giovedì 16 giugno 2016

Antonio Gramsci e il Buddha

Antonio Gramsci (1891 – 1937) è universalmente conosciuto come uno dei maggiori pensatori del XX secolo. Fu politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia. Nel 1926 venne arrestato dal regime fascista con l’accusa di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. Condannato, venne rinchiuso nel carcere di Milano e poi in quello di Turi, in Puglia. Nel 1934, per il grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
In carcere, a partire dal 1926 aveva iniziato la stesura della sua opera maggiore, i Quaderni del carcere, non destinati alla pubblicazione, nei quali analizzò la struttura culturale e politica della società.
Durante la prigionia scrisse anche moltissime lettere (pubblicate con il titolo Lettere dal carcere) indirizzate ai familiari (la madre, il fratello, le sorelle, la moglie, la cognata, i figli), le quali hanno un grande valore non solo umano ma anche storico, politico, sociologico.

Tania Scucht
 Ciò che qui maggiormente ci interessa è una lettera del 27 febbraio 1928, indirizzata alla cognata Tania (Tatiana) Schucht, sorella della moglie Giulia. Infatti, in due bravi passaggi, il marxista Gramsci dimostra di aver incontrato nei suoi studi anche il buddhismo. Non approfondisce il tema (lo fa in altre occasioni, che vedremo), ma le sue poche parole sono un perfetto esempio dell’acutezza delle sue analisi.
L’occasione per parlare del buddhismo gli era stata offerta da uno scambio di idee che aveva avuto in carcere con un “evangelista o metodista o presbiteriano”, a proposito del rischio di un possibile innesto di elementi asiatici nella cultura cristiana europea a causa della vendita di statuine del Buddha da parte degli immigrati cinesi.
Ma leggiamo direttamente lo scritto di Gramsci:

Per farti passare il tempo ti riferirò una piccola discussione «carceraria» svoltasi a pezzi e bocconi. Un tale, che credo sia evangelista o metodista o presbiteriano (mi sono ricordato di lui a proposito del suaccennato «prossimo») era molto indignato perché si lasciavano ancora circolare per le nostre città quei poveri cinesi che vendono oggettini certamente fabbricati in serie in Germania, ma che dànno l'impressione ai compatrioti di annettersi almeno un pezzettino del folklore cataico. Secondo il nostro evangelista, il pericolo era grande per la omogeneità delle credenze e dei modi di pensare della civiltà occidentale: si tratta, secondo lui, di un innesto dell'idolatria asiatica nel ceppo del cristianesimo europeo. Le piccole immagini del Budda finirebbero con l’esercitare uno speciale fascino che potrebbe essere come un reagente sulla psicologia europea ed esercitare una spinta verso neoformazioni ideologiche totalmente diverse da quella tradizionale. Che un elemento sociale come l'evangelista in parola avesse simili preoccupazioni, era certo molto interessante, anche se tali preoccupazioni avessero origine molto lontana. Non fu difficile però cacciarlo in un ginepraio di idee, senza uscita per lui, facendogli osservare:
1°. Che l’influenza del buddismo sulla civiltà occidentale ha radici molto più profonde di quanto sembri, perché durante tutto il Medio Evo, dall’invasione degli arabi fino al 1200 circa, la vita di Budda circolò in Europa come la vita di un martire cristiano, santificato dalla Chiesa, la quale solo dopo parecchi secoli si accorse dell’errore commesso e sconsacrò il pseudosanto.
L’influenza che un tale episodio può avere esercitato in quei tempi, quando l’ideologia religiosa era vivacissima e costituiva il solo modo di pensare delle moltitudini, è incalcolabile.
2°. Il buddismo non è una idolatria. Da questo punto di vista, se un pericolo c’è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l’avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) Si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone, specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano traccie profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che si esprimono nel linguaggio più universale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva ed elementare, cioè facilmente assimilabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. Insomma il povero evangelista fu convinto, che mentre aveva paura di diventare un asiatico, in realtà egli, senza accorgersene, stava diventando un negro e che tale processo era terribilmente avanzato, almeno fino alla fase di meticcio. Non so quali risultati siano stati ottenuti: penso però che non sia più capace di rinunziare al caffè con contorno di jazz e che d’ora innanzi si guarderà più attentamente nello specchio per sorprendere i pigmenti di colore nel suo sangue.

Come si vede, nel punto 1° Gramsci dimostra di conoscere molto bene la vicenda di Josafat, il “Buddha cristiano”, raccontata tra gli altri da Iacopo da Varagine sulla base di una tradizione indiana attraverso le versioni islamico-georgiane (si veda il post http://zenvadoligure.blogspot.it/2015/02/il-beato-iacopo-da-varagine-e-la-strana.html del 6 febbraio 2015). E soprattutto riconosce che il buddhismo ha profondamente influenzato la civiltà europea.
La lettera a Tania, pubblicata
su L'Unità del 27 aprile 1947
Inoltre, nel punto 2° troviamo la perentoria affermazione secondo cui il buddhismo non è una idolatria (si rammenti che Gramsci parla nel 1928), e quindi la vendita delle statuine del Buddha, cioè di idoli, non avrebbe potuto certamente avere l'effetto di contaminare il Cristianesimo europeo! Anzi, con efficace ironia porta il suo interlocutore alla paradossale conclusione che sarebbe stata più probabile una contaminazione culturale provocata dalla musica jazz, in quanto trattasi di un linguaggio universale, diretto, e che coinvolge senza mediazioni “tutto il mondo psichico” dell’evangelista. E magari, conclude sarcasticamente, anche il suo aspetto fisico!









La lettera è leggibile per intero qui (pag. 108-109 del file PDF):

http://www.liberliber.it/mediateca/libri/g/gramsci/lettere_dal_carcere/pdf/letter_p.pdf

mercoledì 15 giugno 2016

Programma Unisabazia 2016-17

UNI
SABAZIA
Comuni di Vado Ligure, Bergeggi, Quiliano

UNISABAZIA – ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017


TITOLO DEL CORSO:
le tradizioni orientali nella filosofia occidentale


Oggetto del corso, articolato in 10 incontri, non è una generica comparazione tra la spiritualità orientale e la filosofia occidentale, bensì l’analisi di una effettiva presenza delle filosofie indiane, cinesi o giapponesi nella storia del pensiero occidentale antico e moderno.


Lezione n. 1    Introduzione: la filosofia come pratica tra Oriente ed Occidente
Lezione n. 2    La filosofia classica antica e l’Oriente
Lezione n. 3    Gottfried von Leibniz e la Cina
Lezione n. 4    Arthur Schopenhauer legge le Upanishad
Lezione n. 5    Friedrich Nietzsche in zazen
Lezione n. 6    L’Oriente di Martin Heidegger
Lezione n. 7    Réné Guénon e le Forme Tradizionali del Sacro
Lezione n. 8    Shiva, Signore della danza delle particelle subatomiche: la fisica contemporanea
Lezione n. 9    La mente che mente: Carl Gustav Jung
Lezione n. 10  La mente che mente: il Buddhismo tra psicoanalisi e neuroscienze