LA POSTURA DEL RISVEGLIO


"Egli [Shakyamuni] assunse allora la somma, incrollabile postura, che è raccolta come le spire del serpente addormentato, e disse: Io non mi scioglierò da questa posizione in terra fin quando non sarò giunto a compiere ciò che devo compiere".
(Asvaghosa, Buddhacarita)

Lo zazen del Buddha
"Nel luogo dove normalmente ci si siede, stendete un materassino e sopra di esso mettete un cuscino. Potete mettervi nella posizione del loto intero o nella posizione del mezzo loto. La posizione del loto consiste nel mettere innanzitutto il piede destro sulla coscia sinistra e il piede sinistro sulla coscia destra. La posizione del mezzo loto consiste nell’appoggiare soltanto il piede sinistro sulla coscia destra. Indossate un vestito e una cintura che non stringa e sistemateli (appropriatamente). Poi, ponete (il dorso della) mano destra sopra il piede sinistro e il palmo della mano sinistra nel palmo della mano destra. Premete i due pollici uno contro l’altro. Quindi, raddrizzate il corpo e sedete eretti, non pendete né a sinistra né a destra, non piegate il corpo in avanti e neppure indietro. E necessario che orecchie e spalle siano allineate, e anche naso e ombelico siano allineati. La lingua appoggi sul palato e le labbra e i denti stiano chiusi. Gli occhi devono restare sempre aperti. Il respiro nasale sia leggero. Dopo aver regolato la postura del corpo, esalate un respiro profondo e oscillate a sinistra e a destra. Sedete stabilmente e con determinazione".
(Eihei Dogen, Fukanzazengi)


Lo zazen di Kodo Sawaki

 "È così che sedevano i Buddha e i patriarchi. Potete sedervi nel loto o nel mezzo-loto; nel loto, si mette il piede destro sulla coscia sinistra e il piede sinistro sulla coscia destra. Allentate i vostri abiti e metteteli in ordine; poi, mettete la vostra mano destra sul piede sinistro e la mano sinistra sulla mano destra, i vostri pollici si toccano e sono all’altezza dell’ombelico. Rimanete seduti ben diritti, senza pendere a sinistra o a destra, in avanti o all’indietro – le orecchie e le spalle sono sulla stessa verticale, come pure il naso e l’ombelico. La lingua è contro il palato e si respira attraverso il naso. La bocca è chiusa, gli occhi aperti, né troppo aperti né troppo chiusi. Dopo aver assunto questa postura, respirate profondamente con la bocca per alcune volte. Poi, seduti ben diritti, inclinate il vostro corpo da sinistra a destra sette o otto volte, con dei movimenti di ampiezza decrescente. Quindi, rimanete seduti ben diritti e vigili."
(Keizan Jokin, Zazen Yojinki)



"Lo Zen è semplicemente sedersi. Lo Zen è semplicemente zazen... Meditazione, giusto assetto del corpo seduto. E' ricreare se stessi e comprendere il proprio vero sè: non è nè mortificazione nè austerità, ma soltanto l'autentico accesso alla pace e alla libertà".
"Se qualcuno vi chiede
che cos'è il vero buddhismo
non aprite la bocca per spiegare.
Indicate, per favore, tutti gli aspetti
della vostra postura di zazen.
S'alzerà allora il vento della primavera
e sbocceranno i meravigliosi fiori del pruno".
(Taisen Deshimaru, L'anello della via)
                                                                              
"Onde dei pensieri, onde del mare
Quando si osserva il mare, si possono vedere onde di ogni tipo, che arrivano da non si sa dove, sono innumerevoli, si susseguono le une alle altre, proprio come i nostri pensieri in zazen. Osservando tutto questo, ho notato che il mio sguardo si volgeva sempre sul momento in cui le onde si infrangevano, sul punto in cui andavano ad infrangersi. È nel momento in cui si infrangono, che esse sono belle. Nell’istante in cui si frangono sulla riva, è come se fossero in un colpo solo liberate dalla loro forma, nell’istante del ritorno alla loro origine.
Nello stesso modo durante zazen le onde dei nostri pensieri, delle nostre illusioni, si formano ed appaiono senza sosta. Ed è quando giungono ad infrangersi sulla postura di zazen, sulla concentrazione nella postura di zazen, che divengono belle. Non belle nel senso di ciò che potrebbe farci attaccare ad esse, ma belle perché in quel momento si manifesta la loro essenza, ciò che esse hanno di impermanente, di non sostanziale, di non separato dall’oceano, dal mare.
È nella loro fragilità, nella loro impermanenza, che la loro autentica natura si manifesta. Le onde che si frangono sulla riva, sono come l’istante di shin jin datsu raku, il momento in cui l’attaccamento al corpo e allo spirito è abbandonato.
Il momento in cui l’autentica natura del nostro corpo e della nostra mente si realizza. Al di là della forma particolare che questo corpo e questa mente hanno potuto assumere in un dato momento. Ognuno ha le proprie particolari illusioni. Ce ne sono di grandi, di piccole, la loro forma è diversa, ma nel momento in cui si infrangono, tale differenza scompare. Se si osservano le onde solo da lontano, si può avere l’impressione della loro esistenza reale, della loro individualità, ma praticare zazen è rimanere sulla riva, e posare lo sguardo sul punto in cui le onde si frangono, in cui i loro elementi ritornano alla semplicità, in cui non è più questione di grande, di piccolo, di lungo, di corto.
La postura
Nel dojo, i gesti si compiono senza precipitazione, non si pensa ad altro se non a ciò che si sta per fare e per praticare; non si lasciano a lungo i pugni sulle ginocchia, si oscilla da destra a sinistra in un movimento di ampiezza decrescente. Quindi si fa gassho, si uniscono le mani all’altezza del viso, con gli avambracci orizzontali. Tutti questi gesti fanno integralmente parte della pratica di zazen.
Fare una sesshin, è imparare a concentrarsi completamente in ogni istante della vita. Concentrarsi, ovvero ritornare al centro della nostra esistenza. Il centro della nostra esistenza è il fatto di essere lì, corpo e spirito in unità. Unità interiore e unità con il proprio ambiente. Non perdersi nei pensieri, non vivere nella propria testa, ma attraverso il corpo intero.
Certamente, all’inizio bisogna fare un certo sforzo di attenzione, di concentrazione. Ma alla fine, la pratica è al di là dello sforzo cosciente. Sono entrambi necessari, concentrarsi coscientemente e dimenticare, lasciar cadere lo sforzo cosciente.
Concentrarsi coscientemente significa all’inizio di zazen ritornare ai punti importanti della postura e portarvi l’attenzione, osservare il proprio corpo, ruotare bene il bacino in avanti. Bisogna appoggiare bene le ginocchia sul suolo. Non lasciare che la postura si infiacchisca. Avere sempre una rotazione del bacino sufficiente a far sì che l’ano non tocchi lo zafu, distendere bene il ventre in modo che il peso del corpo gravi bene su un punto, sorgente di energia, che si trova al centro del perineo.
È importante in zazen sentirsi ben radicati nel terreno; non ondeggiare sul proprio zafu. A partire dalla vita, si estende bene la colonna vertebrale rilassando tutte le contrazioni della schiena. Si estende la nuca, si spinge il cielo con la sommità del capo, e tutto questo senza tendersi, senza divenire rigidi nella propria postura. Le spalle sono ben rilassate, la fronte distesa, come pure le mascelle. Il tono del corpo è così in completo equilibrio: né troppo teso, né troppo rilassato. L’energia circola bene e si può continuare la pratica seduta con uno sforzo minimo. Il corpo non pende né in avanti, né all’indietro, né di lato.

Lo zazen di Roland Yuno Rech
L’equilibrio è ciò che consente di continuare con un minimo dispendio di energia. Se si è entrati bene nella postura, non è più necessario pensare alla postura. Si fa completamente tutt’uno con zazen. A quel punto, non ci sono più io, non c’è più un ego che fa zazen da una parte, e lo zazen dall’altra. Non c’è più alcuna separazione tra il soggetto che pratica e la pratica stessa. Si diviene completamente, unicamente, solamente zazen.  
In quel momento, l’ego è dimenticato, ogni intenzione abbandonata. Non c’è più bisogno di sforzo per continuare, zazen continua da solo. È ciò che si chiama affidarsi a zazen con fiducia, con fede, senza esitazione. Non sono più io che faccio zazen, è zazen che mi porta al di là di me stesso. A quel punto la pratica diventa completamente libera, una autentica liberazione.
Concentratevi bene sulle vostre mani. Il taglio delle mani è in contatto con il basso ventre. Ci si concentra in particolare sul contatto dei pollici orizzontali, senza tensione. Quando si porta la propria attenzione sul contatto dei pollici, questo aiuta a trovare uno stato mentale equilibrato. L’agitazione si calma e non si cade nella sonnolenza. Il corpo e la mente divengono completamente risvegliati, ovvero in unità con la realtà di questo istante – né smarriti nei pensieri, nei sogni, né ottenebrati dal torpore.
Le mani in zazen non afferrano nulla, così come la mente in zazen non si aggrappa a nulla. Si inspira e si esala profondamente. La respirazione diventa fluida, non ristagna né a polmoni pieni né a polmoni vuoti. Se si nota che l’espirazione è troppo corta, si va fino al fondo dell’espirazione e lì la si può accompagnare con una spinta sulla massa addominale verso il basso. Si esala completamente senza trattenere nulla; si lascia che l’inspirazione avvenga naturalmente.
Concentrarsi periodicamente sulla verticalità della postura permette di ritornare completamente, costantemente, al “qui” della pratica. Riportare regolarmente la propria attenzione alla respirazione ci riconduce all’“ora” di zazen.
Sesshin significa essere intimi con tutto questo, con la mente che è in contatto con il “qui” del corpo e l’“ora” della respirazione. Realizzare questa intimità non vuol dire essere ripiegati su se stessi, ma al contrario rimanere in contatto con l’universo. “Qui” è legato a tutti i luoghi, “ora” a tutti i tempi. Se non si è concentrati qui ed ora, non si è da nessuna parte.
Praticare zazen è abbandonare completamente ogni fissità. È il fondamento stesso della pratica. Anche se il corpo è immobile, impercettibilmente si muove. C’è nel nostro corpo un costante movimento. In zazen non si è rigidi come una statua, in quanto il tono del nostro corpo è un continuo aggiustamento per evitare sia la rigidità sia la rilassatezza.
Gli occhi sono aperti, lo sguardo è posato davanti a sé, e non si fissa un punto particolare. Non si chiudono gli occhi, poiché non si cerca di estraniarsi dalle apparenze del mondo esterno. Le apparenze, i fenomeni, non ci disturbano. Ovvero non ci si lascia nemmeno attirare, sedurre, dalle apparenze. Non si osservano i propri vicini, non si guarda attraverso le finestre. In realtà, si vede chiaramente senza osservare, cioè senza l’intenzione di afferrare, di rincorrere alcunché. Se si è privi di intenzione, non c’è bisogno di estraniarsi dai fenomeni chiudendo gli occhi. Le apparenze esterne non disturbano zazen. Così, si può essere completamente liberi, in mezzo alle apparenze.
Si pratica insieme, si è in mezzo agli altri. Non si cerca di isolarsi. E nemmeno ci si mette in mostra. Nessuno può osservare i praticanti di zazen. Non si può che praticare insieme. Né esibirsi, né nascondersi. Essere liberi dalla propria apparenza. Essere giusto ciò che si è, così come si è. Non si pratica confrontandosi con lo sguardo degli altri. Talvolta, alcune persone vanno al dojo per essere viste, perché si sappia che fanno zazen, per paura di essere dimenticate, di essere criticate perché non sono lì. In tal caso, la pratica non è libera.
Il punto essenziale dell’insegnamento del Buddha è di aiutarci a liberarci dai nostri attaccamenti. E questo non separandoci dagli altri, troncando ogni relazione, ogni percezione, ma non attaccandoci all’oggetto delle nostre percezioni.
In zazen, si sentono chiaramente i suoni. Non si cerca di afferrarli o di trattenerli. Anche l’insegnamento, le parole del godo, le si lascia passare. Si vede chiaramente, senza osservare alcunché; nello stesso modo, si pensa senza pensare. Si osserva il sorgere dei pensieri, di istante in istante, senza provocare i pensieri. Ovvero, non si utilizza il tempo dello zazen per riflettere su un problema, su un koan a proposito dello zen o sulla propria vita personale. In questo senso, zazen non è una meditazione. Non ci si assorbe in profondi pensieri intorno al buddhismo o a qualsiasi altra cosa. Ci si accontenta di osservare l’impermanenza dei nostri pensieri, il loro andare e venire, come delle nuvole nel cielo. Non si sente il bisogno di respingerli, perché nei nostri pensieri non vi è nulla da afferrare. Non si può afferrare un pensiero più di quanto lo si possa fare con un’onda sulla superficie dell’oceano. Quando si osserva in questo modo, si può essere liberi dai pensieri anche in mezzo ai pensieri che appaiono. Libertà significa “non attaccarsi a nulla”. Soprattutto non identificarsi con nulla. Ci si limita a notare che ci sono dei pensieri che appaiono, che se ne vanno. E colui che osserva tutto questo è inafferrabile.
Praticare zazen è imparare ad armonizzarsi con la realtà fondamentale nella quale nulla permane. Nulla ha sostanza fissa. Bisogna trovare una mente completamente fluida, sciogliere tutte le nostre coagulazioni mentali. Se, quando appare un pensiero, ce ne impadroniamo e ci identifichiamo con quel pensiero, ad esempio: “questo mi piace”, diveniamo qualcuno a cui “questo piace”; oppure “io detesto quello”, e diventiamo qualcuno che “detesta quello”, entriamo nel processo della trasmigrazione, nel mondo limitato dai nostri desideri e dalle nostre avversioni, dalle nostre repulsioni, nel quale appare ogni sorta di conflitti, di opposizioni, non solo in noi stessi, ma anche con gli altri, con l’ambiente. Ma se, in un sol colpo, accorgendoci di tutto questo, smettiamo di identificarci con i nostri pensieri, cerchiamo di vederli come delle onde che si frangono sulla riva, allora l’incatenamento della nostra mente ai pensieri che appaiono, si spezza.
Possiamo divenire liberi da questo incatenamento, è ciò che significa “diventare Buddha”, diventare simili a Buddha. Cioè, senza abbandonare il mondo dei fenomeni, non essere più prigionieri del nostro mentale, funzionare in un altro modo, con leggerezza, con uno spirito che non ristagna su nulla. Se è questo spirito che ci anima, allora tutte le cause di sofferenza, di conflitti, di difficoltà, scompaiono. È il dono di zazen".
(Roland Yuno Rech, La postura di zazen)



Zazen nel dojo di Savona