mercoledì 13 maggio 2020

Parole pesanti come pietre: olocausto


Nel corso dell’incontro svoltosi nel corrente anno presso l’Unisabazia in Vado Ligure, dedicato al tema del difficile rapporto tra il Mahatma Gandhi e la questione ebraica, ho espressamente criticato l’uso corrente del termine olocausto (con o senza la maiuscola) per indicare il piano di sterminio degli Ebrei ideato e messo in pratica dal regime nazionalsocialista tedesco e dai suoi alleati nel secolo scorso.
La lettura della più recente opera di Roberto Calasso, Il libro di tutti i libri, dedicato alla Bibbia, ha confermato quanto la mia critica fosse corretta, non solo per un mero desiderio di precisione nella scelta dei termini, ma anche – e soprattutto – perché l’uso di un termine scorretto, impreciso o fuorviante può profondamente modificare la comprensione, il ricordo, l’analisi, l’interpretazione di un evento.
E talvolta può anche accadere che tale uso avvenga scientemente, con cognizione di causa, per consentire un’operazione di “riduzione” della portata di un fatto storico senza necessariamente giungere a negarne la veridicità.
Così come – ad esempio – molti non negano affatto lo sterminio del popolo ebraico, ma si affrettano comunque ad aggiungere che il progetto dei nazionalsocialisti del ‘900 non si limitava ai soli Ebrei, ma comprendeva anche i Rom, gli omosessuali, i Testimoni di Geova, gli oppositori politici ecc. Il che è vero, ma in certi contesti questo è solo un mezzo per “ridurre”, senza espressamente negarla, la specificità del genocidio subito dal popolo ebraico.
La stessa operazione viene altrettanto spesso tentata quando si inserisce lo sterminio degli Ebrei in un più vasto contesto temporale. E allora si dirà: sì, certo, gli Ebrei, ma non dimentichiamo i Tibetani, i Nativi americani, gli Armeni, gli Incas, gli Uiguri, e così via elencando.
Si tratta in fondo dell’atteggiamento mentale di chi non vuole essere tacciato di “negazionismo”, ma non può tuttavia evitare di lasciar emergere un antisemitismo di fondo che non è mai scomparso, ma che al contrario si ripresenta costantemente nascondendosi magari sotto l’uso di una terminologia apparentemente neutrale ed innocua.

Riporto qui di seguito il brano dell’ottimo libro di Calasso sul termine olocausto (pag. 381/383):

 
I nazisti misero in atto contro gli Ebrei, nella seconda guerra mondiale, un piano di sterminio sistematico. Gli Ebrei venivano raccolti in campi - di con­centramento o di sterminio. Talvolta venivano pas­sati dagli uni agli altri per essere uccisi. La maggior parte dei cadaveri venivano inceneriti. Questi i fatti essenziali, descrivibili con parole del lessico comune.
Un giorno qualcuno pensò di designare quel pia­no e la sua attuazione con la parola «olocausto». Per vie che nessuno potrà chiarire in ogni passaggio, co­me sempre avviene nella storia delle parole, il termi­ne si diffuse facilmente, largamente, sino a diventare il termine specifico per descrivere quegli eventi. E assunse anche, occasionalmente, la maiuscola. Ma «olocausto» non era parola nuova - mentre nuova era stata l'impresa nazista. Al contrario era una paro­la molto antica, un termine del lessico sacrificale. Di «olocausto», olah, si parla nella Genesi la prima volta in cui viene nominato un altare. E il primo degli olo­causti fu offerto da Noè, che aveva eretto il primo fra gli altari. Che cosa sia l'olocausto fu enunciato da Iahvè a Mose: «Iahvè parlò a Mose dicendo: "Dai or­dine ad Aronne e ai suoi figli, dicendo: Ecco la leg­ge dell'olocausto: l'olocausto sarà sul suo braciere, sull'altare, per tutta la notte sino al mattino, e il fuo­co dell'altare vi brucerà. Poi il sacerdote indosserà la sua veste di lino e metterà sulla sua carne braghe di lino, solleverà la carne dell'olocausto che il fuoco dell'altare avrà divorato e la metterà di lato sull'alta­re. Poi si toglierà le vesti e indosserà altre vestì, e por­terà la cenere fuori in luogo puro"».


Così accadde che il sistematico sterminio di un po­polo da parte di un altro popolo venne chiamato col nome di una cerimonia religiosa istituita in tempi remoti dalla parola del Dio del popolo assassinato. Questo fatto fu un errore immane e un orrore. Ma, ancora più dell'errore in sé, fu orrendo che non ve­nisse percepito come tale. Anzi, talvolta rivendicato. Ci furono occasioni in cui vennero criticati altri ter­mini per sostituirli con il nuovo. Così un immenso e immeritato onore veniva concesso ai nazisti: si rico­nosceva loro di aver condotto per anni una incessan­te cerimonia religiosa, mentre si era trattato di ucci­sioni sistematiche. E, oltre tutto, quella cerimonia religiosa apparteneva alla più antica tradizione del popolo che si erano proposti di sterminare. L'acutiz­zarsi della sensibilità collettiva in rapporto allo ster­minio degli Ebrei si è manifestato in parallelo al pro­gressivo diffondersi della parola «olocausto». Ma quella maggiore attenzione - e anche quelle maggio­ri conoscenze - non sono state sufficienti per rende­re palese l'immane errore che si commetteva ogni giorno nel nominare lo sterminio degli Ebrei. Intan­to, molto si parlava di memoria, spesso celebrandola. Alcuni pensavano che la memoria in sé fosse l'anti­doto più sicuro contro una certa specie di orrori. Ep­pure, come applicare questo alla memoria che de­scrive l'oggetto del ricordo con una parola che non solo è errata, ma sviante e carica di significati che sfug­gono a chi la pronuncia? E possibile ricordare attra­verso una parola di cui si è dimenticato il senso?
Per raggiungere la sua perfezione, il male non ha bisogno soltanto di essere commesso. Almeno altret­tanto, ha bisogno di essere nominato con parole er­rate, perché questo già garantisce che il male stesso non rischia di giungere nella sua integrità alla chia­rezza della mente. Finché dura un tale stato, il male potrà sentirsi sicuro di sfuggire a un giudizio che lo consideri per ciò che esso è stato.

 
Si veda:

R. Calasso, Il libro di tutti i libri, Ed. Adelphi

http://zenvadoligure.blogspot.com/2020/03/gandhi-e-gli-ebrei-appunti-su-una.html