Il
Buddhacarita
(Le gesta del Buddha) di Aśvaghoṣa è
un’opera del II secolo d.C. nella quale è poeticamente narrata la vita del
Buddha Śākyamuni dalla sua nascita fino
al conseguimento del Risveglio.
Tra i tanti eventi straordinari che accompagnano
l’ultima rinascita del Sublime, nel Canto I si legge di un fatto meraviglioso:
appena nato, colui che, “bello del colore
dell’oro di gran pregio, illuminava tutto l’orizzonte” [1], immediatamente si alza ritto in piedi e cammina.
Così canta Aśvaghoṣa: “Simile alla
costellazione dei Sette Veggenti, mosse allora sette passi sicuri,
levàti con calma e direttamente, [appoggiati] con fermezza e lunghi di falcata.
E
rivolgendo con contegno leonino lo sguardo ai quattro punti cardinali, disse
queste parole rapportate al suo fine futuro: Per conseguire l’Illuminazione io
sono nato, per il bene delle creature; questa è la mia ultima esistenza nel
mondo” [2].
Immagine tradizionale del Buddha bambino |
Non si tratta comunque di una invenzione letteraria
di
Aśvaghoṣa.
Infatti, nel Maha-padana
Sutta, un Sūtra del Canone Pali, quindi ben più antico del Buddhacarita, il Risvegliato narra la
storia di Vipassi, il primo dei Buddha che lo avevano preceduto, ed afferma tra
l’altro: “Quando il Bodhisatta è appena
nato si alza in piedi e compie sette passi verso Nord, poi coperto da un
bianco baldacchino scruta i quattro punti cardinali, e grida con voce di toro:
Sono il signore del mondo, il supremo del mondo. Questa è la mia ultima
nascita, non ci saranno altre esistenze” [3].
Secondo il Lalitavistara,
il Sūtra che andiamo traducendo su questo stesso blog, lo stesso evento
miracoloso si svolge in maniera ancor più articolata: il Buddha bambino compie
sette passi verso levante, altri sette verso sud, e ancora sette verso ponente
e poi verso nord. Ed infine, sette passi verso la regione inferiore e sette
verso la regione superiore. Ogni passo del Buddha è accompagnato dallo
sbocciare di fiori di loto sotto ai suoi piedi e dalle sue parole, con cui la
voce leonina del Beato conferma verso tutte le direzioni dello spazio la sua
ultima rinascita e la definitiva liberazione dalle sofferenze [4].
I sette passi nel film di Bertolucci |
L’immagine del piccolo Siddhārtha che appena nato è
in grado di camminare (e di parlare) è stata in anni recenti (1993) ripresa e
tradotta in immagini cinematografiche dal regista Bernardo Bertolucci nel suo Piccolo Buddha (Little Buddha), l’ultimo film della cosiddetta trilogia orientale,
insieme con L’ultimo Imperatore
(1987) e Il tè nel deserto (1990).
Anche se a parere di chi scrive la sequenza dei sette passi non è tra le
migliori di un film peraltro non disprezzabile…
Anche nel film, ad ogni passo del piccolo Buddha
fiori di loto sbocciano sotto i suoi piedi, un elemento che come si è visto non
compare nel Sūtra canonico né nel Buddhacarita,
ma che è invece riportato nel Lalitavistara
e in altre narrazioni tradizionali sulla nascita del Sublime.
I sette passi del Buddha rimandano a miti più
antichi, riportati nei testi fondamentali delle tradizioni induiste, in
particolare a quelle legate al culto del dio Viṣṇu, manifestazione
personificata dell’energia solare. Uno degli appellativi di Viṣṇu è infatti Trivikrama,
ovvero colui che compie i tre grandi passi attraversando il cielo, come il
carro del sole fa dall’alba al mezzogiorno al tramonto.
Nel Ṛg-veda
è detto:
“Io
celebro le gesta eroiche di Viṣṇu, che misurò le regioni terrene e ha reso
stabile la regione di sopra compiendo lui, dal vasto incedere, tre passi.
Per questa impresa eroica Viṣṇu è lodato, lui che abita sulla montagna come una
bestia selvaggia, aggirandosi ovunque, nei suoi tre grandi passi abitano
tutti gli esseri, che la mia invocazione possa raggiungere Viṣṇu il toro
che abita la montagna e che da solo ha misurato con i tre passi queste ampie
sfere”.
Gli stessi tre passi che compie il sacerdote vedico
nell’offerta sacrificale, rigenerando il cosmo come fece e farà il dio, fino al
dissolvimento del presente universo.
Trivikrama |
Dal testo vedico ebbe origine il mito del quinto Avatara [5] di Viṣṇu, Vāmana, il Nano. Secondo il mito, il
re Bali era diventato un despota, in quanto aveva ottenuto grandi poteri grazie
alla forza della sua ascesi, alla quale nemmeno gli dei potevano opporsi. Gli
dei, preoccupati, chiesero a Viṣṇu di intervenire. Egli, in forma di sacerdote
nano, Vāmana, si presentò alla corte del re, uomo peraltro pio e devoto del dio
Indra. Il re gli offrì un dono, e Vāmana gli chiese un po’ di terra, quanta ne
avrebbe potuto misurare con tre dei suoi piccoli passi. Bali, caritatevole,
acconsentì, ma il nano si trasformò nel gigantesco Viṣṇu Trivikrama e con due
soli passi superò tutti i territori del regno. Non fece, per compassione, il
terzo passo, lasciando così a Bali le regioni degli Inferni. In questo mito, il
Viṣṇu Trivikrama creatore dei mondi diviene sì il distruttore di un regno, ma
in compenso restaura con la sua opera il Dharma, l’Ordine cosmico, al quale
l’ordine “terrestre”, politico e sociale, aveva cessato di conformarsi per la volontà
di potenza del re.
Vamana |
I tre passi del Viṣṇu vedico e poi del Viṣṇu
puranico indicano il carattere universale del dio, essendo l’universo
tripartito nelle tre zone di cielo, terra e acque. Non vi è quindi
contraddizione tra i tre passi di Viṣṇu e i sette (o multipli di sette) passi
del Buddha, in quanto esprimono lo stesso significato di universalità.
Come pure non vi è contraddizione tra il fatto che
l’Avatara Vamana è un adulto, non un
neonato come il piccolo Buddha. Non a caso, infatti, Vamana è descritto come un
essere di statura molto piccola, gracile, apparentemente debole e indifeso.
Come un bambino, quindi.
Per chi è immerso nella tradizione occidentale è
facile pensare il Tre come simbolo di totalità (es. la Trinità), ma anche
il Sette riveste un profondo significato simbolico, sia nel lontano
Oriente sia nell’area mediterranea: esso “presiede
all’inizio e al ritorno, allo sviluppo e alla risoluzione” [6], giocando quindi un ruolo fondamentale nei processi
ciclici.
Si pensi ai sette giorni della creazione biblica, ai
sette colori di base, alle sette stelle dell’Apocalisse, che rimandano ai Sapta Ṛṣi dei Veda, ovvero i Sette
Veggenti citati dal Buddhacarita; e
ancora, i sette Cakra, i centri
energetici dello Yoga; i sette pianeti dell’astrologia (i cui nomi ricorrono
nei sette giorni della settimana – essendo la domenica il giorno del Dominus, ovvero del sole, Sunday); i sette metalli del percorso di
trasmutazione alchemico. Sette sono i bracci del candelabro ebraico, i colli di
Roma e i suoi Re; sette le Pleiadi figlie di Atlante; nel Cattolicesimo, sette
sono i Sacramenti, le Virtù e i Peccati capitali, i Dolori patiti dalla Vergine
Maria; e si potrebbe continuare ancora, fino, perché no, ai Sette Nani, o ai
Sette Samurai di Kurosawa…
A proposito di simbologia, se si visualizza la
figura geometrica generata dai passi del Buddha bambino sul piano orizzontale
secondo il Lalitavistara, si ottiene
un quadrato, percorso in senso orario, quindi porgendo il fianco destro al
Centro (come avviene nella circumambulazione di uno stūpa), a partire dal punto α, che diviene quindi anche il
punto ω [7]:
E il quadrato è simbolo della Terra, della base,
della stabilità, dell’equilibrio [8]. Esso si forma sul principio della perfezione del Quattro.
La stessa Gerusalemme Celeste è di forma quadrata, mentre circolare è il
Paradiso Terrestre.
E il Quattro, principio di perfezione, concorre con
l’universalità del Tre a generare la totalità di cui il Sette è portatore: 4 +
3 = 7.
Ed infine un ultimo rimando, suggerito dai
precedenti riferimenti alla tradizione giudaico-cristiana e alla figura della
Vergine Maria, che volentieri propongo alla riflessione di chi legge.
Un importante testo cristiano è il Protovangelo di Giacomo, che la
Chiesa ufficiale non considera canonico ma preferisce situare tra i cosiddetti
Vangeli Apocrifi, anche se da esso trae molti particolari della vita di Maria,
madre di Gesù, e che ha costituito fonte di ispirazione per buona parte
dell’arte sacra cristiana, come d’altra parte è avvenuto per molti dei Vangeli
Apocrifi. È attribuito a Giacomo il Minore, “fratello” di Gesù, e sarebbe stato
composto intorno al 150 d.C., anche se studi recenti lo fanno risalire ad
epoche a noi più vicine (intorno al IV secolo).
Ma ciò che lo avvicina a quanto fin qui detto sui
passi del Buddha e del dio Viṣṇu è il racconto delle prime settimane di vita di
Maria, la futura Madre di Gesù.
Vi si legge:
“Di giorno in
giorno la bambina cresceva. Quando ebbe sei mesi, la madre [Anna], la pose a terra, per vedere se stava
ritta. Essa fece sette passi e tornò in grembo a lei. La madre la
sollevò, dicendo: Come è vero che vive il Signore mio Dio, tu non camminerai
più su questa terra, finché non ti avrò condotta al Tempio del Signore. E le
costruì un santuario nella sua camera da letto e non permetteva che essa
toccasse nulla di profano e di impuro” [9].
I sette passi della Vergine Maria |
Sette passi, quindi, come il Buddha neonato. E, al
di là del numero, come Viṣṇu, l’Onnipervadente dio solare. Così come figura
solare è certamente il Buddha, e con lui il Cristo, che nasce nei giorni del Sol Invictus caro ai Romani.
Passi che lasciano – ci si consenta il facile gioco
di parole – impronte profonde, non nella storia (come il “piccolo passo per un uomo” di Neil Armstrong sulla Luna), ma nello spirito,
il che è ben più importante.
Non è il caso di proseguire ulteriormente nella
ricerca di analogie tra le vicende relative alla vita del Buddha o della madre
Māyādevī e quelle di Gesù Cristo o di Maria Vergine.
Ritengo invece più importante dare alcune
indicazioni di metodo, che traggo dalle parole di Marco Vannini, il più volte
citato studioso della mistica cristiana, e non solo.
“Analogia non
è genealogia” – dice Vannini –, “la
somiglianza delle forme non significa necessariamente identità di origine.
Ovvero non si possono sempre spiegare
manifestazioni analoghe o parallele deducendone una derivazione o influssi
diretti dell’una sull’altra” [10]. Nel nostro caso, se è piuttosto evidente, anche per
motivi storici e geografici, una derivazione dei sette passi del Buddha dai
miti vaiṣṇava, è bene invece astenersi da un approccio storicistico nel
confrontare l’episodio del Buddhacarita
con quello del Protovangelo di Giacomo.
Val meglio, credo, pensarli con una chiave di lettura dei simboli in essi
presenti e comuni alla spiritualità umana di ogni epoca e luogo, utilizzando
magari gli strumenti della psicologia del profondo.
[1] Aśvaghoṣa, Le
gesta del Buddha, a cura di A. Passi, Ed. Adelphi, pag. 17.
[2] Id.
[3] Maha-padana
Sutta, 1, 29; in: Digha Nikaya,
Silakkandhavagga.
Si veda: http://www.canonepali.net/dn/dn_14.htm.
Cfr. anche V. Cucchi (a cura di), La vita di Buddha nei testi del Canone Pali,
Ed. Xenia, pag. 4.
[4] P.E. de Foucaux (trad. di) Le Lalitavistara, Ed. Les Deux Océans, pag. 78-79.
[5] L’Avatara è l’incarnazione della parte
non-manifesta del dio che crea il mondo con solo una parte di se stesso,
secondo la dottrina vedica. Esso “discende” sulla Terra per salvare gli esseri
dalla sofferenza e dal male. Il Buddha è considerato nell’Induismo un Avatara di Viṣṇu, il nono, e penultimo.
Cfr.
A. Morretta, Miti indiani, Ed. Longanesi, pag. 144 e seg.
[6] J.M. Vivenza, Dizionario
guénoniano, Ed. Arkeios, pag. 376-377.
[7] “Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e
l’Ultimo, il principio e la fine”. Apocalisse, 22,13.
[8] Dizionario
guénoniano, pag. 335-336.
[9] Protovangelo
di Giacomo, VI,1. In: M. Craveri (a cura di), I Vangeli Apocrifi, Ed.
Einaudi, pag. 11-12.
[10]
C. Augias – M. Vannini, Inchiesta su Maria, Ed. Rizzoli,
pag. 194.