Lezione 7 – La pratica del Dao: armonia di Microcosmo e Macrocosmo. Il Qi Gong
In una sua breve pubblicazione del 2012 (Taoismo in uno sguardo, Ed. Vozza) il M° Li Xuan Zong, al secolo Vincenzo di Ieso, Prefetto Generale della Chiesa Taoista d’Italia, ha definito il Daoismo come:
- “Una filosofia naturalistica e a-morale”, cioè priva di rigidi dogmi, e
- “una religione atea, nel senso che non crede nell’esistenza di un dio-persona”.
La prima è detta Daojia, ovvero l’insegnamento daoista. La seconda è Daojiao, la religione. Si tratta comunque di due aspetti di un’unica realtà. Di due diversi punti di vista, non nel senso di opinioni, ma di punti di osservazione – e di pratica.
Più oltre, definisce il Daoismo “una via pratica che va seguita con i propri piedi e individuale”, anche se svolta periodicamente con gli altri membri della comunità daoista. Quindi descrive sinteticamente le forme nelle quali la pratica stessa si esprime nei suoi quattro aspetti fondamentali, strettamente correlati e interdipendenti: gli aspetti
“pratico: tecniche di alchimia interiore, qigong ecc.;
filosofico: studio dei testi originali;
religioso: pratiche spirituali personali e cerimoniali collettive;
umano: diffondere i valori della compassione, sobrietà e umiltà”.
Quanto al primo punto, la pratica quotidiana di un Daoista comprende la purificazione con l’acqua, l’esecuzione di alcune tecniche psico-energetiche, il saluto rituale davanti all’altare con le offerte di tè, fiori e incenso, la recitazione di brani dei testi classici, la meditazione seduta, il saluto finale.
Ci limiteremo qui ad esaminare solo alcuni aspetti della pratica citati dal M° Li Xuan Zong, da lui giustamente definiti come tecniche di alchimia interiore, un concetto (anzi, una vera e propria arte) che da sempre riveste nel Daoismo una fondamentale importanza e che si ritrova, con altri nomi, in tutte le Tradizioni dell’Umanità: nell’antico Egitto, in Cina, in India, nel mondo greco-alessandrino e romano, nel mondo islamico, nell’Europa medievale e rinascimentale. Nonché nell’ambito della moderna psicoanalisi, soprattutto di scuola junghiana.
Come sempre, è buona cosa soffermarsi sull’etimologia del termine: alchimia trae origine da Kemet, Terra Nera (ovvero fertile, in contrapposizione con terra rossa, l’arida terra del deserto), l’antico nome dell’Egitto, un paese che si diceva fosse abitato da potenti maghi. In ambito arabo troviamo (al) kīmiyya, vocabolo traducibile con (la) chimica, e nella lingua greca abbiamo khyma, versamento, fusione. Altrettanto interessante l’etimo cinese kim-iya, che significa succo per fare l'oro.
Anche se l’immagine superficiale ma dominante dell’alchimia la considera un processo di trasformazione operato dall’uomo sui metalli vili per tentare di convertirli in oro, essa consente comunque di individuare il suo legame con la visione daoista dell’Uomo e del Cosmo, in quanto ne conferma la nozione di una costante trasmutazione di tutti i fenomeni, secondo le leggi naturali esposte nello Yi Ching, nel Dao De Ching e in tutti i testi delle scuole daoiste. Ma questa costituisce soltanto una versione volgare, materialistica, moderna, dell’alchimia, quella che concorrerà alla nascita dell’odierna chimica.
A tal proposito, è interessante e molto attuale la critica avanzata dall’altro fondatore del Daoismo, Zhuangzi (IV-III sec. a.C.), nei confronti di un approccio materialistico alla pratica, alla ricerca di un mero prolungamento della vita, egoistico ed incompatibile con la visione di un costante divenire dei fenomeni e con il principio della non-azione. Dice Zhuangzi: “Chi soffiando ora con forza ora con dolcezza espira e aspira (..), si appende come fa l’orso e si stira come fa l’uccello, cerca solo la longevità. È questo l’ideale di coloro che vogliono nutrire il proprio corpo stendendolo e contraendolo (..). Chi ha una condotta elevata pur senza torturarsi lo spirito (..) raggiunge un’età avanzata pur senza estendere e contrarre il su corpo, dimentica tutto e possiede tutto”.
Al contrario, nei tempi d’oro, quando le stagioni si succedevano regolarmente e l’uomo non si era allontanato dal Dao, “l’uomo perfetto (..) respirava molto profondamente e la respirazione gli proveniva dai talloni; mentre la respirazione degli uomini comuni proviene solo dalla gola”.
Ad un livello superiore, possiamo invece parlare di alchimia spirituale, ovvero di un’arte della trasmutazione di sé quale sinonimo del cammino sulla Via che il praticante, in questo caso il seguace del Dao, percorre alla ricerca dell’Armonia in sé e quindi tra sé e il mondo. Una forma di conoscenza autenticamente salvifica che non è mera accademia fine a se stessa, ma è conditio sine qua non per la trasformazione di sé, per una autentica evoluzione interiore: il Dao come pietra filosofale, l’uomo come materia volgare che trasforma il proprio piccolo ego nell’autentico Sé, l’Uomo Realizzato, ren.
Ciò che contraddistingue in maniera evidente queste autentiche Vie spirituali, genericamente definibili come “Orientali” (il Daoismo, lo Yoga, il Buddhismo…), rispetto alla generalità delle pratiche spirituali dell’Occidente, quand’anche autentiche e correttamente motivate, è il fatto che solo le prime coinvolgono l’essere umano nella sua totalità:
- il corpo, in tutte le sue possibili posture, dinamiche o statiche, in ogni sua parte, nella sua gestualità;
- il respiro, in tutte le sue fasi, nel loro ritmo, nella loro durata;
- la parola, ed ogni espressione sonora umana;
- la mente, con le sue motivazioni, sensazioni, percezioni, emozioni, intuizioni; in tutti gli stati di coscienza, dalla veglia al sonno profondo agli stati onirici, fino alle vette della contemplazione e della meditazione;
- l’energia vitale, in tutte le sue manifestazioni, dalle più grossolane alle più sottili.
Tornando alla pratica quotidiana del Sentiero daoista, si inseriscono in questo contesto le tecniche di alchimia interiore contemplate nel Neidan (Nei = interno; Dan = elisir, cinabro, alchimia) e focalizzate sulla trasformazione e sull’armonizzazione dei Tre Tesori (San Bao):
- Jing, l’Essenza, la sostanza primeva; è trasmesso dai genitori, poi va consolidato, incrementato tramite i cibi, l’aria, le pratiche daoiste, raffinato e trasformato nel
- Qi, l’Energia Vitale dell’Universo (ki in Giappone, prana in India); circola nel corpo attraverso i Meridiani; è condizionato dalla qualità di ciò che mangiamo, dall’aria, dallo stile di vita, dalla personalità, da sentimenti ed emozioni; il Qi va perfezionato e convertito in nutrimento per lo
- Shen, lo Spirito, l’Anima, la Mente, il Divino che è nell’uomo, l’autentico Sé; risiede nel cosiddetto terzo occhio, il Dan Tian Superiore (la fronte). Durante l’esistenza, Shen è diretto dalla Mente, può essere stimolato consentendogli di raggiungere livelli più elevati ma deve anche essere temperato tramite Yi, la Mente Meditativa. Fino alla conversione della pura coscienza in vuoto, nel Dao. Nel non-definibile. Ciò che gli alchimisti occidentali chiamavano il termine della Grande Opera.
Sul Qi Gong
Dal mare magnum degli insegnamenti e delle pratiche del lavoro interiore daoista
estrapoliamo qui, in un breve accenno, una delle metodiche più note, il Qi Gong (già citato dal M° Li Xuan Zong), che appartiene al mondo del Wu Shu, l’insieme delle arti marziali cinesi (Shu = arte, metodo, Wu = marziale) più note tra gli Occidentali come Kung Fu (= lavoro duro, abilità).
Il Wu Shu è suddiviso in due gruppi: Wai Chia (Lavoro Esterno) e Nei Chia (Lavoro Interno); quest’ultimo comprende, tra le altre, le scuole del Taijiquan (il Pugno del Culmine Supremo), del Wudangquan (il Pugno del Monte Wudang), del Baguazhang (il Palmo degli Otto Trigrammi) e, appunto, il Qi Gong.
Il termine Qi Gong indica un lavoro svolto con impegno fisico e mentale costante (Gong) che si svolge sul Qi, cioè sull’energia vitale che circola nell’individuo e che è tutt’uno con la nozione di Dao. Consiste dunque in un vasto insieme di metodiche psico-fisico-energetiche collegate alla medicina tradizionale cinese (MTC), alle arti marziali (Wu Shu), alle pratiche spirituali daoiste. La sua importanza nella Tradizione cinese è senz’altro pari a quella dello Yoga nell’India classica. E come per lo Yoga la sua origine documentata risale ormai a migliaia di anni or sono, riportandoci alle ritualità sciamaniche, alle danze “magiche”, alle antiche tradizioni del mondo contadino, alle acute osservazioni della natura, degli animali, del Cosmo e alle elaborazioni metafisiche che ne scaturivano, e che confluirono negli insegnamenti da bocca ad orecchio successivamente trascritti nello Yi Ching, nel Dao De Ching, nel Canone di medicina interna dell’Imperatore Giallo e nei testi successivi.
L’espressione Qi Gong nasce nel XIX secolo, prima di allora si usava la locuzione Dao Yin, dove Dao è come noto la Via, Yin significa tirare, tendere un arco: estendere il corpo per ammorbidirlo, superare le tensioni fisiche e psichiche per comprendere la Via. Anche se, è da dire, secondo alcuni non è del tutto corretto usare i due termini come sinonimi, in quanto il Dao Yin comprende tecniche più dinamiche, il Qi Gong più statiche.
L’antica origine delle pratiche psico-energetiche cinesi è documentata da fonti letterarie del V sec. a.C., se non addirittura precedenti, nonché da interessanti reperti archeologici, quali il Pendente di giada con iscrizioni sul Qi Gong (Xing Qi Yupei Ming), del V o forse dell’VIII secolo a.C., un dodecaedro di giada a 12 facce con 45 caratteri incisi, così traducibili:
“Promuovendo e conducendo il Qi la profondità permette l’immagazzinamento, l’immagazzinamento permette l’estensione, l’estensione permette la discesa, la discesa permette la stabilità, la stabilità permette la germinazione, la germinazione permette la crescita, la crescita permette il prolungarsi e il prolungarsi porta fino al cielo. Il Qi del cielo agisce dall’alto, il Qi della terra agisce dal basso. Il conformarsi a queste leggi porta alla vita, l’avversare tutto questo porta alla morte”.
Il che conferma l’uso di tecniche psicoenergetiche fin dall’antichità.
Altrettanto importanti quali testimonianze archeologiche sono gli oggetti su seta di Mawangdui, ritrovati in uno scavo nella provincia dello Hunan, in una tomba nobiliare del III secolo a.C.: un volume di seta (Abbandonare il cibo e vivere di Qi) che riporta un metodo per indurre, promuovere e condurre il Qi, e un dipinto che descrive in 44 illustrazioni del Daoyin come praticare gli esercizi, con figure umane disegnate in nero e poi colorate.
Tra le pressoché infinite tecniche del Dao Yin/Qi Gong è interessante citare una serie di esercizi di cui esistono due versioni, una in piedi ed una seduta, chiamata Ba Duan Jin (Otto Pezzi di Broccato). Si tratta di una sequenza di otto esercizi, associati ai Meridiani del corpo (Triplice Riscaldatore, Polmoni, Anteriore/Posteriore, Cuore, Stomaco e Milza, Fegato, Reni e Vescica, e l’armonizzazione di questi tra loro), e finalizzati alla conservazione del Jing e alla sua circolazione nel corpo.
Si narra che essi siano stati creati intorno al X-XIII secolo d.C. dal Generale Yue Fei, per migliorare la salute dei soldati in un periodo di guerre e carestie.
Significativo è il nome stesso della tecnica, che rinvia direttamente a quanto detto sull’alchimia interiore: essa si prefigge infatti di trasmutare una materia ordinaria come il cotone, cioè il corpo umano, in una sostanza preziosa, il broccato, ovvero il corpo sottile.
Altrettanto interessante è la serie detta Wu Qin Xi (Giochi dei Cinque Animali), una delle forme di Qi Gong più antiche, la cui origine è attribuita ad un medico, Hua To, vissuto nel II-III secolo d.C.
Il Qi Gong del Wu Qin Xi nasce dall’attenta osservazione e dall’imitazione dei movimenti di cinque animali, Tigre, Scimmia, Orso, Airone e Cervo. Non si tratta però di una semplice imitazione, in quanto i movimenti sono associati al significato simbolico degli animali stessi e vengono eseguiti nello spirito dell’animale, proprio come avveniva nelle danze e nei rituali sciamanici, nei quali è facile ritrovare l’origine autentica della pratica che il medico Hua To ha successivamente codificato.
Ogni animale è infatti collegato ad un elemento, ad una stagione, ad un colore, ad un organo, ad un’arma (si rammenti che ci si trova in un ambito marziale), secondo il seguente schema, tratto dal sito Internet della Scuola di Tai Chi Chuan, Qi Gong e Yoga Shen Zen del M° Massimo Frosi:
Un ultimo esempio di tecnica del Qi Gong è il fondamentale Zhan Zhuang Gong, l’esercizio dell’albero. Si esegue in piedi, con le gambe leggermente flesse, la schiena diritta, le spalle rilassate e la sommità del capo estesa verso l’alto. Le braccia sono posizionate in avanti, arcuate come per abbracciare un grande albero, i palmi delle mani rivolti verso l’addome.
La postura, che va mantenuta a lungo, da qualche minuto fino ad un’ora, rende il corpo simile ad un albero, profondamente radicato nella Terra ed esteso in verticale verso il Cielo, e da essi trae l’energia che viene fatta circolare all’interno del corpo stesso così come la linfa circola nelle piante, secondo i principi dell’alchimia interiore. L’esercizio coinvolge il corpo, la respirazione e la mente, e permette col tempo di rilasciare le tensioni muscolari favorendo la liberazione del Qi e stimolando diversi punti importanti dell’agopuntura, quali Lao Gong (Palazzo del Lavoro) sul palmo delle mani, Yong Quan (Fonte Gorgogliante) sulle piante dei piedi, Bai Hui (Cento Riunioni) sulla sommità del capo, Hui Yin (Riunione degli Yin) nel perineo.