mercoledì 29 novembre 2023

INTRODUZIONE AL PENSIERO TRADIZIONALE CINESE - 5 - Il Daoismo.2 : dalla filosofia alla politica - Sunzi e l'Arte della Guerra

Lezione 5 – Il Daoismo_2: dalla filosofia alla politica - Sunzi e l’Arte della Guerra

Benché ciò verso cui il Saggio si volge sia sempre e soltanto il ricongiungimento al Principio supremo, la dottrina daoista cerca comunque di rispondere anche a quelle concrete istanze umane che possono essere definite politiche, nel significato più ampio del termine. Anche sotto questo aspetto nel Dao De Ching il fondamento della riflessione e dell’azione (che qui si fa azione nel sociale e nelle istituzioni) è costituito dalla nozione di wu wei. Il non-agire secondo il Dao, l’agire nel non-agire, è ciò che permette di mantenere ordine, armonia ed equilibrio tra gli individui e all’interno delle famiglie, delle comunità, dei gruppi sociali, degli Stati.

A tale proposito è detto nel Dao De Ching (capitolo 3): “Se non si esaltano gli uomini di talento, si ottiene che il popolo non lotti. / Se non si dà valore ai beni difficili da ottenere, si ottiene che il popolo non rubi. / Se non gli si mostra ciò che potrebbe bramare, si ottiene che il cuore del popolo non sia turbato. / Ecco per quale ragione il Santo, nella sua opera di governo, svuota il cuore (degli uomini) e riempie il loro ventre, indebolisce la loro volontà e rafforza le loro ossa, in modo da ottenere che il popolo sia costantemente ignaro e senza desideri, e che coloro che sanno non osino agire. Egli pratica il Non-agire, e in questo caso non c'è nulla che non sia ben governato”.

E ancora: “Un paese si governa con la dirittura / Una guerra si conduce con gli espedienti / Ma è con il non-fare che si conquista il mondo. / Come lo so? / Da questo: / Quanto più regnano al mondo divieti e proibizioni / Tanto più il popolo s’impoverisce. / Quanto più il popolo possiede armi taglienti / Tanto più imperversa il disordine nel paese. / Più abbondano sagacia e destrezza / E più ne risultano stravaganti oggetti. / Più si moltiplicano leggi e decreti / E più abbondano ladri e banditi. / Perciò il Santo dice: / Se pratico il non-agire, da sé il popolo si trasformerà. / Se amo la quiete, da sé il popolo si correggerà. / Se sto senza far nulla, da sé il popolo si arricchirà. / Se sto senza desideri, da sé il popolo tornerà alla semplicità” (cap. 57).

Il non-agire vince quindi per attrazione, per assorbimento, non per costrizione, in quanto si fonda sull’armonia, sulle qualità dell’essere anziché su quelle dell’avere o del fare.

Non si tratta di superiorità etica, non è la rivincita del mite nei confronti del violento, della vittima verso il carnefice. E neppure è l’astuzia di Ulisse contro Polifemo o l’abilità di Davide contro Golia.

E – punto che deve essere chiaro – nemmeno si tratta del non fare nulla, di passività, men che meno di rassegnazione. Non-agire è essere in armonia con l’Universo, in modo tale che il De del Dao possa manifestare la sua efficacia.

Il Saggio, dice Laozi, “si occupa del non-agire / pratica l’insegnamento senza parlare / lascia sviluppare gli esseri senza ostacolarli” (cap. 2). In un’altra versione: egli “si applica a non studiare e torna al punto che tutti oltrepassano. / Così egli sostiene il corso naturale dei diecimila esseri senza osare agire”.

Non-agire significa in ultima analisi astenersi dalle azioni intenzionali, dirette, che si fondano sull’attaccamento e generano ulteriore attaccamento, che si oppongono alla spontaneità, alla natura originaria dell’essere.

Si legge nel Dao De Ching (cap. 28):

Riconosci in te ciò che è maschile / Ma attieniti a ciò che è femminile. / Fatti burrone del mondo. / Essere burrone del mondo / E’ unirsi alla Virtù costante / E’ tornare alla prima infanzia. / Riconosci in te il bianco / Ma attieniti al nero. / Fatti norma del mondo. / Essere norma del mondo / E’ partecipare della Virtù costante / E’ tornare al senza-limiti. / Riconosci in te la gloria / Ma attieniti all'oscurità. / Fatti valle del mondo / Essere valle del mondo / E’ avere in abbondanza la Virtù costante / E’ tornare alla semplicità del legno grezzo. / Il blocco della semplicità originaria / Viene intagliato in utensili. / Ma il Santo è il blocco integro e intatto / Ch'egli adotta come ministro / Poiché il Maestro dell'Arte si guarda dal tagliare”.

Come si nota Laozi predilige il femminile al maschile, il nero al bianco, l’oscurità alla luminosità, il debole al forte. Ma non per questo esclude il maschile, il bianco, il forte ecc. Gli elementi che compongono le coppie degli opposti (a partire dalla coppia fondamentale Yin/Yang) non hanno un carattere esclusivo, sono invece complementari, questo perché il loro rapporto non è di tipo logico (aut-aut, o questo o quello), bensì organico, relazionale (et-et), secondo un modello tipico della culture tradizionali e particolarmente evidente in Oriente.

 

Si è detto che la nozione di wu wei – assolutamente centrale nel Daoismo – può essere confusa con un atteggiamento passivo nei confronti della vita. Questa erronea visione è tipica dell’Occidente, anzi della modernità.

Ma wu wei non è inazione, inerzia, quietismo. Lo comprese molto bene René Guénon, che scrisse in un articolo pubblicato postumo, Contro il quietismo: “Gli orientalisti non comprendono affatto il vero significato” del non-agire. Esso costituisce in realtà “l’attività suprema, e questo perché esso è il più possibile distante dalla sfera dell’azione esteriore, ed è totalmente affrancato da tutte le limitazioni che a quest’ultima sono imposte dalla sua stessa natura [..]. È ovvio che il non- agire [..] implica, per colui che è giunto ad esso, un perfetto distacco non solo nei confronti dell’azione esteriore, ma anche nei confronti di ogni altra cosa contingente, e ciò perché un essere simile si pone al centro stesso della ‘ruota cosmica’, mentre le cose appartengono soltanto alla sua circonferenza”.

 Il Saggio daoista è il vuoto al centro della ruota, è un autentico motore immobile.

 Per Guénon dunque l’autentica forma dell’attività umana è il non-agire del Dao, l’attività spirituale, ovvero la contemplazione, ciò che agli occhi della mentalità moderna risulta essere una attività inutile, una forma di oziosità che non “produce” alcuna ricchezza, che non accresce alcun PIL.

 Secondo tutte le grandi Tradizioni il Saggio è colui che percorre una Via spirituale con l’intento esclusivo di ricongiungersi con il Principio. A seconda delle forme storicamente assunte dalla Tradizione, si parlerà di Nirvana o di Satori per il Buddhismo, di Samadhi o di Moksha per lo Yoga e per tutte le scuole tradizionali dell’India, di Unione con Dio per il Cristianesimo, di Wu-wei o di Immortalità o di Armonia per il Daoismo ecc., rimanendo sempre all’interno di una visione spirituale (“religiosa” se si vuole, ma in senso molto ampio, non istituzionale nè dogmatico) dell’uomo e del significato della sua vita.

 Inevitabilmente, anche se talora al prezzo di un allontanamento dai princìpi, le stesse forme tradizionali hanno influenzato profondamente molti aspetti della storia, della cultura, delle arti, delle istituzioni dei popoli nel cui ambito si sono originate o con cui sono venute a contatto.

Basti pensare a come il non-agire del Daoismo abbia costituito la base delle arti marziali cinesi, che si diffusero in tutto l’Estremo Oriente e poi in Occidente: il famoso Judo, ad esempio, è la lettura giapponese del termine Ruodao, la Via della Cedevolezza. Il principio teorico è sempre lo stesso: colui che usa la forza è già per questo in una posizione di inferiorità, poiché la sua stessa forza si ritorcerà contro di lui.

Il termine Do che si ritrova in molte parole nipponiche è infatti la lettura giapponese, con lo stesso significato, del cinese Dao: oltre a Judo, si pensi ad Aikido, la Via dell’Unione con l’Energia (Ki, in Cina Qi); Kendo, la Via della Spada; Kyudo, la Via dell’Arco; Chado, la Via del Tè; Shodo, la Via della Scrittura; Kado, la Via dei Fiori, ecc.

Già da questi pochi esempi risulta evidente quanto la Tradizione Taoista insieme con quella Buddhista abbiano influenzato i più diversi aspetti delle società di tutto l’Estremo Oriente.

 Ed anche dell’Occidente, invero. Ma ciò è avvenuto in ambiti molto più ristretti, con modalità molto più superficiali, seguendo talvolta mode passeggere (ad esempio una New Age ormai molto Old…). E pagando spesso un prezzo veramente alto, poiché pratiche di questo tipo se decontestualizzate, se inserite in una società materialistica che intossica tutto ciò che assimila, allora si trasformano in merci, sono utilizzate con finalità di ordine inferiore (una fitness fine a se stessa, la ricerca di un facile esotismo, il voler apparire “alternativi” a tutti i costi, invero il massimo del conformismo – ecc.), divengono inautentiche, si riducono a mere tecniche, si allontanano dai princìpi come un fiume che si allontana dalla purezza della sorgente e disperde nell’oceano le sue acque ormai morte.

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Ritornando nello specifico alla Tradizione cinese, se del Daoismo e della politica si è già detto, non si può tacere del Daoismo e della Guerra, essendo la Guerra la continuazione della politica con altri mezzi, secondo la famosa e quanto mai attuale affermazione del Generale prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831).

Carl von Clausewitz

 

Pur non essendo propriamente un testo della Tradizione, il Daoismo ha certamente influenzato un classico dell’antica Cina, il trattato di strategia militare noto come L’Arte della Guerra (Sunzi Bingfa), attribuito al Generale Sunzi. Il testo risale al V-IV secolo a.C., ma trae origine da una tradizione orale lunga almeno due secoli, con insegnamenti da bocca ad orecchio, come avveniva comunemente in ambito Daoista, Buddhista, Induista, Cristiano ecc....

Come già per Laozi, la figura dell’autore è avvolta nel mito: lo storico Sima Qian narra che il Generale Sunzi lavorava come consigliere militare presso un re, il quale, prima di conferirgli quell’incarico, aveva però voluto verificare le sue doti. Perciò gli aveva chiesto se le sue capacità strategiche potessero applicarsi anche alle donne.

Sunzi accettò l’insidioso quesito e rispose usando le centottanta concubine del re. Divise le donne in due gruppi e ne pose a capo le due favorite del re. Poi spiegò ai due gruppi le regole da seguire: agli ordini di Sunzi, le donne avrebbero dovuto girarsi tutte nella direzione indicata. Al rullo dei tamburi ordinò alle donne di voltarsi a destra, ma queste cominciarono a ridere e non obbedirono. Sunzi disse: “Se le regole non sono chiare e gli ordini non vengono compresi, la colpa è del generale”. Spiegò quindi ancora una volta le regole, quindi ordinò alle donne di voltarsi a sinistra. Ancora le donne scoppiarono a ridere e non obbedirono. Sunzi disse allora: “Se le regole non sono chiare e gli ordini non vengono compresi, la colpa è del generale; se, invece, le regole sono chiare, e tuttavia gli ordini non vengono eseguiti, allora la colpa è degli ufficiali”. Impartì quindi l’ordine di decapitare le due favorite. Il re gli ordinò di fermare l'esecuzione, ma Sunzi rispose che nella sua qualità di Generale vi erano ordini del re che poteva non seguire. Le due donne furono giustiziate, e le favorite immediatamente inferiori per rango furono messe al comando dei due gruppi. Questa volta le donne obbedirono agli ordini senza indugio. Fu in questo modo, racconta Sima Qian, che Sunzi fu assunto al servizio del re.

Sun Zi


  

Il testo, così come pervenuto, è suddiviso in 13 capitoli, dedicati ai vari aspetti della guerra, dalle valutazioni strategiche allo scontro armato, dalla disposizione dell’esercito alle configurazioni del terreno, fino allo spionaggio. È un vero e proprio testo del pensiero strategico, frutto di una sapienza collettiva, tuttora oggetto di studio nelle accademie militari in Cina e altrove. Ma soprattutto è divenuto un manuale tuttora di estrema attualità per coloro che desiderano affrontare i conflitti con un approccio nuovo, sebbene antico di millenni, in ogni ambito: è quindi studiato e applicato dai militari, dai consigli di amministrazione aziendali, da gruppi di privati cittadini. Sunzi riconosce apertamente infatti che il conflitto è da sempre parte integrante della vita umana e talvolta non può essere evitato. Il conflitto opera a tutti i livelli, dall’interiorità del proprio ego alle guerre tra nazioni. E Sunzi prende in esame questi due estremi e tutte le sfumature intermedie. Dal litigio familiare tra genitori e figli al conflitto tra Stati.

Alla base del corretto approccio al conflitto egli pone, coerentemente con i princìpi del Daoismo, la conoscenza, di se stessi e dell’altro:

Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo. / Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle di sconfitta. / Se non conosci né il nemico né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa.

Questo tipo di consapevolezza ci dice quanto il Sunzi sia un frutto della grande pianta del Daoismo: si tratta fondamentalmente di apertura della mente, di intimità con se stessi, obiettivo che si può raggiungere grazie alle pratiche contemplative che il Daoismo insegna, e che tutte le autentiche Tradizioni spirituali propongono da sempre: “Conosci te stesso”, era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. E veniva aggiunto: “e conoscerai l’Universo”, poiché come già detto, “quod est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est inferius”.

 E dal non-agire del Dao proviene il principio secondo cui “ottenere cento vittorie in cento battaglie non è prova di suprema abilità, sottomettere l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità”. Non ci si propone di astenersi dal conflitto, bensì di prendervi parte e uscirne vincitori, laddove la migliore vittoria “consiste nel conquistare intero e intatto uno Stato nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore”.

Già nel titolo, il capitolo 6, Il pieno e il vuoto, mostra le sue radici che affondano nella visione daoista: come nulla nell’Universo ha una forma fissa, nello stesso modo la qualità essenziale di un’operazione vittoriosa è il non avere una forma definita, il trasformarsi senza esitazioni, rispondendo a ciò che si incontra, che si tratti del terreno o della disposizione dell’avversario, poiché “dei Cinque Elementi nessuno è predominante. / Delle quattro stagioni nessuna dura eternamente…/ La luna cala e cresce”.

Ritorna qui potentemente il simbolismo dell’acqua, già visto più volte nella Tradizione cinese: “La forma dell’operazione militare è come quella dell’acqua. / L’acqua quando scorre fugge le altezze e precipita verso il basso…/ Come l’acqua adegua il suo movimento al terreno, la vittoria in guerra si consegue adattandosi al nemico”.

Nel conflitto ortodossia e straordinarietà si avvicendano l’una all’altra: l’ortodossia è la familiarità, ciò che ci si aspetta, il convenzionale. Lo straordinario è ciò che sorprende. “In battaglia usa metodi ortodossi per affrontare il nemico. Usa metodi straordinari per ottenere la vittoria”. Impegnando l’avversario con metodi ortodossi confermiamo le sue aspettative, lo spingiamo verso risposte prevedibili. Nel frattempo attendiamo di mettere in atto lo straordinario: “Chi è abile nel creare lo straordinario è infinito come il cielo e la terra, inesauribile come il Fiume Giallo e l’Oceano. / Quando giunge al termine ricomincia da capo, come l’alternarsi del sole e della luna”. È l’ormai noto simbolo del Taijitu (T’ai Chi T’ou) che si attualizza: “Lo straordinario e l’ortodosso si rincorrono e l’uno genera l’altro, come in un cerchio senza inizio”.

 Infine, un ultimo aneddoto sulla vita del Generale Sunzi e sulla genesi del suo Bingfa, nel quale si narra che mentre svolgeva la sua opera di consigliere militare del re Sunzi fu accusato di aver partecipato ad un complotto. Di conseguenza venne evirato e mandato in esilio. Fu solo allora che mise per iscritto il suo capolavoro su strisce di bambù legate tra loro con cordicelle di seta.


 

 Quanto alla sua diffusione in Occidente, il testo dell’Arte della Guerra fu tradotto dai Gesuiti in francese nel 1772, e fu letto probabilmente anche da Napoleone Bonaparte. Però l’Empereur evidentemente non ne applicò i princìpi nella sua fallimentare invasione della Russia nel 1812. Lo fece invece, e con profitto, il suo avversario, il Generale Kutuzov, forse senza neppure conoscere il testo.

Successivamente, in Occidente il Bingfa ricadde nell’oblio, per tornare in auge ai primi del ‘900, quando si ispirò ai suoi dettami il Ten. Col. Thomas Edward Lawrence (Lawrence d’Arabia) partecipando in prima persona alla rivolta araba nel 1917-18.

La Germania del Kaiser lo ignorò, come pure gli Ufficiali del Terzo Reich, che commisero con la Russia di Stalin lo stesso catastrofico errore di Napoleone.

Al contrario, nelle terre d’origine del Bingfa fecero tesoro degli insegnamenti di Sunzi prima Mao Zedong e Lin Biao nel corso della Rivoluzione comunista, quindi Ho Chi Minh e il Generale Giap in Vietnam, nei vittoriosi conflitti contro la Francia e contro gli Stati Uniti.