mercoledì 30 gennaio 2013

Che cos'è lo zen. Intervista con Olivier Reigen Wang-Gehn


Intervista con Olivier Reigen Wang-Gehn
a cura di Pierre Séjournet

Zen deriva dal cinese Ch’an, esso stesso alterazione del sanscrito Dhyana, che significa meditazione”, annota lo scrittore-viaggiatore Nicolas Bouvier nel suo bel libretto, “Cronache giapponesi”. Lo zen si è diffuso in Giappone mentre questo paese si stava profondamente interessando ai costumi, alle credenze e alle tradizioni della grande Cina.
Nel dojo zen di Strasburgo, seduto ben diritto lungo un grande tavolo di legno, Olivier Reigen Wang-Gehn accoglie ogni domanda con una certa tranquillità, talvolta con un momento di riflessione, seguito da una risposta chiara. Tiene in mano un bastone di legno corto e nodoso, nello stesso tempo scacciamosche e attributo del maestro zen.
Il telefono portatile, prima posato accanto al bastone, è scomparso nell’abito. Questo moderno accessorio ricorda che l’abate del monastero di Weiterswiller esercita anche un’attività professionale. È un quadro commerciale, organizza il suo lavoro come vuole e dedica molto tempo al buddhismo e ai buddhisti.
Olivier Reigen Wang-Gehn ha scelto da molto tempo di allargare il suo campo d’azione, assumendosi delle responsabilità associative.
A partire dalla pratica dello zen, si è indirizzato verso le altre “famiglie” buddhiste, svolgendo un ruolo di portavoce e di rappresentante di associazioni come la comunità buddhista d’Alsazia o l’Unione Buddhista di Francia.

In che modo avete scoperto il buddhismo zen?
“Del tutto casualmente. Avevo 17 anni, degli amici mi hanno portato ad una seduta di meditazione, in un centro di arti marziali. Sul momento non ho capito bene. Ma dopo una settimana ho provato un interesse per questa pratica come mai in precedenza. Non avevo letto dei libri, si trovava tutto in un ambito nuovo. L’esperienza della meditazione zen esercitata un’attrattiva su di me come su molti occidentali, entrati nel buddhismo attraverso questa porta. In seguito ho incontrato il maestro Taisen Deshimaru, un uomo straordinario [proveniente da un lignaggio che annoverava nelle sue fila dei samurai, il maestro Taisen Deshimaru è giunto in Francia nel 1967. Ha diffuso il buddhismo zen in Francia e in Europa a partire dagli anni ’70. è morto per un tumore nel 1982. Nda]”.

Perché avete scelto di aiutare gli altri a seguire questa via?
“Lo zen non è un qualcosa che si tiene per sé stessi. Saggezza e compassione si nutrono l’una con l’altra”.

Nei fatti, che cos’è praticare lo zen?
“Si entra nello zen attraverso la meditazione. Non si può riempire qualcosa che è già pieno. Trabocca tutto. Esiste una metafora, quella del bicchiere d’acqua polverosa. Se il bicchiere è tenuto immobile, il liquido decanta. La polvere scende e l’acqua diventa limpida. Zazen [la pratica del meditare. Nda] permette di verificarlo con l’esperienza. A differenza di un insegnamento religioso fondato sulla fede o l’intuizione, lo zen si basa sull’esperienza.
C’è anche un’etica, molto importante. Essa mira a farci prendere coscienza che le nostre azioni, le nostre parole, i nostri pensieri, hanno delle conseguenze, nocive o benefiche [è il concetto di karma. Nda]. Quindi, bisogna fare attenzione a tutto questo. Meditazione ed etica si ricollegano al buddhismo, al dharma. Un significato di dharma è l’insegnamento del Buddha. Esso evoca l’impermanenza e l’interdipendenza. Impermanenza significa che ogni cosa ha un’origine e una cessazione. Gli esseri umani, ma anche il sole. D’altra parte, nulla esiste da se stesso, ma soltanto in interdipendenza con tutto il resto. Si tratta di comprenderlo realmente, non solo intellettualmente.
L’attualità ci dimostra l’effetto-farfalla, le conseguenze della globalizzazione. Noi siamo proprio impermanenti e interdipendenti”.

Il buddhismo zen raccomanda il distacco?
“Il nostro tesoro più intimo, i pensieri, le emozioni, tutto questo non appartiene a nessuno. L’osservazione della mia stessa attività mentale mi dimostra che non sono proprietario di nulla. Si può essere in totale relazioni con gli altri senza attaccamento, senza impadronirsi degli altri”.

È molto lontano dai modelli in circolazione…
“L’espressione corrente Zen è entrata nel linguaggio del marketing da molto tempo. Negli anni ’85-’90 c’erano le sigarette Zen, un profumo Zen. È diventata una parola-concetto, che esprime uno stato d’animo, un’atmosfera, un sentimento positivo. L’interpretazione che ne dà l’Occidente è gentile, ma del tutto caricaturale. Il buddhismo zen esiste da 2600 anni. Buddha, per essere Buddha, ha fatto l’esperienza della meditazione e del risveglio. Buddha significa il Risvegliato, colui che si è risvegliato”.

Olivier Reigen Wang-Gehn

La presente intervista è apparsa nel numero del 2 dicembre 2012 della pubblicazione DNA – Dernières Nouvelles D’Alsace (http://www.dna.fr/) 
L'originale in lingua francese è reperibile sul sito: http://www.cowderoy.net/zen/article.html
Traduzione di Mauro Tonko Peretti

Il maestro Olivier Reigen Wang-Gehn pratica lo zen Soto dal 1973. Ha ricevuto l’ordinazione di monaco dal maestro Taisen Deshimaru, carismatico giapponese, fondatore di molti dojo in Europa. Nel 1986, Olivier Reigen Wang-Gehn è diventato responsabile del dojo zen di Strasburgo. In seguito ha ordinato un centinaio di monaci e monache dal 1992, diventando così l’abate del monastero zen Ryumon-Ji di Weiterswiller, fondato nel 1999. Attualmente vicepresidente dell’Unione Buddhista di Francia, è stato presidente di questa associazione delle diverse tradizioni buddhiste dal 2007 al 2011.

Il sito internet del dojo di Strasburgo: http://www.meditation-zen.org/fr

martedì 15 gennaio 2013

Lo Zen al femminile - III


- BREVI STORIE DELLE ANTENATE -

Ancestrali

Prajna Paramita
Madre e utero dei Buddha. La saggezza è spesso presentata come un principio femminile. Questa dea rappresenta la Grande Saggezza ed il Sutra della Prajnaparamita, che è il Sutra della saggezza stessa.

Maha Maya
Madre di Shakyamuni. Morì una settimana dopo il suo compleanno divenendo una figura soprannaturale. Nell’Avatamsaka Sutra è rappresentata come un Bodhisattva, si trova in un regno “libero come lo spazio” dove raffigura il non permanente e il non attaccamento.

Ratnavati
Una donna descritta nel Sutra Re dell’Oceano Drago, nota per aver coinvolto Mahakasyapa in un Mon-do, argomentando sulla possibilità che le donne possano o meno essere illuminate. Lo convince che non c’è differenza tra uomini e donne e il Buddha Shakyamuni le predice l’arrivo della suprema illuminazione.

Shrimala
Bodhisattva laica contemporanea di Shakyamuni, protagonista del Sutra “Il ruggito del leone della regina Shrimala”. Come Vimalakirti, è un esempio di illuminazione nella vita laica.
  
Il sogno di Maha Maya, madre di Shakyamuni
Indiane

Maha Pajapati
Zia e matrigna di Shakyamuni. Nelle storie apocrife tuttora narrate, sfidò il divieto di diventare monaca nel Sangha di Shakyamuni e, con l’aiuto di Ananda, divenne la prima donna monaca e il capo della comunità monastica femminile. Si dice che abbia vissuto fino a 120 anni.

Khema
Fu una donna laica conosciuta come “Khema di grande saggezza” perché comprese l’intero insegnamento del Buddha al primo ascolto. Contribuì al funzionamento dell’ordine monastico femminile ed è il più grande esempio di monaco donna nel canone Pali.

Patacara
Divenne pazza dal dolore dopo la morte dei suoi figli, dei suoi genitori e di suo marito e vagò per la campagna finché incontrò il Buddha che le disse dolcemente di recuperare la sua “presenza di spirito” e guarì. Divenne una influente insegnante, ebbe molti discepoli e portò molte donne sulla Via del Dharma.

Uttama
Fu una delle principali discepole di Patacara, ricordata perché riuscì a superare la confusione psicologica raggiungendo l’illuminazione. Fu devota all’idea che l’ascolto del Dharma, anche se protratto per brevi periodi, e se ascoltato chiaramente, sia sufficiente al raggiungimento dell’Illuminazione.
  
Bhadda Kundalakesa
Bhadda fu una discepola del giainismo al tempo di Shakyamuni. Donna molto intelligente, spesso insoddisfatta per la mancanza di stimoli intellettuali tra le seguaci del giainismo, apparentemente restie a lottare per la comprensione della verità, viene ricordata per la “Battaglia del Dharma” che ebbe con Sariputra, in seguito alla quale venne elogiata dalla comunità per il suo rapido pensiero e la sua grande comprensione. La poesia della saggezza composta da Bhadda recita, in una sua parte: “Uscendo dal mio luogo di riposo sul monte Gijjhakuta, vidi l’inossidabile Buddha, mentre parlava ai monaci. Dopo essermi inginocchiata ed avergli reso omaggio, rimasi con le mani giunte di fronte a lui. Quando mi disse “Vieni Bhadda”, ricevetti la mia ordinazione”.

Dhammadinna
Considerata la più grande predicatrice, convertì molte persone e divenne maestra di molti discepoli. Shakyamuni stesso considerò le sue parole buddhavacana, ossia parole del Buddha.

Kisagotami
Cugina di Shakyamuni crebbe in una famiglia povera. Visse nell’infelicità finché non ebbe un bambino, che amò profondamente, ma che morì in giovane età. Ciò la fece impazzire e la indusse ad andare di casa in casa con il cadavere del bambino. Quando incontrò il Buddha egli le disse che avrebbe curato il suo bambino se fosse riuscita a trovare un seme di senape in una casa che non avesse mai conosciuto la morte. Quando realizzò che era impossibile e che tutti gli esseri soffrivano insieme, si fece monaca e divenne famosa per il suo ascetismo.

Dhamma
Suo marito non avrebbe acconsentito di farla ordinare. Così rimase una casalinga fino alla vecchiaia e aspettò fino alla morte di suo marito. Subito dopo la sua ordinazione, si risvegliò totalmente.

Sukka
Erede di Dhammadinna, grande predicatrice e capo di centinaia di seguaci. Si dice che visse per molti secoli e che praticò con molti Buddha. Si convertì all’insegnamento di Shakyamuni da giovane, ma fu incapace di risvegliarsi completamente finché non incontrò la sua vera insegnante in forma umana.

Ubbiri
Visse per secoli con i Buddha e accumulò grandi meriti. Dopo la morte della sua amata figlia, ne portò il lutto finché il Buddha non le indicò il cimitero e le disse che era pieno delle sue figlie. Vedendo la natura universale della sofferenza, divenne una arahant mentre era ancora laica.

Uppalavanna
Prese in maniera consenziente gli ordini sotto suggerimento del padre, ma venne poi stuprata da un corteggiatore non consenziente alla sua vita monastica. A causa di questo incidente, il Vinaya fu cambiato per vietare alle donne di praticare in solitudine nella foresta. Divenne famosa per il suo potere magico e per i miracoli.

Sumana
Fu la discepola laica più eminente al tempo di Shakyamuni. Non poté essere ordinata perché dovette prendersi cura di sua nonna, ma si sforzò sempre per partecipare alle lezioni del Buddha ogni volta che gli era vicino. Divenne anziana prima che la nonna morì. A quel tempo, lei e suo fratello furono ordinati insieme e dopo poco, conseguì il risveglio.

Punnika
Fu una schiava e una portatrice d’acqua ed entrò nella Via dopo aver sentito uno dei discorsi del Buddha. Chiese di essere ordinata e con l’intercessione di Shakyamuni, sebbene la cosa fosse impossibile per gli schiavi, fu liberata, divenne monaca, fu anche adottata dal suo vecchio proprietario e facendo zazen in qualsiasi condizione conseguì il risveglio.

Subha
Si racconta che mentre camminava nella foresta venne aggredita da uno stupratore. Lo portò a ragionare circa la falsità della bellezza fisica e, con lo scopo di dimostrarne l’impermanenza, si strappò via un occhio. Così lo stupratore si scusò e la liberò. Shakyamuni poi, magicamente, le guarì l’occhio.

Utpalavarna
In una vita passata, fu una prostituta che si mise gli abiti da monaca per gioco. Il Buddha di quei tempi le predisse che sarebbe divenuta un Buddha per il merito di questo singolo atto. La sua storia è narrata nel Sutra Jataka e il Maestro Dogen usava il capitolo “kesa kudoku”, per spiegare i meriti miracolosi delle vesti monastiche. In quanto arahant contemporanea di Shakyamuni, si dice che fosse in grado di compiere miracoli.

Kisagotami

Cinesi

Zongchi
Figlia dell’imperatore della dinastia Liang visse in Cina nel sesto secolo. Divenne discepola di Bodhidharma. Nel capitolo Shobogenzo di Dogen, chiamato Katto (“Twinings Vines”), è nominata fra i suoi quattro eredi del Dharma e, anche se la linea di Bodhidharma continuò attraverso un altro dei suoi discepoli, Dogen sottolineò come ognuno di loro avesse raggiunto una completa comprensione dell’insegnamento. Zongchi è conosciuta anche con il nome del suo titolo, Soji, in base alla pronuncia di Ts’ung- ch’ih, o come Myoren, che fu il suo nome da suora.

Shih-chi (500-600)
La sua storia è contenuta fra le storie che parlano di risveglio nel testo della “ Collezione delle antenate”. La storia narra che, arrivata al tempio, non si tolse il cappello, come richiedeva la buona etichetta, e che disse al monaco capo che l’avrebbe fatto solo se lui avesse avuto “qualcosa” da dire e che, presumibilmente, valesse la pena ascoltare. Poiché il monaco non disse nulla, lei se ne andò e questo la stimolò a cercare un vero maestro.

Ling Hsing-p’o (600-800?)
Nella Collezione del 1008, intitolata Ching-te-ch’uan-teng-lu, è nominata solamente in una nota a piè di pagina come esempio di trasmissione da un insegnante maschio. La maggior parte della sua storia è costituita da racconti sulla sua realizzazione, sulle sue lezioni, dalle sue battaglie e dai suoi insegnamenti.

Ling-chao (800)
Fu la figlia del laico Buddhista Pang. Per buona parte della sua vita viaggiò in povertà insieme al padre, cercando di insegnare la dottrina e facendo meditazione nelle grotte. E’ la ragazza con la cesta di pesci che vediamo raffigurata in alcune delle rappresentazioni del Bodhisattva Guanyin e che fu molto ammirata per la sua semplicità e per la fiducia che riponeva nella pratica.
  
Liu Tiemo (“Iron Grinder Liu”, 800)
discepola di Guishan Lingyou, della sua vita si sa poco. Insegnò lo Zen in uno stile definito “precipitosamente impressionante e pericoloso”. La sua capacità di testare il vero coraggio degli adepti Zen, le conferì il nome di “macina di ferro”. Appare nel verso 60 del libro della serenità e nel caso 24 della Raccolta della Roccia Blu, citata come “forza d’acciaio nel bel mezzo di un combattimento di Dharma”.

Mo-shan Liao-jan (800-900)
Mo-shan, che significa cima della montagna, al suo tempo (intorno all’800 d.C.) fu molto nota e in seguito venne citata da molti scrittori. Anche Dogen la citò come modello di saggezza nel suo capitolo Raihai-tokuzui (“Pagare l’omaggio e acquisire l’essenza”). Mo-shan fu discepola di Kao-an Ta-yu ed è la prima donna del Dharma nella linea di trasmissione ufficiale del Ch’an. A lei venne dedicato un capitolo nel libro cinese delle storie dell’illuminazione chiamato Ching-te-ch’uan-teng-lu, (il “Registro della trasmissione della Lampada”, del 1004 d.C.) come “(…) esempio fondamentale di una donna forte che fu tra i primi insegnati della scuola zen”.Mo-shan è la prima donna, di cui si hanno informazioni ufficiali, che insegnò agli uomini. Dogen rivela che la volontà di Chrih-hsien’s di superare la sua resistenza culturale e di essere istruito da una donna fu un segno del suo profondo desiderio di raggiungere la comprensione. In giapponese, il suo nome è scritto Matsuzan e, a volte, viene chiamata “mamma Moshan” o “Mt. Mo”.

Miao-hsin (metà-tardo 800)
Fu discepola di Hui Chi (Hsien-huai-tzu). Ebbe 17 studenti maschi che convertì al suo insegnamento dopo averli sconfitti nel Mon-do, discutendo sul significato di un Koan. E’ anche citata come modello di ruolo nel Raihai-Tokuzui. In giapponese, il suo nome è pronunciato Myoshin.

Wu-chin-tsang
Fu una bhikkuni ricordata per aver recitato il Sutra del Parinirvana al Sesto Patriarca, che gli diede vitto e alloggio mentre maturava la sua pratica, dando così inizio al suo grande risveglio.

Tao-shen (tardo 1000 e inizio 1100)
Fu un’erede del Dharma di Fu-jung Tao-k’ai (Fuyo Dokai), Maestro che contribuì al rilancio della linea Soto in Cina in un momento di declino. Questa Maestra ebbe due eredi, ma il suo lignaggio si interruppe subito dopo.

Hui-kuang (inizi e metà del 1100)
Fu Badessa presso l’importante monastero di Tung-ching Mi ao-hui-ssu, ed erede di K’u-mu Fach’eng. Ricevette dall’imperatore il suo nome di Dharma e un mantello color porpora, per il quale viene ricordata. La sua storia è registrata nella collezione P’u-teng insieme ai suoi insegnamenti ed ai suoi discorsi, che tenne in pubblico, di fronte ad assemblee miste di monaci maschi e femmine, ma anche di fronte all’imperatore.

K’ung-shih Tao-jen (inizi-metà 1100)
Fu erede di Ssu-hsin Wa-hsin, una suora, insegnante e poetessa. Scrisse “Registrazioni sul chiarire la mente” che fu distribuito in tutto il paese. Era sposata ma lasciò il marito e chiese ai suoi genitori, che rifiutarono, il permesso per essere ordinata, evento in seguito al quale praticò in solitudine. Si risvegliò dopo aver letto “Contemplazione del Dharmadhatu” di Tu-shun’s. Dopo la morte dei suoi genitori, corse in un bagno e scrisse la poesia della sfida del Dharma sui muri per coinvolgere gli allievi nel Mon-do. Divenne suora in età avanzata.

Yu Tao-p’o (inizi- metà 1100)
Fu l’unica erede del Dharma di Lang-ya Yung-ch’i e apparentemente rimase laica. Si risvegliò dopo aver ascoltato l’insegnamento del “Il Vero Uomo senza rango”. Dopo aver battuto il Maestro e Abate Yuan-wu nella battaglia del Dharma, le venne riconosciuta la realizzazione e cominciò ad essere richiesta da molti monaci per ricevere i suoi insegnamenti e per il Mon-do.

Hui-wen(metà 1100)
Fu un’insegnante di cui vennero registrati i sermoni e la cui storia è narrata nelle collezioni “Lien-teng” e “Wu-teng”.

Fa-teng
Discepola del Dharma di Hui-wen. I suoi sermoni sono registrati e la sua storia è narrata nelle collezioni della trasmissione.

Wen-chao (tardo 1100)
Divenne suora a 17 anni e vagò in cerca di insegnanti. Alla fine divenne abate di cinque conventi diversi e riformò la tradizione Vinaya del Ch’an. Ebbe eredi maschi e la sua storia è registrata nella collezione P’u-teng insieme ai suoi sermoni. Indossò un abito viola datole dall’imperatore.

Miao-tao (tardo 1100- 1200)
Fu un’importante insegnante, erede del Dharma di Tahui Tsung-kao, di cui vennero registrati molti sermoni. La sua storia si trova nella collezione di Lien-teng e narra che visse come laica in un monastero. Molte storie su di lei sono usate per illustrare la paura che i monaci maschi avevano del sesso e come questo li trattenesse dal raggiungere l’illuminazione; la storia infatti vuole che essa apparve nuda nello Zendo con lo scopo di mostrare loro che il disturbo era nella loro mente. Ricevette l’approvazione dell’imperatore all’insegnamento e al ruolo di abate. Alla fine fu ordinata con Daiye della montagna Kinzan e il suo insegnamento verteva sui limiti e la necessità di insegnare con le parole. Fu invitata a “entrare nella Sala” del monastero che sosteneva il suo convento e insegnò ai monaci. Conosciuta in Giappone come Mujaku, queste sono le uniche registrazioni certe di che ciò accadde. (Dogen scrisse che questo accadde varie volte con insegnanti donne).
  
Giapponesi

Zenshin (tardo 500)
Ordinata nel 584, fu la prima persona giapponese in assoluto, sia tra le donne che tra gli uomini, ad essere ordinata come monaca buddhista. Nel 588viaggiò fino in Corea per la formazione monastica e alla fine fondò un fiorente ordine femminile in Giappone.

Zenzo, Ezen (tardo 500)
Entrambe furono ordinate dopo Zenshin, si formarono con lei e la aiutarono ad insediare il Buddhismo in Giappone.

Komyo (701-760)
Fu una Imperatrice e primo membro di una famiglia imperiale ad essere ordinato. Modellò profondamente i contorni del Buddhismo nell’antico Giappone; con il suo impegno, vennero fondati templi nazionali per uomini e donne, e lei divenne responsabile del metodo Soto, a cui contribuì in maniera essenziale, dandogli un influsso duraturo.

Eshin
Una discepola di Dogen.

Shogaku
Era un’aristocratica e lontana parente di Dogen. Si fece monaca dopo che suo marito morì, divenendo discepola di Dogen, a cui e donò dei soldi e una grande aula di lettura a Kosho-ji.

Ryonen (primi del 1200)
Era una delle principali discepole di Dogen, anche se ordinata altrove, e la sua alta comprensione fu citata anche in scritti di altri maestri. Dogen scrisse un’esortazione appositamente per lei e menzionò la sua realizzazione nel discorso del Dharma e nel Eihei Koroku. Era ormai una vecchia signora quando venne ordinata e morì prima del suo Maestro.

Egi (primi del 1200)
Fu ordinata come monaca nella Daruma-shu, ma divenne una discepola di Dogen a Eihei-ji. Passò più di venti anni con lui e lo assistì durante la malattia. Aiutò anche Koun Ejo nella politica di transizione in seguito alla morte di Dogen. Vi è prova che ha contribuito alla registrazione del Zuimonki.

Joa (tardo 1200)
Era una discepola ed erede di Giin, che fu un discepolo di Koun Ejo. Le fu data la pratica di venerare e copiare il Sutra del Loto.

Mugai Nyodai (1223-1298)
È considerata una delle più importanti donne di tutto lo Zen Rinzai. Era l’erede di Mugaku Sogen, il fondatore di Engaku-ji e, dopo aver ricevuto la trasmissione, fondò un tempio conosciuto come Kaiai-ji, il primo Soto per donne in Giappone. Anche conosciuta come Chiyono, la storia della sua illuminazione è famosa: si racconta che ebbe il risveglio quando, trasportando un secchio d’acqua, il fondo si ruppe. “Niente più acqua nel secchio”.

Ekan (1200-primi del 1300)
Fu la madre di Keizan e, al suo tempo, divenne abate di un monastero Soto chiamato Jojuji. Credeva che i miracoli fossero possibili attraverso la devozione a Kanzeon. Keizan la lodò per il suo infaticabile insegnamento del Dharma alle donne e la sua influenza portò a sviluppare il voto in sua memoria per aiutare tutte le donne “dei tre mondi e nelle dieci direzioni”.

En’j
Donò una grossa quantità di terra a Eikoji, per il progetto di costruzione di Keizan, il quale ordinò che venissero fatte cerimonie in suo onore “per sempre”.

Shido (primi del 1300)
Fondò Tokei-ji come sacerdote pienamente autorizzato. Le sue storie degli insegnamenti durante i Mon-do sono ampiamente utilizzate.

Shôzen
Fu discepola di Keizan e madre Sonin, ma rimase a casa con una considerevole quantità di soldi e di potere. Poiché donò terreni ai templi, Keizan stabilì che il Sangha avrebbe onorato Shozen per sempre in una cerimonia annuale.

Mokufu Sonin (primi-metà del 1300)
Discepola di Keizan e figlia di Shozen, vennea ordinata nel 1319 (suo marito fu ordinato qualche anno dopo come Myojo). Lei e suo marito donarono una grande quantità di terre a Keizan e lo invitarono lì per fondare Yoko-ji, dopo lo smantellamento della casa di famiglia, per costruire il tempio. Fu il primo abate di Entsu-in, un importante monastero e Keizan la riconobbe come la ri-manifestazione di sua nonna, con la quale riteneva di essere inseparabile.

Ekyu
Discepola di Keizan, fu la prima donna giapponese a ricevere la trasmissione Soto del Dharma.

Myosho Enkan (primi del 1300)
Era la cugina di Keizan e divenne l’abate di Entsu-in, dopo Sonin, e più tardi abate del monastero di Ho-o-ji.

Saitsu (metà del 1300)
Fu un erede di Gasan ed ebbe altre donne eredi.

Eshun
Fu la sorella di Ryoan Emyo, che rifiutò di ordinarla o sostenerla, perché, a causa della sua bellezza, credeva che potesse costituire una tentazione per i monaci. Così lei si rasò la testa e si sfregiò il viso con tizzoni ardenti. Nel tempio Soiko-ji, a Odawara, c’è a una statua commemorativa in suo onore alla quale vengono fatte delle offerte.

Satsu
Dai 16 ai 23 anni fu discepola di Hakuin, che impegnò continuamente nelle dispute di Dharma, per poi divenire sua erede. Dopo la sua illuminazione, Hakuin le disse di sposarsi e di portare la pratica Zen nella vita quotidiana. “Profondamente rispettata”.

Ohashi
Per sostenere la famiglia dopo che il padre aveva perso il lavoro, durante la sua adolescenza, divenne una prostituta. Disperata per questo destino, le fu consigliato di avere considerazione anche per chi fa “questo lavoro” e di trovare il modo di praticare in tutte le circostanze possibili. Raggiunse l’illuminazione a causa dello spavento, e del conseguente svenimento, provocato da un fulmine che cadde nelle sue vicinanze. Hakuin ne certificò il suo risveglio e, dopo aver fatto la prostituta per molto tempo, divenne finalmente monaca.

Shotaku
Terza insegnante di Tokeiji, si racconta che respinse uno stupro con il potere spirituale.

Bunchi Jo (1619-1697)
Fu una sacerdotessa imperiale, rinomata pittrice e poetessa, e divenne abate Zen in un momento di significativo cambiamento politico.

Ryonen Gensho (1646-1711)
Divenne monaca a 26 anni, lasciando marito e figli. Entrò in un monastero di formazione Rinzai (Hokyo-ji), ma le fu negata l’ordinazione da due maestri; i quali ritenevano che la sua bellezza avrebbe potuto distrarre i monaci. Si bruciò il volto con dei tizzoni ardenti e fu poi ordinata da Haku-o, che ne certificò l’illuminazione. Infine divenne abate di Renjo-in e oggi è ricordata anche come rispettata poetessa.

Myotei (1500)
Fu monaca presso Enkokuji. Si distinse per aver passato i più noti e difficili Koan dello Zen Rinzai e perché a volte usò la sua nudità come un insegnamento.

Teijitsu (1700)
Fu il capo di Hakuji-an, un tempio femminile situato vicino a Eihei-ji, dove risiedono le monache Soto alle quali non è permesso soggiornare a lungo a Eihei-ji. Hakuji-an era un tempo in cui, nella vita socio-politica, le proibizioni severe per le donne aumentavano, e dove alle monache veniva data sempre meno autonomia. Lei e Teishin furono alcune delle ultime donne del periodo i cui nomi sono conosciuti. Probabilmente fu discepola di Menzan Zuiho.

Mizuno Jorin - Hori Mitsujo - Yamaguchi Kokan - Ando Dokai (tardo 1800-1900)
Queste quattro monache, l’8 maggio 1903, fondarono l’Aichi-Ken Soto-shu Niso Gakurin, comunemente chiamato NigakurinL; nove mesi dopo, l’istituzione dei regolamenti della Soto-shu che vietavano la presenza di donne nelle scuole di formazione, furono abrogati. Esse divennero delle figure chiave nella riapertura della scuola Soto alle donne, dopo secoli di crescenti limitazioni. Tutte e quattro passarono la loro maturità nell’impegno di creare monasteri per donne, in un momento di grande sconvolgimento politico e sociale.

Nagasawa Sozen (metà del 1940)
Fu una discepola di Harada Daiun,un Maestro Soto con influenze Rinzai. Conosciuta come una “severa nonna”, addestrò molte donne, monache e laiche, in difficili condizioni socio-politiche. Fu rinomata per essere riuscita a mantenere in vita la pratica delle donne anche durante la guerra.

Kendo Kojima (primi-metà del 1900)
Fu un’attivista di metà secolo e trascorse quasi tutta la sua vita come monaca. Fu la prima leader del Soto-shu Nun’s Organization, e venne parzialmente sostenuta Koho Zenji (Keido Chisan), quando era abate di Sojiji. In tale veste lavorò instancabilmente per ottenere l’uguaglianza per le monache. Alcune delle sue richieste, come ad esempio quella di permettere alle donne di insegnare autonomamente, vennero esaudite solo alla fine della sua vita. Fece parte anche di altre organizzazioni internazionali buddhiste, rappresentando gli interessi delle donne in tutto il mondo buddhista. Morì in età molto avanzata nei primi anni del 1990.

Yoshida Eshun (1907-1982)
Fu un’erede di Hoshimoto-roshi e abate del tempio di Kaizenji a Nagoya. Cuciva vesti, Rakusu e gli O-kesa e portò questo mestiere negli Stati Uniti nei primi anni del 1970; in particolare, trasmise questa dote a Tomoe Katagiri e Blanche Zenkei Hartman.


Occidentali 

Ruth Fuller Sasaki (1893-1967)
Fu una delle prime occidentali a studiare in Giappone (nel 1930), con Suzuki. Lavorò come traduttrice, traducendo molti dei primi libri di Zen in inglese; restaurò con i suoi soldi Ryosen-an, un tempio di Daitoku-ji, e servì lì come monaca e come prima americana.

Soshin O’Halloran
Maura O’Halloran, nata a Boston nel 1955, nel 1979 seguì il suo interesse per la meditazione recandosi in Giappone. Pur conoscendo veramente poco di Buddhismo, o di Zen, o del Giappone, , venne ordinata monaca quando arrivò e prese il nome di Dharma Soshin, che significa sia” grande illuminazione” che “mente semplice”. Proseguì il suo addestramento per tre anni, gran parte dei quali nell’adempiere alla pratica di Dogen di “non dire bugie per mille giorni”. Nel 1982, ricevette la trasmissione e, sei mesi dopo, all’età di 27 anni, morì in un incidente di autobus a Bangkok. Ora, a Kannon-ji, è stata edificata una statua di Soshin, che la rappresentata come la reincarnazione di Kanzeon.

Maurine Myo-on Stuart
Studentessa di Yosutami e Soen Nakagawa, fu ordinata da Eido Shimano del Dai-bosatsu; Stuart fu capo della Cambridge Buddhist Association per undici anni, ebbe molti studenti e venne nominata Roshi da Soen Nakagawa.
  
Geshin Cheney
Cheney nacque in Germania e fu nominata erede principale del Dharma di Joshu Sasaki. Dopo ulteriori studi presso Thich Man Giac, un maestro Zen vietnamita, fondò l’International Zen Istitute in Costa Mesa, California, sotto il nome di Genshin Myoko Prabhasa Dharma.

Jiyu Kennett
Kennett fu la prima donna occidentale, e una delle prime occidentali di sempre, a studiare a Soji-ji. Fu ordinata in Mayalsia, autorizzata in Giappone e ricevette l’inka da Keido Chisan (Koho Zenji), l’abate di Soji-ji. Andò negli Stati Uniti nel 1960 e fondò il Shasta Abbey, un tradizionale monastero di formazione per uomini e donne. Fu interprete e traduttrice dei lavori di Dogen e delle liturgie Soto in inglese ed ebbe molti eredi del Dharma che continuano ad insegnare. Oggi, viene onorata, tra gli altri, anche come la fondatrice del Dharma Rain Zen Center.


Bibliografia

·       “Dogen’s Raihaitokuzui and Women Teaching in Sung Ch’an” by Miriam Levering, Journal of International Asian Buddhist Studies, 21.1, p. 77-110 
·       “Mugai Nyodai and Muso Soseki’s Revival of Shomyaku-an” by Anne Lazrove, Yale University
·       “Princess, Nun, Artist and Poet: Negotiated Identities of Two Seventeenth-Century Women” by Elizabeth Lillehoj, DePaul University
·       Soto Zen in Medieval Japan by William M. Bodiford (University of Hawaii, 1993)
·       Zen Nuns: Living Treasures of Japanese Buddhism, by Paula Kane Robinson (Harvard University, 1993)
·       Warrior Koans, by Leggett, Trevor
·       Master Dogen’s Shobogenzo trans. by Gudo Nishijima and Chodo Cross (WindBell, 1998)
·       Moon in a Dewdrop, edit by Kazuaki Tanahashi (North Point Press, 1985)
·       How To Raise an Ox by Francis Dojun Cook (Center Publications, 1978)
·       Lust for Enlightenment: Buddhism and Sex by John Stevens (Shambhala, 1990)
·       Poems of Early Buddhist Nuns (Therigatha) trans by C.A.F. Rhys Davids and K.R. Norman (Pali Text Society, 1989)
·       The First Buddhist Women by Susan Murcott (Parallax Press, 1991)
·       The Sutra of Hui Neng trans by A.F. Price and Wong Mou-Lam (Shambhala, 1969)
·       The Light of Asia by Sir Edwin Arnold (Peter Pauper Press, 1879)
·       Lives of the Nuns: Biographies of Chinese Buddhist Nuns from the Fourth to Sixth Centuries (a translation of the Pi-ch’iu-ni chuan, compiled by Shih Pao-ch’ang) , translated by Kathryn Ann Tsai (U of Hawaii, Honolulu, 1994)
·       Buddhism After Patriarchy: A Feminist History, Analysis, and Reconstruction of Buddhism by Rita Gross (State University of New York Press, 1993)
·       “Lineage or Family Tree? The Implications for Women,” by Miriam Levering (University of Tennessee, unpublished)
·       “Women and Buddhism” (Shasta Abbey Journal)
·       “Stories of Enlightened Women in Ch’an and the Chinese Buddhist Female Bodhisattva/Goddess Tradition,” by Miriam Levering in Women and Goddess Traditions in Antiquity and Today, ed. By Karen L. King and Karen Jo Torjesen (Fortress Press, Minneapolis)
·       Turning the Wheel: American Women Creating the New Buddhism by Sandy Boucher (Harper and Row, 1988)
·       “Women & Buddhism” (Spring Wind, Vol. 6 # 1-3, 1986)
·       Pure Heart, Enlightened Mind: The Zen Journal and Letters of Maura “Soshin” O’Halloran by Maura O’Halloran (Charles B. Tuttle)
·       Meetings With Remarkable Women: Buddhist Teachers in America by Lenore Friedman (Shambhala, 1987)
·       Sakyadhita: Daughters of the Buddha, ed. By Karma Lekshe Tsomo (Snow Lion, Ithaca, NY, 1988)
·       Miscellaneous private correspondence with scholars, priests and historians



Traduzione italiana a cura del Centro di Meditazione Hui Neng. Si ringraziano Chiara Zampetti, Alessandro Meringolo, Pamela Fazio, Tatiana Sangetsu Calipa e Tiziana Ryukan Crociani.
 Autorizzazione all’uso e alla diffusione: la diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng. 
A tutti, grazie _/|\_

Lo Zen al femminile - II


Il secondo articolo della Rev. Jiko Tisdale sui temi del femminile nel buddhismo.
In una terza parte verranno pubblicate le "storie delle antenate" e la bibliografia.

Una linea di donne

di Sallie Jiko Tisdale

Avrei voluto che il lignaggio femminile fosse considerato uguale e parallelo a quello maschile dall’inizio del progetto. Così ho sperato di realizzare una linea che rappresentasse le stesse epoche della storia Buddhista maschile al fine di raggiungere questo scopo. Anche se ho cercato in modo particolare monache zen di cui esistesse qualche documentazione, speravo di poter creare una linea che fosse rappresentativa di un Sangha più ampio, vecchio e giovane, laico e monastico, di qualsiasi classe sociale. Mi aspettavo che ciò sarebbe stato difficile, ma con mia grande sorpresa, ho trovato un grande quantitativo di nomi. Nonostante le lacune, la nostra è una storia ricca. Questo lignaggio include alcune fra le donne più importanti e determinate del Buddhismo dei primi tempi, allieve dello stesso Shakyamuni. Tuttavia, nella storia della trasmissione del Buddhismo cinese e del primo Buddhismo giapponese, vengono ricordate solo poche decine di Maestre donne. Molte di queste donne sono legate, nel Dharma, a uomini della linea tradizionale. Alcune sono sorelle o cugine che vennero trascinate di posto in posto dagli uomini. In alcuni casi furono esse stesse insegnanti o allieve di questi uomini. I nomi della linea femminile includono allieve di Bodhidharma, di Dogen, di Keizan, di Rinzai e di Hakuin. In altri casi furono invece allieve o insegnanti di uomini i cui nomi facevano parte di linee perse o soppresse. Esistono donne risvegliate che non possono essere onorate perché di loro non si conoscono i nomi. In molte storie antiche le donne appaiono profondamente segnate e asservite alle follie del risveglio maschile. Storia dopo storia, sono però le donne che combattono, che provano nuove strategie e che danno la svolta decisiva alle parole degli uomini. In alcune storie gli uomini sono stimolati a praticare più duramente per non farsi deridere dalle donne a causa della loro incomprensione o dei loro fallimenti. Tutto ciò però rimane nelle storie degli uomini; le loro energiche insegnanti sono invece conosciute solo come “una vecchia donna”, o “una suora”, o appellativi similari. Anche nel Vimalakirti Sutra, che contiene la famosa storia della dea illuminatasi combattendo durante la Battaglia del Dharma di Manjushri, non compare alcun nome. Tuttavia, questa è solo una delle possibili combinazioni di nomi. Recentemente, anche degli studenti con borse di studio, ci hanno fornito tante altre storie, molte altre è abbastanza evidente che siano perse per sempre. Alla fine ho dovuto effettuare alcuni tagli perché la mia lista, che includeva epoche Indiane, Cinesi, Giapponesi e Occidentali in generale, era divenuta significativamente più lunga di quanto non fosse quella tradizionale. Per questo sono estremamente grata a tutti quegli studenti, storici e traduttori che hanno lavorato affinché queste storie giungessero fino ai nostri giorni. Esistono dei problemi di ordine pratico non facilmente risolvibili. Nel portare alla luce la storia delle donne è possibile comprendere i termini del problema. È’ mia inclinazione non usare diminutivi né specifiche parole di genere, come “bhikkuni”, o “suora” o “badessa” e così via. Per quanto mi riguarda, penso che anche se vi sono “preti” da una parte e “donne preti” dall’altra, le donne non saranno mai tenute in egual considerazione. Allo stesso tempo dobbiamo invece ricordare le battaglie che hanno combattuto le donne. 
Jiko Tisdale
Esse infatti mostrano uno straordinario, tenace, appassionato e coraggioso modo di intraprendere la loro Via del Risveglio, nonostante i numerosi ostacoli. Alcune donne preferiscono il termine “bhikkuni”, dove il suffisso “ni” indica il genere femminile, perché temono che senza questa specificazione perderemmo traccia di queste storie uniche. Noi abbiamo scelto di usare “dai-osho” ovvero “grande monaco”, le stesse onorificenze che diamo agli uomini. In molti casi le donne sono conosciute solo con il nome di battesimo. Raramente si trovano anche i loro nomi di famiglia, o dei templi dove hanno vissuto, o delle regioni dove sono nate, come invece avviene per i nostri antenati maschili. Poiché è più difficile recitare una lista di nomi che abbiano lunghezze così tanto variabili, per una ragione puramente ritmica abbiamo provato ad usare solo il secondo nome. Ma questo può diventare uno dei tanti motivi per cui le storie delle donne finiscono lentamente con lo sparire, quando quello che sappiamo di loro è già pochissimo. Dato che anche i cambiamenti nello spelling e nella pronuncia possono produrre questo effetto, vengono recitati solo i nomi cinesi col Pinyn, col Wade-Giles tra parentesi. Certamente, grazie ai nostri sforzi, come tanti ciottoli, piano piano questa linea si è composta. In alcuni casi ci siamo trovati a cavillare. Alla fine, possiamo definire ciò un compromesso tra precisione e realtà della storia. Io preferisco pensare che ciò sia parte della nostra storia, le lacune, le perdite, e il fare del nostro meglio con quello che abbiamo. La storia delle donne nel mondo, così come quella delle donne nel Dharma, è una storia frammentata che include invisibilità, linee rotte e separazioni. Ma include anche perseveranza, forza e abilità nel risvegliarsi in qualsiasi condizione ci si trovi e qualsiasi forma si abbia.Questa linea sarà incompleta per tanto tempo, finché non avremmo appreso quello che le storie realmente dicono. Anche quando conosceremo una gran quantità di dettagli riguardo le vite e le esperienze delle nostre antenate, comunque non raggiungeremo i loro miti. Le loro vite non erano ancora scritte nel lignaggio degli archetipi senza tempo. Il lavoro che rimane è portare le loro storie nei nostri cuori, trasformando le parole.
  
- Lignaggio e pratica -
  
Con profonda gratitudine, offriamo i meriti di questa recitazione a:

Prajna Paramita Dai-osho Maha Maya Dai-osho Ratna-vati Dai-osho Shri-mala Dai-osho

Maha Paja-pati Dai-osho Khe-ma Dai-osho Pata-cara Dai-osho Ut-tama Dai-osho Bhad-da Dai-osho Dhamma-dinna Dai-osho Kisagotami Dai-osho Dhamma Dai-osho Suk-ka Dai-osho Ub-biri Dai-osho Uppalavanna Dai-osho Su-mana Dai-osho Pun-nika Dai-osho Su-bha Dai-osho Utpalavarna Dai-osho

Zong Chi Dai-osho (Tsung-ch’ih) Shiji Dai-osho (Shih-chi) Ling Xingpo Dai-osho (Ling Hsing-p’o) Lingzhao Dai-osho (Ling-chao) Liu Tiemo Dai-osho Moshan Liaoran Dai-osho (Mo-shan Liao-jan) Miaoxin Dai-osho (Miao-hsin) Wujin Cang Dai-osho (Wu-chin-tsang) Daoshen Dai-osho (Tao-shen) Huiguang Dai-osho (Hui-kuang) Gongshi Daoren Dai-osho (K’ung-shih Tao-jen) Yu Daopo Dai-osho (Yu Tao-p’o) Huiwen Dai-osho (Hui-wen) Fadeng Dai-osho (Fa-teng) Wenzhao Dai-osho (Wen-chao) Miaodao Dai-osho (Miao-tao)

Zenshin Dai-osho Zenzô Dai-osho E-zen Dai-osho Kômyô Dai-osho Eshin Dai-osho Shôgaku Dai-osho Ryônen Dai-oshoE-gi Dai-osho Jô-a Dai-osho Mugai Nyodai Dai-osho E-kan Dai-osho En’i Dai-osho Shidô Dai-oshoShô-zen Dai-osho Mokufu Sonin Dai-osho Ekyû Dai-osho Myoshô Enkan Dai-osho Sôitsu Dai-osho E-shun Dai-osho Satsu Dai-osho Ohashi Dai-osho Shôtaku Dai-osho Bunchi Jo Dai-osho Ryonen Gensho Dai-osho Tei-jitsu Dai-osho Jôrin Dai-osho Mitsu-jô Dai-osho Ko-kan Dai-osho Dôkai Dai-osho Sozen Dai-oshoKendo Dai-osho Eshun Dai-osho

Sasaki Dai-osho Soshin Dai-osho Myo-on Dai-osho Geshin Dai-osho Houn Ji-yu Dai-osho

Preghiamo d’essere in grado di dimostrare la nostra gratitudine a tutte le donne del Dharma in tutte le direzioni e nei tre mondi. Possiamo vivere la nostra vita in modo da onorare tutti quegli esseri, uomini e donne, conosciuti e sconosciuti, che hanno dato la vita per il Dharma per il nostro bene presente. A loro il merito di questo risveglio, il cuore della compassione e della comprensione in tutto il mondo, che allevia la sofferenza e l'ignoranza. Preghiamo affinché tutti gli esseri possano prosperare e tutte le disgrazie cessare.
Prajnaparamita
Traduzione italiana a cura del Centro di Meditazione Hui Neng. Si ringraziano Chiara Zampetti, Alessandro Meringolo, Pamela Fazio, Tatiana Sangetsu Calipa e Tiziana Ryukan Crociani.
Autorizzazione all’uso e alla diffusione: la diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng. 
Si ringraziano l'autrice, i traduttori e tutti coloro che hanno pubblicato e diffuso i testi. _/|\_


Lo Zen al femminile -I

Viene qui pubblicato il primo di due articoli della Rev. Sallie Jiko Tisdale sul tema del ruolo e della presenza della donna nella tradizione buddhista ed in particolare della tradizione Zen.


La diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng. Ad essi il mio ringraziamento. _/|\_  
Ringrazio Daishin Alfredo Malagodi e il Centro di Meditazione Hui Neng per la traduzione e pubblicazione di questi articoli. _/|\_ (http://centrohuinengroma.altervista.org/index.html)
Ringrazio Doju D. Freire, del Dojo Zen Sanrin di Fossano, che ce li ha fatti conoscere pubblicandoli in rete. _/|\_ (http://www.sanrin.it



Le Madri: Scoprire il lignaggio delle donne

di Sallie Jiko Tisdale

Il mio Sangha alterna giornalmente la recitazione di un lignaggio di antenate donne a quello tradizionale. Quando abbiamo iniziato a farlo, circa un anno fa, è stato come raccogliere i frutti da un albero molto antico, i cui semi furono piantati quando Maha Pajapati divenne la prima monaca buddhista a capo di una prospera comunità di donne. Quando iniziai a praticare, 18 anni fa, non sapevo quasi niente di Buddhismo e solo ora comprendo quanto sia stata importante la situazione che trovai, poiché fin dall’inizio della mia pratica Soto Zen, ho conosciuto monaci sia uomini che donne, studenti sia preti che laici, ed ho visto uomini e donne avere gli stessi ruoli e alternarsi nel dirigere gli altri. Anche nel Sangha che oggi dirigo, uomini e donne si impegnano in qualsiasi ruolo senza fare distinzioni. All’inizio della mia pratica, ricevetti i Precetti da Jiyu Kennett, che viene ricordata per essere stata la fondatrice dell’abbazia Shasta e la prima donna ad insegnare nel tempio nazionale giapponese di formazione Soto Zen, il Tempio Soji-ji. La sua insegnante, Keido Chisan, l’aiutò non solo a creare un proprio metodo di insegnamento, ma soprattutto a formulare un sistema di insegnamento Ni-sodo specifico per le donne giapponesi. Ho dovuto praticare per anni prima di rendermi conto che, per la maggior parte dei buddhisti, l’uguaglianza non è la norma. Per fare alcuni esempi, nello Shingon e nello Zen Rinzai le donne non occupano i ruoli più alti; il Buddhismo Tibetano esprime rispetto per le qualità femminili, ma di fatto esclude le sue monache dalle posizioni di maggiore autorità; il Buddhismo Theravada sottopone radicalmente tutte le donne agli uomini, senza alcun riguardo neppure per l’anzianità. E ancora, mentre uomini e donne insegnano insieme in alcuni piccoli templi Soto giapponesi, la scuola Soto-shu non ammette la presenza delle donne nei principali templi di formazione. Anche se Jiyu Kennett ha avuto una possibilità rivoluzionaria al Tempio Soji-ji, le porte ancora non sono state aperte ad altre donne. Quando ho cominciato a vedere queste ingiustizie, non ho reagito con rabbia, ero piuttosto incredula; avevo sentito delle storie, ma ho cercato di ignorarle: tali iniquità sono così chiaramente contrarie ai principi basilari del Buddhismo che mi è stato difficile, nel mio idealismo iniziale, capire come avessero potuto diventare la politica predominante. Il Buddhismo fu fondato al di fuori delle restrizioni culturali del suo tempo, rompendo il sistema di caste e di barriere culturali a favore dell’uguaglianza. Ma le condizioni culturali non furono mai lontane dalla pratica giornaliera, e nel giro di poche centinaia di anni dalla nascita del Buddhismo, il sessismo (e qua e là, la pura misoginia) diventò parte integrante della sua struttura. In tutta la storia del Buddhismo, le istituzioni buddhiste hanno favorito gli uomini e hanno dato restrizioni alle donne. E’ facile (un po’ troppo facile) ignorare questi problemi in quanto sono derivati inevitabilmente dagli usi culturali. Tutti gli atti umani sono carichi di umane illusioni, e il sessismo è un problema istituzionale del buddhismo, non un aspetto del Dharma in sé. Possiamo invece usare queste conoscenze come un propulsivo. Se noi agiamo solo dal punto di vista dell’impermanenza e dell’illusione, le questioni legate alla differenza tra uomini e donne possono sembrare irrilevanti. Superficialmente questo potrebbe chiamarsi uguaglianza, ma sotto la superficie molte sofferenze rimangono e, in un ambiente come questo, proteste contro i maltrattamenti potrebbero essere considerate attaccamenti. Nel Dharma non si ha a cuore solo il concetto di impermanenza, ma ve ne sono anche altri: la forma è vuoto, ma il vuoto è anche forma e noi non possiamo soffermarci su nessuna delle due facce dell’equazione: la disuguaglianza è semplicemente un problema reale della maggioranza delle donne buddhiste oggi. La cultura occidentale ha sempre coltivato una certa ignoranza a proposito dello stile di vita della maggior parte delle altre persone nel resto del mondo. Gli americani hanno il privilegio di praticare in una società abbastanza aperta, tanto da potersi interrogare su condizioni culturali arcaiche. Penso che uno dei regali che l’occidente può offrire al buddhismo è la nostra attitudine a lavorare per la libertà da costrizioni culturali. Ciò non significa che noi ne siamo già liberi. Un importante punto della pratica buddhista riguarda la ricerca delle nostre profonde convinzioni, le false nozioni dalle quali partiamo per condurre la nostra vita. Siamo un prodotto del passato; il passato è parte del presente, ed è semplicemente stupido non provare a guardare sia il passato che il presente in maniera chiara. Una ferita in una qualunque parte del corpo è una ferita dell’intero corpo. Credo che fino a quando repressioni e restrizioni esisteranno da qualche parte nel buddhismo o nel mondo saremo tutti in qualche modo repressi e con delle restrizioni. Non sono sicura del perché la questione tra uomo e donna sia un così difficile problema per gli esseri umani. Siamo gli uni per gli altri madri e padri, sorelle e fratelli, figli e figlie e amanti. Forse è inevitabile essere i rappresentanti di questi ruoli, di tutte le pene, i piaceri, l’amore e la perdita delle intime relazioni umane. Qualunque siano le ragioni, noi occupiamo i generi umani con una potenza straordinaria. Uomo e donna sono solo condizioni – un tipo di karma. Sono semplicemente forme del nostro corpo, che danno forma alla nostra vita, a rotazione. La cosa veramente ironica nel sessismo Buddhista è che dà al karma più, non meno, controllo delle nostre vite. Una politica di trattamento diversificato tra uomini e donne significa agire come se il genere maschile e femminile fossero permanenti ed esistenti di per sé, esattamente l’opposto di come ci è stato insegnato a vedere l’intero mondo dei fenomeni. Sull’altare del nostro fondatore, noi onoriamo Nyogen Senzaki, uno dei primi maestri Zen che venne negli Stati Uniti. Una volta durante gli anni ’50, scrisse un commovente testo a sostegno dell’uguaglianza delle donne nel Buddhismo. “Buddha ebbe discepoli uomini e discepoli donne, e onorava entrambi” scrisse Nyogen. “Niente si può trovare tra quello che disse che può farci intuire che fece differenziazioni tra uomo e donna”. C’è un documento, tuttavia “L’ammissione delle donne all’Ordine”, nel quale si racconta che Shakyamuni disse che non voleva ordinare le donne, cambiando idea solo dopo l’insistenza di Ananda; il testo inoltre diceva che avesse predetto che la “Buona Dottrina” del buddhismo sarebbe sopravvissuta solo 500 anni se ciò fosse accaduto. Io semplicemente non credo che queste siano parole del Buddha. Dare un tale peso a qualità effimere e mutevoli, segregare metà dell’umanità al di fuori dell’ordine monastico, rendere la Verità così soggetta agli atti umani, contraddicono il resto del suo insegnamento, un insegnamento che è sopravvissuto, dopo tutto, molto di più di 500 anni. Le nostre scritture sono ancorate a opinioni discutibili e orribili storie sulle donne pervadono la letteratura del Buddhismo. Le illusioni delle istituzioni hanno continuamente tentato di insinuarsi nel Dharma stesso. Sia nelle antiche che nelle nuove incredibili storie, le donne sono trattate in modi diversi, come se fossero meno sincere degli uomini, più deboli o meno compassionevoli, con una abilità limitata ai fini della conoscenza della Verità. Si supponeva che la rinascita in un corpo maschile fosse necessaria per raggiungere i più alti regni degli dei e dei re. Nel Giappone medioevale, per le donne si celebrava un funerale speciale per salvarle “dall’inferno delle mestruazioni”. In un libro uscito di recente sul “Sutra del deposito di terra”  lessi: “ i loro cuori sono grandi quanto un granello di sesamo”. Cosa ancora più importante, le donne sono viste come ostacolo e impedimento alla pratica degli uomini. Le donne disturbano gli uomini stimolando i loro desideri sessuali, e questa questione è usata dagli uomini per giustificare il controllo e addirittura le punizioni inflitte alle donne. Il Vinaya, che sono le regole di condotta monastica tradizionale, è molto più lungo per le donne che per gli uomini. La proliferazione di limitazioni al comportamento delle donne è stato in parte conseguente a comportamenti degli uomini per crimini di stupro e aggressioni contro le donne. “Se non ci fossero donne, ogni uomo sarebbe un Bodhisattva” dice uno, “la cosa migliore dell’inferno Buddhista è che non ci sono donne” dice un altro. Scrive lo storico John Stevens: “Una spaventosa porzione della letteratura Buddhista in tutte le tradizioni è volta a diffamare le donne come incarnazione della depravazione”. Ci sono volte nelle quali riesco a ridere di questo. I monaci che si aspettano di far fronte a inverni di ghiaccio, afose estati, sciami di insetti, lavoro duro e tante altre difficoltà hanno bisogno che gli venga risparmiata la presenza delle donne. Le donne rappresentano l’insormontabile ostacolo per la loro pratica, sono ciò che supera la possibile sopportazione dell’uomo. E’ una verità difficile, la nostra interpretazione del Dharma a volte è usata per perpetuare la sofferenza. Come praticare con questo dato di fatto è una questione aperta. Per me, parte della risposta sta nel lignaggio. Siamo stati istruiti a onorare e investigare le vite degli antenati, per studiare e riverire la loro esperienza. Questo buon insegnamento non dovrebbe essere rovinato dalla rigidità. Il lignaggio è un specie di mito, e come tutti i miti, il lignaggio e come pratichiamo con esso deve crescere e cambiare.I miti raccontano ciò che è nascosto, danno parole per quello che è difficile da descrivere, immagini per ciò che è invisibile. I miti si evolvono attraverso il fatto che li raccontiamo e così rimangono vitali e vivi. Il lignaggio Zen è chiaramente documentato solo dopo il Sesto Patriarca Cinese, e anche dopo ci sono delle falle. Neanche le migliori conoscenze possono confermare molti dettagli. Per la maggior parte, i nostri antenati sono figure archetipiche, le loro storie sono narrate in un linguaggio grandioso e poetico. Ognuno di loro parte per un viaggio alla ricerca di un eroe, supera ostacoli, raggiunge un grande obiettivo. Che alcune di queste storie siano anche vere può solo darci un po’ di gioia in più. Naturalmente, molti dei nostri antenati sono stati chiaramente persone reali la cui vita fu molto più vicina alla nostra di quanto pensiamo, e il risveglio dei quali può guidare il nostro. Ma anche nella più documentata linea mancano molti uomini verso i quali siamo debitori. Le linee che ci sono state lasciate in eredità sono in parte i nomi di quelli che sono sopravvissuti a guerre politiche e culturali. Qui stiamo parlando di migliaia di anni, attraverso migliaia di chilometri e di molti paesi che sono cambiati rapidamente. In qualunque serie di nomi fatta mancano molti maestri dimenticati, alcuni dei quali scelsero deliberatamente di rimanere nascosti, spendendo la loro vita in un’anonima e silenziosa pratica. Abbiamo perso inoltre i nomi degli insegnanti risvegliati che fanno parte di altre linee e serie. Rendere aperto il significato di lignaggio ci invita a includere molte di queste persone senza nome che hanno dedicato la loro vita per la nostra pratica di oggi. Ad una prima occhiata, ciò che sembra compromettere la validità del lignaggio, sembra essere la trasmissione stessa della verità del Dharma. Ho cominciato a comprendere che la trasmissione è priva di struttura, ed è piuttosto una trasmissione del vivere. La pratica Buddhista dà credito alla comprensione e all’Illuminazione del proprio Maestro e, attraverso esso, a colui che è stato il suo Maestro, e ancora indietro fino ad arrivare a Shakyamuni. Questa era ed è la pratica di Shakyamuni, che irradia una libera comprensione attraverso il tempo e lo spazio. Il lignaggio rappresenta l’eternità. Anche se possiamo conoscere nomi e date, a prescindere dall’errore umano, a causa delle guerre e delle epurazioni, abbiamo comunque una linea di trasmissione della verità interrotta. Se lavorassimo davvero verso la chiarezza, ci sarebbe un momento in cui la perfezione del Dharma e gli errori umani, andrebbero di pari passo alimentandosi a vicenda. La Trasmissione non è un dono o uno scambio, ma un riconoscimento, una comprensione esatta di come sono le cose: ciascuno di noi infatti è già un Mahakasyapa che sorride alla vista del fiore che il Buddha gira fra le mani. Il Risveglio attraversa tutte le barriere di forma, tempo, spazio e differenze: se non potesse attraversare queste barriere non sarebbe un Risveglio. Le storie dei nostri antenati sono storie di uomini che hanno infranto le barriere delle differenze, arrivando al “non dualismo”. Dopo questa rottura il “dualismo” sarà sempre due, ma non sarà più lo stesso. Quando meditiamo, mettiamo noi stessi al posto del Buddha. Sedendo in questo modo, con questa attitudine, possiamo appartenere a qualsiasi lignaggio di gratitudine, smarrimento, umanità o amore. Quindi, tanto più praticheremo, tanto più nessuno dei nostri antenati sarà morto: i nostri padri saranno vivi, le nostre madri saranno vive. L’ampiezza e la profondità dell’insegnamento è vedere come questa Via possa ampliare la nostra conoscenza. Così ecco un lignaggio di donne. Ci stiamo muovendo con cautela e lentamente impariamo come procedere, osservando come la lista dei nomi gradualmente si evolve. Stiamo cercando una nuova tradizione, una tradizione che provenga dalla natura e che pertanto non possa essere scalfita. Una donna del nostro Sangha, sorridendo un poco, suggerì di onorare i soli nomi delle donne per un certo periodo di tempo, magari per 2500 anni. Penso che sia importante chiedere agli uomini come immaginano che si sentirebbero al posto di qualcun altro. Cosi se venisse utilizzato solamente un lignaggio femminile per un certo periodo di tempo, gli uomini avrebbero l’opportunità di vivere un’esperienza di esclusione e segregazione. Ma questa sarebbe una colpa, usare il lignaggio femminile in questo modo significherebbe perseverare gli errori del passato. Vi è una differenza fra il pensare una cosa ed il giustificarla. Prendendo in prestito una frase dal “Myotai Treace” del Mountain and Rivers Order, abbiamo bisogno di “vedere il problema, ma di lasciar andare le obiezioni”. Così lavoriamo per lasciar cadere le discussioni riguardo il genere uomo e donna, indistintamente dovrebbero seguire questo comportamento, anche se sappiamo che in realtà, in giro per il mondo, viene ancora fatto del male in nome del Dharma. In questo modo, faremmo più che risolvere un problema: impareremmo a contenerlo sul nascere prima che diventi più grande. Se ci confrontiamo con il passato potremmo sentirci impotenti, vagamente colpevoli o irrimediabilmente arrabbiate per tutte le ingiurie a lungo subite. Ma dobbiamo cambiare il pensiero del passato per cominciare a capire cosa succede e perché. Il Buddhismo è ottimista e il Dharma è gioioso sulle possibilità della nostra liberazione. Possiamo trovare tendenze violente in noi stessi ed iniziare a liberarci dal karma, dalle nostre risposte condizionate, dalle colpe e dal dolore. Gli individui possono farlo; le comunità possono farlo; le religioni e le nazioni possono farlo. Noi possiamo il nostro modo di pensare e il nostro modo di soffrire, e se ciò avverrà cambieremo il futuro a partire da adesso.

Traduzione italiana a cura del Centro di Meditazione Hui Neng. Si ringraziano Chiara Zampetti, Alessandro Meringolo, Pamela Fazio, Tatiana Sangetsu Calipa e Tiziana Ryukan Crociani.

Autorizzazione all’uso e alla diffusione: la diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng.