questo esercito si tenga pronto, o padre, e non tormentarti nella tristezza. Dopo averlo fatto a pezzi insieme con l’albero del Risveglio getterò entrambi nelle dieci direzioni dello spazio!
A destra Prasādapratilabdha replicò:
41. Gonfio di orgoglio, potresti ridurre in polvere con le tue mani la terra con tutti gli dei, gli Asura e i Gandharva,
42. ma migliaia di esseri pari a te, tanti quanti sono i granelli di sabbia della Gaṅgā, non potrebbero smuovere un solo capello del Bodhisattva!
A sinistra Bhayaṃkara esclamò:
43. O padre, da dove giunge questa grande paura, per te che dimori nel mezzo di un esercito? Costui non ha esercito, e dove sono i suoi alleati? Perché hai paura di lui?
A destra Ekāgramati obiettò:
44. Nell’universo non esistono eserciti di lune o di soli, né di Cakravartin [15], né di leoni. Non vi è qui un esercito di Bodhisattva, eppure lui da solo è capace di sconfiggere Namuci.
A sinistra Avatāraprekṣin disse:
45. Non vi sono qui lance, picche, mazze, spade; nemmeno elefanti, cavalli, carri o soldati. Quel coraggioso Bodhisattva siede del tutto solo, ed io lo ucciderò. Non avere alcun timore, padre.
A destra Puṅyālaṃkrīta replicò:
46. Il suo corpo, come quello di Nārāyaṇa, non può essere spezzato né distrutto; munito della forza della pazienza, brandendo la solida spada dell’eroismo, conducendo il triplice veicolo della completa liberazione, imbracciando l’arco della conoscenza, o padre, egli sconfiggerà l’esercito del demone grazie al potere dei meriti.
A sinistra Anivartin affermò:
47. Il fuoco della foresta non evita l’erba, la freccia scagliata da un abile (arciere) non si può fermare, il fulmine che cade dal cielo non devia. Non vi sarà riposo per me fino a quando non avrò vinto il figlio degli Śākya.
A destra Dharmakāma ribatté:
48. Se incontra dell’erba bagnata il fuoco si ritira; se colpisce la vetta di una montagna la freccia rimbalza; quando incontra il terreno il fulmine vi affonda. Costui non arretrerà prima di aver ottenuto l’amṛta che reca la pace.
49. Per quale motivo? Perché, o padre, si potrebbero disegnare delle immagini nell’aria, unificare le menti di tutti gli esseri quali che siano, si potrebbero legare la luna, il sole e il vento con un laccio, ma non è possibile allontanare il Bodhisattva dal Bodhimaṇḍa.
A sinistra Anupaśānta disse:
50. Con il potente veleno del mio sguardo posso bruciare il monte Meru e ridurre in cenere l’acqua dei grandi oceani. Osserva in che modo oggi stesso, con il mio sguardo, incenerirò l’albero del Risveglio e lo Śramaṇa.
A destra Siddhārtha replicò:
51. Se il grande trichiliocosmo fosse riempito di veleno ed interamente incendiato, grazie ad un solo sguardo di colui che è ricolmo di qualità il veleno perderebbe ogni suo potere venefico. Quel terribile veleno che qui nel trimundio è costituito da attaccamento, avversione e ignoranza non è presente nel suo corpo né nella sua mente, così come in cielo non esistono fango né polvere.
52. Il suo corpo, la sua parola e il suo pensiero sono perfettamente puri; il suo spirito è ricolmo di compassione per tutti gli esseri; né armi né veleni possono ferirlo. Quindi, o padre, ritorniamo tutti indietro!
A sinistra, colui che è chiamato Ratilola disse:
53. Quanto a me, con i suoni di mille strumenti, con centomila Apsarā bene adornate, risvegliando il suo desiderio io lo condurrò nella più bella delle dimore e lo metterò sotto il tuo controllo, vinto dal desiderio.
A destra Dharmarati rispose:
54. Il piacere di costui consiste nel dimorare nel Dharma, nella meditazione, nella ricerca dell’amṛta, nella pace interiore, nell’aiutare gli esseri a liberarsi: egli non si diletta nel piacere delle passioni!
A sinistra colui il cui nome è Vātajava affermò:
55. Grazie alla mia velocità io posso afferrare la luna, il sole e il vento che soffia nel cielo. Oggi stesso, o padre, dopo aver preso il Monaco lo ridurrò in briciole, così come il vento disperde una manciata di erba secca.
A destra, il figlio del demone di nome Acalamati controbatté:
56. Anche se gli dei e gli uomini fossero veloci come te, nemmeno tutti insieme sarebbero in grado di fare del male a questo essere senza pari.
A sinistra Brahmamati esclamò:
57. Anche se ci fosse qui una grande schiera di esseri, non potrebbe scalfire il tuo orgoglio! E lui, da solo, cosa potrebbe fare? Ogni impresa ha successo solo grazie all’azione del gruppo.
A destra Siṃhamati ribatté:
58. Non si è mai visto sulla terra un esercito di leoni; nemmeno esiste uno schieramento di esseri dallo sguardo velenoso. Non esiste un esercito di esseri gloriosi, di vittoriosi grazie alla verità, di uomini eminenti.
A sinistra Sarvacaṇḍāla disse:
59. Non hai ascoltato dunque le parole infiammate che i tuoi figli hanno pronunciato per te? Con coraggio, impeto e forza, andiamo presto ad uccidere il Monaco!
A destra Siṃhanādin rispose:
60. Nella foresta, quando il leone non è presente molti sciacalli fanno udire i loro versi; ma quando sentono il terribile ruggito del leone fuggono spaventati nelle dieci direzioni dello spazio.
61. Nello stesso modo questi ignoranti figli di Māra quando non sentono la voce del migliore degli uomini gridano pieni d’orgoglio. Ma quando il leone degli uomini parla, scompaiono!
A sinistra Duścintitacintin disse:
62. Tutto ciò che desidero si sta rapidamente compiendo. Perché dunque costui non ci vede? È un folle che non comprende nulla. Perché non si alza e non fugge via velocemente?
A destra Sucintitārtha rispose:
63. Egli non è né folle né debole, voi siete invece privi di senno e di attenzione. Voi non conoscete le sue virtù eroiche. Grazie al potere della sua saggezza sarete tutti sconfitti!
64. Anche se i figli del demone fossero tanti quanti i granelli di sabbia della Gaṅgā, e anche se tutti avessero un coraggio pari al suo, non sarebbero in gradi di smuovere uno solo dei suoi capelli. A maggior ragione ciò vale per chi potrebbe pensare: Io lo ucciderò.
65. Non pensate quindi di recargli danno. Mantenete la mente in pace e abbiate rispetto; ritiratevi senza combattere; qui, nel trimundio, egli diverrà re.
Come si è detto, tutti i figli del demone, in numero di mille, sia quelli del lato bianco sia quelli del lato nero [16], ad uno alla volta indirizzarono dei versi al demone Pāpīyān.
Quindi, uno dei capi dell’esercito di Pāpīyān, di nome Bhadrasena, si rivolse al demone Pāpīyān con questi gāthā:
66. Tutti coloro che hanno marciato al tuo seguito, Śakra, i Guardiani del Mondo, le schiere dei Kinnara, i capi degli Asura, i capi dei Garuḍa, tutti si inchinano a mani giunte di fronte a lui.
67. A maggior ragione, coloro che non hanno camminato al tuo seguito, i figli degli dei Brahmābhasvara e gli Śuddhāvāsakāyika, anch’essi si inchinano davanti a lui.
68. E qui, quelli tra i tuoi figli che sono saggi, intelligenti e valorosi si uniscono con cuore sincero al Bodhisattva e lo onorano.
69. E questo esercito di demoni, Yakṣa e altri esseri, che si estende per ottanta yojana, egli lo osserva per intero con mente perfettamente tranquilla, poiché è privo di oscurazioni.
70. E pur avendo visto quanto questa armata sia temibile, terrificante, mostruosa, spaventosa, egli non è né stupito né scosso. Oggi la vittoria spetterà certamente a lui!
71. Ovunque si trovi questo esercito i gufi e gli sciacalli fanno udire le loro grida; quando il corvo e l’asino fanno sentire le loro voci, è bene ritirarsi velocemente.
72. Guarda il luogo del Risveglio! I chiurli, i cigni, i cuculi e i pavoni girano tre volte intorno a lui offrendogli il fianco destro. Oggi la vittoria spetterà certamente a lui!
73. Ovunque si trovi questo esercito piovono caligine e polvere; sul Mahimaṇḍa [17], al contrario, piovono fiori. Fa’ ciò che dico, ritirati!
74. Ovunque si trovi questo esercito il terreno è irregolare, accidentato e pieno di spine; Mahimaṇḍa è come l’oro, senza impurità. È bene che i saggi si ritirino.
75. Ciò che hai già visto in sogno diventerà realtà, se non te ne vai. Egli ridurrà l’esercito in cenere, come taluni paesi sono inceneriti dai Ṛṣi.
76. Durante il suo regale cammino, il grande Ṛṣi fu irritato dal re Brahmadatta; allora bruciò la foresta di Daṇḍaka, e per molti anni non vi crebbe più l’erba.
77. Quali che siano nel mondo intero i Ṛṣi che seguono rettamente la disciplina, che adempiono ai loro voti e sono dediti alle pratiche di austerità, tra tutti egli è il supremo, poiché realmente non nuoce alcun essere senziente.
78. Non hai mai sentito dire che colui il cui corpo reca gli splendidi segni maggiori, colui che rinuncia alla famiglia, sarà un Buddha, vincitore delle afflizioni mentali?
79. Proprio per prepararsi a rendergli omaggio i figli dei Vittoriosi hanno manifestato un tale sfarzo. Oggi il migliore degli esseri riceverà questa offerta, la migliore tra tutte.
80. Poiché l’ūrṇā [18] perfettamente pura illumina dozzine di milioni di regni, noi saremo certamente eclissati, ahimè! Egli sarà certamente il distruttore dell’esercito dei demoni.
81. Poiché il suo volto non può essere guardato nemmeno dagli dei che dimorano sulla vetta dell’universo [19], certamente egli conseguirà l’onniscienza senza essere istruito dagli altri.
82. Poiché il monte Meru, i Cakravāla, il sole, la luna, Indra, Brahmā e gli alberi, come pure le più alte montagne, tutti si inchinano davanti al Mahimaṇḍa,
83. senza alcun dubbio colui che possiede la forza dei meriti, la forza della saggezza, la forza della conoscenza, la forza della pazienza e la forza della virtù eroica renderà impotenti gli alleati del demone.
84. Come un elefante frantuma un vaso di argilla, un leone [atterra] uno sciacallo, il sole [oscura] una lucciola, così il Sugata distruggerà questa armata.
Avendo udito questo discorso un altro figlio del demone, con gli occhi accesi per la collera, esclamò:
85. Solo tu pronunci questi grandi elogi così esagerati nei confronti di costui. Ma da solo cosa è capace di fare? Non vedi forse questo grande esercito?
Allora, da destra, un figlio del demone, di nome Mārapramardaka, ribatté:
86. Nel mondo non vi è bisogno che il sole abbia un aiuto, e nemmeno la luna, un leone o un Monarca Universale. Il Bodhisattva, perfettamente seduto e stabile nel Risveglio, non ha bisogno di alcun aiuto.
Intanto il Bodhisattva al fine di indebolire la forza del demone rivolse verso di lui il viso, simile ad un loto dai cento petali dischiuso. Vedendolo, il demone fuggì. Scappando disse: Il mio esercito terrà testa al Bodhisattva. E, tornato indietro con le sue schiere, scagliò contro il Bodhisattva molte armi, e montagne simili al Meru, le quali, una volta lanciate, si trasformarono in baldacchini di fiori e carri celestiali. Lanciarono veleno dagli occhi, i veleni dei serpenti, e veleno con il respiro, e lingue di fuoco. Ma il cerchio di fuoco si fermò, e divenne un’aura di luce intorno al Bodhisattva.
A quel punto, il Bodhisattva si toccò la fronte con la mano destra, e il demone lo vide. Il Bodhisattva impugna una spada – si disse, e fuggì verso sud. Poi, pensando: Non c’è nessuno, nuovamente ritornò e scagliò contro il Bodhisattva terribili armi di ogni sorta: spade, archi e frecce, lance, giavellotti, asce, pietre, frecce infuocate, magli, fulmini, mazze, dischi, martelli, alberi sradicati, rocce, catene, palle di ferro: ma non appena lanciate esse si trasformarono in corone di fiori e baldacchini fioriti. Divenute fiori freschi, si sparsero sul terreno o, in forma di ghirlande, rimasero sospese all’albero del Risveglio quali ornamenti. Alla vista della bellezza degli ornamenti che si erano manifestati per il Bodhisattva, il demone Pāpīyān, divorato dall’ira e dall’invidia, disse al Bodhisattva: Alzati, alzati, figlio di re. Gioisci della tua regalità. Qual è il merito grazie al quale hai ottenuto la liberazione?
Allora il Bodhisattva con voce ferma, profonda, solenne, dolce e piacevole così rispose al demone: O Pāpīyān, grazie ad un unico dono illimitato tu hai ottenuto il reame del desiderio; ma io ho elargito centinaia di milioni di doni illimitati, con i quali, dopo averli tagliati, ho offerto a coloro che li desideravano ardentemente le mie mani, i miei piedi, i miei occhi e la mia testa; a coloro che li chiedevano ho donato palazzi, ricchezze, cibo, letti, abiti, giardini e terreni, poiché desideravo con forza la liberazione degli esseri senzienti.
Quindi il demone Pāpīyān indirizzò questi gāthā al Bodhisattva:
87. In una mia precedente esistenza ho fatto un dono illimitato ed impeccabile, e tu stesso ne fosti testimone. Ma qui nessuno può testimoniare a tuo favore, e quindi tu sei sconfitto!
Il Bodhisattva rispose: La terra, madre degli esseri senzienti, è il mio testimone.
Poi il Bodhisattva, dopo aver abbracciato il demone e le sue schiere con un pensiero generato dall’amore e dalla compassione, come un leone, senza timore, senza paura, senza terrore, senza debolezza, senza prostrazione, senza turbamento, senza agitazione, senza che lo spavento facesse rizzare i suoi capelli, fece scivolare su tutto il corpo la mano destra – che recava sul palmo le immagini di una conchiglia, di uno stendardo, di un pesce, di un vaso, di uno Svastika, di un uncino di ferro e di un disco; le cui dita sono unite da una membrana; che possiede splendide unghie del colore del rame; che è morbida, liscia, perfettamente giovane; che nel corso di infiniti eoni ha accumulato innumerevoli radici di azioni virtuose – con quella mano delicatamente colpì la terra e nello stesso momento pronunciò questi versi:
88. Questa terra, dimora di tutti gli esseri, è imparziale ed equanime nei confronti di tutto ciò che si muove o è immobile. Essa è garante che da parte mia non vi è alcunché di menzognero. Accettala come mia testimone.
Non appena fu toccata dal Bodhisattva la grande terra tremò in sei modi: vibrò, vibrò profondamente per ogni dove; risuonò, risuonò profondamente per ogni dove. Come ad esempio vibra e risuona un vaso di bronzo del reame di Magadha colpito con un bastone, nello stesso modo la grande terra vibrò e risuonò a lungo non appena fu toccata dalla mano del Bodhisattva.
Allora, in quel luogo nel grande trichiliocosmo, la grande dea della terra chiamata Sthāvarā, circondata da un seguito di un miliardo di divinità della terra, fece scuotere tutto il mondo. Poi, non lontano dal Bodhisattva, manifestò la metà superiore del corpo ricoperto di tutti i suoi ornamenti e inchinatasi a mani giunte così si rivolse al Bodhisattva: Ben detto, Grande Essere, è proprio come tu dici! Noi compariamo qui per confermarlo. Ma c’è di più, o Beato, tu stesso sei divenuto il testimone supremo del mondo e di tutti gli dei.
Con le sue parole la grande dea della terra vanificò completamente i piani del demone, poi, dopo aver onorato e lodato il Bodhisattva e manifestato in molti modi i propri poteri, scomparve da quel luogo insieme con il suo seguito.
89. Avendo ascoltato le parole della terra, il Malvagio e le sue schiere fuggirono via spaventati e scoraggiati. Si dispersero tutti all’improvviso, come gli sciacalli nelle foreste quando odono il ruggito del leone, o come le cornacchie quando una pietra rotola giù.
A quel punto il demone Pāpīyān era triste, angustiato, abbattuto, ferito nell’amor proprio. Ma dominato dall’orgoglio non se ne andò, non si ritirò, non scappò. Si fermò, rivolgendosi all’esercito che lo seguiva, e disse queste parole: Tutti voi, che siete qui riuniti, fermatevi per qualche tempo, fino a che non sapremo se costui possa essere scosso. In verità, non si può far sì che tale gioiello degli esseri venga distrutto in maniera sconsiderata!
Allora il demone Pāpīyān disse alle sue figlie: Voi, mie giovani figlie, andate, recatevi presso il Bodhimaṇḍa ed esaminate il Bodhisattva: egli ha desideri oppure è libero dai desideri? È un folle o un sapiente? È cieco o conosce bene tutto ciò che lo circonda? Ha degli alleati? È debole o è forte?
Udite queste parole, le Apsarā si avvicinarono al luogo del Risveglio e fermatesi di fronte al Bodhisattva gli manifestarono le trentadue forme della seduzione femminile. Quali sono le trentadue forme? Eccole:
Alcune tenevano il viso velato a metà.
Alcune mostravano i seni sodi e rotondi.
Alcune, sorridendo un poco, mostravano la loro dentatura.
Alcune, allungando le braccia verso l’alto, rivelavano le ascelle. 
Alcune mostravano le labbra, rosse come il frutto del Bimba.
Alcune guardavano il Bodhisattva con gli occhi semiaperti e poi, svelte, li richiudevano.
Alcune mostravano i seni coperti a metà.
Alcune, con le vesti abbassate, rivelavano i fianchi.
Alcune indossavano veli trasparenti che lasciavano intravvedere i fianchi.
Alcune facevano tintinnare le cavigliere.
Alcune esibivano i seni adorni di collane.
Alcune mostravano le cosce seminude.
Alcune tenevano sulle spalle o sulla testa passerotti, pappagalli e ghiandaie.
Alcune osservavano lateralmente il Bodhisattva con sguardi seducenti
Alcune indossavano belle vesti, ma le indossavano come fossero brutte.
Alcune facevano ondeggiare le cinture sui fianchi.
Alcune andavano da una parte all’altra per gioco, come fossero spaventate.
Alcune si mostravano timide [20].
Alcune muovevano le cosce come palme mosse dal vento.
Alcune sospiravano profondamente.
Alcune passeggiavano muovendo gli abiti di tessuti trasparenti e le cinture adorne di campanelle [21].
Alcune lasciavano cadere a terra le vesti e i gioielli.
Alcune mettevano in mostra tutti i loro splendidi gioielli, sia quelli in vista sia quelli nascosti [22].
Alcune mostravano le braccia cosparse di unguenti profumati.
Alcune esibivano gli orecchini spruzzati di essenze profumate.
Alcune, con il corpo ricoperto dal velo, velavano anche il viso, poi improvvisamente lo mostravano scoperto.
Alcune si richiamavano l’un l’altra con le risate, i giochi e le facezie, poi si fermavano, come se si vergognassero.
Alcune mostravano forme di giovani fanciulle.
Altre, le forme di giovani donne che non hanno mai avuto figli.
Altre, le forme di donne mature.
Alcune, ricolme di desiderio, cercavano di attirare l’attenzione del Bodhisattva.
Altre spargevano fiori freschi sul Bodhisattva [23].
Esse, rimanendo di fronte a lui, cercavano di indovinare i suoi pensieri e scrutavano il suo viso. “Guarda, i suoi sensi sono eccitati oppure il suo sguardo vaga lontano? È eccitato, sì o no?”. Così parlando, esse osservavano il viso puro ed immacolato del Bodhisattva, simile alla luna piena quando si libera di Rāhu [24], simile al sole che sorge, simile al pilastro d’oro del sacrificio, simile al loto dai cento petali appena dischiuso, simile al fuoco sacrificale cosparso di burro chiarificato, stabile come il monte Meru, elevato come i monti Cakravāla, con i sensi perfettamente custoditi, con la mente perfettamente doma come un elefante.
Quindi, per cercare di suscitare i desideri del Bodhisattva, le figlie del demone gli rivolsero questi versi:
90. La primavera è giunta, la più bella delle stagioni, durante la quale gli alberi sono in fiore: amico, godiamone. Il tuo corpo è un bel corpo molto attraente, ben adorno dei segni di buon auspicio di un Sovrano Universale.
91. Siamo nate perfette, di bell’aspetto, per dare piacere agli dei e agli uomini: è per questo fine che noi esistiamo. Alzati in fretta, godi del fiore della giovinezza; il supremo Risveglio è difficile da conseguire, volgi altrove la tua mente [25].
92. Guarda queste femmine divine ben ornate, giunte qui per te, perfettamente vestite e ingioiellate. Quale uomo dopo aver visto una tale bellezza non cederebbe alla passione, non sarebbe trascinato da desiderio, foss’anche secco come un albero in decomposizione?
93. I nostri capelli di seta sono cosparsi dei profumi più soavi, grazie ai diademi e agli orecchini i nostri visi sono come fiori sbocciati, le fronti sono graziose, i volti perfettamente truccati, gli occhi splendenti e grandi, come i petali del loto appena dischiuso.
94. I nostri visi sono come la luna piena, le labbra sono simili al frutto maturo dell’albero Bimba; abbiamo denti perfetti, bianchi come conchiglie, il gelsomino e la neve. Guardaci: siamo voluttuose e non desideriamo che il piacere.
95. Guarda, o Signore, i nostri seni sodi, pieni e rotondi; le tre pieghe conturbanti sulla vita, i fianchi ampi e dalle curve sinuose; siamo davvero molto eccitanti!
96. Le nostre cosce sono come la proboscide dell’elefante; le braccia sono interamente ricoperte di bracciali, i fianchi sono ornati di splendide catenelle. Guardaci, Signore, siamo le tue servitrici.
97. Abbiamo il portamento del cigno e ci muoviamo lentamente; parliamo con grazia il linguaggio dell’amore che va dritto al cuore; di così grande bellezza e così bene adorne, siamo molto esperte nei piaceri divini.
98. Siamo molto brave nel cantare, nel suonare e nel danzare; siamo nate per dare piacere, i nostri corpi sono bellissimi. Se tu respingi noi che siamo ardenti di desiderio, commetti veramente un grande errore in questo mondo.
99. Come un uomo che dopo aver scoperto un tesoro fuggisse via, ignorando – il folle! – la gioia della ricchezza, nello stesso modo tu, non conoscendo il desiderio, non prendi piacere con queste fanciulle appassionate, venute qui di loro volontà!
Allora, o Monaci, il Bodhisattva senza batter ciglio, con il viso sorridente, i sensi perfettamente calmi, il corpo tranquillo e puro, privo di passioni, di lussuria, di rabbia, stabile come il re dei monti, non prostrato né debole né inquieto, perfettamente consapevole, sereno e imperturbabile grazie al potere della saggezza, avendo completamente abbandonato ogni afflizione mentale, con voce dolce, gradevole, più della voce di Brahmā, simile al canto del kalabiṅka, piacevole, amorevole, rispose alle figlie del demone con questi gāthā:     
100. Ahimè! I desideri arrecano molte sofferenze, essi sono le radici del dolore che distruggono la concentrazione, i poteri sovrannaturali e le pratiche ascetiche di coloro che non possiedono la saggezza. I savi hanno detto che non vi è sazietà nel desiderio nei confronti delle donne. Grazie alla saggezza genererò soddisfazione per coloro che sono ignoranti.
101. Per colui che nutre i desideri la sete aumenta senza sosta, come per un uomo che abbia bevuto acqua salata. Colui che vi si dedica non è di aiuto né per se stesso né per gli altri. Ma il mio più grande desiderio è di essere di aiuto a me stesso e agli altri.
102. Il vostro corpo è proprio come schiuma, come bolle nell’acqua; come colori che appaiono e scompaiono a volontà, perché creati con la magia. Come il piacere in un sogno, è impermanente è non durevole; nella mente degli ignoranti privi di saggezza dimora sempre l’illusione.
103. Gli occhi sono del tutto simili a bolle d’acqua racchiuse in una membrana, come una vescica tonda e gonfia di sangue rappreso. Il ventre è un ricettacolo impuro e sgradevole di urina ed escrementi. Questo meccanismo di sofferenza è il frutto delle afflizioni e del karma.
104. Le menti infantili – ma non i saggi – percepiscono erroneamente il corpo come bello, così ruotano per molto tempo nei mondi della trasmigrazione, fonte del dolore, e sperimentano tra gli esseri infernali sensazioni che causano molte sofferenze.
105. Dall’inguine fuoriescono odori pessimi e sgradevoli; le cosce, le gambe e i piedi stanno insieme come un macchinario; ciò che io vedo in voi è un’illusione: siete state ingannevolmente generate da cause e condizioni.
106. Avendo visto che i piaceri sono privi di qualità, sono spogli di ogni qualità, distolgono dal venerabile sentiero della saggezza, sono falsi, sono come piante velenose, come il fuoco, come grossi serpenti inferociti – allorquando gli ignoranti li chiamano felicità perdono il senno.
107. L’uomo che è schiavo del desiderio nei confronti delle donne si allontana dal sentiero della disciplina, esce dalla via della contemplazione, privo di buon senso dimora molto lontano dalla saggezza; divorato dalla passione, dopo aver abbandonato la gioia del Dharma non trova gioia nei piaceri.
108. Io non dimoro nel desiderio né nell’avversione; non permango con ciò che è gradevole [26], né con ciò che è piacevole o spiacevole. La mia mente è completamente libera, come il vento nel cielo.
109. Anche se il mondo fosse interamente abitato da esseri simili a voi, io potrei rimanere tra voi per un eone senza che in me nascessero avversione, attaccamento o ignoranza: la mente dei Vittoriosi è stabile, simile al cielo.
110. Benché gli dei e le Apsarā, che non hanno sangue né ossa, siano puri e di grande bellezza, tuttavia vivono tutti nella paura, poiché sono impermanenti e non sono eterni.
Allora le figlie di Māra, molto esperte negli inganni femminili, spinte da lussuria, collera e orgoglio ancora più forti, manifestarono un’ardente passione, mostrarono i loro corpi abbelliti con grande cura e cercarono di suscitare il desiderio nel Bodhisattva utilizzando l’arte della seduzione femminile.
A questo proposito è detto:
111. Le più seducenti tra le dee, Tṛṣṇā, Rati e Arati [27], inviate dal demone, giunsero in fretta, esibendo la loro bellezza. Come fusti flessibili di giovani piante agitate dal vento insieme con le loro foglie, esse danzavano e cercavano di sedurre il figlio del re che dimorava presso l’albero (del Risveglio).
112. Ecco, era arrivato il momento della più bella, della più incantevole tra le stagioni, la primavera, che dà gioia alle donne e agli uomini, che disperde l’oscurità e la polvere; durante la quale si ode il canto dei cuculi, dei cigni e dei pavoni e stormi di uccelli riempiono l’aria. Era giunto il momento di gustare le gioie del piacere.
113. Colui che nel corso di mille eoni si era immerso nella pura disciplina, adempiendo ai suoi voti e dedicandosi alle pratiche ascetiche, incrollabile come il re dei monti, il cui corpo era simile al sole che sorge, la cui voce era come il cielo in tempesta, la cui parola era gradevole, era come il ruggito del leone; colui che veniva in aiuto degli esseri senzienti, pronunciò a quel punto un profondo discorso.
114. I desideri, le ostilità, le avversioni, l’ira, che generano il timore della morte, sono alimentati dagli ignoranti, ma sono costantemente evitati dai saggi. È giunto il momento in cui il Sugata [28] conseguirà il nettare dell’immortalità.
115. Oggi, dopo aver sconfitto il demone, egli diverrà un Arhat, dotato dei dieci poteri [29].
Le dee, esibendo le loro arti magiche, dissero: Ascolta, tu, dal viso come un loto. Tu sarai re, il più grande dei sovrani, potente padrone della terra.
116. Ma quando uno stuolo di splendide dee farà risuonare mille strumenti musicali, a cosa ti servirà la veste di un saggio? Abbandonala, godi del piacere!
Il Bodhisattva replicò:
117. Sì, io diverrò re, degno di onori nel trimundio, nei cieli e sulla terra. Potente signore, in possesso dei dieci poteri, camminerò con la ruota del Dharma, venerato in ogni luogo e in ogni tempo da milioni di figli di coloro che sono o non sono miei discepoli, godrò delle gioie del Dharma; la mia mente non prova piacere negli oggetti dei sensi.
Esse dissero:
118. Dal momento che la tua giovinezza non è ancora trascorsa e tu ti trovi nella prima parte della vita; poiché né la malattia né la vecchiaia ti affliggono; poiché tu possiedi bellezza e giovinezza e noi ti siamo amiche, gusta le gioie del piacere con volto sorridente.
Il Bodhisattva rispose:
119. Fino a quando non avrò conseguito la pace perfetta che è imperitura; fino a quando non avrò abbandonato le sofferenze e le afflizioni nei reami degli dei e degli Asura; fino a quando malattia e morte, nostre nemiche, non mi assaliranno, io percorrerò il supremo Sentiero che conduce alla città dove non esiste timore [30].
Esse dissero:
120. Nella dimora degli dei, circondato dalle Apsarā, come il signore dei Tridaśa, come Yama, come Suyāma, come Santuṣita, lodato dai migliori tra gli immortali, e nel reame di Māra, affascinato dal potere delle donne, gusta le gioie del desiderio giocando insieme con noi e provando un sommo piacere!   
Il Bodhisattva rispose:
121. I desideri sono effimeri come la goccia di rugiada sulla punta dell’erba; sono simili alle nuvole autunnali; come la rabbia di una figlia di un Nāga, producono grande timore. Śakra e il re degli dei Suyāma e degli dei Tuṣita sono caduti sotto l’influenza di Namuci. Chi dunque può rallegrarsi in questo stato, che non è desiderato dai saggi e che è ricolmo di sofferenza?
Esse dissero:
122. Guarda questi alberi in fiore, tra tutti i più belli, con i loro teneri rami tra i quali cantano cuculi e fagiani e ronzano le api. Sulla terra dove è spuntata erba verde, morbida, tenera e fitta, e nel bosco frequentato dai Kinnara, abbandonati al piacere con queste belle fanciulle!
Il Bodhisattva replicò:
123. È grazie al potere del tempo che questi teneri rametti sono fioriti; le api si avvicinano ai fiori perché soffrono a causa della fame. Poiché il sole farà seccare tutto ciò che è nato sul terreno, certamente otterrò il nettare dell’immortalità, già gustato dai Vittoriosi del passato.
Le figlie del demone dissero:
124. Tu, dal viso simile alla luna [31], guardaci, noi che abbiamo un volto come il loto appena dischiuso. Le nostre voci sono dolci e toccano il cuore, i nostri denti sono candidi come la neve e l’argento. Esseri simili sono difficili da trovare perfino nel reame degli dei, ma tu potresti avere nel reame degli uomini coloro che sono costantemente oggetto di desiderio da parte dei più nobili tra gli dei.
Il Bodhisattva rispose:
125. Io vedo il corpo come sporco e impuro, pieno di masse di vermi, materia che deperisce, fragile, avviluppato nelle sofferenze. Io conseguirò uno stato imperituro, venerato dai saggi, che genera la felicità ultima per gli esseri animati e inanimati.
126. Dopo aver mostrato le sessantaquattro magie del desiderio, esse fecero risuonare le loro cinture e le cavigliere sulle gambe; con le vesti scomposte, ebbre di desiderio, i visi sorridenti, gli chiesero quale errore avessero commesso nei suoi confronti, al punto da disprezzarle.
Il Bodhisattva rispose:
127. In tutti gli esseri è insita l’imperfezione: colui che ha abbandonato la passione ne è consapevole. I desideri sono simili a spade, a frecce, a picche; sono come un rasoio ricoperto di miele; come la testa di un serpente, o un pozzo di fuoco; questo è ciò che ho realizzato. Ho abbandonato la compagnia delle donne, il cui effetto è quello di travolgere.
128. Esse, con le loro centinaia di migliaia di arti seduttive, non riuscirono a sedurre il re dei Sugata, la cui andatura è come quella di un giovane elefante. Vergognandosi, in quello stesso luogo si prosternarono ai piedi del Muni; mostrando rispetto, con gioia e dolcezza rivolsero lodi al Benefattore (degli esseri senzienti).
129. Tu, che sei come il calice immacolato del loto, il tuo volto è simile alla luna d’autunno, il tuo splendore è pari alla fiamma del fuoco sacrificale o a quello di una montagna d’oro. Tu, che hai attraversato centinaia di esistenze: che i tuoi voti e le tue preghiere si realizzino. Libera te stesso, come pure questo universo avviluppato nella sofferenza!
130. Esse, dopo aver reso omaggio in molti modi a colui che è simile al karṇikāra e al champaca [32] e aver girato tre volte offrendo il lato destro intorno a colui che è incrollabile come una montagna, ritornarono, salutarono il padre inchinandosi ai suoi piedi e gli dissero queste parole: O padre, il maestro degli dei e degli uomini non prova né paura né rabbia.
131. Egli osserva con viso sorridente, con occhi simili ai petali del loto; non guarda gli esseri né con attaccamento né con cipiglio. Il monte Meru vacillerà, l’oceano si prosciugherà, il sole e la luna cadranno, ma colui che vede i difetti dei tre mondi non subirà mai l’influenza delle donne!
Allora il demone Pāpīyān dopo aver udito quelle parole fu prostrato da una grande tristezza e con l’animo triste, sconvolto, pieno di astio, così si rivolse alle sue figlie: Ebbene! Non è proprio possibile allontanarlo dal luogo del Risveglio? E se non vedesse la vostra perfetta bellezza non sarebbe forse pazzo, bensì saggio?
Quindi le figlie del demone rivolsero al padre questi versi:
132. Egli parla con dolcezza e amorevolezza [33] e non prova alcun desiderio; vede ciò che vi è di più nascosto, ma non prova astio; la sua mente è rivolta solo alla Via eccellente, e non è affatto un folle; conosce la vera natura dei corpi, e i suoi pensieri sono molto profondi.
133. Senza dubbio alcuno riconosce come molto numerosi i difetti delle donne; la sua mente completamente libera dai desideri non è toccata dalla passione. Né in cielo né quaggiù sulla terra esiste un essere divino o umano che possa misurare il suo pensiero e le sue azioni.
134. O padre, i trucchi femminili che gli abbiamo mostrato, insieme con la nostra lussuria, avrebbero dovuto scioglierli il cuore, ma pur avendoli osservati la sua mente non ha vacillato nemmeno per un istante. Egli dimora incrollabile come il re dei monti.
135. Egli ha praticato per molti kalpa azioni virtuose ed austerità, ed è ricolmo dello splendore dei meriti e del fulgore delle discipline ascetiche. Brahmā, gli dei e gli esseri più puri che possiedono lo splendore della virtù si inchinano e rendono omaggio ai suoi piedi con il capo. 
136. Dopo aver sconfitto il demone e il suo esercito, egli conseguirà certamente il supremo Risveglio, così come lo hanno desiderato i Vittoriosi del passato. Padre, egli non vuole una disputa e una lotta contro di noi. Questa battaglia sarebbe un’impresa molto difficile anche per esseri potenti.
137. Guarda nel cielo, o padre, dove centinaia di migliaia di Bodhisattva realizzati, con i loro diademi di pietre preziose, restano rispettosamente in piedi. Fonti di ricchezza, con le membra ben adorne di ghirlande di fiori, essi sono giunti qui, in possesso dei dieci poteri, al fine di rendergli omaggio.
138. Coloro che possiedono una mente e coloro che non la possiedono, gli alberi, i re delle montagne, esseri divini, Garuḍa, Yakṣa, sono tutti inchinati di fronte a colui che è una montagna di qualità. Oggi, o padre, per noi è bene andare via!
E ancora:
139. Ciò che non si rivolterà sull’altro lato non lo si potrà rovesciare; ciò che non si separerà dalla sua radice non lo si potrà estirpare. Non lo si può far adirare, ma anzi gli si arrecherà pace; non si può fargli nulla che riesca a turbare la sua mente.
Intanto, o Monaci, in quello stesso momento le otto divinità dell’albero del Risveglio, Śrī, Vṛddhi, Tapā, Śreyasī, Vidu, Ojobalā, Satyavādinī e Samaṅginī, resero omaggio al Bodhisattva in sedici maniere, lo lodarono e lo esaltarono glorificandolo:
140. Essere Puro, tu risplendi come la luna nella quindicina brillante; Essere dalla suprema Saggezza, risplendi come il sole che sorge.
141. Essere Puro, tu risplendi come il loto tra le acque; tu fai intendere la tua voce, o Essere Puro, come il leone che cammina come un re nella foresta.
142. Tu, Essere Supremo, risplendi come il re delle montagne nel centro dell’Oceano; tu, Essere Puro, ti innalzi come il monte Cakravāla.
143. Tu, Essere puro, sei difficile da comprendere come il mare ricco di gioielli. La tua mente è vasta, o Guida del mondo, come il cielo senza confini.
144. La tua mente, o Essere Puro, è stabile come il suolo della terra che sostiene tutti gli esseri; la tua mente, Essere Supremo, non è mai torbida, come il lago Anavatapta che è sempre calmo.
145. La tua mente, Essere Supremo, non ha fissità, come il vento che nel mondo intero non indugia mai in alcun luogo. È difficile incontrarti, Essere Supremo, poiché hai abbandonato ogni presunzione.
146. Tu, o Essere Supremo, sei potente come Nārāyaṇa, che è invincibile. Tu, Guida del mondo, sei fermo nella tua determinazione, e non ti allontanerai da Bodhimaṇḍa. 
147. Come un fulmine scagliato dalla mano di Indra tu, Essere Supremo, non tornerai indietro. O Essere Supremo, giungerai alla meta. Tra poco tempo conseguirai i dieci poteri.
Così, o Monaci, le divinità dell’albero del Risveglio lodavano il Bodhisattva glorificandolo in sedici modi.
A quel punto, o Monaci, i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika cercarono di indebolire il demone Pāpīyān in sedici modi. Quali sono? Eccoli:   
148. Pāpīyān, sconfitto dal Bodhisattva stai sognando come un vecchio airone. Tu sei privo di forze, Pāpīyān, come un vecchio elefante che sprofonda in una palude.
149. Tu sei solo, Pāpīyān, come uno che si vanta di essere un eroe dopo essere stato sconfitto. Nessuno è con te, Pāpīyān, come un malato abbandonato in una foresta.
150. Sei privo di forze, Pāpīyān, come un giovane toro prostrato da un grosso peso. Sei abbattuto, Pāpīyān, come un albero spaccato dal vento.
151. Pāpīyān, tu sei sulla strada sbagliata, come un viaggiatore che si è smarrito. Tu sei il più miserabile tra i miserabili, Pāpīyān, come un uomo povero ed invidioso.
152. Sei un parolaio, Pāpīyān, come una cornacchia insolente. Sei sopraffatto dall’orgoglio, Pāpīyān, come un ingrato privo di condotta morale.
153. Oggi, Pāpīyān, sarai messo in fuga come uno sciacallo dal ruggito del leone. Sarai sospinto, o Pāpīyān, come un uccello sballottato dal vento.
154. Non conosci il giusto momento, o Pāpīyān, come un mendicante che ha esaurito i suoi meriti. Oggi sarai lasciato solo, Pāpīyān, come un vaso rotto pieno di polvere.
155. Oggi, o Pāpīyān, sarai afferrato dal Bodhisattva come un serpente sotto un incantesimo. Sei privo di ogni forza, Pāpīyān, come un uomo con le mai e i piedi mozzati.
A quel punto, o Monaci, i figli degli dei che rendevano omaggio al Bodhisattva cercarono di disorientare il demone Pāpīyān in sedici modi. Quali sono? Eccoli:
156. Oggi, Pāpīyān, sarai sconfitto dal Bodhisattva, come un esercito nemico da un solo eroe. Oggi, Pāpīyān, sarai tenuto a terra dal Bodhisattva come un lottatore debole da uno possente.
157. Oggi, Pāpīyān, sarai eclissato come una lucciola dal disco solare. Oggi sarai disperso dal Bodhisattva, o Pāpīyān, come una manciata di erba secca dal vento.
158. Oggi sarai terrorizzato dal Bodhisattva, o Pāpīyān, come uno sciacallo da un leone. Oggi sarai abbattuto dal Bodhisattva, Pāpīyān, come un albero sala tagliato alla radice.
159. Oggi, Pāpīyān, sarai distrutto dal Bodhisattva come una città ostile da un grande re. Oggi sarai completamente prosciugato dal Bodhisattva, o Pāpīyān, come l’acqua nell’impronta di una vacca dal grande calore.
160. Oggi sarai inseguito dal Bodhisattva, o Pāpīyān, come un criminale condannato a morte che è scappato. Oggi sarai fatto vorticare dal Bodhisattva, o Pāpīyān, come uno sciame d’api dal calore del fuoco.
161. Oggi, Pāpīyān, sarai amareggiato dal Bodhisattva come un re legittimo spogliato del suo regno. Oggi, Pāpīyān, starai a rimuginare a causa del Bodhisattva come un vecchio airone al quale sono state tagliate le ali.
162. Oggi, Pāpīyān, sarai spogliato di ogni cosa dal Bodhisattva, come colui che in una foresta disabitata ha esaurito le provviste. Oggi, o Pāpīyān, sarai costretto a gemere dal Bodhisattva, come colui cha ha fatto naufragio in mezzo al grande Oceano.
163. Oggi, Pāpīyān, sarai incenerito dal Bodhisattva, come le erbe e gli alberi al termine di un kalpa. Oggi, Pāpīyān, sarai sbriciolato dal Bodhisattva, come la cima di una montagna colpita da un potente fulmine.
Così, o Monaci, gli dei che rendevano omaggio al Bodhisattva cercarono di disorientare il demone Pāpīyān in sedici modi. Ma il demone Pāpīyān non ne fu disorientato.
A questo proposito è detto:
164. Anche dopo aver udito le assennate parole delle schiere divine, il demone non fu disorientato. Distruggetelo (disse), colpitelo, fatelo in pezzi; non permettetegli di vivere! Dopo essersi liberato, libererà anche gli altri esseri dal mio potere! Questo è il mio volere: non vi potrà essere alcuna liberazione per il Monaco se non alzarsi e andare via! 
Il Bodhisattva replicò:
165. È possibile che il re delle montagne, il Meru, si sposti dalla sua base; che il mondo intero cessi di esistere; che tutte le stelle cadano dal cielo sulla terra, come pure la luna e i pianeti; che tutti gli esseri abbiano un unico pensiero; che il grande Oceano si prosciughi. Ma non è possibile che un essere come me, giunto ai piedi del re degli alberi, se ne allontani!
Il demone disse:
166. Io sono il signore del desiderio, in tutto l’universo; gli dei, i semidei, gli uomini e gli animali sono sotto il mio potere, agiscono tutti sotto il mio controllo. Tu, che sei nel mio reame, alzati, fa’ udire la tua voce! [34]
E il Bodhisattva:
167. Se tu sei il Signore del Reame del desiderio, allora non sei il Signore del Reame della Luce [35]. Guardami: sono io sono il Signore del Dharma. Se tu sei il Signore del Reame del desiderio, non devi incamminarti sulla via dell’errore. Nonostante te, di fronte a te, io conseguirò il Risveglio!
Il demone chiese:
168. Monaco, cosa fai da solo nella foresta? In verità, la meta a cui aspiri non è facile da raggiungere. Bhṛgu, Aṅgiras [36] e altri non hanno conseguito quello stato supremo, nemmeno grazie alla costante pratica delle austerità. In qual modo (lo otterrai) tu, che sei solo un uomo?
Il Bodhisattva rispose:
169. Non essendo preceduta dalla conoscenza, la disciplina delle austerità praticata dai Ṛṣi era manchevole: la loro mente era dominata dall’avversione e dal desiderio dei reami divini; essi avevano la ferma convinzione che vi fosse un sé permanente o impermanente, e che la liberazione consistesse in un luogo in cui andare.
170. Veramente privi di conoscenza, alcuni di loro dicevano che l’anima umana permea tutto, e che è eterna. Altri affermavano che ha una forma o è senza forma, che possiede delle qualità o che è priva di qualità, che è agente o che non è agente.
171. Oggi, dopo aver conseguito il Risveglio che è al di là delle passioni, seduto su questo stesso seggio, dopo averti sconfitto e aver distrutto il tuo potere e le tue schiere, io insegnerò l’origine e il sorgere delle cose, come pure il fresco stato del Nirvāṇa in cui la sofferenza è pacificata.
Il demone, irritato, furioso, agitato, pronunciò ancora queste parole sprezzanti:
172. Catturate questo bel discendente di Gautama che siede solitario nella foresta; portatelo al mio cospetto, poi andate, veloci, tenetelo in vostro potere. Voi, Guardiani delle porte, entrate nella mia dimora e mettetelo in fretta ai ceppi e incatenatelo, ed io lo vedrò, schiavo degli dei, spossato dal dolore mentre emette ogni tipo di lamenti.
Il Bodhisattva replicò:
173. È forse possibile tracciare linee nell’aria, e disegnarvi qua e là delle immagini; il vento, che soffia velocemente da un luogo ad un altro, potrebbe essere incatenato da qualcuno in grado di farlo; il sole e la luna potrebbero oscurarsi, poi uscire dalle tenebre e precipitare dal cielo sulla terra; ma io, per quanto i tuoi simili siano tanto numerosi da non poter essere contati, non potrei essere allontanato da questo albero.
Uno Yakṣa disse:
174. L’esercito del demone si è schierato in forze, con urla selvagge e con suoni di conche, di tamburi e di timpani. Ahimè, figliolo, caro giovane! Non ti senti già sconfitto alla vista della formidabile armata di Namuci?
175. Tu, che hai il colore dell’oro del fiume Jambu e del calice del fiore Champaca; tu, che sei nel pieno della giovinezza, lodato dagli dei e dagli uomini e degno dei loro omaggi; oggi tu correrai incontro alla disfatta in questa grande battaglia, cadrai sotto il dominio del demone, come fu per Indra con il semidio.
Con una voce simile a quella di Brahmā e al canto del kalabiṅka, il Sugata si rivolse alle schiere degli Yakṣa e dei Rākṣasa:
176. Colui che volesse allontanarmi da questo re degli alberi sarebbe come un folle che cercasse di spaventare l’aria.
177. Colui che dopo aver sbriciolato i tremila grandi universi potesse contarne tutti i granelli di polvere; colui che fosse in grado di far passare l’acqua dell’oceano attraverso un solo poro; colui che in un solo istante potesse sparpagliare la più grande delle montagne – ebbene, nemmeno lui potrebbe nuocermi mentre sono seduto sotto questo albero!
178. Il demone, con la mente ricolma di rabbia mentre era così soggiogato, afferrò con la mano una spada affilata (e disse): Alzati in fretta, Monaco, e fa’ ciò che ti dico, altrimenti ora ti taglierò come il fusto di un giovane bambù.
Il Bodhisattva replicò:
179. Anche se questo universo e l’intero trichiliocosmo fossero pieni di demoni; anche se tutti loro tenessero in mano una spada grande come il Meru, la più grande delle montagne; essi non sarebbero in grado di smuovere uno solo dei miei capelli, né a maggior ragione potrebbero ferirmi. Continua a non credermi, ti rammenterò quanto io sia determinato.
180. Con teste di cammello, di bue e di elefante e occhi che incutevano terrore, ricoperti da serpenti e orribili rettili dagli occhi velenosi, i demoni gli lanciarono montagne di fuoco fiammeggiante [37], alberi con tutte le radici, rame e ferro.
181. Si ammassarono come nuvole tuonando dai quattro angoli dello spazio, facendo piovere fulmini e palle di ferro. Lance, spade, giavellotti, asce affilate e frecce avvelenate squarciavano la terra e frantumavano gli alberi.
182. Alcuni con centinaia di braccia lanciavano centinaia di frecce e vomitavano serpenti e fiamme. Altri, trasformatisi in Garuḍa, sollevavano dal mare makara e altri abitanti delle acque e lanciavano serpenti.
183. Alcuni, inferociti, scagliavano palle di ferro grandi come il Meru e cime di montagne del colore delle fiamme; queste cadendo sulla terra la fecero tremare e sconvolsero completamente le masse delle acque sotterranee.
184. Alcuni saltarono davanti a lui, altri dietro. Attaccarono a sinistra e a destra gridando: Ah, figlio mio! Le loro mani e i loro piedi erano rivolti all’indietro e la testa era in fiamme; dai loro occhi scaturivano lampi scintillanti.
185. Guardando le schiere del demone, mutatesi in forme terrificanti, l’Essere Puro le vide come un prodotto dell’illusione: Non vi è un demone né un esercito né un mondo né un sé. L’intero triplice universo ruota simile al riflesso della luna nell’acqua.
186. Non vi è occhio né uomo né donna né sé. L’orecchio, il naso, la lingua e il corpo stesso [38] sono vuoti dall’interno e vuoti dall’esterno. I fenomeni hanno un’origine dipendente, non hanno alcun creatore e non vi è alcuno che ne abbia percezione.
187. Colui che dice sempre la verità fece un discorso veritiero con parole sincere: tutti i fenomeni sono vuoti. Allora tutti gli Yakṣa allora si sottomisero e si conformarono alla disciplina e coloro che tenevano nelle mani delle armi le percepirono come corone di fiori.
188. Colui che è confermato dai meriti acquisiti grazie alle azioni virtuose fece scorrere con grazia dalla testa fino ai piedi il palmo della mano destra, adorna di una sottile membrana, di belle unghie del colore del rame, che recava il marchio di una ruota dai mille raggi, splendente come l’oro del fiume Jambu.
189. Dopo aver disteso il braccio simile ad un fulmine nel cielo, egli disse: La terra mi è testimone. In passato ho compiuto centinaia di migliaia di sacrifici e in verità se non ho elargito doni a chi mi porgeva una richiesta l’ho fatto per un valido motivo.
190. L’acqua, il fuoco, il vento sono miei testimoni; Brahmā, Prajāpati, il sole, la luna e le stelle, i Buddha che dimorano nelle dieci direzioni dello spazio sono miei testimoni, come pure la mia disciplina, la pratica delle austerità e i diversi nobili gradi del Risveglio.
191. La generosità mi è testimone, come l’etica e la pazienza; la virtù eroica mi è testimone, come la concentrazione e la saggezza [39]. I quattro incommensurabili sono miei testimoni, come pure la conoscenza. Tutte le pratiche graduali del Risveglio mi sono qui testimoni.
192. I meriti, i poteri, le discipline, le conoscenze, i sacrifici ininterrotti compiuti da tutti gli esseri che dimorano nelle dieci direzioni dello spazio, le qualità di tutto questo non sono pari nemmeno alla centesima parte delle qualità di un mio singolo capello.
193. Il Bodhisattva colpì con delicatezza la terra con la mano, ed essa risuonò come un vaso di bronzo. Il demone, udito il suono, cadde a terra e percepì queste parole: Colpisci! Afferra questo alleato delle tenebre!
194. Con il corpo madido di sudore, privo del suo splendore, il viso pallido, il demone vide se stesso colpito dalla vecchiaia; si batté il petto gridando; sopraffatto dalla paura, era privo di protezione. La mente del demone era sconvolta, la vertigine si impadronì dei suoi pensieri.
195. Cavalli, elefanti, carri e bighe si rovesciarono a terra. Rākṣasa, Kumbhānda e Piśācā fuggirono terrorizzati; sgomenti, non trovavano più la strada; privi di riparo e di protezione, andavano come uccelli che hanno visto la foresta improvvisamente avvolta dalle fiamme.
196. Padri, madri, figli, sorelle e fratelli chiesero allora: Cosa avete visto? Dove siete andati? A causa di tutto ciò si misero a litigare tra loro: Siamo caduti nella disgrazia, senza alcun mezzo per salvare le nostre vite!
197. Quel grande e potente esercito del demone, invincibile, era in completo disordine, disperso, senza possibilità di riunirsi. Passarono sette giorni, e coloro che si ritrovavano dicevano l’uno all’altro: Sei vivo, amico, ne sono felice!
198. Allora la dea dell’albero (del Risveglio) mossa dalla compassione prese un vaso d’acqua e cosparse l’alleato delle tenebre (dicendo): Presto, alzati, senza indugio. Ecco ciò che certo accade a coloro che non hanno prestato ascolto alle parole del Maestro spirituale!
Il demone replicò:
199. Sofferenza, terrore, sventura, dispiacere e rovina, lamento, umiliazione e disprezzo: ecco ciò che oggi ho ottenuto per aver offeso un puro Essere e per non aver dato ascolto alle parole gentili e sagge dei miei figli.
La Dea affermò:
200. Quando l’ignorante reca offesa a colui che non lo ha offeso [40], inevitabilmente raccoglie terrore, dolore, rovina, miseria, lamento, malvagità, perdita della libertà e molteplici sofferenze.
201. I Deva, gli Asura, i signori dei Garuḍa e dei Kinnara, Brahmā, Śakra, gli dei Paranirmitta e Akaniṣṭha proclamarono la sua vittoria: Hai vinto, Eroe del mondo! Il grande esercito del demone è stato sconfitto!
202. Essi offrirono collane di perle, stendardi e bandiere; fecero piovere fiori e polvere di agar, tagara [41] e sandalo. Fecero risuonare strumenti musicali cantando queste parole: Dopo aver circondato il tuo albero, o Eroe, l’esercito dei tuoi nemici è stato vinto!
203. In questo stesso luogo, sul migliore dei seggi, oggi, o Eroe, dopo aver sconfitto con l’amore l’esercito dell’astuto demone conseguirai il Risveglio esente da oscurazioni mentali, i dieci poteri, la suprema Saggezza, lo stato perfetto di un Buddha.
204. Qui, nella battaglia che hai intrapreso e nella quale si è consumata la sconfitta del demone, trentasei koti e ventiquattro niyuta di esseri sono stati testimoni dell’energia e della potenza di un Essere che ha conseguito il perfetto Risveglio ed hanno concentrato le loro menti verso il supremo Risveglio di un Buddha [42].


    Capitolo intitolato: Sconfitta del demone, il ventunesimo



NdT

 [1] La traduzione letterale del testo di De Foucaux pare affermare qui il contrario: coloro che ont coupé toutes les racines de vertu antérieure… Ma le successive parole del Bodhisattva sarebbero così prive di senso.
[2] Anche qui, la traduzione letterale del testo di De Foucaux risulta contraddittoria: par ce rayon… toutes les demeures de Māra furent obscurcies, come se il raggio di luce provocasse oscurità nelle dimore del demone.
[3] Non è chiaro il motivo per cui la figura del dio induista Kṛṣṇa viene qui associata al demone Māra. Forse perché nel Bhagavadgītā Kṛṣṇa definisce se stesso come il Tempo (kālā, che significa anche nero), ovvero ciò che conduce tutti gli esseri alla morte, e Māra è il Distruttore, la personificazione della morte. Nella versione inglese si trova evil kinsman, malvagio congiunto, parente.
[4] Nel testo di De Foucaux ogni periodo inizia nello stesso modo (vide, si vide…). La traduzione è stata resa qui meno ripetitiva e più fluida. La versione inglese parla di un unico sogno contenente trentadue presagi.
[5] V. nota 3.
[6] Più fluida la versione inglese, secondo la quale chi è orgoglioso e ignorante non ha molto acume; se si contrappone ad una persona accorta non sarà in grado di pensare in modo efficace.
[7] Anche alla luce di quanto si legge più avanti, è preferibile la versione inglese serpenti velenosi anziché quella di De Foucaux, veleno di serpente.
[8] Probabilmente il termine Garuḍa si riferisce al periodo precedente, in quanto i Garuḍa erano nemici dei serpenti.
[9] La versione inglese riporta la seguente traslitterazione: phut phut, picut, phulu phulu! Non è chiaro se si tratti di suoni privi di significato o se siano dei bīja mantra, fonemi “magici”.
[10] Un aspetto di Śiva, in parte uomo, in parte leone, uccello e altri esseri.
[11] Essere mitico simile al coccodrillo.
[12] Uccisore di fanciulli: la focena, o forse il delfino gangetico.
[13] Meno orrorifica, ma più grottesca, è la traduzione di De Foucaux, paiolo
[14] Alla lettera: considerando che tale è la legge delle sostanze, ovvero che i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca, sono vacuità, simili a sogni, a nuvole, a bolle nell’acqua.
[15] Il Monarca Universale.
[16] Il lato destro è tradizionalmente associato al colore bianco e all’idea di “bene”, quello sinistro al colore nero e all’idea di “male”.
[17] Sinonimo di Bodhimaṇḍa, il luogo del Risveglio.
[18] Il ciuffo di peli tra le sopracciglia, uno dei marchi maggiori del Bodhisattva.
[19] De Foucaux traduce: il suo volto può essere guardato soltanto dagli dei…, ma la versione inglese e quella tibetano-francese sono concordi nel fornire un’interpretazione negativa: nemmeno dagli dei…
[20] In altre versioni si legge: alcune danzavano.
[21] Traduzione preferibile a quella proposta da De Foucaux, secondo cui ogni campanella sarebbe faite d’un tissu fin.
[22] La versione di De Foucaux recita: parures de femmes Gouhyakas. I Guhyaka (esseri nascosti) costituiscono una categoria di esseri sovrannaturali della mitologia indiana.
[23] Diversamente da De Foucaux, sembra più corretto riferire i periodi successivi a tutte le Apsarā, e non solo a quelle che gettavano fiori sul Bodhisattva.
[24] L’Afferratore, il demone a cui era attribuita la responsabilità delle eclissi.
[25] In De Foucaux da qui il discorso passa dalla prima alla terza persona (Nous sommes…/Leurs chevelures…). Pare però preferibile, per facilitare la lettura, continuare la traduzione in prima persona, con le Apsarā che parlano di loro stesse.
[26] Probabilmente è da intendere nel senso che il Bodhisattva non percepisce nulla come permanente.
[27] De Foucaux non riporta i nomi delle figlie di Māra (che in effetti significano Sete, Desiderio e Invidia) e traduce il passo parlando delle più seducenti tra le dee, che recano con loro il desiderio e la soddisfazione del desiderio.
[28] Il bene-andato, o colui che è andato nel bene. Appellativo dei buddha.
[29] Probabilmente questo verso fa parte del gāthā precedente.
[30] È preferibile la traduzione rivolta al futuro, proposta nella versione inglese, in quanto il Bodhisattva non ha ancora conseguito il Nirvāṇa.
[31] Nella traduzione inglese questo appellativo è riferito alle figlie di Māra. Anche per questi passi vale la nota 25.
[32] Rispettivamente, la pianta tropicale nota come bayur e la magnolia.
[33] Secondo la versione inglese: Anche se noi [figlie del demone] gli parliamo dolcemente e amorevolmente…
[34] Più corretta sembra essere la versione inglese (segui i miei ordini!), in quanto il Bodhisattva in effetti aveva appena parlato…
[35] Seguo qui la versione tibetano-francese. Con seigneur du désir si intende il Signore del Reame del desiderio.
[36] Mitici ṛṣi, veggenti, legati al culto del fuoco. Il termine Bhṛgu indicherà successivamente tutti i sacerdoti dediti a tale culto.
[37] Ovvero vulcani.
[38] I cinque organi di senso.
[39] Nuovamente le sei pāramitā, le perfezioni.
[40] Più “sottile” la versione inglese: reca offesa a colui che è retto.
[41] Valeriana.
[42] Secondo la versione inglese: 360 milioni di esseri hanno testimoniato il potere e la potenza di un perfetto bodhisattva, e 240 milioni hanno formato il desiderio per il perfetto risveglio di un buddha.

La battaglia contro Mara e il suo esercito


Capitolo ventiduesimo

Conseguimento del perfetto e completo Risveglio

Dopo aver sconfitto il demone il Bodhisattva perviene progressivamente fino al quarto assorbimento meditativo. Dopo che la sua mente è divenuta perfettamente chiara e luminosa, egli ricorda esattamente le migliaia di rinascite e di differenti condizioni che attraversate da lui e dagli altri. – Risale alle cause della malattia e della morte e trova il mezzo per mettervi fine. – Consegue il supremo Risveglio. – Felicità che riempie in quell’istante tutti i mondi. – La terra trema in sei modi. – I Bodhisattva e gli Dei delle dieci direzioni dello spazio lanciano grida di gioia.

Così, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver sconfitto il demone, domato l’avversario e completamente trionfato nel combattimento, circondato da parasole, da stendardi e bandiere spiegate, raggiunse la prima concentrazione meditativa, la quale è distaccata dai desideri e dalle azioni malvage e non virtuose, è accompagnata dall’analisi e dal ragionamento, sorge dal discernimento, genera la gioia e il piacere e vi dimorò [1].
Avendo quindi abbandonato l’analisi e il ragionamento, grazie alla pacificazione interiore, ricondotta la mente all’unità, raggiunse la seconda concentrazione meditativa, che è libera dal pensiero e dall’analisi, sorge dalla meditazione profonda, è accompagnata dalla gioia e dal benessere, e vi dimorò.
Abbandonata quindi la gioia, permase nell’equanimità, con la consapevolezza e l’introspezione, e sperimentò il piacere fisico. “Equanime”, secondo la definizione degli Ārya, “pienamente consapevole e dimorante nella quiete”, raggiunse la terza concentrazione meditativa, libera dalla sensazione della gioia, e vi dimorò.
Al di là del piacere, al di là della sofferenza, al di là di ogni precedente sensazione di gioia e di tristezza, anche quelle del passato, raggiunse la quarta concentrazione meditativa, dove non vi sono né dolore né piacere, dove equanimità e consapevolezza sono originariamente pure, e vi dimorò.
Quindi il Bodhisattva con la mente concentrata, purificata, perfetta, luminosa, priva di oscurazioni, libera da ogni afflizione, adattabile, concentrata sulla meta e inamovibile, nella prima veglia della notte preparò e diresse la propria mente verso il fine di realizzare la conoscenza che vede la saggezza con l’occhio divino.
Allora il Bodhisattva con l’occhio divino perfettamente puro, molto al di là dell’occhio umano, osservò gli esseri senzienti che morivano e rinascevano: di casta superiore o di casta inferiore, nei reami elevati o nei reami più bassi, in circostanze sfavorevoli o favorevoli, tutti trasmigranti a seconda dalle loro azioni, e con questa comprensione disse: Ahimè! In verità questi esseri a causa delle azioni negative compiute con il corpo, a causa delle azioni negative compiute con la mente e con la parola, poiché hanno offeso gli esseri nobili [2] a causa delle false visioni, quando i loro corpi decadono, quando sopraggiunge la morte, raccolgono i frutti delle loro azioni generate dalle visioni erronee e cadono nei sentieri nefasti dei reami inferiori e rinascono negli inferni.
Ma gli esseri senzienti che compiono azioni virtuose con il loro corpo, che compiono azioni virtuose con la mente e con le parole, gli esseri che non recano offesa agli esseri nobili e che seguono visioni corrette, quando i loro corpi decadono raccolgono i frutti delle loro azioni generate dalle corrette visioni e rinascono nei reami superiori.
In questo modo, con l’occhio divino perfettamente puro, molto al di là dell’occhio umano, egli osservò gli esseri senzienti che morivano e rinascevano: di casta superiore o di casta inferiore, nei reami elevati o nei reami più bassi, in circostanze sfavorevoli o favorevoli, tutti raccoglievano il frutto karmico delle loro azioni [3].
Fu così, o Monaci, che il Bodhisattva nella prima veglia della notte realizzò la conoscenza diretta, dissolse le tenebre e fece risplendere la luce.
Quindi il Bodhisattva con la mente concentrata, purificata, perfetta, luminosa, priva di oscurazioni, libera da ogni afflizione, adattabile, concentrata sulla meta e inamovibile, nella veglia intermedia della notte preparò e diresse la propria mente verso il fine di realizzare la conoscenza della saggezza che ricorda con esattezza le vite passate. Egli ricordò nei dettagli le numerose esistenze precedenti di se stesso e degli altri esseri: una vita, due, tre, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta vite, cento vite, mille vite, centomila vite, molte centinaia di migliaia di vite, dieci milioni di vite, un miliardo di vite, dieci miliardi di vite, un trilione di vite, un quadrilione di vite, poi diversi miliardi, diverse decine di miliardi, diversi trilioni e diversi quadrilioni di vite, fino alle vite in un kalpa di distruzione, in un kalpa di formazione, in un kalpa di distruzione e di formazione, molti kalpa di distruzione e di formazione [pensando]:
Nato in un certo luogo, quello era il mio nome, quella la mia stirpe, quella la mia casta, quello fu il mio stile di vita, quella la durata della mia vita, quello il tempo per cui rimasi; quelle furono le gioie e le sofferenze che provai. Poi, dopo essere morto in quel luogo, nacqui in quell’altro; e dopo essere morto lì sono nato qui.
È in questo modo che egli ricordò nei dettagli le numerose esistenze precedenti di se stesso e degli altri esseri, ognuna con le proprie caratteristiche e la propria descrizione.
Quindi il Bodhisattva con la mente concentrata, purificata, perfetta, luminosa, priva di oscurazioni, libera da ogni afflizione, adattabile, concentrata sulla meta e inamovibile, nell’ultima veglia della notte, quando l’alba appare, nel momento in cui viene battuto il tamburo, nel momento in cui  il sonno è ancora profondo, preparò e diresse la propria mente verso il fine di realizzare la cessazione delle sofferenze e di generare la conoscenza della saggezza che dissolve le oscurazioni mentali.
Egli pensò: È certamente miserabile questo mondo, in cui tutto ha un’origine, tutto nasce, invecchia, muore, scompare e rinasce. Ma non si sa con quale mezzo uscire da questo mondo, che è solo un cumulo di sofferenze. Ahimè! Vecchiaia, malattia, morte, tutto continua! Nessuno conosce chi possa metter fine a questo mondo, che è solo un cumulo di dolore; a tutto ciò che origina dalla vecchiaia, dalla malattia, dalla morte!
Allora sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui hanno origine vecchiaia e morte? Qual è la causa di vecchiaia e morte?
Egli pensò: Quando vi è nascita (jāti) vi sono vecchiaia e morte. La nascita è la causa di vecchiaia e morte [4].
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine la nascita? Qual è la causa della nascita?
Egli pensò: Quando vi è esistenza (bhava) vi è nascita. L’esistenza è la causa della nascita [5].
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine l’esistenza? Qual è la causa dell’esistenza?
Egli pensò: Quando vi è attaccamento (upādāna) vi è esistenza. L’attaccamento è la causa dell’esistenza.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine l’attaccamento? Qual è la causa dell’attaccamento?
Egli pensò: Quando vi è il desiderio avido (tṛṣṇā) vi è attaccamento. Il desiderio avido [6] è la causa dell’attaccamento.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine il desiderio avido? Qual è la causa del desiderio avido?
Egli pensò: Quando vi è la sensazione (vedanā) vi è desiderio avido. La sensazione è la causa del desiderio avido.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine la sensazione? Qual è la causa della sensazione?
Egli pensò: Quando vi è il contatto (sparśa) vi è sensazione. Il contatto è la causa della sensazione.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine il contatto? Qual è la causa del contatto?
Egli pensò: Quando vi sono le sei sorgenti dei sensi (āyatana) vi è contatto. Le sei sorgenti dei sensi [7] sono la causa del contatto.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui hanno origine le sei sorgenti dei sensi? Qual è la causa delle sei sorgenti dei sensi?
Egli pensò: Quando vi sono nome-e-forma (nāmarūpa) vi sono le sei sorgenti dei sensi. Nome-e-forma [8] sono la causa delle sei sorgenti dei sensi.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui hanno origine nome-e-forma? Qual è la causa di nome-e-forma?
Egli pensò: Quando vi è la coscienza (vijñāna) vi sono nome-e-forma. La coscienza è la causa di nome-e-forma.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui ha origine la coscienza? Qual è la causa della coscienza?
Egli pensò: Quando vi sono le formazioni karmiche (saṃskāra) vi è la coscienza. Le formazioni karmiche [9] sono la causa della coscienza.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Qual è la causa per cui hanno origine le formazioni karmiche? Qual è la causa delle formazioni karmiche?
Egli pensò: Quando vi è l’ignoranza (avidyā) vi sono le formazioni karmiche. L’ignoranza è la causa delle formazioni karmiche.
È così, o Monaci, che questo pensiero sorse nella mente del Bodhisattva: l’ignoranza è causa delle formazioni karmiche; le formazioni karmiche sono causa della coscienza; la coscienza è causa di nome-e-forma; nome-e-forma sono causa delle sei sorgenti dei sensi; le sei sorgenti dei sensi sono causa del contatto; il contatto è causa della sensazione; la sensazione è causa del desiderio avido; il desiderio avido è causa dell’attaccamento; l’attaccamento è causa dell’esistenza; l’esistenza è causa della nascita; la nascita è causa della vecchiaia e della morte, della sofferenza, del lamento, del dolore, del tormento, della disperazione.
Tale è l’origine di questo mondo, che altro non è se non un grande cumulo di sofferenze.
In questo modo, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver meditato nella propria mente, su vari livelli, in merito a fattori prima di allora sconosciuti, a partire dalle loro cause, generò l’intuizione, generò la visione profonda, generò la conoscenza estesa, generò la saggezza e la luce risplendette.
Sorse allora nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Con la cessazione di che cosa la vecchiaia e la morte non esistono? Cosa deve essere impedito perché vecchiaia e morte non compaiano?
E pensò: Se non vi è nascita non vi sono vecchiaia e morte; se vi è cessazione di nascita vi è cessazione di vecchiaia e morte.
Poi sorse nella mente del Bodhisattva questo pensiero: Con la cessazione di che cosa la nascita non esiste? Cosa deve essere impedito perché la nascita non compaia?
E pensò: Se non vi è esistenza non vi è nascita; se vi è cessazione di esistenza vi è cessazione di nascita.
Il Bodhisattva pensò inoltre: Con la cessazione di che cosa [e così di seguito nel dettaglio, fino a] le formazioni karmiche non esistono? Cosa deve essere impedito perché le formazioni karmiche non compaiano? [10]
E pensò: Se non vi è ignoranza non vi sono formazioni karmiche; se vi è cessazione di ignoranza vi è cessazione di formazioni karmiche; se non vi sono formazioni karmiche non vi è coscienza [e così di seguito nel dettaglio fino a]: se non vi è nascita non vi sono vecchiaia e morte, sofferenza, lamento, dolore, tormento, disperazione. In questo modo non vi è origine di questo mondo che altro non è se non un grande cumulo di sofferenze.
In questo modo, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver meditato nella propria mente, su vari livelli, in merito a fattori prima di allora sconosciuti, a partire dalle loro cause, generò l’intuizione, generò la visione profonda, generò la conoscenza estesa, generò la saggezza e la luce risplendette.
Ecco, o Monaci [11], ciò che io compresi perfettamente: questa è la sofferenza; questa è l’origine della contaminazione; questa è la cessazione della contaminazione; questa è la via che conduce alla cessazione della contaminazione. Questo io realizzai secondo verità: la contaminazione del desiderio, la contaminazione dell’esistenza; la contaminazione della dottrina. Ho compreso dove la contaminazione cessa senza alcun residuo, dove la contaminazione svanisce senza lasciare alcuna traccia né alcun riflesso.
Ecco ciò che io compresi secondo verità: l’ignoranza, l’origine dell’ignoranza, la cessazione dell’ignoranza, la via che conduce alla cessazione dell’ignoranza. Dove l’ignoranza svanisce senza lasciare alcun residuo né alcun riflesso.
Quindi compresi perfettamente le formazioni karmiche, l’origine delle formazioni karmiche, la cessazione delle formazioni karmiche, la via che conduce alla cessazione delle formazioni karmiche.
Compresi perfettamente la coscienza, l’origine della coscienza, la cessazione della coscienza, la via che conduce alla cessazione della coscienza.
Compresi perfettamente nome-e-forma, l’origine di nome-e-forma, la cessazione di nome-e-forma, la via che conduce alla cessazione di nome-e-forma.
Compresi perfettamente le sei sorgenti dei sensi, l’origine delle sei sorgenti dei sensi, la cessazione delle sei sorgenti dei sensi, la via che conduce alla cessazione delle sei sorgenti dei sensi.
Compresi perfettamente il contatto, l’origine del contatto, la cessazione del contatto, la via che conduce alla cessazione del contatto.
Compresi perfettamente la sensazione, l’origine della sensazione, la cessazione della sensazione, la via che conduce alla cessazione della sensazione.
Compresi perfettamente il desiderio avido, l’origine del desiderio avido, la cessazione del desiderio avido, la via che conduce alla cessazione del desiderio avido.
Compresi perfettamente l’attaccamento, l’origine dell’attaccamento, la cessazione dell’attaccamento, la via che conduce alla cessazione dell’attaccamento.
Compresi perfettamente l’esistenza, l’origine dell’esistenza, la cessazione dell’esistenza, la via che conduce alla cessazione dell’esistenza.
Compresi perfettamente la nascita, l’origine della nascita, la cessazione della nascita, la via che conduce alla cessazione della nascita.
Compresi perfettamente la vecchiaia, l’origine della vecchiaia, la cessazione della vecchiaia, la via che conduce alla cessazione della vecchiaia.
Compresi perfettamente la morte, l’origine della morte, la cessazione della morte, la via che conduce alla cessazione della morte.
Compresi secondo verità il dispiacere, il lamento, il dolore, la pena, la disperazione. Compresi l’origine del mondo, che è solo un cumulo di sofferenza [12].
Compresi secondo verità la sofferenza, l’origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, la via che conduce alla cessazione della sofferenza.
Così, o Monaci, nel corso dell’ultima veglia della notte, all’alba, nel momento in cui risuona il tamburo, nell’ora in cui il sonno è profondo, il Bodhisattva – un uomo, un uomo buono, un uomo superiore, un uomo eccelso, il toro degli uomini, l’elefante degli uomini, il leone degli uomini, la guida degli uomini, l’eroe degli uomini, il migliore degli uomini, l’uomo che tutto conosce, il loto degli uomini, il loto bianco degli uomini, l’uomo che può sopportare un pesante fardello, l’insuperabile auriga degli uomini – conseguì attraverso la nobile saggezza la conoscenza che consiste nella visione diretta di tutto ciò che potrebbe essere conosciuto, compreso, ottenuto, realizzato e intuito. (Il Bodhisattva) conseguì le qualità perfette e compiute del Buddha e ottenne la triplice conoscenza [13].
Allora, o Monaci, gli dei esclamarono: Amici, spargete dei fiori! Il Beato è ora un vero Buddha perfetto!
Ma i figli degli dei che erano lì riuniti e che avevano visto i Buddha del passato dissero: Amici, non spargete fiori fino a quando il Beato non avrà dato un segno. Infatti i Buddha perfetti del passato hanno dato un segno, hanno manifestato un segno sovrannaturale.
Allora, o Monaci, il Tathāgata comprese che quei figli degli dei erano incerti, così si innalzò nel cielo fino ad una altezza di sette palmizi e rimanendo lì seduto pronunciò queste parole di esultanza:
Il ciclo delle esistenze è spezzato, le tenebre sono dissolte; i corsi d’acqua prosciugati non scorrono più. Essendo terminato il cammino, la sofferenza è giunta alla cessazione.
Questo è ciò che fu detto.
Allora i figli degli dei sparsero fiori divini sul Tathāgata, e si formò uno strato di fiori divini fino all’altezza delle ginocchia.
Così, o Monaci, quando il Tathāgata conseguì il perfetto Risveglio le oscure tenebre si dissolsero, il desiderio avido fu purificato, le false visioni furono estirpate, le afflizioni scosse, l’aculeo rimosso [14]; il nodo fu sciolto, il vessillo dell’orgoglio rovesciato, la bandiera del Dharma dispiegata; le formazioni latenti furono sradicate, la realtà così come è fu riconosciuta, l’assoluto fu compreso [15]; fu conosciuta a fondo la natura dei fenomeni, fu perfettamente riconosciuta la natura autentica degli esseri, fu approvata la natura degli esseri orientati verso la verità, deplorata la natura degli esseri orientati verso l’errore, compresa la natura degli esseri non determinati; tutte le funzioni furono riconosciute, la condotta di tutti gli esseri fu compresa; fu perfettamente conosciuta la cura della sofferenza degli esseri senzienti, giunse a compimento la preparazione del nettare dell’immortalità. Apparve il re dei medici, colui che libera da tutte le sofferenze, che stabilisce gli esseri nella felicità del Nirvāṇa; sedette sul trono dei Tathāgata, essenza dei Tathāgata, re del Dharma; la via che conduce alla perfetta liberazione fu scoperta; egli entrò nella città dell’Onniscienza; si riunì con tutti i Buddha, inseparabile da loro per la comprensione di tutti i fenomeni.
Nei primi sette giorni, o Monaci, il Tathāgata rimase seduto nello stesso luogo, il Bodhimaṇḍa, così riflettendo: Ho messo fine alla sofferenza, di un tempo senza inizio, di nascita, vecchiaia e morte.
Nell’istante stesso in cui il Bodhisattva aveva conseguito l’Onniscienza tutte le regioni dell’universo nelle dieci direzioni dello spazio furono illuminate da un grande splendore; anche i reami inferiori, avvolti dalle tenebre della sofferenza, (furono illuminati da quella intensa luce). Nelle dieci direzioni dello spazio la terra tremò in sei modi: tutte le contrade del mondo tremarono, tremarono con forza, tremarono con forza in ogni luogo; furono scosse, scosse con forza, scosse con forza in ogni luogo; sobbalzarono, sobbalzarono con forza, sobbalzarono con forza in ogni luogo; risuonarono, risuonarono con forza, risuonarono con forza in ogni luogo; vibrarono, vibrarono con forza, vibrarono con forza in ogni luogo. 
 E tutti i Buddha si congratularono con il Tathāgata divenuto un Buddha perfetto e compiuto e gli donarono vesti religiose; il grande trichiliocosmo fu ricoperto da innumerevoli preziosi parasole, dai quali scaturirono raggi luminosi tali per cui le innumerevoli e incommensurabili regioni dell’universo nelle dieci direzioni dello spazio ne furono illuminate.
Nelle dieci direzioni dello spazio i Bodhisattva e i figli degli dei emisero grida di gioia: È comparso il saggio Loto degli esseri, sbocciato nel lago della conoscenza, non contaminato dalle preoccupazioni mondane. Da ogni lato egli ha disteso la grande nube della compassione su tutto il mondo dei fenomeni, e farà cadere la pioggia del Dharma, la quale fa nascere i germogli della medicina per tutti gli esseri [16], fa dischiudere tutti i semi delle radici della virtù, fa crescere le gemme della fede e reca i frutti della completa liberazione.
A questo proposito è detto.
1. Dopo aver sconfitto il demone e le sue schiere, il Leone degli uomini, il Maestro, generò davanti a sé e per ogni dove la gioia della contemplazione; quando la triplice scienza fu acquisita da colui che possiede i dieci poteri, gli innumerevoli milioni di reami che si trovano nelle dieci direzioni dello spazio tremarono.
2. I Bodhisattva che si erano riuniti intorno a lui, desiderosi del Dharma, si prosternarono ai suoi piedi e gli dissero: Non sei stanco? L’armata che si era qui schierata, per quanto fosse molto temibile, è stata sconfitta dalla forza dei meriti della saggezza e dalla forza della virtù eroica.
3. I Buddha gli offrirono dalle loro centinaia di migliaia di reami dei parasole [e gli dissero]: Buono e grande Essere, l’armata del demone è stata soggiogata. Hai raggiunto lo stato dove non vi è morte né dolore. Fa’ cadere presto la pioggia del vero Dharma sui tre mondi!
4. I più nobili tra gli esseri delle dieci direzioni dello spazio distesero le braccia e dissero queste parole a colui che ha la voce dell’usignolo: Così come noi abbiamo conseguito il Risveglio anche tu, Essere Puro, lo hai conseguito. Noi siamo come il burro e il burro chiarificato.
Successivamente, o Monaci, le Apsarā del Reame del desiderio appresero che il Tathāgata sedeva al Bodhimaṇḍa e aveva conseguito la conoscenza superiore, aveva adempiuto ai suoi voti, era risultato vincitore in battaglia dopo aver sconfitto il demone che gli si contrapponeva, aveva rizzato il parasole e dispiegato lo stendardo e il vessillo; era divenuto un eroe innalzato dalla vittoria, un uomo, un grande uomo, il migliore dei guaritori, colui che ha estratto la grande spina; il leone che ha superato il timore e la paura, l’elefante dallo spirito gentile; era privo di contaminazioni, libero dalla triplice oscurazione, era il saggio che aveva acquisito la triplice conoscenza; era giunto sull’altra sponda, poiché aveva attraversato i quattro fiumi; era lo Kṣatriya che reca il parasole adorno di un singolo gioiello, era il Brāhmaṇo dei tre mondi, che ha abbandonato le azioni non virtuose, era il monaco che ha spezzato il guscio dell’uovo dell’ignoranza, era lo Śramaṇa che ha trasceso ogni attaccamento, che è divenuto puro, che si è liberato da ogni afflizione mentale; l’eroe il cui vessillo non è stato abbattuto, tra tutti il più forte perché dotato dei dieci poteri; come una miniera di pietre preziose, era ricolmo di tutte le gemme del Dharma. Allora le Apsarā si avvicinarono al Bodhimaṇḍa e rivolsero lodi al Tathāgata con questi versi:
5. Dopo aver sconfitto l’esercito del demone, egli dimora ai piedi del re degli alberi, incrollabile come il monte Meru, senza alcun timore, in silenzio.
6. Avendo praticato per milioni di kalpa la generosità, la disciplina e la moderazione ha conseguito il supremo Risveglio. Per questo egli oggi risplende.
7. Mentre egli nel corso di milioni di eoni ricercava il supremo Risveglio, Śakra e Brahmā furono oscurati dalla sua condotta virtuosa, dai suoi voti, dalle sue austerità.
8. Armato della forza della pazienza, per molti milioni di eoni ha sopportato le sofferenze. Per questo motivo egli risplende come oro.
9. Per molti milioni di eoni grazie all’energia e al potere dello sforzo entusiastico egli ha messo in fuga (gli avversari). Per questo l’esercito del demone è stato sconfitto.
10. Per molti milioni di eoni grazie alla concentrazione, alla saggezza e alla conoscenza ha reso omaggio ai migliori tra i Saggi. Per questo egli è oggi onorato.
11. Grazie all’intuizione e all’apprendimento sviluppati nel corso di molti milioni di kalpa ha istruito dozzine di milioni di esseri. Per questo egli ha conseguito il Risveglio così velocemente.
12. Egli ha sconfitto il demone degli aggregati (skanda), come pure il demone della morte e il demone delle afflizioni mentali. Ha anche trionfato su Māra, figlio di un dio. Per questo egli non prova angoscia.
13. Costui, dio tra i più eccelsi tra gli dei, è degno di ricevere onori dagli dei stessi, ed è degno di essere venerato nei tre mondi. Egli dona il frutto dell’Amṛta (immortalità) a coloro che aspirano ad accumulare meriti. 
14. Egli è il più degno di venerazione. Colui dal quale egli accetta un dono non conosce scomparsa del risultato, fino al conseguimento del supremo Risveglio [17].
15. Un ciuffo di peli risplende (tra le sue sopracciglia) illuminando molti milioni di reami. Benché il sole e la luna siano stati oscurati, gli esseri senzienti hanno ottenuto la luce.
16. Egli è dotato di una bellissima forma, la più nobile di tutte le forme, una forma sublime. Costui, che reca i segni maggiori, desidera essere di beneficio ed è degno di devozione nei tre mondi.
17. L’occhio di colui che è auto-generato è perfettamente puro e vede ogni cosa: i luoghi, i corpi degli esseri, i loro pensieri, i loro intendimenti.
18. Il suo orecchio è incontaminato e ode suoni infiniti, divini ed umani, le voci dei Vittoriosi, la voce del Dharma.
19. La sua lingua è lunga, la voce è quella melodiosa dell’usignolo. Ascoltiamo dalla sua bocca il Dharma immortale che genera la pace perfetta.
20. Avendo visto le schiere del demone la sua mente non si è turbata; ugualmente, dopo aver visto le schiere degli dei il grande Saggio non si è estasiato.
21. Egli non ha sconfitto l’esercito del demone né con le armi né con le frecce; il malvagio avversario è stato vinto con la verità, con l’adempimento dei voti e con le austerità.
22. Egli non è stato spostato dal suo seggio e il suo corpo non è stato ferito; in quelle circostanze non esistettero per lui né attaccamento né avversione.
23.  Grandi saranno le acquisizioni per gli dei e per gli uomini che avendo ascoltato il Dharma dalla tua bocca cercheranno di realizzare la conoscenza.
24. Tu possiedi lo splendore dei meriti dei Vittoriosi. Avendo lodato i tuoi meriti, possiamo noi divenire presto come te, Luna degli uomini.
25. Dopo che il Risveglio fu conseguito dalla Guida, toro tra gli uomini, centinaia di migliaia di reami tremarono e il demone fu sconfitto. Con voce simile a Brahmā, con voce simile alle melodie dell’usignolo, la Guida (degli uomini) recitò questi Gāthā [18]:
26. Colui che possiede la felicità della piena maturazione dei meriti, colui che lenisce tutte le sofferenze: i voti di costui giungeranno a compimento grazie ai suoi meriti. Egli conseguirà presto il Risveglio, dopo aver sconfitto il demone. Entrato nel sentiero della pace, raggiungerà il Nirvāṇa, lo stato tranquillo della liberazione.
27. Pertanto, chi mai potrà saziarsi di acquisire meriti? Chi mai sarà pienamente sazio di ascoltare il nettare del Dharma? Chi mai si sazierà di dimorare in solitudine? Chi mai si sazierà di beneficiare gli esseri senzienti?
28. Avendo steso la mano, egli disse ai Bodhisattva: L’omaggio è stato reso, ognuno di voi ritorni alla propria dimora. E tutti, dopo essersi rispettosamente inchinati ai piedi del Tathāgata, tornarono a gruppi nelle rispettive dimore.
29. Quindi, avendo assistito all’attacco di Namuci e ai diversi giochi del Sugata, essi generarono un ineguagliabile desiderio rivolto al conseguimento del Risveglio e dissero: Possiamo noi sconfiggere il demone e le sue schiere e conseguire l’immortalità!
O Monaci, mentre il Tathāgata giungeva al perfetto e compiuto Risveglio, seduto su un trono ai piedi dell’albero del Risveglio, si manifestarono in quello stesso istante le incommensurabili attività ludiche di un Buddha, tali che sarebbe difficile descriverle anche nel corso di un intero kalpa.
A questo proposito è detto:
30. La terra divenne uniforme come il palmo di una mano; nacquero fiori di loto, che sbocciarono irradiando luci; gli dei, a centinaia di migliaia, si inchinarono verso il Bodhimaṇḍa; in quel luogo assistettero al primo segno che si manifestò nel ruggito del Leone.
 31. Centinaia di alberi nell’intero universo si inchinarono verso il Bodhimaṇḍa, come pure molte delle più alte montagne insieme con il Meru, re dei monti. Avvicinandosi a colui che possiede i dieci poteri, Brahmā e Śakra si inchinarono. Tale era il gioco del Leone degli uomini presso il luogo del Risveglio.
32. Centinaia di migliaia di raggi luminosi emanarono dal suo corpo: essi si diffusero nei regni supremi dei Vittoriosi e i tre reami inferiori furono pacificati. In quell’ora, in quell’istante, tutte le inquietudini cessarono e sofferenza, orgoglio e avversione non afflissero alcun essere senziente.
33. Tale era il gioco del Leone degli uomini seduto sul suo seggio. Le divine luci della luna, del sole, del gioiello Mani, del fuoco e del fulmine non illuminarono più, eclissate, mentre risplendeva il ciuffo di peli (tra le sopracciglia del Bodhisattva), e nessun essere al mondo poté osservare il volto del Maestro Spirituale.
34. Tale era il gioco del Leone degli uomini seduto sul suo seggio. Al tocco del palmo della sua mano, la terra tutta tremò. Questo scosse l’armata del demone come fosse cotone. Namuci, impugnata una freccia, tracciò delle immagini sul terreno.

Capitolo intitolato: Conseguimento del perfetto e completo Risveglio, il ventiduesimo


NdT

[1] Relativamente ai diversi gradi della concentrazione, si veda anche il cap. XI, Il villaggio dei contadini.
[2] Si parla naturalmente di nobiltà spirituale.
[3] Nel testo De Foucaux dice: ricevevano una ricompensa sulla base delle loro azioni, ma il termine ricompensa è inappropriato dal punto di vista buddhista.
[4] Inizia qui l’esposizione della dottrina del sorgere dipendente, o originazione interdipendente, o produzione condizionata, o dei dodici anelli (in sanscrito pratītyasamutpāda, in pali paṭiccasamuppāda), che ha per oggetto l’insieme dei meccanismi di interazione sui quali si reggono i fenomeni nelle loro relazioni causali. Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, alla voce interdipendenza. Il testo di De Foucaux riporta tra parentesi il termine originario sanscrito di undici dei dodici anelli. Il primo (o dodicesimo, a seconda del senso in cui si leggono gli anelli nella ruota che essi compongono) è vecchiaia-e-morte, in sanscrito: jarā-maraṇa).
[5] Il termine bhava è reso con esistenza o anche divenire.
[6] Tṛṣṇā è spesso tradotto con sete.
[7] Le sei basi, gli organi dell’attività sensoriale: della vista, dell’udito, del tatto, del gusto, dell’odorato e dell’intelletto (manas, il mentale).
[8] L’insieme dei cinque aggregati dell’io. La forma, ovvero l’ambito fisico, il corpo. Il nome, l’ambito psichico: sensazioni, percezioni, formazioni e coscienza.
[9] L’impulso del karma passato, delle vite precedenti.        
[10] Le abbreviazioni compaiono nel testo originario, come conferma lo stesso De Foucaux in una nota a piè pagina e come confermato anche nella versione inglese.
[11] Ritorna qui il discorso in prima persona.
[12] Qui De Foucaux opera una abbreviazione del testo, nel quale probabilmente si parla dell’identificazione, dell’origine, della cessazione e della via che conduce alla cessazione del mondo quale cumulo di dolore, pena, lamento ecc.
[13] Triplice conoscenza traduce il termine sanscrito Trayī Vidyā, a proposito del quale nel Dizionario dell’Induismo più volte citato si legge che è “la triplice scienza sacra (dei Veda), comprendente la recitazione di inni, la celebrazione di sacrifici e l’intonazione di canti religiosi” (pag. 440). In un contesto buddhista il senso dell’espressione riveste un significato molto più ampio, infatti nei testi anche contemporanei si parla sovente di onniscienza del Buddha.
[14] Si veda Paolo, 1 Corinzi, 15, 55: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?
[15] Traduco con assoluto ciò che in De Foucaux è la vraie fin, intendendo fin come modalità ultima dell’essere, non come termine né come scopo.
[16] Qui De Foucaux parla di gens disciplinables, ma pare preferibile tradurre con tutti gli esseri, in quanto il Dharma del Buddha, proprio come la pioggia, non “cade” solo su alcune categorie di esseri senzienti.
[17] Il testo di De Foucaux viene qui tradotto, sulla falsariga della versione inglese, nella maniera più coerente.
[18] I periodi contrassegnati con il n. 25 non sembrano costituire un gāthā, in quanto non fanno parte delle lodi pronunciate dalle Apsarā. È comunque preferibile seguire la numerazione di De Foucaux. 

I 12 anelli