LALITAVISTARA SUTRA - Capitoli X - XVI



Capitolo decimo 

Visita alla scuola di scrittura

Il giovane principe essendo un poco cresciuto è condotto alla scuola di scrittura da diecimila donne e diecimila bambini, tra una folla immensa. – Egli stupisce l’insegnante della scuola elencandogli sessantaquattro tipi di scrittura, dei quali costui non conosceva nemmeno i nomi.

Quando il giovane principe crebbe, o Monaci, fu condotto tra centomila segni di auspicio alla scuola di scrittura, circondato e preceduto da diecimila bambini; insieme con diecimila carri pieni di provviste alimentari, di cibi gradevoli e saporiti, e pieni anche d’oro e d’argento che venivano donati e distribuiti ovunque, in mezzo alla grande città di Kapila, nelle strade, nei crocicchi, nelle vie percorse dai carri, nelle piazze e nei mercati, al suono di ottocentomila strumenti musicali, sotto una grande pioggia di fiori. Nelle gallerie, ai balconi, nei portici, ai lucernari, nei padiglioni dei palazzi, si trovavano centomila fanciulle perfettamente ricoperte di ornamenti di ogni tipo, che tenevano nelle mani gioielli portafortuna e, purificando la strada, camminavano davanti al Bodhisattva; e ottomila figlie degli dei osservavano il Bodhisattva gettando fiori. Deva, Nāga, Yakṣa, Gandharva, Asura, Garuḍa, Kinnara e Mahoraga, manifestandosi con la metà del corpo, tenevano sospesi nel cielo fiori, tessuti in seta e ghirlande. E tutte le schiere degli Śākya, precedute dal re Śuddhodana, camminavano davanti al Bodhisattva. Circondato da un tale sfarzo, il Bodhisattva fu condotto alla scuola di scrittura. Non appena entrò nella scuola, il precettore dei ragazzi, chiamato Viśvāmitra [1], non riuscendo a sopportare la regalità e lo splendore del Bodhisattva, si prosternò con il viso a terra. Vedendolo prosternato, un figlio degli dei Tuṣitakāyika, chiamato Śubhāṇga, gli tese la mano destra, lo fece rialzare e dopo averlo risollevato, rimanendo nel vasto cielo, si rivolse al re Śuddhodana e a quella grande moltitudine di persone con questi Gāthā:  
1. In tutti gli Śāstra che si trovano nel mondo umano, nei numeri, nelle scritture, nei calcoli, nelle combinazioni degli elementi, in tutte le tecniche sviluppate in numero incalcolabile, nelle arti umane, in tutto questo egli è esperto da infiniti eoni.
2. Inoltre, egli agisce in armonia con le convenzioni del popolo; egli è venuto alla scuola di scrittura a beneficio dell’istruzione, per portare alla completa maturazione nel Grande Veicolo innumerevoli fanciulli e per condurre all’immortalità centinaia di migliaia di altri esseri.
3. Colui che conosce le Quattro Nobili Verità; che conosce le modalità del sorgere dipendente dei fenomeni; che possedendo la natura tranquilla (sītibhāva) di chi non è più legato all’esistenza condizionata [2] in quanto ne conosce le leggi – in che modo costui potrebbe non conoscere la sola scrittura?
4. Al di sopra di lui non vi è nei tre mondi alcun insegnante. Tra tutti, dei e uomini, egli è veramente il Primo. Egli conosce da innumerevoli eoni scritture di cui non sapete nemmeno il nome.
5. Questo Essere puro conosce in ogni istante l’attitudine mentale di ogni essere vivente, i loro diversi pensieri. Egli conosce anche le vie di ciò che è invisibile e senza forma; a maggior ragione, come potrebbe non conoscere la scrittura, che è visibile sotto forma di lettere?
Avendo così parlato e reso omaggio al Bodhisattva con fiori divini, il figlio del dio scomparve in quello stesso luogo. Quindi le governanti e le moltitudini delle giovani servitrici furono condotte ai posti loro destinati e gli altri Śākya si allontanarono con Śuddhodana alla loro testa.
In quel momento il Bodhisattva tenendo una tavoletta da scrittura di sandalo di Uraga, decorata con colori divini, cosparsa di lamine d’oro, incorniciata con pietre preziose, così si rivolse al precettore Viśvāmitra: Dunque, maestro, quale scrittura mi insegnerai?
1. La scrittura di Brāhmī? 2. di Kharoṣṭī? 3. di Puṣkarasāri? 4. di Aṅga? 5. di Vaṇga? 6. di Magadha? 7.  di Maṇgalya? 8. di Manuṣya? 9. di Aṅgulīya? 10. di Ṡakāri? 11. di Brahmavali? 12. di Drāviḍa? 13. di Kināri? 14. di Dākṣiṇya? 15. di Ugra?  16. di Saṁkhyā? 17. di Anuloma? 18. di Ardhadhanur? 19. di Darada? 20. di Khāṣya? 21. di Cīna? 22. di Hūṇa? 23. di Madhyākṣaravistara? 24. di Puṣpa? 25. di Deva? 26. di Nāga? 27. di Yakṣa? 28. di Gandharva? 29. di Kinnara?  30. di Mahoraga? 31. di Asura? 32. di Garuḍa? 33. di Mṛgacakra? 34. di Cakra? 35. di Vāyumarut? 36. di Bhaumadeva? 37. di Antarīkṣadeva? 38. di Uttarakurudvīpa? 39. di Aparagoḍānī? 40. di Pūrvavideha? 41. di Utkṣepa? 42. di Nikṣepa? 43. di Vikṣepa? 44. di Prakṣepa?  45. di Sāgara? 46. di Vajra? 47. di Lekhapratilekha? 48. di Anudruta? 49. di Śāstrāvarta? 50. di Gaṇanāvarta? 51. di Utkṣepāvarta? 52. di Nikṣepavarta? 53. di Pādalikhita? 54. di Dviruttarapadasaṁdhi? 55. di Yāvaddaśottarapadasaṁdhi? 56. di Madhyāhāriṇī? 57. Sarvarutasaṁgrahaṇī? 58. di Vidyānulomā? 59. di Vimiśrita? 60. di Ṛṣitapastapta? 61. di Rocamānadharaṇīprekṣiṇī? 62. di Sarvauṣadhiniṣyanda? 63. di Sarvasārasaṁgrahaṇī? 64. di Sarvabhūtarutagrahaṇī?
Ebbene, maestro, quale di queste sessantaquattro scritture mi insegnerai? [3]
A quel punto, il precettore Viśvāmitra, stupito e con il viso sorridente, vincendo l’orgoglio e la presunzione, recitò questi versi:
6. Un gesto stupefacente da parte dell’Essere puro che, stando nel mondo, segue i costumi del mondo. Benché istruito in tutti gli Śāstra, egli è venuto alla scuola di scrittura. 
7. Di scritture delle quali io non conosco neanche il nome, egli ha piena conoscenza, ed è venuto alla sala di scrittura!
8. Io non scorgo né il suo volto né il suo capo [4]; in qual modo potrò dunque istruire colui che ha conseguito la conoscenza trascendente della scrittura?
9. Egli è veramente il dio al di sopra degli dei superiore a tutti gli dei, l’Essere superiore a tutti gli dei; è privo di eguali, tra tutti si distingue; è l’Essere senza pari in tutti i mondi.
10. Solo grazie al potere di colui che si distingue nell’uso degli strumenti della conoscenza, io potrò istruire la sapiente Guida di tutti gli esseri!
In tal modo, o Monaci, diecimila giovani impararono la scrittura con il Bodhisattva. Quindi, grazie al potere del Bodhisattva, gli studenti ai quali veniva insegnato l’alfabeto, quando pronunciavano la lettera a esponevano questo insegnamento [5]:
a: tutti i fenomeni composti sono impermanenti (anityaḥ sarvasaṁskāraḥ).
Pronunciando le lettere successive, venivano esposti questi altri insegnamenti:
ā: essere di beneficio a sé e agli altri (ātmaparahita)
i: vasto sviluppo dei sensi (indriyavaipulya)
ī: il mondo è pieno di calamità (ītibahulaṁ jagat)
u: il mondo è pieno di eventi infausti (upadravabahulaṁ jagat)
ū: il mondo è insoddisfacente (ūnasattvaṁ jagat)
e: l’errore nasce dal desiderio (eṣaṇāsamutthānadoṣa)   
ai: il nobile sentiero è virtuoso (airyāpathaḥ śreyāniti)
o: uscita dalla corrente (oghottara)
au: il potere sovrannaturale (aupapāduka)
aṁ: produzione di ciò che è efficace (amoghotpatti)
ah: cammino verso la fine (astaṁgamana)
ka: entrata nella piena maturazione delle azioni (karmavipākāvatāra)
kha: tutti i fenomeni sono come lo spazio (khasamasarvadharma)
ga: entrata nella profonda legge dell’originazione dipendente
(gambhīradharmapratītyasamutpādāvatāra)
gha: distruzione del fitto velo delle oscurazioni e dell’ignoranza
(ghanapaṭalāvidyāmohāndhakāravidhamana)
: completa purificazione degli elementi (aṅgaviśuddhi)
ca: la via delle Quattro Nobili Verità (caturāryasatyapatha)
cha: abbandono del desiderio e della passione (chandarāgaprahāṇa)
ja: andare completamente al di là di vecchiaia e morte (jarāmaraṇasamatikramaṇa)
jha: sconfitta dell’esercito di colui che ha un pesce sul suo stendardo (jhaṣadhvajabalanigrahaṇa) [6]
ña: ciò che porta alla conoscenza (jñāpana)
ṭa: distruzione del ciclo delle rinascite (vaṭṭopacchedana)
ṭha: le domande lasciate senza risposta (ṭhapanīyapraśna) [7]
ḍa: sconfitta di Māra e di ciò che causa discordia (ḍamaramāranigrahaṇa)
ḍha: le regioni impure (mīḍhaviṣayāḥ)
ṇa: le afflizioni sono sottili (reṇukleśāḥ)
ta: la talità è indifferenziata (tathatāsaṁbheda) [8]
tha: l’energia, la forza, l’ardore, la fiducia in se stessi (thāmabalavegavaiśāradya)
da: il dono, la disciplina, il controllo dei sensi, la gentilezza (dānadamasaṁyamasaurabhya)
dha: la ricchezza degli Ārya è divisa in sette parti (dhanamāryāṇāṁ saptavidham)
na: perfetta conoscenza di nome e forma (nāmarūpaparijñā)
pa: l’assoluto (paramārtha)
pha: manifestazione dell’acquisizione del frutto (phalaprāptisākṣātkriyā)
ba: liberazione dai legami (bandhanamokṣa)
bha: distruzione dell’esistenza (bhavavibhava)
ma: cessazione dell’accecamento e dell’orgoglio (madamānopaśamana)
ya: comprensione dei fenomeni così come essi sono (yathāvaddharmaprativedha)
ra: insoddisfazione nel piacere e gioia nell’assoluto (ratyaratiparamārtharati)
la: recidere gli attaccamenti (latāchedana)
va: il miglior Veicolo (varayāna)
śa: calma dimorante e consapevolezza (śamathavipaśyana)
ṣa: controllo delle basi dei sei sensi e acquisizione della saggezza
(ṣaḍāyatananigrahaṇābhijñajñānāvāpti)
sa: perfetto conseguimento dell’onniscienza (sarvajñajñānābhisaṁbodhana)
ha: cessazione del desiderio e distruzione delle afflizioni (hatakleśavirāga).
Giunti infine all’ultima lettera, pronunciando la lettera
kṣa: tutto il Dharma può essere esposto (kṣaraparyantābhilāpya sarvadharma) [9].
Così, o Monaci, mentre gli studenti leggevano l’alfabeto grazie al potere del Bodhisattva si manifestarono le innumerevoli centinaia di migliaia di porte del Dharma [10]. Allora, grazie alla presenza del Bodhisattva nella scuola, trentaduemila allievi maturarono le motivazioni dirette al conseguimento della perfetta e completa Saggezza.
Queste le cause e le conseguenze per le quali, benché perfettamente istruito, il Bodhisattva si recò presso la scuola di scrittura.

Capitolo intitolato: Visita alla scuola di scrittura, il decimo.



NdT


[1] È anche il nome di uno dei più importanti veggenti vedici.
[2] Il testo francese, riporta les composés, i saṃskāra, ovvero, alla lettera, i composti, il quarto dei cinque aggregati (le formazioni karmiche, il fattore mentale della volizione, che dirige la mente sul suo oggetto e la indirizza verso attività favorevoli, sfavorevoli o neutre). Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 214.
[3] I nomi delle scritture sono quelli riportati nel testo di De Foucaux, ma la traslitterazione e i segni diacritici utilizzati sono quelli della versione inglese. Tra i due elenchi vi sono alcune differenze: alcuni nomi dell’uno non risultano nell’altro e viceversa, altri sono stati divisi oppure uniti tra loro. Inoltre il testo inglese riporta sessantacinque nomi, anche se parla di sixty-four script. Ancora più numerose sono le differenze con la traduzione francese della versione tibetana del Sūtra, nella quale sono citate scritture quali: la scrittura dell’essenza del loto, la scrittura degli esseri volanti, delle belve, la scrittura con i piedi, ecc.
[4] Secondo la versione inglese, il precettore vide il viso del Bodhisattva ma non arrivò a scorgere la sua corona sul capo. La traduzione di De Foucault può essere invece ricollegata al passaggio in cui Viśvāmitra non sopportando la visione del Bodhisattva si era prosternato con il viso a terra.
[5] Nei passi successivi si narra come le lettere dell’alfabeto (qui in numero di 46) divengano, grazie al potere del Bodhisattva, le iniziali di altrettanti insegnamenti buddhisti, leggibili sopra anche nella lingua originaria. Anche qui è stata seguita la versione inglese, poiché è più affidabile, secondo chi scrive, per quanto concerne la traslitterazione e i segni diacritici, e talvolta anche nella traduzione dei termini sanscriti. Nel testo francese manca inoltre la lettera la con il relativo insegnamento (vi si trovano infatti 45 lettere). Infine, si può segnalare altresì che per De Foucaux sono gli studenti a leggere l’alfabeto e ad esporre gli insegnamenti collegati, mentre nella traduzione inglese questo compito è affidato al precettore Viśvāmitra.
Tutta questa sezione è assente nella traduzione francese dalla versione tibetana del Sūtra.
[6] Si tratta di Kāma, il dio dell’amore, del desiderio, padre di Tṛṣṇā, la ‘sete’ quale aspetto del desiderio. Nel Buddhismo è associato a Māra, ‘Morte’, il demone distruttore che cerca di distogliere il Buddha dalla sua ricerca.
[7] Probabile riferimento alle ‘quattordici domande lasciate senza risposta’ (avyākṛtavastu), interrogativi metafisici (il mondo è eterno? è finito o infinito? il sé è identico al corpo? ecc.) a cui il Buddha non rispose, o meglio rispose con il silenzio. Si legga: R. Panikkar, Il silenzio del Buddha, Ed. Mondadori.
[8] Talità, o anche quiddità: l’autentica natura delle cose. In sanscrito tathatā, da cui Tathāgata, epiteto con cui il Buddha è spesso definito, ovvero ‘colui che è penetrato nella reale natura delle cose’, quindi il Risvegliato.
[9] Qui la traduzione francese (toute la loi peut être exposée) e quella inglese (all phenomena are ineffable) divergono profondamente. La prima recita infatti: ‘(giunti al termine dell’alfabeto) tutti gli insegnamenti… (sarvadharma); la seconda traduce invece dharma con fenomeni anziché con insegnamenti (il che è ugualmente corretto), per cui: ‘(giunti al termine dell’alfabeto) tutti i fenomeni…’; la parola-chiave, che consentirebbe una traduzione certa di sarvadharma, pare essere abhilāpya, che nella versione francese è un qualcosa che può essere esposto (quindi: ‘tutti gli insegnamenti possono essere esposti’), in quella inglese, all’opposto, qualcosa di ineffabile (e allora: ‘tutti i fenomeni sono ineffabili’).  Ecco ciò che è stato trovato nel web: nella sua Introduzione al Sūtra del diamante Red Pine scrive: “Asanga has na-abhilapya (inexplicable) and abhilapya (explicable)”.
Inoltre, il termine sanscrito nirabhylāpya è tradotto dall’Enciclopedia buddhista cinese con ‘emptiness’, vacuità. Ma poiché anche il prefisso ‘nir’ indica in sanscrito negazione, estinzione (es. Nirvāṇa, nirguṇa), si perviene ancora ad una lettura in positivo di abhilāpya, confermando quindi la traduzione di De Foucaux. Che, tra l’altro, pare molto più coerente con il contesto.
[10] Le porte del Dharma sono gli insegnamenti del Buddha. Il terzo dei Quattro Voti del Bodhisattva dello Zen recita: Homon muryo sei gan gaku, ovvero: Per quanto numerosi siano gli insegnamenti (ho, Dharma, mon, portale, cancello) faccio voto di apprenderli tutti. 

I caratteri dell'alfabeto sanscrito



Capitolo undicesimo 

Il villaggio dei contadini

Il giovane principe si reca insieme con altri ragazzi a visitare il villaggio dei contadini, e si incammina da solo in un bosco. Siede sotto un albero e giunge gradatamente fino alla quarta contemplazione. – Cinque eremiti che stavano compiendo un viaggio magico attraverso i cieli, passando al di sopra del bosco vengono come respinti. – Una dea spiega loro cosa li stia fermando. – Essi si avvicinano allora al giovane principe e, avendo appreso chi egli fosse, gli rendono omaggio e si allontanano. – Intanto il re, inquieto, manda a cercare il figlio in ogni luogo. Uno dei suoi ministri lo scorge mentre medita sotto un albero; notando che l’ombra invece di ruotare ha continuato a riparare il principe, corre a cercare il re il quale, vedendo lo splendore del Bodhisattva, recita dei versi in suo onore.

O Monaci, in un’altra occasione, quando il giovane principe crebbe si recò a visitare un villaggio di contadini, insieme con altri giovani, figli di ministri. Dopo aver osservato i lavori di aratura, si addentrò in un terreno coperto di alberi. Là, completamente solo, il Bodhisattva, dopo aver camminato da una parte e dall’altra vide un albero jambu [1], bello, piacevole alla vista. In quel luogo il Bodhisattva sedette all’ombra, con le gambe incrociate. Rimanendo seduto, concentrò la sua mente su un solo punto. Quindi raggiunse la prima concentrazione meditativa, la quale è distaccata dai desideri e dalle azioni non virtuose, è accompagnata dall’analisi e dal ragionamento, origina dal discernimento, genera la gioia e il benessere. Avendola raggiunta, vi dimorò.
Avendo quindi abbandonato l’analisi e il ragionamento, grazie alla pacificazione interiore, ricondotta la mente all’unità, raggiunse la seconda concentrazione meditativa, libera dal pensiero e dall’analisi, accompagnata dalla gioia e dal benessere, e vi dimorò.
Abbandonata quindi la gioia, dimorò nell’equanimità, con la consapevolezza e l’introspezione, e sperimentò il piacere fisico. “Equanime”, secondo la definizione degli Ārya [2], pienamente consapevole e dimorando nella quiete, raggiunse la terza concentrazione meditativa, libera dalla sensazione della gioia, e lì permase.
Al di là del piacere, al di là della sofferenza, al di là di ogni precedente sensazione di gioia e di tristezza, raggiunse la quarta concentrazione meditativa, dove non vi sono né dolore né piacere, dove equanimità e consapevolezza sono originariamente pure, e vi dimorò.
In quel tempo cinque Ṛṣi stranieri, in possesso delle cinque conoscenze superiori e del potere magico, viaggiando attraverso i cieli si recavano dalle regioni meridionali verso il nord. Avanzando al di sopra di quel fitto bosco furono come respinti e non riuscirono a proseguire. Irritati e frementi per l’impazienza pronunciarono questi versi:
1. Noi, che siamo arrivati direttamente superando la vetta di pietre preziose e di diamanti del monte Meru, estremamente alto e vasto, simili ad un elefante che ha abbattuto boschi di alberi dai fitti rami intrecciati;
2. noi, che sulla città stessa degli dei abbiamo potuto avanzare al di sopra delle dimore degli Yakṣa e dei Gandharva innalzandoci nel cielo, ecco che raggiungendo questo fitto bosco veniamo meno! Qual è dunque il potere superiore che distrugge la forza dei poteri magici?
Allora la divinità del fitto bosco rivolse ai Ṛṣi questi Gāthā:
3. Il discendente della famiglia di un re dei re, il figlio del re degli Śākya, radioso come la luce del sole nascente, Signore del mondo, saggio, sapiente, dal viso simile alla luna, splendente del colore dei petali di un loto sbocciato,
4. è entrato in questo bosco, dedicando tutto se stesso alla meditazione, onorato dai Deva, dai Gandharva, dai Re dei Nāga e dagli Yakṣa. Avendo accresciuto i suoi meriti per centinaia di koti di rinascite, è la sua potenza che distrugge la forza del potere magico.
Guardando sotto di loro, essi videro allora il giovane principe, che brillava di vivido splendore per la sua regalità; e così pensarono: Chi è dunque colui che è là seduto?  Sarà forse Vaiśravaṇa, il Signore delle ricchezze?  Oppure Māra, il dio dell’amore? O il re dei Mahoraga? O Indra, portatore della folgore? O Rudra, signore dei Kumbhānda? Oppure Kṛṣṇa dalla grande forza? O Candra, figlio di un dio? O Sūrya dai mille raggi? O sarà forse un re Cakravartin? A quel punto recitarono questi versi:
5. Poiché il suo corpo è del tutto simile a quello di Vaiśravaṇa, evidentemente è Kuvera. O ancora: è somigliante a colui che reca la folgore. Oppure è Candra, oppure Sūrya; o il signore dei desideri più ardenti [3]; è anche l’immagine di Rudra o di Kṛṣṇa, a meno che non sia un Buddha privo di difetti, poiché manifesta regalità e il suo corpo reca i marchi maggiori.
La divinità del bosco rivolse ancora ai Ṛṣi questi versi:
6. In verità, qualsiasi regalità vi sia in Vaiśravaṇa o in Sahasrākṣa [4]; qualsiasi regalità vi sia nei Quattro Guardiani del Mondo e nel re degli Asura; o in Brahmā, Signore dei Saha, o nei pianeti; quella regalità, di fronte al figlio dello Śākya, non si avvicina affatto al suo splendore!   
Intanto i Ṛṣi, avendo udito le parole della dea, discesi a terra, videro il Bodhisattva immerso nella meditazione, con il corpo splendente come un fascio di raggi luminosi.
Con il pensiero rivolto al Bodhisattva gli resero omaggio con alcuni Gāthā.
Uno di essi disse:
7. Nel mondo arso dal fuoco delle passioni, è apparso un lago: costui conseguirà il Dharma che darà sollievo al mondo.
Un altro disse:
8. Nel mondo ottenebrato dall’ignoranza è apparsa una fiaccola; costui conseguirà il Dharma che illuminerà il mondo.
Il terzo recitò:
9. Nel difficile passaggio nell’Oceano della sofferenza, si manifesta il migliore dei vascelli; egli conseguirà il Dharma che traghetterà il mondo sull’altra sponda.
Il quarto esclamò:
10. È nato il liberatore di coloro che sono incatenati dai legami delle afflizioni; egli conseguirà il Dharma che libererà il mondo.
Infine il quinto disse:
11. È comparso il migliore dei medici per coloro che sono tormentati dalla vecchiaia e dalla malattia; costui conseguirà il Dharma che libererà dalla nascita e dalla morte.
Allora i Ṛṣi, dopo aver reso omaggio al Bodhisattva e aver girato intorno a lui per tre volte presentandogli il fianco destro, ripartirono attraverso i cieli.
Nel frattempo il re Śuddhodana non vedendo il figlio era preoccupato per la sua assenza. Chiese: Dove è andato il giovane principe? Non lo vedo.
Un gran numero di persone, disperdendosi per ogni dove, andò alla ricerca del giovane principe.
Un ministro, che non faceva parte del gruppo, scorse il Bodhisattva all’ombra del jambu, seduto con le gambe incrociate, immerso in meditazione.
A quell’ora le ombre di tutte le piante si erano spostate, ma l’ombra del jambu non abbandonava il corpo del Bodhisattva. Vedendo ciò il ministro si stupì immensamente e felice, lieto, incantato, col cuore palpitante di gioia, tornò in gran fretta presso il re Śuddhodana e gli rivolse questi Gāthā:
12. Guardate, o Re! Ecco il giovane principe all’ombra di un jambu, immerso nella meditazione. Come Śakra, come Brahmā, egli emana luminosità per il suo splendore e la sua regalità!
13. L’ombra dell’albero sotto cui è seduto colui che reca i segni maggiori non abbandona e continua a riparare il più grande degli uomini immerso nella meditazione!
Il re Śuddhodana, che si era avvicinato al luogo in cui si trovava l’albero jambu, vide il Bodhisattva risplendente per la sua regalità e a quella vista recitò questi versi:
14. Egli sta come un fuoco sulla cima della montagna, come una luna circondata dalla moltitudine delle stelle. Tutte le mie membra tremano vedendolo immerso nella meditazione, simile ad una lampada per il suo splendore.
Poi, dopo aver reso omaggio ai piedi del Bodhisattva, recitò ancora questi versi:
15. O Muni! Come già nel momento in cui nascesti, ora che risplendendo ti immergi nella contemplazione, ancora una volta, due volte, o Signore, rendo omaggio ai tuoi piedi, o grande Guida!
In quel momento, dei bambini che trascinavano un piccolo trono fecero del rumore. I ministri dissero loro: Non bisogna fare rumore. I bambini chiesero: E perché? I ministri risposero:
16. Anche se l’astro che dissolve le tenebre sta ruotando, l’ombra dell’albero non abbandona colui che risplende come il cielo e porta sul corpo i segni maggiori, Siddhārtha, il figlio del re, immobile come una montagna, immerso nella meditazione.
È detto:
17. Alla fine della primavera e giunto il primo mese dell’estate, ricco di fiori, di gemme e di giovani rami, risonante del canto delle cicogne, dei pavoni, dei pappagalli e delle ghiandaie, i figli degli Śākya, in gran numero, uscirono all’esterno.
18. Chanda, circondato dai ragazzi, disse: Andiamo! Usciamo per andare dal giovane principe. Perché dovreste restare in casa, come un Brāhmaṇa? [5] Andiamo! Corriamo ad invitare il gruppo delle fanciulle!
19. A mezzogiorno, l’Essere perfettamente puro, il Buddha, accompagnato da cinquecento servitori, senza aver avvisato né il padre né la madre, si recò al villaggio dei contadini.
20. In quel villaggio di contadini, di proprietà del migliore dei re, si trovava un albero jambu, con i numerosi rami distesi. Avendo osservato gli uomini al lavoro, illuminato e colpito dalla loro sofferenza, (disse): Le cose condizionate sono una sventura, poiché causano grandi sofferenze!
21. Quindi, recatosi all’ombra del jambu, con la mente disciplinata, prese delle erbe e le sistemò egli stesso come un cuscino; sedutosi con le gambe incrociate e il busto eretto, il Bodhisattva si immerse nella pratica virtuosa delle quattro concentrazioni meditative.
22. Cinque Ṛṣi che stavano percorrendo le strade del cielo, arrivati al di sopra del jambu non poterono più avanzare. Fermatisi, superando l’impazienza e l’orgoglio, tutti di comune accordo lo osservarono:
23. Noi, che dopo aver superato il Meru, la più grande delle montagne, come pure i Cakravāla [6], ci spostiamo con rapidità, non riusciamo ad andare oltre l’albero jambu. Quale può essere la causa di ciò che avviene qui oggi?
24. Scesi sulla terra e fermatisi in quel luogo, essi scorsero il figlio dello Śākya ai piedi del jambu, radioso come l’oro dei fiumi del Jambudvīpa, splendente, il Bodhisattva che, seduto con le gambe incrociate, era immerso nella meditazione.
25. Stupefatti, portate le dita unite verso la fronte, inchinandosi a mani unite si prosternarono ai suoi piedi: O Perfetto, Ben-nato, tu che porti la più grande felicità al mondo, non appena diverrai un Buddha, guida gli esseri verso l’immortalità! [7]
26. Nonostante il sole stesse ruotando, l’ombra non lasciava il corpo del Sugata; essa avvolgeva il migliore degli alberi come una foglia di loto. Molte migliaia di dei, in piedi a mani giunte, resero omaggio ai piedi di colui la cui determinazione è salda.
27. E Śuddhodana, cercando ovunque all’interno del palazzo, chiese: Dove è dunque andato mio figlio? La zia rispose: L’ho cercato senza trovarlo. È necessario, o Re, informarsi su dove il giovane principe sia andato.
28. Śuddhodana interrogò in fretta un cortigiano, il guardiano della porta e le persone all’interno, da ogni parte: Qualcuno ha visto mio figlio quando è uscito? – Sappiate, o Re, che il vostro bel giovane è andato al villaggio dei contadini.
29. Dopo essere uscito velocemente, in gran fretta, insieme con gli Śākya, egli scorse il villaggio dei contadini avvolto in un regale splendore, come se un immenso numero di soli fossero sorti. È in questo modo, abbagliante nella sua regalità, che egli vide colui che viene in aiuto delle (creature).
30. Spogliatosi della corona, della spada e delle calzature, portando le mani unite sopra il proprio capo, egli rese omaggio al Bodhisattva: Sì, grandi Ṛṣi dalle parole veritiere, certamente il giovane principe abbandonerà il palazzo al fine di conseguire la suprema Saggezza.
31. Molti dei, in numero di milleduecento, ricolmi di devozione, e cinquecento Śākya che si erano avvicinati e avevano visto il potere sovrannaturale del Sugata, Oceano di qualità, generarono con salda determinazione la motivazione di conseguire la suprema Saggezza.
32. Facendo tremare la terra nell’intero universo dei tremila mondi, egli, dotato di consapevolezza ed attenzione, uscendo dalla concentrazione meditativa, con la voce di Brahmā, con grande dignità, si rivolse a suo padre: Mettete da parte il lavoro dei campi, padre mio, e cercate più in alto.
33. Se avete bisogno di oro, farò piovere oro per voi; se avete bisogno di vesti, vi donerò delle vesti; di qualsiasi cosa abbiate bisogno, ne farò cadere una pioggia. Abbiate pienamente cura di tutti gli esseri, o Signore degli uomini.
34. Dopo aver parlato con autorevolezza a suo padre e alle persone del seguito, rientrò nella più grande delle città. Seguendo le consuetudini del mondo, egli, l’Essere perfettamente puro, dimorò in quella città, con lo spirito rivolto all’abbandono del palazzo.

Capitolo intitolato: Il villaggio dei contadini, l’undicesimo.



NdT


[1] La melarosa.
[2] Ārya o Āryapudgala, gli Esseri Nobili, che fanno parte del Saṅgha e sono garanti della trasmissione degli insegnamenti. Da qui l’aggettivo ariano, introdotto verso la metà del sec. XIX per indicare le popolazioni indoeuropee giunte in India dall’Europa del centro-nord o da regioni asiatiche. Il termine fu poi tragicamente utilizzato in senso razzista e antisemita dai presunti appartenenti ad una illusoria ‘razza pura’ per auto-identificarsi in contrapposizione ad altre altrettanto immaginarie ‘razze’, ovviamente inferiori.
L’arianesimo come dottrina cristologica (eretica) deve invece il suo nome al monaco Ario (256-336).
[3] Kāma, dio dell’amore, assimilato a Māra, demone della morte, mṛtyu.
[4] Colui che ha mille occhi, onniveggente. È un epiteto riferito a Indra, a Vāyu, ad Agni e a Viśvakarman, l’architetto dell’universo, personificazione della potenza creativa e della conoscenza suprema.
[5] I due periodi precedenti risultano più coerenti se letti separatamente: nel primo Chanda esorta gli amici ad andare da Siddhārtha; nel secondo, dopo averlo incontrato, Chanda si rivolge al solo Siddhārtha. Nella versione inglese infatti Chanda parla solo con il Bodhisattva.
[6] Nove mitiche catene montuose che circondano la terra, con il Monte Meru al centro.
[7] Uno dei più importanti mantra della tradizione indiana recita: Asato mā sad gamaya / tamaso mā jyotir gamaya / mṛtyor mā amṛtaṃ gamaya, ovvero: Guidami dalla falsità alla verità, guidami dall’oscurità alla luce, guidami dalla morte all’immortalità.




Capitolo dodicesimo 

Prova di abilità nelle arti

L’assemblea degli Śākya si occupa della ricerca di una moglie per il giovane principe. Il re vuole che il figlio sia consultato, e questi compila un elenco delle qualità che egli esige in colei che diverrà sua moglie. Il re invia un Brāhmaṇa alla ricerca con quella lista, dicendogli di non occuparsi della famiglia della fanciulla che sarà in possesso di tali qualità. Dopo aver cercato a lungo, il Brāhmaṇa ritorna per dire al re di aver trovato la fanciulla giusta. – Il re la fa chiedere in sposa al padre di lei, il quale risponde che per un’usanza della famiglia la figlia sarà data solo ad un uomo abile nelle arti. – Il giovane principe è quindi chiamato a dimostrare la sua abilità. – Sua superiorità su tutti i concorrenti. – La giovane Gopā gli viene concessa in sposa. – Stanze che ella recita contro l’uso del velo.       

Poi, o Monaci, in un’altra occasione, quando il giovane principe era ulteriormente cresciuto, il re Śuddhodana sedeva nella sala del consiglio con l’assemblea degli Śākya. Questi ultimi, con alla loro testa i più anziani tra gli anziani degli Śākya, così si rivolsero al re Śuddhodana: O Re, è necessario che sappiate ciò che a più riprese fu predetto al giovane Sarvārthasiddha da parte dei Brāhmaṇa che conoscono i segni e degli dei la cui sapienza è certa. Se il giovane Signore rinuncerà alla famiglia sarà un Tathāgata Arhat Buddha perfettamente compiuto. Oppure, se non ne uscirà sarà un re Cakravartin, vittorioso, rispettoso del Dharma, in armonia con il Dharma, in possesso dei sette tesori: il tesoro della ruota, dell’elefante, del cavallo, della gemma Maṇi, della moglie, del ministro e, settimo, del consigliere. Avrà mille figli, eroi coraggiosi dai corpi ben proporzionati, vittoriosi sugli eserciti nemici. Dopo aver conseguito il dominio della terra senza usare né la violenza né le armi, egli la governerà in armonia con il Dharma. Per questo è necessario che il giovane principe contragga il matrimonio. Allora, circondato da una moltitudine di donne, conoscerà il piacere e non uscirà dalla famiglia, in modo tale che non vi siano interruzioni nel lignaggio dei re Cakravartin. Noi saremo rispettati e non disprezzati da tutti i piccoli re delle fortezze.
Allora il re Śuddhodana ordinò: Se le cose stanno così, verificate dunque quale possa essere la fanciulla giusta per il giovane uomo.
Nello stesso istante, i cinquecento Śākya dissero l’uno all’altro: Mia figlia è quella che più si addice al giovane principe; mia figlia sarà quella a lui più confacente!
Il re replicò: Il giovane principe è difficile da conquistare [1]. Lo avviseremo dicendogli: Qual è la fanciulla che preferisci?
Poi, tutti insieme, informarono il giovane sull’argomento in questione.
Il giovane principe disse: Tra sette giorni conoscerete la mia risposta. Quindi il Bodhisattva pensò: Lo so, i tranelli del desiderio sono senza fine; essi sono le radici delle sofferenze, sono accompagnati da dispiaceri, conflitti, inimicizie; sono simili alla foglia velenosa che incute paura, simili al taglio della spada. Non provo piacere né sono attratto dagli oggetti del desiderio, e non sono contento di stare in mezzo ad una miriade di donne, io, che dovrei vivere in una foresta, nel silenzio e con lo spirito pacificato dalla gioia della meditazione e della contemplazione.
Continuando a riflettere, manifestando l’abilità nei mezzi, con il pensiero rivolto alla maturazione degli esseri senzienti, generò una grande compassione e nello stesso momento recitò questi Gāthā:
1. I fiori di loto crescono tra la fitta vegetazione di una palude; i re sono oggetto di omaggio tra moltitudini di uomini. Quando i Bodhisattva hanno un grande seguito, è allora che guidano centinaia di milioni di esseri verso l’immortalità.
2. I saggi Bodhisattva che mi hanno preceduto si sono manifestati con una sposa e un figlio ed anche con un seguito di donne. Tuttavia non sono stati turbati dal desiderio né distolti dalla gioia della contemplazione. Ebbene, anch’io emulerò le loro qualità.
3. Una moglie che fosse di basso rango, che non possedesse le qualità di una condotta virtuosa e non dicesse sempre la verità, non sarebbe per me appropriata. Colei che renderebbe veramente felice il mio spirito è modesta e perfettamente pura per la sua bellezza, la sua nascita, la sua famiglia e la sua stirpe.  
4. Allora egli scrisse in versi un elenco delle qualità, (dicendo): Se una fanciulla siffatta esiste (o Padre), puoi sceglierla per me. Non voglio affatto una persona ordinaria e priva di educazione. Colei della quale descrivo le qualità, quella puoi scegliere per me.
5. Nel fiore della giovinezza e della bellezza; ma che la sua bellezza non sia per lei motivo di orgoglio; che agisca con spirito altruistico, come una madre e una sorella. Che sia incline alla rinuncia, propensa a offrire doni agli Śramaṇa e ai Brāhmaṇa. Una siffatta donna, Padre mio, quella puoi scegliere per me.
6. Priva di alterigia, di cattiveria, di asprezza, di astuzie, di invidie, di finzioni, non distolta dal retto sentiero. Che nemmeno nei sogni ella nutra pensieri per un altro uomo, in quanto completamente appagata dal marito; che sia sempre riservata e umile.
7. Non dovrà essere né fiera né altezzosa né presuntuosa. Che sia modesta ed abbia rinunciato ad ogni forma di orgoglio, come se fosse una servitrice. Non dovrà provare attrazione per le bevande inebrianti, i cibi delicati, la musica e i profumi. Sarà priva di concupiscenza e di bramosia, soddisfatta della propria sorte.
8. Stabile nella verità, non sarà frivola né distratta né superba. Vestirà con morigeratezza, non sarà attratta dagli spettacoli né dalle feste, costantemente dedita alla virtù, si conserverà sempre pura nel corpo, nella parola e nella mente.
9. Non indugerà nel sonno o nella pigrizia, e non sarà offuscata dall’orgoglio; sarà prudente, compirà azioni meritorie, praticherà sempre il Dharma; sarà affettuosa con i servitori di ambo i sessi come con se stessa.
10. Sarà versata al pari di una cortigiana nell’arte dell’amore [2]; andrà a riposare per ultima e si alzerà dal letto per prima; si comporterà amorevolmente, senza ostentazione, come una madre. Se una donna siffatta esiste, o Re, sceglila per me.     
Intanto il re Śuddhodana, che aveva fatto leggere questi versi, si avvicinò al Purōhita: Tu, grande Brāhmaṇa, va’! Dopo essere entrato in tutte le case di Kapilavastu, la grande città, esamina le fanciulle.  E la ragazza nella quale riconoscerai queste qualità conducila presso di me, che sia figlia di uno Kṣatriya, di un Brāhmaṇa, di un Vaiśya o di uno śūdra. Perché questo? Perché il giovane uomo non guarda alla famiglia né alla stirpe, egli considera soltanto le qualità.
Recitò allora questi Gāthā:
11. Che sia figlia di un Brāhmaṇa, di uno Kṣatriya, di un Vaiśya o perfino di uno Śūdra, colei che possiede tali qualità, conducila presso di me.
12. Mio figlio non è impressionato né dalla famiglia né dalla stirpe; le autentiche qualità e la virtù, ecco ciò di cui il suo spirito si compiace.
Quindi, o Monaci, il Purōhita, preso con sé l’elenco in versi, si recò nella grande città di Kapilavastu, esaminando una casa dopo l’altra, cercando di incontrare una ragazza in possesso di tali qualità; ma non trovando nessuna che ne fosse dotata, arrivò infine alla dimora di Daṇḍapāṇi, della stirpe degli Śākya. Lì giunto, scorse una fanciulla molto bella e aggraziata, che incantava gli occhi per lo splendore del suo bel colorito, non troppo alta né troppo piccola, non troppo robusta né troppo esile, non troppo chiara né troppo scura, nel fiore della giovinezza e conosciuta come la perla delle donne.
Dopo che ebbe toccato i piedi del Brāhmaṇa Purōhita, la fanciulla gli chiese: Grande Brāhmaṇa, in cosa posso servirvi?
Il Brāhmaṇa sacerdote di famiglia le rispose con questi versi:
13. Il figlio di Śuddhodana, di grande bellezza, è ornato dai trentadue segni e risplende per le sue qualità. Egli ha scritto un elenco delle qualità femminili. Colei che le possiede sarà la sua sposa.
Le presentò quindi l’elenco in versi. La fanciulla, avendolo letto, mostrò il viso sorridente e rispose al Purōhita con questo Gāthā:
14. O Brāhmaṇa, io possiedo tutte le qualità appropriate. Che quel giovane amabile e bello divenga il mio sposo! Il giovane ha parlato: se questo è il suo desiderio, non si indugi; egli non potrebbe vivere con una persona ordinaria e volgare.
Quando il Brāhmaṇa Purōhita tornò presso il re Śuddhodana gli raccontò l’accaduto: O grande Re, ho incontrato una fanciulla che sarebbe appropriata per il giovane principe.
Il re chiese: A chi appartiene?
Egli rispose: O Re, è la figlia dello Śākya Daṇḍapāṇi.
Allora il re Śuddhodana pensò: Il giovane principe è difficile da soddisfare ed è incline verso ciò che è virtuoso. In generale, il sesso femminile non eccelle in qualità, anche se gliene vengono riconosciute. Farò quindi preparare degli incantevoli ornamenti che il giovane principe potrà donare a tutte le fanciulle. Così, tra tutte le ragazze, sceglierò per lui quella su cui si fermerà lo sguardo del giovane principe. Questo fu il suo pensiero.
Poi il re Śuddhodana fece realizzare dei begli ornamenti in oro, argento, lapislazzuli e altri materiali preziosi, poi fece fare un annuncio nella grande città di Kapilavastu accompagnandolo con il suono della campana: Tra sette giorni il giovane principe comparirà e distribuirà alle giovani degli incantevoli ornamenti. Quel giorno, tutte le ragazze si riuniscano nella sala delle assemblee.
Arrivato quindi il settimo giorno, o Monaci, il Bodhisattva si recò nella sala delle assemblee e sedette sul trono.
Il re Śuddhodana, che nel frattempo aveva piazzato delle spie, disse loro: Indicatemi la ragazza sulla quale si fermerà lo sguardo del giovane principe.
Quindi, o Monaci, tutte le ragazze della grande città di Kapilavastu si recarono nella sala delle assemblee dove si trovava il Bodhisattva per incontrarlo e per ricevere dei meravigliosi ornamenti.
Il Bodhisattva, o Monaci, distribuì dei bellissimi gioielli a tutte le fanciulle che erano giunte. E tutte quelle ragazze non riuscendo a sostenere lo splendore e la regalità del Bodhisattva andarono via velocemente, portando con loro gli incantevoli ornamenti.
Quindi la figlia dello Śākya Daṇḍapāṇi, chiamata, Gopā, circondata e preceduta da un seguito di ancelle, giunse alla sala delle riunioni e avvicinatasi al luogo in cui si trovava il Bodhisattva si fermò accanto a lui e lo guardò senza batter ciglio. A quel punto tutti quei bei gioielli erano già stati donati dal Bodhisattva. Allora Gopā avvicinandosi a lui con il viso sorridente gli parlò così: Giovane uomo, in che cosa ti ho offeso, per cui mi ignori?
Egli rispose: Non ti ignoro, ma il punto è che sei arrivata per ultima. E sfilatosi dal dito un anello del valore di più di centomila pala [3] glielo donò.
La fanciulla replicò: Giovane uomo, lo devo accettare da te?
Ed egli: Questi ornamenti sono miei, devi accettarlo!
Ella disse: Non priveremo il giovane principe dei suoi ornamenti, noi (piuttosto) orneremo il giovane principe! E così parlando si congedò.
Allora le spie del re Śuddhodana tornate da lui gli esposero ciò che era accaduto: O Re, la figlia dello Śākya Daṇḍapāṇi, chiamata Gopā, è quella sulla quale si è soffermato lo sguardo del giovane principe; tra loro si è anche svolta una breve conversazione.
Udite queste parole, il re Śuddhodana inviò allo Śākya Daṇḍapāṇi il sacerdote di famiglia con questo messaggio: Bisogna dare in sposa la tua giovane figlia a mio figlio!
Daṇḍapāṇi rispose: O Re, il giovane principe è cresciuto nel palazzo tra le comodità, ed è costume della nostra famiglia concedere nostra figlia ad un uomo abile nelle arti e non a chi non lo è. Il giovane principe non eccelle nelle arti; non conosce le regole della spada, né quelle del tiro con l’arco, del pugilato, della lotta [4]. Come potrei quindi concedere mia figlia a chi non è abile nelle arti?
Queste furono le sue parole, e così furono riportate al re, il quale pensò: Già due volte sono stato biasimato, e con ragione, a questo proposito. Quando dissi: Perché i giovani Śākya non vengono a rendere omaggio al principe? Allora mi venne risposto: Perché mai dovremmo rendere omaggio a un indolente? E oggi accade la stessa cosa.
A questo pensiero il re rimase immobile e preoccupato.
Il Bodhisattva vene a conoscenza del fatto. Recatosi presso il re Śuddhodana gli disse: O Re, perché la vostra mente è così preoccupata?
Il re rispose: Giovane, basta così!
Il giovane principe replicò: È sempre necessario spiegarsi. E per tre volte il Bodhisattva interrogò il re Śuddhodana.
Infine il re raccontò il fatto al Bodhisattva. Quando lo seppe, il Bodhisattva affermò: O Re, c’è in questa città una sola persona che possa competere con me per destrezza nelle arti?
Il re Śuddhodana sorridendo si rivolse così al Bodhisattva: Potrai dimostrare, figlio mio, la tua abilità nelle arti? – Lo potrò certamente, Signore; che si riuniscano dunque tutti coloro che eccellono nelle arti e alla loro presenza io mostrerò le mie capacità.
Il re Śuddhodana fece allora annunciare al suono delle campane nella sublime città di Kapilavastu: Tra sette giorni il giovane Sarvārthasiddha dimostrerà la sua abilità nelle arti. Che per allora tutti coloro che eccellono nelle arti si riuniscano.
Il settimo giorno si ritrovarono cinquecento giovani Śākya, e la figlia di Daṇḍapāṇi, Gopā, fu promessa quale premio per la vittoria: Ella apparterrà a colui che qui risulterà vincitore nella spada, nel tiro con l’arco, nel pugilato e nella lotta.
Quel giorno, davanti a tutti gli altri il giovane Devadatta uscì dalla città. Nello stesso momento un grande elefante bianco, destinato al Bodhisattva, veniva portato in città. Vedendolo, il giovane Devadatta, per l’invidia, per l’orgoglio di essere uno Śākya, ed anche accecato dall’arroganza per la propria forza, afferrò l’elefante per la proboscide con la mano sinistra e lo uccise in un sol colpo col palmo della mano destra [5].
Subito dopo di lui uscì il giovane Sundarananda, il quale vide l’elefante alla porta della città. A tale vista, domandò: Da chi è stato ucciso? Una grande folla di persone lì presenti rispose: Da Devadatta. Egli replicò: È stata una cattiva azione da parte sua. Afferrato l’elefante per la coda lo trascinò al di là della porta della città.
Dopo di lui, il Bodhisattva uscì sul suo carro e vide l’elefante ucciso. Vedendolo, chiese: Da chi è stato ucciso? Gli fu risposto: Da Devadatta. Egli replicò: È stata una cattiva azione da parte di Devadatta. E da chi è stato trascinato fuori dalla città? – Gli fu risposto: Da Sundarananda. Ed egli: Quella di Sundarananda è una azione buona, ma questo essere ha un corpo molto grande che, decomponendosi, riempirà tutta la città di un cattivo odore.
Allora il giovane principe, in piedi sul carro, posato a terra un solo piede, afferrò l’elefante per la coda con l’alluce e lo scagliò lontano dalla città, ad una distanza di un krośa, al di là di sette cinta murarie e di sette fossati.
Nel punto in cui l’elefante cadde si creò una grande buca, la quale è oggi chiamata Hastigartā (la fossa dell’elefante).
In quel momento gli dei e gli uomini, a centinaia di migliaia, fecero udire grida di ammirazione e di gioia e agitarono le vesti.
I figli degli dei che si trovavano nelle distese celesti recitarono questi versi:
15. Con il portamento superbo di un re degli elefanti, dopo aver afferrato con l’alluce del suo piede il grande elefante, costui lo ha scagliato lontano dalla città, oltrepassando i sette bastioni della città.
16. Senza alcun dubbio, pienamente consapevole e con la forza della saggezza, egli lancerà ben oltre la città della trasmigrazione coloro che sono pieni della forza dell’orgoglio!
Intanto, o Monaci, cinquecento giovani Śākya usciti dalla città si recarono in un altro luogo, nel quale ognuno dimostrava la propria abilità nelle arti. Il re Śuddhodana, preceduto dai più anziani del clan degli Śākya e da una grande folla, giunse nello stesso luogo, desideroso di osservare la destrezza nelle arti del Bodhisattva e degli altri giovani Śākya.
Lì, per prima cosa i giovani Śākya che conoscevano le regole della scrittura stavano contendendo il premio al Bodhisattva, e il precettore Viśvāmitra fu nominato giudice dagli Śākya: Tu, esamina qual è il giovane che si distingue nella scienza della scrittura, sia nella calligrafia sia nella conoscenza acquisita di un maggior numero di scritture.
Il precettore dei giovani, Viśvāmitra, che era stato testimone della conoscenza delle scritture da parte del Bodhisattva, si mise allora a sorridere e recitò questi due Gāthā:
17. Per quante possano essere le scritture esistenti nel mondo degli uomini o nel mondo degli dei, nel mondo dei Gandharva o nel mondo degli Asura o in qualsiasi mondo, in tutte questo essere puro è giunto alla loro perfetta conoscenza.
18. Né voi né io conosciamo nemmeno il nome delle scritture o delle lettere che conosce questa Luna tra gli uomini. Ne sono certo, egli sarà il vincitore.
Gli Śākya esclamarono: Come è superiore nella scienza della scrittura, che questo giovane dimostri la sua conoscenza nella matematica e quanto vi si distingua!
Uno Śākya chiamato Arjuna, grande matematico, pervenuto ad una conoscenza trascendente dei numeri e del calcolo, fu allora nominato giudice. Tu, esamina quale tra questi giovani si distingua per la sua superiorità nella scienza dei numeri – gli fu detto.
A quel punto il Bodhisattva propose un problema matematico, ed un giovane Śākya iniziò il calcolo, ma non poté risolverlo. Poi, due giovani Śākya, tre, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, fino a cinquecento, si misero insieme per eseguire il calcolo; ma non riuscirono a completarlo.
Allora il Bodhisattva disse: Proponete voi stessi un calcolo ed io lo eseguirò. Un giovane Śākya ne propose subito uno, ma non riuscì a mettere in difficoltà il Bodhisattva.
Poi, due giovani Śākya, tre, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, fino a cinquecento, proposero contemporaneamente un calcolo; ma non riuscirono a confondere il Bodhisattva.
Il Bodhisattva disse: Basta, basta con questa disputa; ora, tutti insieme, come foste una sola persona, proponetemi un problema matematico ed io lo risolverò.
Allora i cinquecento giovani Śākya proposero di comune accordo un calcolo che non era mai stati eseguito prima di allora, e il Bodhisattva lo eseguì senza alcuna difficoltà. Così tutti quei giovani Śākya non riuscirono a raggiungere la loro meta, mentre vi pervenne il Bodhisattva.
A quel punto il grande matematico Arjuna, pieno di ammirazione, recitò questi due Gāthā:
19. Nella via dei numeri egli è la guida di questi cinquecento, che esaminano la prontezza nella conoscenza di colui che possiede una perfetta sapienza.  
20. Tale è la sua saggezza, la sua intelligenza, la sua scienza, la sua consapevolezza, il suo discernimento, che oggi stesso colui che insegna la matematica è questo oceano di sapienza!
Allora tutta la moltitudine degli Śākya fu presa da un immenso stupore; e tutti, rapiti da un sentimento di ammirazione, gridarono all’unisono: Vittoria! Vittoria al giovane Sarvārthasiddha! Poi alzatisi tutti dai loro seggi si inchinarono giungendo le mani davanti al Bodhisattva e rivolsero queste parole al re Śuddhodana: O grande Re, i tuoi meriti sono veramente incomparabili, poiché hai un figlio così pronto, intelligente, attento e capace di fronte ai problemi!
Allora il re Śuddhodana così disse al Bodhisattva: Sei in grado, figlio mio, di competere con il grande matematico Arjuna nella scienza dei calcoli? – Ne sono capace, o Re. – Bene, allora eseguite i calcoli!
Il grande matematico Arjuna si rivolse quindi al Bodhisattva con queste parole: Conosci, o giovane uomo, la progressione del calcolo chiamato Kōṭiṣatōttarā (più di cento Koti)? Il Bodhisattva rispose: La conosco. – Ebbene, come inizia la progressione del calcolo oltre cento Koti?
Il Bodhisattva rispose che cento koti sono detti ayuta; il nome di cento ayuta è niyuta; il nome di cento niyuta è kañkara; il nome di cento kañkara è vivara; il nome di cento vivara è akṣobhya; il nome di cento akṣobhya è vivāha; il nome di cento vivāha è utsañga; il nome di cento utsañga è  bahula; il nome di cento bahula è nāgabala; il nome di cento nāgabala è tiṭilambha; il nome di cento tiṭilambha è vyavasthānaprajñapti; il nome di cento vyavasthānaprajñapti è hetuhila; il nome di cento hetuhila è karahū; il nome di cento karahū è hetvindrya; il nome di cento hetvindrya è samāptalambha; il nome di cento samāptalambha è gaṇanāgati; il nome di cento gaṇanāgati è niravadya; il nome di cento niravadya è mudrābala; il nome di cento mudrābala è sarvabala; il nome di cento sarvabala è visaṁjñāgati; il nome di cento visaṁjñāgati è sarvasaṁjña; il nome di cento  sarvasaṁjña è vibhūtaṁgamā; il nome di cento vibhūtaṁgamā è tallakṣaṇa: con questa numerazione, utilizzando tallakṣaṇa come unità di calcolo, è possibile misurare il Meru, il re dei monti.
Al di sopra di questo c’è il numero chiamato dhvajāgravatī: con questo numero, utilizzandolo come unità di calcolo, è possibile contare i granelli di sabbia del fiume Ganga.
Ancora oltre, c’è il numero chiamato dhvajāgraniśāmaṇī. Quindi, il numero chiamato vāhanaprajñapti. Poi il numero chiamato iṅgā. Quindi il numero chiamato kurutāvi [6]. E ancora, il numero chiamato sarvanikṣepā, con il quale, utilizzandolo come unità di calcolo, è possibile contare i granelli di sabbia di dieci fiumi Ganga.
Ancora al di là c’è il numero chiamato agrasārā, con il quale, utilizzandolo come unità di calcolo, è possibile contare i granelli di sabbia di cento koti di fiumi Ganga.
Al di sopra di questo si trova il numero chiamato ‘il calcolo delle particelle più sottili’. Nell’insieme di tutti gli esseri non ve ne è alcuno che conosca questo numero, ad eccezione di un Tathāgata che abbia conseguito la più pura essenza della Saggezza e di un Bodhisattva che abbia ricevuto l’iniziazione a tutti gli insegnamenti del Dharma, e con l’eccezione di me stesso o di chi come me sia pervenuto alla sua ultima esistenza, un Bodhisattva che dimori fuori dalla propria casa dopo aver rinunciato ad essa.
Arjuna chiese: Giovane uomo, come si procede nella successione del numero chiamato ‘il calcolo delle particelle più sottili’?
Il Bodhisattva rispose: Sette granelli di polvere di atomi sottili fanno un granello di polvere fine; sette granelli di polvere fine fanno un piccolo granello di polvere; sette piccoli granelli di polvere fanno un granello di polvere di vātāyana; sette granelli di polvere di vātāyana fanno un granello di polvere di lepre; sette granelli di polvere di lepre fanno un granello di polvere di montone; sette granelli di polvere di montone fanno un granello di polvere di toro; sette granelli di polvere di toro fanno un lendine; sette lendini fanno un grano di senape; sette grani di senape fanno un grano di orzo; sette grani di orzo fanno un’articolazione delle dita; dodici articolazioni delle dita fanno una spanna; due spanne fanno un gomito; quattro gomiti fanno un arco; mille archi nel regno di Magadha fanno un krośa; quattro krośa fanno uno yojana [7].  Ed ora, chi tra voi conosce bene la misura di uno yojana e quante particelle di atomi sottili vi si trovano?
Arjuna esclamò: Io stesso sono meravigliato, e a maggior ragione lo sono coloro che hanno minore intelligenza. Che il giovane principe ci dimostri dunque qual è la misura di uno yojana e quante particelle di atomi sottili vi si trovano.
Il Bodhisattva rispose: In uno yojana c’è un numero di atomi sottili pari a un niyuta di akṣobhya, trenta centinaia di migliaia di niyuta di koti, sessanta centinaia di koti, trentadue koti, cinque volte dieci centinaia di migliaia e dodicimila. Questa è la somma degli atomi sottili che si trovano in uno yojana [8].
Qui nel Jambudvīpa vi sono settemila yojana; nel continente Godānīya ottomila yojana; nel Pūrvavideha novemila yojana; nell’Uttarakuru diecimila yojana.
Iniziando con questo mondo composto da quattro continenti, dove si trovano i cento koti dei grandi oceani del mondo composto da quattro continenti, vi sono poi: i cento koti degli dei Cakravāla e dei Mahāchakravāla, i cento koti di Sumeru, re dei monti; i cento koti degli dei Chaturmaharajika; i cento koti degli dei Trāyastriṃśa; i cento Koti di Yama; i cento Koti di Tuṣita; i cento koti di Nirmāṇarati; i cento koti degli dei Paranirmitavaśavartin; i cento koti degli dei Brahmakāyikas; i cento Koti degli dei Brahmapurōhita; i cento koti degli dei Brahmapārshadya; i cento koti degli dei Mahābrahma; i cento koti degli dei Parittābhā; i cento koti degli dei Subhakritsna; i cento Koti degli dei Anabhraka; i cento koti degli dei Puṇyaprasava; i cento koti degli dei Vrihatphala; i cento koti degli dei Asandjñisattva; i cento koti degli dei Avrihā; i cento koti degli dei Atapa; i cento koti degli dei  Sudrīśa; i cento koti degli dei Sudarśana e i cento koti degli dei Akaniṣṭha, tutto questo è chiamato il grande trichiliocosmo [9].
Questo è il metodo per calcolare le particelle sottili che si trovano in ogni sistema di mondi, che si estende in lunghezza e in larghezza per centinaia di yojana, migliaia di yojana, koti di yojana, niyuta di yojana [10]. Quante particelle sottili vi sono?
Così egli disse, e quindi aggiunse: Il numero delle particelle può essere calcolato, ma poiché esso è infinitamente grande è detto ‘incalcolabile’. Ancor più incalcolabile è il numero di particelle sottili che sono contenute nel grande trichiliocosmo.
Mentre il Bodhisattva esponeva il metodo di calcolo, il grande matematico Arjuna e la moltitudine degli Śākya furono ricolmi di contentezza, di gioia, di piacere e di ammirazione; tutti, rimanendo in piedi, con vesti e ornamenti che avevano deposto, resero omaggio al Bodhisattva.
Quindi il grande matematico Arjuna recitò questi due Gāthā:
21. Le centinaia di koti, gli ayuta, i niyuta, la successione di kañkara, akṣobhya e vivāha, tutta questa scienza suprema, io non la possiedo. Quindi, la sua conoscenza dei numeri è quella di un essere senza pari, superiore a me in questa materia.
22. Senza dubbio, o Śākya, nel tempo che impiegheremmo a proferire hūṁ [11], egli potrebbe contare la polvere, come pure le erbe, le foreste, le piante medicinali e le gocce d’acqua dei tremila mondi! Cosa di più meraviglioso potrebbero fare i cinquecento Śākya?
Allora dei e uomini, a centinaia di migliaia, emisero grida di ammirazione e di gioia. E i figli degli dei che si trovavano nelle distese dei cieli recitarono questi versi:
23. Con un solo movimento del suo spirito egli conosce perfettamente le menti e i pensieri da esse generati, come pure i ragionamenti buoni e cattivi, di ordine superiore o inferiore, di tutti gli esseri dei tre tempi, senza alcuna eccezione.
In tal modo, o Monaci, tutti i giovani Śākya furono sconfitti. Il Bodhisattva soltanto si distinse per la sua superiorità. Nello stesso modo, in seguito, il Bodhisattva continuò a primeggiare per la sua eccellenza nel salto, nel nuoto, nella corsa e in ogni arte. E i figli degli dei che si trovavano nelle distese dei cieli recitarono questi versi:
24. Se nel corso di innumerevoli kalpa, grazie ai meriti della devozione e della disciplina, grazie alla determinazione, grazie alla forza della pazienza ed alla padronanza di sé, egli ha reso così abile il suo corpo e il suo spirito, imparate quanto sia superiore la sua velocità.
25. Voi vedete qui, dentro questa città, il migliore degli esseri, tuttavia egli percorre in un istante le dieci direzioni dello spazio; in ogni luogo del mondo egli rende omaggio agli innumerevoli Vittoriosi con offerte in diamanti e oro.
26. Voi non vedete né la sua partenza né il suo ritorno, tanto grande è il potere sovrannaturale che ha conseguito; chi altri potrebbe qui dimostrare una tale meravigliosa velocità? Egli è senza eguali. Mostratevi rispettosi nei suoi confronti.
Fu grazie a tali prestazioni che il Bodhisattva si distinse per la sua superiorità. Poi gli Śākya dissero: Desideriamo che questo giovane dimostri la sua superiorità anche nella lotta.
Allora il Bodhisattva si mise da solo da una parte e i cinquecento giovani Śākya, riunitisi, si apprestarono alla lotta. Dapprima trentadue giovani Śākya si riunirono e si prepararono a lottare. Nanda e Ānanda, avvicinatisi entrambi al Bodhisattva per ingaggiare il combattimento con lui, senza essere nemmeno toccati dalla mano del Bodhisattva caddero riversi al suolo, ambedue incapaci di sostenere la sua forza e il suo splendore.
Subito dopo, il giovane Śākya Devadatta, fiero e gonfio d’orgoglio per la propria forza e per la sua appartenenza agli Śākya, azzardandosi ad affrontare il Bodhisattva e girando tutto intorno all’arena si gettò contro il Bodhisattva.
Il Bodhisattva, senza scomporsi e senza affrettarsi, afferrato con delicatezza il giovane Devadatta con la mano destra, non per fargli del male ma solo per diminuire il suo orgoglio, lo fece ruotare tre volte nell’aria, poi, con amore, lo posò a terra senza ferire il suo corpo.
Infine il Bodhisattva esclamò: Basta, basta lottare in questo modo! Venite a lottare tutti insieme.
Ed essi, tutti insieme, spinti dall’orgoglio, attaccarono il Bodhisattva. Ma non furono nemmeno toccati che caddero ben presto riversi al suolo, incapaci di sostenere la nobiltà, la regalità e la forza del suo corpo.
In quel momento dei e uomini a centinaia di migliaia emisero forti grida di ammirazione; e i figli degli dei, che si trovavano nelle distese dei cieli, fecero cadere una fitta pioggia di fiori e recitarono questi Gāthā:
27. Se tutti gli esseri nelle dieci direzioni dello spazio fossero simili ad un temibile lottatore, sarebbero rovesciati in un istante; non appena fossero toccati dal più eminente tra gli uomini, essi sarebbero gettati a terra.
28. Se egli toccasse con le sue mani il monte Meru, così come il Sumeru [12] e i monti Cakravāla ed ogni altro monte nelle dieci direzioni dello spazio, li ridurrebbe in polvere. Cosa vi è di meraviglioso in colui che si manifesta in un corpo umano privo di sostanza?
29. Egli, accanto al grande re degli alberi, dopo aver sconfitto con la forza dell’amore il grande e temibile lottatore Māra, alleato con le forze delle oscurazioni, il suo esercito, i suoi fanti e i suoi cavalieri, preceduti dai loro stendardi, conseguirà la pace della suprema Saggezza.        
Fu grazie a tali prestazioni che il Bodhisattva si distinse per la sua superiorità.
Allora Daṇḍapāṇi rivolse queste parole ai giovani Śākya: Poiché abbiamo visto ciò che volevamo sapere, mostrate ora l’arte del tiro con l’arco.
Subito Ānanda posò un tamburo di ferro come bersaglio alla distanza di due krośa. Dopo di lui Devadatta posò un tamburo di ferro come bersaglio alla distanza di quattro krośa; quindi Sundarananda mise un altro tamburo di ferro alla distanza di sei krośa. Dopo di lui, lo Śākya Daṇḍapāṇi [13] sistemò un tamburo di ferro alla distanza di due yojana. Infine il Bodhisattva dopo aver posato un tamburo di ferro come bersaglio alla distanza di dieci krośa, vi sistemò dietro sette alberi tāla e più lontano una sagoma in metallo con l’immagine di un cinghiale.
Ānanda colpì il tamburo posto come bersaglio alla distanza di due krośa, ma non poté fare di meglio.
Devadatta colpì il tamburo posto come bersaglio a quattro krośa, senza poter fare di meglio.
Sundarananda colpì il tamburo posto come bersaglio a sei krośa, senza poter fare di meglio.
Daṇḍapāṇi colpì il tamburo posto come bersaglio alla distanza di due yojana e riuscì a bucarlo, ma non poté fare di meglio.
Il Bodhisattva spezzò uno dopo l’altro tutti gli archi che gli venivano dati, quindi [domandò]: C’è qui in città qualche altro arco che, teso da me, sia in grado di resistere alla forza del mio corpo e di sostenere il mio sforzo?
Il re rispose: Ce n’è uno, figlio mio. Il giovane domandò: O Re, dove si trova? E il re: Si tratta di tuo nonno, chiamato Siṁhahanu (mascella di leone), il cui arco è ora custodito e onorato nel tempio degli dei, tra profumi e ghirlande; fino ad oggi nessuno è stato in grado di sollevare e quindi di tendere quell’arco [14].
Il Bodhisattva disse: Mi si porti quell’arco, o Re. Lo proveremo.
L’arco fu subito portato; e tutti i giovani Śākya, benché facessero il massimo sforzo, non poterono sollevare l’arco né, a maggior ragione, tenderlo.
Quindi l’arco fu dato allo Śākya Daṇḍapāṇi, ma sebbene impiegasse tutta la forza del suo corpo egli riuscì soltanto a sollevarlo, senza poterlo tendere.
Infine l’arco fu consegnato al Bodhisattva; ed egli sollevò l’arco rimanendo seduto sul trono con le gambe incrociate, lo impugnò con la mano sinistra e lo tese con un solo dito della mano destra.
Nell’istante in cui l’arco fu teso, il suono riecheggiò in tutta la grande città di Kapilavastu e tutti gli abitanti, impauriti, si chiesero l’un l’altro che cosa fosse quel rumore. Poi si dissero che il giovane Sarvārthasiddha aveva teso l’arco di suo nonno e che quel rumore proveniva di lì.
In seguito dei e uomini, a centinaia di migliaia, emisero grida di stupore e di ammirazione e i figli degli dei che si trovavano nelle distese dei cieli rivolsero questi Gāthā al re Śuddhodana e a quella grande moltitudine di persone.
30. Poiché l’arco è stato teso dal Muni senza che nemmeno si alzasse dal suo trono e senza fare alcuno sforzo, certamente il Muni realizzerà presto i suoi propositi, dopo aver sconfitto l’armata di Māra.
Quindi, o Monaci, dopo aver teso l’arco e incoccato una freccia, il Bodhisattva la scagliò con la sua forza, nella direzione in cui si trovavano i tamburi di Ānanda, di Devadatta, di Sundarananda e di Daṇḍapāṇi. Dopo averli attraversati tutti con la freccia, egli perforò, alla distanza di dieci krośa, il tamburo di ferro che aveva piazzato come bersaglio e oltrepassò i sette alberi tāla. Infine, dopo aver bucato anche la sagoma del cinghiale, la freccia penetrò nel terreno e scomparve sprofondando in esso. Nel luogo in cui la freccia era entrata affondando nel suolo si formò un pozzo che ancora oggi è chiamato Śarakūpa (pozzo della freccia).
Nello stesso momento gli dei e gli uomini, a centinaia di migliaia, emisero alte grida di stupore e di ammirazione e tutti gli Śākya riuniti dicevano l’un l’altro sbigottiti: È davvero meraviglioso! Possiede una tale abilità nelle arti senza aver ricevuto alcun addestramento!
E i figli degli dei che si trovavano nelle distese dei cieli così parlarono al re Śuddhodana e a quella grande moltitudine di persone: Perché tanto stupore e quale ne è la causa?
31. Costui, seduto su questa terra, sul trono dei Buddha del passato, impugnando l’arco della calma dimorante [15], scagliando le frecce della vacuità, dell’assenza di un sé, distruggendo così l’avversario, le afflizioni, e lacerando la rete delle opinioni, conseguirà la Saggezza suprema, pura, tranquilla, priva di oscurazioni e di sofferenze [16].
Dette queste parole, i figli degli dei fecero cadere sul Bodhisattva una pioggia di fiori e si allontanarono.
Così, nel salto, nella scienza della scrittura, nella scienza dei mudrā [17], nel calcolo, nella matematica, nella lotta, nel tiro con l’arco, nella corsa, nel nuoto, nel lancio delle frecce, nel condurre l’elefante salendo sul suo collo e il cavallo montandolo sul dorso, nella guida dei carri; nel tendere l’arco; per il controllo del corpo, l’energia, il coraggio; per la forza delle braccia; nel condurre un elefante con un arpione o con un laccio; nelle azioni di alzarsi, di avanzare, di indietreggiare; nella lotta con i pugni, con i piedi, con la testa; nel tagliare, nello spaccare, nel perforare, nello scuotere, nel colpire senza arrecare danno, nel colpire i punti vitali, nel colpire ciò che emette un suono; nel colpire con forza; nel gioco dei dadi, [18] nella poesia, nella prosa, nella composizione dei testi, nella pittura, nella drammaturgia, nell’azione drammatica, nello studio del metodo, nella custodia dei fuochi sacri; nel suonare la viṇā [19], nel suonare gli altri strumenti musicali, nella danza, nel canto, nel canto degli inni sacri, nella narrazione, nella commedia, nella danza secondo il ritmo musicale, nella danza coreografica, nella mimica, nell’intreccio delle ghirlande, nell’uso del ventaglio, nella tintura di pietre preziose, nella tintura dei tessuti, nelle opere di magia, nella decifrazione dei sogni, nel canto degli uccelli; nell’arte di conoscere le caratteristiche delle donne, degli uomini, degli elefanti, dei cavalli, del bestiame, delle capre, delle pecore, dei cani; nella conoscenza del lessico rituale, delle scritture sacre, dei Purāṇa, degli Itihāsa [20], dei Veda, della grammatica, del Nirukta [21]; nella recitazione delle poesie, nella ritualistica dei sacrifici, nell’astrologia [22], nella filosofia Sāṃkhya, nella filosofia Yoga, nei cerimoniali religiosi, nella filosofia Vaiśeṣika [23], nell’economia, nell’etica, nei metodi dell’insegnamento, nella conoscenza degli Asura, nel linguaggio degli uccelli e degli altri animali, nella logica, nella filatura, nell’arte di lavorare la cera, nella cesellatura, nel taglio delle foglie, nella preparazione di profumi – (in tutte queste discipline) e in tutte le altre arti esistenti nel mondo, il Bodhisattva, egli soltanto, si distinse in massimo grado per la sua superiorità andando al di là dell’operato degli dei e degli uomini.
A quel punto, o Monaci, lo Śākya Daṇḍapāṇi donò la propria figlia Gopā al Bodhisattva. Di conseguenza ella fu scelta dal re Śuddhodana come promessa sposa per il Bodhisattva.
Inoltre in quel periodo il Bodhisattva per comportarsi secondo i costumi mondani fece mostra in mezzo ad ottantaquattromila donne di essere attratto dai giochi e dai piaceri. Tra quelle ottantaquattromila donne Gopā, appartenente alla stirpe Śākya, fu solennemente riconosciuta come prima moglie.
Intanto Gopā, la giovinetta della famiglia Śākya, in presenza del suocero, della suocera e di tutti coloro che vivevano nel palazzo non teneva velato il proprio viso. Costoro dicevano tra loro, biasimandola con severità: Quella giovane ha un comportamento indecoroso, poiché non indossa mai il velo.
Allora Gopā della stirpe Śākya, avendolo saputo, recitò questi versi in presenza di tutti gli abitanti del palazzo:
32. Senza velo, una persona onorabile risplende seduta, in piedi o in cammino; la pietra preziosa Maṇi sulla cima di uno stendardo appare ancor più brillante.
33. Senza velo, una persona onorabile risplende quando parte e risplende ugualmente quando ritorna; in piedi o seduta, una persona onorabile risplende ovunque.
34. Una persona onorabile risplende mentre parla ed ugualmente risplende quando rimane in silenzio, come l’uccello kalabiṅka quando lo si vede o quando canta.
35. Con una veste di kuśa, senza abiti o con una veste povera e il corpo emaciato, una persona onorabile brilla per il proprio splendore; colui che possiede delle qualità è adorno delle sue stesse qualità.
36. Risplende ovunque la persona onorabile priva di difetti; per quanto adorno possa essere, l’essere immaturo che commette il male non risplende.
37. Coloro che con il male nel cuore pronunciano parole dolci sono come una brocca di veleno ricoperto di nettare. Il fondo dell’animo di simili persone è duro al tocco come una roccia, è come carezzare la testa di un serpente.
38. Tutti accorrono con gioia laddove si trovano persone onorabili, come verso laghetti sacri indispensabili per la vita degli esseri; le persone onorabili sono sempre come un vaso ricolmo di latte e di caglio; la vista di tali esseri puri è una vera benedizione.
39. Coloro che da molto tempo sono stati lasciati da amici dissoluti e sono stati accolti da preziosi amici virtuosi ed hanno abbandonato il male per dimorare nel Dharma del Buddha: la vista di siffatte persone è una benedizione che dà ottimi frutti.
40. Coloro che hanno ottenuto il controllo sui loro corpi e ne hanno perfettamente soggiogato i difetti; coloro che, padroni del loro linguaggio, proferiscono sempre parole discrete; coloro che avendo padroneggiato i loro sensi sono nella quiete ed hanno uno spirito pacificato; per quale motivo siffatte persone dovrebbero velare il proprio viso?
41. Quandanche ricoprissero il loro corpo con mille vesti, coloro il cui spirito è privo di disciplina, senza pudore né modestia, coloro che privi di tali qualità non hanno nemmeno un linguaggio veritiero, vanno per il mondo più nudi di coloro che sono nudi.
42. Coloro che con la mente domata e i sensi costantemente soggiogati, soddisfatte del loro sposo, non rivolgono il loro pensiero ad altri se non a lui, appaiono, senza velo, splendenti come il sole e la luna: perché siffatte persone dovrebbero velare il loro viso?
E ancora:
43. I grandi e saggi Ṛṣi, abili nel leggere i pensieri degli altri, conoscono le mie motivazioni, così come le moltitudini degli dei conoscono la mia disciplina, le mie qualità, il mio controllo, la mia prudenza; per quale motivo dovrei quindi velare il mio viso?
O Monaci, il re Śuddhodana ascoltò questi versi che mostravano la saggezza della giovane Gopā e della stirpe Śākya. Avendoli uditi fu ricolmo di felicità, di soddisfazione e di piacere, e per la gioia che provò, dopo aver offerto alla giovane Gopā della stirpe degli Śākya una coppia di stole bianche disseminate di pietre preziose del valore di centomila koti di pala, una collana di perle ed una ghirlanda d’oro impreziosita da splendide perle rosse, egli recitò questo Gāthā:
44. Poiché mio figlio è adorno di qualità ed anche questa fanciulla risplende per le sue qualità, l’unione di questi due esseri puri è come l’unione del burro con il burro chiarificato.

Capitolo intitolato: Prova di abilità nelle arti, il dodicesimo.

NdT


[1] Il testo francese recita: est difficile à gagner. Gagner indica ottenimento: di un profitto, di un vantaggio, materiale o meno (quindi anche accattivarsi la fiducia, la simpatia ecc.).
Nella versione inglese si legge: is diffucult to match, dove to match, oltre che lottare, competere ecc. significa anche, con molta precisione, maritare.
Traduco con conquistare, che è meno esplicito ma suggerisce comunque l’idea della seduzione.
[2] De Foucaux traduce con: les règles des Śāstra (livres sacrés), ovvero le regole, le norme degli Śāstra (libri sacri). Gli Śāstra erano codici, trattati scientifici, raccolte di norme su diversi argomenti (non solo di carattere sacro), che sostituivano o si affiancavano ai Sūtra. Poiché nel testo si dice esplicitamente che la futura moglie di Siddhārtha dovrà essere esperta comme une courtisane, si sta evidentemente parlando dei contenuti del Kāma Śāstra, l’insieme dei testi dedicati all’eros, tra i quali il molto citato in Occidente (ma forse poco letto) Kāma Sūtra di Vātsyāyana (composto tra il I e il VI sec. d.C.). Cfr. Vātsyāyana, Kāma Sūtra, Ed. Ubaldini.
La versione inglese conferma quanto detto sopra, in quanto parla di conoscenza delle arts of love.
[3] Antica moneta indiana.
[4] Il termine art (utilizzato anche nella versione inglese), che traduco con arte, non ha qui soltanto il significato che attualmente viene ad esso attribuito (le cosiddette belle arti: pittura, poesia, musica ecc.). Nell’ambito in cui la vicenda si svolge, ovvero la casta degli Kṣatriya, i guerrieri, anche quelle attività che oggi definiamo sport svolgevano un ruolo fondamentale: non solo un ruolo immediatamente pratico, la difesa della persona e della comunità, ma anche uno più profondo, quello di vere e proprie vie di realizzazione spirituale. È ciò che accade tuttora nel Giappone tradizionale con attività quali il tiro con l’arco (kiudo), l’arte della spada (kendo), l’estrazione della spada (iaido), l’arte della cedevolezza (judo), l’arte del tè (chado), l’arte della scrittura (shodo) ed altre ancora: in tutte compare il termine do, Via (in cinese Tao), intesa come via di realizzazione interiore. E quindi come arte, nell’autentico significato del termine, laddove viene a cadere ogni distinzione tra le attività umane, quando autenticamente motivate non dal guadagno o dalla mera produzione di beni e merci, ma dalla realizzazione dell’armonia con se stessi e con la totalità del cosmo, che si tratti di destrezza nell’uso del corpo, delle armi, dei pennelli, degli strumenti musicali, degli attrezzi da cucina o da lavoro. Non a caso artista e artigiano hanno la stessa etimologia, anche se oggi la divisione sociale del lavoro e la parcellizzazione delle attività li ha separati nella vita ordinaria.
[5] Devadatta era uno dei cugini del Buddha, e fu sempre invidioso di lui. Entrò poi nella comunità monastica, spinto dai fratelli che volevano il trono. A causa di questa forzata rinuncia, cercò di ottenere un potere sempre maggiore nel Saṅgha, anche attraverso il conseguimento di poteri magici, giungendo a provocare uno scisma e a cercare per ben tre volte di uccidere il Buddha. Per questo, dopo la morte precipitò direttamente negli inferni.
Ma nel XII capitolo del Sūtra del Loto il Buddha annuncia che anche Devadatta diverrà un buddha perfetto con il nome di Buddha Devarāja, in quanto in una precedente esistenza era stato l'asceta che aveva insegnato al Buddha Śākyamuni, allora un re, lo stesso Sūtra del Loto contribuendo alla sua illuminazione. Si veda: Sūtra del Loto, trad. di L. Meazza, Ed. BUR, pag. 243 e seg.
La figura di Devadatta ricorda per molti aspetti quella di Giuda Iscariota nella tradizione cristiana.
[6] Tra iṅgā e kurutāvi la traduzione inglese inserisce un ulteriore numero, chiamato kuruṭu.
[7] Il termine yojana indica un’antica unità di lunghezza che corrisponde a circa 13 chilometri, o comunque ad una distanza compresa tra 6 e 16 chilometri. Esso indica anche l'aggiogamento dei buoi (è evidente la stessa etimologia del termine yoga) e quindi si riferisce alla distanza che una coppia di buoi può percorrere nell'arco di un giorno.
[8] Si è optato qui per una traduzione quasi letterale del testo francese, senza effettuare alcun tipo di calcolo che non avrebbe aggiunto nulla al significato della narrazione e alla comprensione del Sūtra.
[9] Nella cosmologia buddhista, che si ispira a quella indiana di origine vedica e brahmanica, per trichiliocosmo si intende un insieme di un miliardo di piccoli universi. Esso costituisce il campo di conversione di un Buddha specifico, quale ad esempio il Buddha Śākyamuni. Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, alla voce cosmologia buddhista.
[10] In sanscrito il metodo per calcolare numeri di tale grandezza è detto agrasārā. Questo termine è citato nella traduzione inglese la quale, nelle pagine dedicate alla matematica e alla cosmologia, risulta senza dubbio più chiara rispetto alla versione di De Foucaux.
[11] hūṃ è una delle sillabe-seme (bīja-mantra), come O, YAṃ, HA ecc., che costituiscono il fondamento di tutti i mantra.
[12] Meru e Sumeru sono due nomi della stessa montagna, l’axis mundi della cosmologia indiana.
[13] Evidentemente un omonimo del padre della promessa sposa, dato che partecipa alla gara.
[14]Ma l’accorto Odisseo, dopo aver sollevato e guardato bene il grande arco, come quando un esperto suonatore di cetra senza sforzo tende la corda intorno alla nuova chiavetta, fissando da una parte e dall’altra il ritorto budello di pecora, così, senza sforzo, tese il grande arco Odisseo. Toccò, con la mano destra, la corda, ed essa emise un suono bellissimo, simile a voce di rondine” (Odissea, c. XXI).
[15] Śamatha, il dimorare nella quiete, la meditazione fondamentale nella quale la mente riposa tranquilla, senza distrazioni.
[16] Il gāthā n. 31 non compare nella traduzione di De Foucaux. Si tratta certamente di un errore di stampa, in quanto il gāthā precedente (recitato dai figli degli dei) è riportato con il n. 30 e quello successivo (recitato da Gopā) con il n. 32. Il testo qui riportato è stato da me tradotto sulla base della versione sanscrito-inglese e della versione tibetano-francese.
[17] Qui De Foucaux traduce: (la science) des sceaux, ovvero (la scienza dei) sigilli; la traduzione francese del testo tibetano è: la manière de joindre les mains (en priant), il modo di unire le mani (pregando). Si sta quindi parlando dei mudrā, termine che alla lettera significa proprio sigillo, ma che qui indica proprio i gesti simbolici compiuti con le mani o altre parti del corpo, espressioni fisiche del sacro. Il termine sanscrito è femminile, ma è ormai più diffusa la lettura al maschile, i mudrā. Pare invece inadeguata la traduzione inglese, finger counting, il conteggio con le dita.
[18] Il gioco dei dadi riveste grande importanza in tutte le culture indoeuropee. Nel Mahābhārata (La grande [storia dei discendenti] di Bhārata), il maggior poema epico indiano, si narra che i cinque fratelli Pāṇḍava persero ai dadi tutte le loro ricchezze, il regno, la libertà, perfino la moglie che essi condividevano, giocando una partita (truccata) contro i loro cugini-avversari, i Kaurava. Da qui ebbe origine la sanguinosa guerra del Kurukṣetra, uno degli eventi fondativi della storia dell’India.
[19] Una sorta di liuto.
[20] Iti-ha-āsa = così invero fu, un genere letterario di carattere storico-popolare.
[21] Spiegazione etimologica di un termine.
[22] Si rammenti che nella culture tradizionali, tra cui quella indiana e quella tibetana, non c’era differenza tra astrologia e astronomia.
[23] Sāṃkhya, Yoga e Vaiśeṣika sono tre dei sei darśana, le scuole filosofiche tradizionali indiane āstika, cioè ortodosse. Le altre tre sono: Nyāya, Pūrva Mīmāmsā e Uttara Mīmāmsā o Vedānta.
Altre tre sono invece considerate eterodosse (nāstika): Cārvāka (i materialisti), Jaina e Buddhista.


Il Bodhisattva e la consorte Gopa secondo Bertolucci




Capitolo tredicesimo 

Esortazione

Mentre il giovane principe dimora negli appartamenti delle consorti, gli dei, con l’intento di spingerlo a divenire monaco, trasformano gli accordi musicali in esortazioni. Essi gli rammentano le azioni meritorie compiute nel corso delle sue esistenze precedenti nonché la sua promessa di liberare il mondo dalla sofferenza e dalla morte. – Vanità dei piaceri. – Le cause e gli effetti. – Esortato in tal modo, il Bodhisattva medita sul conseguimento della suprema Saggezza e benché si trovi tra le donne è in grado di comprendere il Dharma.

Quindi, o Monaci, gli dei, i Nāga, gli Yakṣa, i Gandharva, gli Asura, i Garuḍa, i Kinnara, i Mahoraga, Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, esprimendo gioia con le loro esclamazioni, giunti in gran numero mentre il Bodhisattva si trovava negli appartamenti delle consorti, manifestavano il desiderio di rendere omaggio al Bodhisattva.
Successivamente sorse nella mente degli dei, dei Nāga, degli Yakṣa, dei Gandharva, degli Asura, dei Garuḍa, dei Kinnara, dei Mahoraga, di Śakra, di Brahmā e dei Guardiani del Mondo questo pensiero: Da troppo tempo, in verità, questo Essere puro si intrattiene negli appartamenti delle consorti! Gli esseri che egli ha ormai da tempo portato alla perfetta maturazione attraverso le quattro attrattive per radunare i discepoli – la generosità, le parole gradevoli, il perseguimento di un fine, una condotta conforme all’insegnamento – potranno giungere alla comprensione del Dharma insegnato da colui che è un Bodhisattva, ma essi, vasi del Dharma, saranno tutti scomparsi quando il Bodhisattva, ritiratosi dal mondo, conseguirà il supremo e completo Risveglio [3].
Allora essi, pieni di rispetto e di riguardo, con le mani giunte salutarono il Bodhisattva e rimasero a contemplarlo con questo desiderio: Quando potremo vedere questo Essere sommamente puro e nobile ritirarsi dal mondo e, avendovi rinunciato, sedere ai piedi del grande re degli alberi, sconfiggere il demone e le sue schiere, conseguire il supremo e completo Risveglio di un Buddha, dotato dei dieci poteri di un Tathāgata, delle quattro intrepidità di un Tathāgata, dei diciotto dharma non mischiati di un Buddha [1], che farà girare tre volte l’eccellente Ruota del Dharma dai dodici aspetti [2], e poi, attraverso le manifestazioni dello stato di Buddha, per mezzo dei suoi meravigliosi insegnamenti, con la sua grande attenzione, generare felicità per gli dei, gli uomini e gli Asura?
O Monaci, il Bodhisattva per un tempo molto lungo, dopo aver attraversato un numero incalcolabile di kalpa, era stato sempre e dovunque indipendente dagli altri. In ciò che concerne il mondo, o che riguarda ciò che è al di sopra del mondo, egli è stato il maestro spirituale di se stesso, tra coloro che praticano tutte le vie della virtù; da molto conoscendo il tempo, l’occasione, il momento propizio, possedendo una indistruttibile conoscenza superiore, egli è dotato delle cinque facoltà sovrannaturali. È esperto nei fondamenti dei poteri sovrannaturali, nel controllo delle facoltà corporee, sa perfettamente se ogni momento è opportuno o meno, avendo piena cognizione del tempo, e, come il grande Oceano, non va mai al di là del limite. Dotato del potere della chiaroveggenza, conosce da se stesso ogni cosa. È giunto per lui il momento di andare incontro agli esseri [4], il momento di applicare la disciplina, il momento dell’unione, il momento per accogliere con bontà; è il tempo della pazienza, il tempo della parola, il tempo del silenzio; il momento di ritirarsi dal mondo, dell’ordinazione come monaco errante, il momento di predicare; è il momento della piena consapevolezza delle proprie sensazioni, a partire dal loro sorgere; è il momento della solitudine; è il momento di andare tra i Brāhmaṇa e i maggiorenti della città; è il tempo di andare tra gli dei, i Nāga, gli Yakṣa, i Gandharva, gli Asura, i Garuḍa, i Kinnara, i Mahoraga, Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, i monaci, le monache, i devoti e le devote; è il momento di insegnare il Dharma; è il momento di immergersi nella meditazione; ovunque e in ogni tempo, il Bodhisattva ha riconosciuto il momento giusto, ha giudicato la condizione appropriata.
E ancora, o Monaci: egli è come i Bodhisattva che sono giunti alla loro ultima esistenza. È quindi necessario che come loro, quando vivono negli appartamenti delle consorti, siano esortati dai Buddha Bhagavat che dimorano nelle dieci direzioni dello spazio, con il suono delle loro voci e degli strumenti musicali, a varcare la porta del Dharma [5].
È detto:
1. Gli esseri superni che dimorano nella dieci direzioni dell’universo fanno udire, grazie al loro potere e per mezzo del suono degli strumenti musicali, questi Gāthā e questi canti colmi di dolcezza, che esortano profondamente il migliore tra gli uomini migliori.
2. In epoche precedenti, questa preghiera è stata proferita da te, alla vista degli esseri prostrati da innumerevoli sofferenze: Per questo motivo, io sarò nel mondo il protettore e il rifugio, la guida migliore che accorre in aiuto!
3. O grande eroe! O soccorritore del mondo, ricorda a te stesso le tue azioni di un tempo e quella tua preghiera! È giunto per te il tempo, l’ora, il momento; esci dal palazzo, tu che sei il migliore tra i migliori dei Ṛṣi!
4. È per questo che in altre epoche hai rinunciato a grandi ricchezze di ogni tipo, come pure al tuo capo, alle tue mani e ai tuoi piedi [6]. Tu sarai un Buddha, che apporterà la disciplina agli dei e agli uomini; il primo tra tutti nel mondo, ricolmo di centinaia di qualità.
5. Con condotta virtuosa hai praticato le austerità che ti eri imposto. Con la tua pazienza sei di beneficio per il mondo. Con la tua virtù eroica acquisisci centinaia di qualità. Nei tre mondi nessuno ti è pari quanto a concentrazione e saggezza.
6. O Sugata, abbraccia con il tuo amore il gran numero di coloro che sono preda dell’ira e che sono posseduti dall’odio! La tua compassione si sviluppa con innumerevoli forme per colui che vittima dell’ignoranza dimora nelle false visioni ed è privo di ogni qualità virtuosa.
7. Con lo spirito ricolmo di virtù grazie alla saggezza che proviene dalle azioni meritorie, possedendo la suprema scienza della contemplazione, privo di passioni grazie alla pratica delle austerità, tu risplendi nelle dieci direzioni dello spazio, come la luna immacolata, sgombra dalle nuvole.
8. Questi e molti altri sono i suoni di piacevoli strumenti e le voci dei Vittoriosi, che esortano colui che dei e uomini venerano dicendo: Esci dal palazzo, il tuo tempo è giunto!
O Monaci, il Bodhisattva dimorava in quel palazzo, eccelso tra i più pregevoli, ricolmo di oggetti di ogni tipo, predisposto nel migliore dei modi per procurare il più grande benessere che il pensiero possa concepire, simile alla dimora degli immortali, sommamente splendido per le sue terrazze, i porticati, le arcate, i lucernari, le torri, le costruzioni; abbellito da ogni sorta di ornamenti preziosi, disseminati con maestria; decorato con innumerevoli parasole, stendardi, insegne dispiegate; adorno di graticci con preziose campanelle; tappezzato con centinaia di migliaia di frange di seta e di ghirlande arricchite di pietre preziose di ogni sorta; con ponticelli costruiti con legni pregiati di vario genere; cosparso di un gran numero di ghirlande e mazzi di fiori; impregnato dei profumi degli incensieri e ombreggiato con tende di seta; disseminato di fiori di ogni stagione, splendenti e soavemente profumati; abbondantemente fornito di luoghi piacevoli nei quali si trovavano stagni la cui acqua era ricoperta di freschi fiori di loto; echeggiante dei canti di un gran numero di uccelli: tordi, pappagalli, ghiandaie, cuculi, cigni, pavoni, oche, kuṇāla [7], kalabiṅka, pernici e molte altre specie, che facevano udire i loro piacevoli canti; laddove si poteva provare la gioia di una dimora nella quale il terreno è di lapislazzuli, che offriva alla vista l’immagine riflessa di ogni forma; una dimora deliziosa, di cui l’occhio non poteva essere sazio, e che generava la più grande contentezza e la più grande felicità. Nel migliore dei palazzi dimorava il Bodhisattva; viveva in quella nobile magione, splendido rifugio, colui che è puro, immacolato, le cui membra sono prive di imperfezioni, adorno di ghirlande e gioielli, con il corpo cosparso degli oli più preziosi e dei profumi più gradevoli, indossando una veste bianca, immacolata e perfettamente pura; disteso su un eccellente giaciglio, ricoperto da tessuti divini, delicati al tatto come seta di Kāchilindi, ogni parte del quale era perfettamente decorata; in compagnia di donne simili a dee, assolutamente irreprensibile, piacevole alla vista, adorno delle azioni virtuose da lui compiute [8]; mentre egli dimorava negli splendidi appartamenti interni, dopo il suo risveglio le conchiglie, i tamburi, i timpani, i tamburi di bronzo, le arpe, i liuti, i tamburelli, i cimbali, e i flauti facevano udire i suoni piacevoli dei loro accordi, i suoni variegati e riecheggianti delle loro sinfonie; e le moltitudini delle consorti con voce leggera, dolce, che toccava il cuore, risvegliavano il Bodhisattva con cori e accordi di melodie incantevoli.
Intanto i Buddha Bhagavat che dimoravano nelle dieci direzioni dello spazio con le loro benedizioni fecero sì che dal cuore di quelle armonie risuonassero questi versi di esortazione rivolti al Bodhisattva:
9. Le donne, con spirito gioioso, con pensieri ricolmi d’amore, fanno echeggiare i più dolci e deliziosi accordi con i loro flauti; ma grazie al potere dei supremi Vittoriosi delle dieci direzioni dello spazio si odono questi numerosi e variegati versi [9].
10. O Eroe! Ecco la preghiera che in altre epoche hai recitato, avendo visto le creature prive di protezione: Dopo essere divenuto un Buddha che ha conseguito lo stato supremo, al di là delle passioni e del dolore, io li libererò dalla vecchiaia, dalla morte e da ogni altra sofferenza.
11. Per questo, o Beato, esci presto dalla più bella delle città, raggiungi un luogo sulla terra abitato dai Ṛṣi di un tempo, divieni un Buddha in possesso della saggezza incomparabile dei Vittoriosi.
12. In altri tempi hai donato tutte le tue numerose ricchezze, ed anche i tuoi piedi, le tue mani, il tuo corpo che ti era così caro; ecco, il momento è giunto, grande Ṛṣi; distribuisci nel mondo l’acqua senza fine del fiume del Dharma!
13. La tua condotta è stata ininterrottamente immacolata. Nel passato sei sempre stato adorno delle migliori qualità; nessuno ti è pari per la tua impeccabile disciplina; libera il mondo da tutte le sue afflizioni.
14. Nel corso di centinaia di esistenze hai sopportato con pazienza nel mondo molte parole dure; tu, Signore degli uomini, che sei divenuto inamovibile nella pazienza attraverso il controllo di te stesso, decidi di uscire dal palazzo.
15. La tua grande virtù eroica, o Sugata, è ferma, costante, indistruttibile, dall’inizio alla fine. Dopo aver sconfitto il falso demone e le sue schiere, tu distruggerai definitivamente i tre reami inferiori.
16. È per questo che tu hai compiuto azioni meritorie e pratiche di austerità, dopo aver meditato sulle afflizioni di un’epoca degenerata. Versa l’acqua salvifica dell’amṛta, disseta gli esseri che da lungo tempo sono sofferenti e privi di protezione.
17. Ricordando queste meravigliose parole di un tempo, esci presto da questa bella città: Dopo aver conseguito lo stato immortale di un Buddha libero dalla sofferenza, io disseterò con l’amṛta coloro che sono tormentati dalla sete.
18. Tu che sei abile nelle azioni della suprema Saggezza, la tua scienza è vasta, illimitata. Per gli ignoranti che dimorano nella via del dubbio, fa’ risplendere la luce pura e luminosa della Saggezza.
19. Tu che nel corso di centinaia di esistenze hai praticato l’amore, la compassione e l’equanimità, condividi con tutti gli esseri la tua impeccabile disciplina così come l’hai praticata.
20. Grazie al potere dei Vittoriosi delle dieci direzioni dello spazio questi versi, che ricordano fiori di diverse qualità, esortano il giovane principe che riposa sul suo letto, mentre viene rallegrato da ogni sorta di melodiosi strumenti musicali.
21. E mentre fanciulle incantevoli lo allietano facendogli ascoltare gli accordi di una musica che rapisce il cuore, nello stesso tempo i Jina delle dieci direzioni dello spazio, che disciplinano gli dei e gli uomini, continuano a far udire attraverso quegli accordi queste sublimi parole.
22. Tu, in possesso di innumerevoli virtù, sei accorso in aiuto degli esseri e hai generato le qualità dei Vittoriosi. Ricorda, ricorda le pratiche spirituali e le austerità delle epoche passate; recati prontamente presso il migliore degli alberi [10] e consegui lo stato di immortalità.
23. Agli dei e agli uomini sofferenti, privi delle qualità dei Vittoriosi, tu che possiedi la forza della suprema Saggezza consenti di fruire dell’amṛta. Tu, o Signore, che possiedi le qualità dei dieci poteri, tu, cui i sapienti rendono omaggio, dispensa prontamente il nettare dell’immortalità.
24. Tu, che vieni in aiuto degli esseri, che ti compiaci delle qualità dei Vittoriosi, nel corso di precedenti esistenze hai abbandonato i tuoi beni, i tuoi gioielli, il tuo oro, la tua sposa, il tuo caro figlio, il mondo con le sue città e villaggi; hai rinunciato anche al tuo capo, come pure alle tue mani, ai piedi, agli occhi [11].
25. In un’altra vita, quando tu, il migliore tra gli uomini, eri un re virtuoso, un uomo si avvicinò a te e ti rivolse queste parole: donami questa terra con le sue città e villaggi. Tu gli donasti tutto senza che la tua mente ne fosse turbata.
26. In un’altra vita, quando eri il saggio sacerdote personale di un re, rendendo omaggio ai maestri spirituali e non nuocendo agli altri, tu, il migliore dei Brāhmaṇi, hai guidato nella via della virtù un gran numero di persone; quindi, nella tua esistenza successiva, sei asceso alle dimore degli dei.
27. In un’altra vita, quando eri figlio di un re e il migliore dei Ṛṣi, un malvagio sovrano in preda all’ira tagliò le tue membra. Giunse per te il momento della morte, ma la tua mente non ne fu turbata. Dai tuoi piedi e dalle tue mani uscì allora del latte.
28. In un’altra vita ancora, quando tu eri Śyāma, figlio di un Ṛṣi, e ti impegnavi in azioni virtuose, proteggendo i maestri spirituali in splendidi rifugi montani, fosti colpito da un re con una freccia avvelenata, ma il tuo spirito non ne fu turbato e perdonasti quel re.
29. In un’altra vita, quando eri il re delle gazzelle, ricolmo di qualità, un uomo travolto dalle acque impetuose di un torrente di montagna fu portato a riva e deposto in un luogo asciutto grazie alla tua grande bontà, ma la tua mente non fu turbata anche se stavi trasportando il tuo nemico.
30. In un’altra vita, quando tu, il migliore tra gli uomini, eri il figlio di un Brāhmaṇo, la pietra Maṇi era caduta nel grande Oceano; tu, o grande uomo dalla immensa forza, lo facesti defluire e recuperasti la tua gemma Maṇi.
31. In un’altra vita, o Sublime, quando eri il migliore dei Ṛṣi, un Brāhmaṇo avvicinatosi a te disse: Sii il mio rifugio, o Ṛṣi, allontana da me il nemico! Tu donasti il tuo stesso corpo e il Brāhmaṇo non perse il suo.
32. In un’altra vita, quando ti recasti presso il Ṛṣi Śyāma che dimorava in un albero ed egli ti chiese: Desidero che tu conti quante foglie possiede questo albero, dopo aver contato quante ne aveva, gli dicesti il numero esatto con una voce identica alla sua.
33. In un’altra vita, quando eri un pappagallo di grandi qualità e vivevi su un albero, nel momento della sua morte non lo abbandonasti, in memoria di antico favore. Il Signore degli dei, rallegrato dal ricordo delle tue virtù, fece di quell’albero perfetto un oggetto di venerazione, poiché era stato a te così gradito. 
34. È per questo che tu hai compiuto azioni compassionevoli, hai praticato austerità senza eguali, tu, che hai grandi virtù, che possiedi qualità, che percorri il sentiero della virtù. Abbandona il mondo e le sue città. Ecco, il tempo è giunto per te. Presto, fai dimorare gli esseri nella pratica delle azioni virtuose dei Vittoriosi.
35. Mentre le donne simili a perle, indossando belle vesti, traggono gli accordi più ammalianti dagli strumenti musicali, in quel momento, grazie al potere dei Vittoriosi delle dieci direzioni dello spazio, tra i suoni di quegli strumenti si odono diversi Gāthā dalle dolci parole.
36. O Luce del mondo! La tua preghiera di un tempo, molti eoni or sono, (è stata): Io sarò il protettore del mondo, che è divorato dalla vecchiaia e dalla morte! Ricorda questa preghiera di un tempo, Signore degli uomini. Ecco, Re degli uomini, è giunto per te il momento di rinunciare alla famiglia.
37. Per innumerevoli esistenze, quaggiù, hai elargito molteplici doni: beni, oro, pietre preziose, belle vesti, gioielli; le tue mani, i piedi, gli occhi, i tuoi amati figli, il tuo ricco reame, tutto è stato da te donato, e tu, donando, non hai mai provato collera né avversione nei confronti di coloro che chiedevano.
38. Tu, o Śaśiketu [12], sei stato quaggiù il re pacifico dai bei denti, dalla mente amorevole e compassionevole; tu, che porti sul capo il gioiello (Maṇi), ora risplendi come la luna! Tali sono state le azioni che hai compiuto, eroe indistruttibile, re dai begli occhi. Nel corso di innumerevoli anni, felice nella pratica del dono, hai portato a compimento il cammino.
39. Per innumerevoli kalpa, o Sugata, la tua condotta è stata consacrata alla virtù. E la purezza della tua virtù è stata perfetta, simile alla gemma Maṇi, del tutto immacolata. Come le femmina dello yak difende il suo vitello [13], con le tue azioni tu hai difeso la virtù; quaggiù hai grandemente beneficiato gli esseri.
40. Quando tu eri il più grande degli elefanti, ferito da un malvagio cacciatore, grazie alle tue virtù provasti compassione nei confronti di quell’essere crudele e nella tua bontà lo aiutasti. Rinunciasti alle tue belle zanne, ma non alla virtù. Queste e molte altre azioni meritorie sono state da te compiute.
41. Mentre la tua virtù cresceva, hai sopportato, da parte degli esseri, in gran numero, azioni malvagie, tribolazioni, parole ingiuriose, uccisioni, prigionie, e tutto questo gustando la gioia della pazienza. Gli uomini che in precedenza erano stati grandemente beneficiati e sono poi divenuti i tuoi carnefici, tu li hai perdonati!
42. O Maestro, quando eri un orso e vivevi sulla grande montagna, dopo aver salvato un uomo terrorizzato da un torrente dei nevai lo rifocillasti con diversi frutti e radici e lo confortasti in ogni modo. Poco tempo dopo egli ritornò insieme ad altri per ucciderti, ma tu lo hai perdonato!
43. Stabile, duratura, solida, indistruttibile è stata la tua perseveranza, così come la tua sapienza, le tue qualità, le tue austerità, nella determinazione di conseguire la Saggezza. Il demone ha perso la sua forza ed è vinto dall’energia del tuo impegno entusiastico. O Leone degli uomini, è giunto per te il momento di rinunciare alla famiglia.
44. Quando in passato tu eri il più bello dei cavalli, di un bel colore dorato, mosso dalla compassione corresti veloce, attraverso il cielo, fino alla terra dei Rākṣasa, soccorresti gli uomini prostrati dalle afflizioni e li conducesti alla salvezza. Tali sono le azioni che hai compiuto. Numerose sono le manifestazioni della tua virtù eroica.
45. O abile meditante, grazie all’autocontrollo, alla pace interiore e alla disciplina le afflizioni mentali sono state distrutte! Dopo aver domato la mente mutevole e turbata dagli oggetti dei sensi, hai agito a beneficio degli esseri con le qualità che possiedi, provando la gioia della contemplazione. Tali sono, o Sublime, gli effetti che la meditazione ha generato quaggiù.
46. Quando in passato tu eri un Ṛṣi dimorante nella gioia della contemplazione, gli uomini, rimasti privi di un sovrano, si rivolsero a te e ti consacrarono loro re. Tu hai mostrato loro le dieci azioni virtuose [14] e li hai stabiliti nella via di Brahmā. Dopo la loro morte sono tutti rinati nel reame di Brahmā.
47. Tu sei colui che meglio conosce le leggi del destino degli esseri in tutte le direzioni [15]. Di ciò che concerne i comportamenti umani, i linguaggi degli esseri, le loro facoltà; di ciò che riguarda la via, la disciplina, la mente, tu hai una conoscenza perfetta. O Figlio di re, è giunto per te il momento della rinuncia (alla famiglia).
48. Un tempo, o Distruttore delle tenebre, quando vedesti gli esseri immersi nelle false visioni, oppressi dalla vecchiaia, dalla morte, da infinite sofferenze di ogni sorta, tu hai fatto loro comprendere la realtà dell’esistenza e riportandoli con te nelle retta via hai prodotto per loro grandi benefici.
49. È in questo modo che molti Gāthā ricolmi di splendide qualità si potevano udire e, grazie al potere dei Vittoriosi esortavano l’eroe: Vedendo quaggiù gli esseri oppressi dalle sofferenze, non rimanere indifferente; per te, che possiedi la suprema sapienza, è giunto il momento di rinunciare (alla famiglia)!
50. Le donne, ricolme di gioia, vestono abiti splendenti, sono adorne di collane di perle e di ghirlande profumate di ogni sorta, nutrono pensieri d’amore e tenerezza; ma grazie al potere dei Vittoriosi dagli accordi degli strumenti musicali scaturiscono questi Gāthā che esortano l’Essere Supremo.
51. Ora è giunto per te il momento in vista del quale, al fine di aiutare gli esseri, nel corso di innumerevoli kalpa hai rinunciato a ciò a cui era difficile rinunciare, hai praticato perfettamente la via della virtù, la pazienza, lo sforzo entusiastico; (in vista del quale) ti sei dedicato alla contemplazione profonda e alla saggezza suprema; decidi prontamente di abbandonare la famiglia, o Guida, non tardare!
52. In passato hai rinunciato ad un prezioso tesoro, all’oro, all’argento, ai gioielli. A molti esseri hai elargito doni di ogni sorta; hai donato la tua sposa, tuo figlio, il tuo corpo, il tuo regno, la tua vita. In vista della suprema Saggezza, hai rinunciato senza alcuna limitazione a ciò che è difficile abbandonare.
53. Tu sei stato molte volte re, famoso per lo splendore delle tue azioni meritorie affatto piccole; tu che hai meditato sulla motivazione ultima, sei stato Nimiṁdhara, Nimi, Kṛṣṇabandhu, Brahmadatta, Keśarin, Sahasrajina [16], Dharmacinti, Arcimat e Dṛḍhadhanu, hai rinunciato a ciò a cui è difficile rinunciare in favore degli esseri sofferenti.  
54. Sei stato Sutasoma, Dīptavīrya e Puñyaraśmi, hai fatto grandi rinunce, sei stato ricolmo di forza e generosità; e tu, Saggio Re, dal corpo simile a Candra, eroe che accresci la verità, che ricerchi la buona parola e la consapevolezza, tu sei stato Sumati e Surata.
55. Tu sei stato Candraprabha, Viśeṣagāmin e Reṇu, il signore delle dieci direzioni, eroe di generosità, il re Kāśi dal diadema di perle, maestro di calma interiore. Questi ed altri re hanno rinunciato a ciò a cui è difficile rinunciare. Così come hai fatto cadere una pioggia di doni, versa la pioggia del Dharma!
56. Tu hai visto in passato Grandi Esseri numerosi quanto le sabbie della Gaṅgā [17]. Hai fatto ai Buddha innumerevoli e inimmaginabili offerte, per conseguire la suprema Saggezza al fine di liberare tutti gli esseri. Ecco, o Sublime, il momento è giunto: esci dalla splendida città.
57. In passato hai offerto fiori di śāl ad Amoghadarśi; per qualche istante hai contemplato Vairocana con la mente colma di devozione; hai fatto dono a Dundibhisvara di un frutto di mirabolano [18]; dopo aver visto Chandana, hai portato nella sua casa una fiaccola di erbe.
58. Avendo visto Reṇu che entrava nella città, lo hai cosparso con una manciata di polvere d’oro; quando hai visto Samantadarśi, gli hai reso omaggio a gran voce; hai elogiato Dharmeśvara che insegnava il Dharma dicendo: Ben fatto! Hai offerto con gioia una ghirlanda d’oro a Mahārciskandhi.
59. Hai donato una veste a Dharmadhvaja, a Nirodha una manciata di fave; a Jñānaketu hai offerto dei fiori di aśoka, a Sārathi una bevanda; a Ratnaśikhin hai fatto omaggio di una lampada, a Padmayoni di erbe medicinali, a Sarvābhibū di una collana di perle; a Sāgara hai donato fiori di loto (gialli).
60. A Padmagarbha hai donato un baldacchino, a Siṃha una tenda per la pioggia; hai offerto a Śālendrarāja del burro chiarificato, a Puṣpita del latte, a Yaśodatta dei fiori di kuruṇṭa, a Satyadarśi dei cibi preparati; ti sei prosternato di fronte a Jñānameru; hai donato una veste monastica a Nāgadatta.
61. (Hai donato) ad Atyuccagāmi il sandalo più fine; a Tyṣia una manciata di sale; a Mahāvyūha hai offerto dei loti gialli, a Raśmirāja pietre preziose, a Śākyamuni una manciata d’oro, a Indraketu delle lodi, a Sūryānanda degli orecchini, a Sumati un diadema d’oro.
62. A Nāgābhibhū hai donato una pietra preziosa, a Puṣya un tessuto bianco, a Bhaiṣajyarāja un prezioso parasole, a Siṃhaketu un trono, a Guṅāgradhāri una rete di gioielli, a Kāshyapa concerti di ogni sorta [19]. Ad Arciketu hai offerto fiori, sempre dai profumi più soavi.
63. Hai donato ad Akṣobhyarāja un palazzo a più piani, a Lokapūjita una ghirlanda. A Tagaraśikhi hai fatto dono del tuo reame, a Durjaya di profumi di ogni tipo. A Mahāpradīpa hai donato te stesso; a Padmottara ornamenti preziosi, a Dharmaketu fiori diversi, a Dipaṃkara loti blu.
64. In passato i Grandi Esseri sono stati onorati con questi doni ed altri ancora da te, che hai compiuto innumerevoli azioni meravigliose di ogni sorta. Ricorda i Buddha del passato e i Maestri a cui hai reso omaggio. Non dimenticare chi è privo di protezione ed è immerso nella sofferenza, esci dalla splendida città.
65. Quando hai visto Dipaṃkara hai conseguito la perfetta pazienza e conseguentemente hai ottenuto le cinque indistruttibili conoscenze superiori. Successivamente, nel corso di innumerevoli eoni, in ogni parte dell’universo hai reso omaggio ad un tale numero di Buddha che il pensiero stesso non potrebbe immaginare.
66. Innumerevoli kalpa sono stati da te attraversati, e quei Buddha sono entrati nel Nirvāṇa. Tutti i corpi che hai avuto, ed i loro nomi, dove sono andati? Ogni fenomeno è per sua natura perituro, nulla di ciò che è composto è durevole. Il desiderio, la regalità, i piaceri, sono impermanenti. Esci dalla splendida città.
67. La vecchiaia, la sofferenza, la malattia e la morte giungono terribili ed accompagnate da grande paura, come un fuoco dallo splendore tremendo e spaventoso alla fine di un kalpa. Ogni fenomeno giunge per sua natura al termine; nulla di ciò che è composto è durevole. Osserva gli esseri immersi nella sofferenza; esci, tu, dotato di sublimi qualità, compi la rinuncia.
68. Mentre la moltitudine delle donne con liuti, flauti ed altri strumenti musicali dilettava il Signore degli uomini comodamente disteso sul suo letto, i suoni degli strumenti facevano udire queste parole.
69. I tre mondi sono in fiamme a causa delle sofferenze della vecchiaia e della malattia; questo mondo privo di un protettore è consumato dal fuoco della morte; nessuno corre verso la liberazione; ogni essere, sconvolto, si agita come un’ape chiusa in un vaso.
70. I tre mondi sono mutevoli, simili alle nuvole d’autunno; la nascita e la morte degli esseri sono come scene teatrali. La vita degli esseri è breve e veloce come un torrente di montagna, come un fulmine nel cielo.
71. Sulla terra, nei reami divini e nei tre reami inferiori gli esseri sono condizionati dal desiderio di esistere e dall’ignoranza. A causa dell’ignoranza rinascono ciclicamente nelle cinque dimore, così come gira la ruota del vasaio [20].
72. A causa di forme belle ed attraenti, a causa di suoni melodiosi, a causa di odori e gusti gradevoli, a causa di delicate sensazioni tattili, questo mondo è costantemente avvolto nelle reti del tempo, come una scimmia impigliata nelle reti del cacciatore.
73. Accompagnati dai timori, accompagnati dai conflitti, cause costanti di inimicizie, gli oggetti del desiderio arrecano sofferenze e disperazione; simili alla lama della spada o ad una foglia velenosa, essi sono rigettati dagli esseri nobili come un vaso di escrementi. 
74. Gli oggetti del desiderio producono confusione ed oscurazioni nella mente, sono causa di paura; generano sempre le radici del dolore; sviluppando la pianta rampicante del desiderio di esistere, gli oggetti del desiderio sono accompagnati dal timore, accompagnati dal conflitto, sempre.
75. Come pozzi di fuoco che bruciano e fanno paura: ecco come gli esseri nobili vedono i desideri; simili ad una palude, alla lama di una spada, al filo di un rasoio spalmato di miele.
76. Come la testa di un serpente, come dei vasi di escrementi: ecco come i desideri appaiono ai saggi; simili a una fitta dolorosa [21], simili ad un fragile uccellino. Come le ossa per i cani, sono causa di conflitti.
77. Gli oggetti del desiderio sono simili alla luna nell’acqua; ad una immagine nello specchio; all’eco tra le montagne; sono visti dagli uomini virtuosi come delle illusioni, come una scena teatrale, come un sogno.
78. Gli oggetti del desiderio non durano che un istante; sono come una magia, un miraggio; sono illusori, simili ad una bolla nell’acqua e alla schiuma del mare; i saggi li riconoscono come prodotti dagli errori della mente.
79. All’inizio della sua esistenza, quando possiede un bel corpo, colui che si comporta come un bambino è amato, desiderato, ricercato. Quando la vecchiaia e la malattia hanno distrutto lo splendore del suo corpo, egli viene abbandonato, come le gazzelle abbandonano un fiume in secca.
80. Nel momento in cui colui che si comporta come un bambino, possedendo i tesori e i beni più preziosi, è potente grazie alle sua grandi ricchezze, allora è amato, desiderato, ricercato. Se costui perde la sua fortuna e cade in disgrazia, gli uomini lo abbandonano come un deserto vuoto.
81. Come un albero con i fiori e come un albero con i frutti, colui che si compiace nel donare agli uomini è da essi amato; ma se la sua ricchezza scompare, se, prostrato dalla vecchiaia, va mendicando, allora, come un avvoltoio, egli diviene ripugnante.
82. Le persone amano incontrare un uomo potente grazie ai suoi beni, di bell’aspetto, seducente. Ma se costui è oppresso dalla vecchiaia e dalla malattia, se ha perduto i suoi beni, allora egli è sgradevole come il signore della morte.
83. Gravato dalla vecchiaia, in quanto la sua giovinezza è passata, egli è come un albero schiantato dal fulmine; è orribile come una casa in rovina. Come sfuggire alla vecchiaia? Presto, dillo, o Muni!
84. La vecchiaia dissecca la moltitudine degli uomini e delle donne come la pianta mālu fa con un fitto bosco di śāl. La vecchiaia sottrae il coraggio, l’energia, il vigore, come se un uomo fosse caduto in una palude.
85. La vecchiaia trasforma la bellezza in bruttura; la vecchiaia porta sempre via la salute; la vecchiaia genera il disprezzo, causa la morte; la vecchiaia sottrae lo splendore, ruba la forza e la potenza.
86. Questo mondo è aggredito da centinaia di malattie e di sofferenze, come le gazzelle lo sono dal fuoco. Dopo aver visto il mondo dominato dalla vecchiaia e dalla malattia, come sfuggire alla vecchiaia? Presto, dunque, insegnalo!
87. Come d’inverno il vento freddo distrugge lo splendore dell’erba, dei rami degli alberi e delle piante medicinali nei boschi, così la vecchiaia con le sue numerose malattie porta via la bellezza; l’energia del corpo e le facoltà dei sensi sono distrutte.
88. Essa porta la fine e la rovina delle grandi ricchezze in argento e grano; la vecchiaia e la malattia generano costantemente la sofferenza; esse causano dolore e avversione verso ciò che è piacevole; bruciano, come il sole in cielo.
89. Esse portano con sé il momento della morte, della trasmigrazione, della rinascita; la separazione dai propri beni e dalle persone amate; e non c’è un ritorno, non c’è un arrivederci, come per la foglia e il frutto caduti dalla pianta, come per l’acqua del fiume.
90. La morte rende inermi i potenti; la morte trascina via come un fiume fa con una pianta; l’uomo se ne va da solo, senza alcun compagno, impotente, ma seguito dal frutto delle sue azioni.
91. La morte afferra le persone a centinaia, come in mare un makara [22] cattura una moltitudine di esseri; come un Garuḍa ghermisce un serpente, o come un elefante afferra il re degli animali; come il fuoco divora innumerevoli esseri, le erbe e le piante.
92. Ricorda il tuo voto di liberare il mondo dalle sofferenze che lo affliggono a centinaia, ricorda anche la tua promessa di portarlo a compimento. È giunto per te il momento di abbandonare il palazzo.
93. Mentre la moltitudine delle donne dilettava con gioia il grande Muni con gli strumenti, anche allora molti versi grazie al potere dei Sugata scaturivano da quella musica:
94. Tutto ciò che è composto trascorre veloce e dura un solo istante, come i fulmini in cielo. Ecco, il tempo è giunto: o Suvrata [23], è il momento di uscire dal palazzo!
95. Ciò che è composto non è permanente né stabile, è come un vaso d’argilla, fragile per natura; è come un bene preso a prestito, come un castello di sabbia, non dura a lungo.
96. Ciò che è composto è impermanente per natura, è portato via come un intonaco di fango nella stagione delle piogge, come la sponda sabbiosa di un fiume; poiché esso dipende da una causa ed è debole per sua natura.
97. I composti sono per loro natura come la fiammella di una lampada, nascono e si estinguono rapidamente; come il vento, non si fermano; come una bolla di schiuma, sono insostanziali e fragili.
98. I composti sono inerti e vuoti [24]; se li si esamina, sono simili al fusto del kadali [25]; sono simili ad una illusione magica; offuscano la mente come una mano vuota che trae in inganno un bambino.
99. Tutti i fenomeni composti originano da cause e condizioni [26]; tutti i fenomeni sono prodotti da cause e sono interdipendenti; gli ignoranti non lo comprendono.
100. Come l’erba valvaja dipende dall’erba munja per diventare una corda robusta, come un secchio in un pozzo è appeso ad un verricello, ogni cosa senza le altre non può adempiere alla sua funzione.
101. Così avviene per i dodici anelli dell’originazione dipendente. Tutti i fenomeni sono interdipendenti. Ad ogni cosa segue un’altra e non si può vedere dove una finisce e l’altra inizia [27].
102. Nello stesso modo, quando c’è un seme c’è un germoglio, benché il seme non sia il germoglio stesso. Se non c’è l’uno, nemmeno l’altro può essere. La natura autentica, che non è permanente, non conosce interruzioni.
103. I fattori di composizione nascono dall’ignoranza; i fattori di composizione non hanno reale esistenza. I composti e l’ignoranza stessa sono vuoti ed inerti per loro natura.
104. È grazie al sigillo che l’impronta si manifesta, ma il sigillo di per sé non trasferisce nulla. In questo senso i fattori di composizione sono al di là di annichilimento e permanenza [28].
105. Quando l’occhio si posa sulla forma, si genera la coscienza dell’occhio, ma la forma non dipende dall’occhio, né si ha passaggio dalla forma all’occhio.
106. Sebbene i fenomeni siano privi di un sé ed appaiano sgradevoli, gli esseri li percepiscono come provvisti di un sé e gradevoli. Sebbene si tratti di un errore e di una scorretta imputazione, la coscienza dell’occhio sorge da qui. 
107. Le coscienze cessano e rinascono. Il saggio ne vede chiaramente la produzione e la distruzione. Esse non vanno in alcun luogo e non provengono da alcun luogo. Lo Yogi percepisce le coscienze come vuote ed illusorie [29].
108. Nello stesso modo, il fuoco nasce dall’unione di tre elementi: il pezzo di legno che è sfregato, quello che è usato per sfregare e l’azione delle mani. Il fuoco nasce in dipendenza di cause e condizioni. Dopo che è nato ed ha svolto la sua funzione, ben presto si estingue.
109. Intanto il saggio riflette su questo: da dove è venuto, e dove va? Ma benché ricerchi in tutte le direzioni dello spazio, non trova né il punto di origine né quello di arrivo.
110. Le cause degli aggregati, dei fattori sensoriali e degli elementi sono l’ignoranza, il desiderio e il karma; il loro insieme è detto essere senziente, sebbene la loro realtà ultima sia vacuità.
111. I suoni delle sillabe sono generati dalla lingua sulla base della gola, delle labbra, del palato. Se essa non muove verso la gola né verso il palato, non può produrre separatamente alcun suono.
112. La parola nasce sulla base dell’insieme di tutti gli organi, grazie al potere dell’intelligenza della mente. La mente e la parola non possiedono una forma visibile, non possono essere trovate né interiormente né esteriormente.
113. Il saggio vede chiaramente l’origine e la cessazione della parola, della voce, del suono, del tono e come ogni parola non duri che un istante, come un’eco.
114. Avendo come base la corda, il legno e il movimento della mano, grazie all’unione di queste tre cose il suono nasce ed emerge dalla viṇā (liuto) e da altri melodiosi strumenti.
115. A quel punto un saggio può chiedersi riflettendo: Da dove è giunto, e dove va? Ma cercando in tutte le direzioni dello spazio, egli non trova né l’origine né la cessazione del suono.
116. In questo modo si manifestano tutti i fenomeni composti, fondandosi su cause e condizioni. Lo Yogi, osservando la reale natura dei fenomeni, riconosce che tutto ciò che è composto è vuoto e inerte.
117. Gli skanda, gli āyatana e i dhātu [30] sono vuoti all’interno e sono vuoti all’esterno. Essi sono privi di un sé e non hanno dimora. Ogni cosa è essenzialmente della natura dello spazio [31]. 
118. Tu hai compreso l’autentica natura dei fenomeni quando hai incontrato il Buddha Dipaṃkara; ciò che hai compreso, nello stesso modo portalo alla comprensione degli dei e degli uomini.
119. Il mondo è in fiamme a causa degli attaccamenti e delle avversioni, ma essi sono falsamente imputati, le oscurazioni non sono reali [32]. O Guida, dalle nubi della compassione fai scorrere le fresche acque della pace!
120. Ecco ciò che tu hai detto: Dopo aver autenticamente ottenuto la suprema Saggezza, raccoglierò una nobile ricchezza a favore degli esseri. O Saggio, è per questo che nel corso di milioni di kalpa hai praticato la generosità [33].
121. Ricorda le tue azioni del passato, il fine di quella nobile ricchezza. O Auriga degli uomini, non dimenticare i miseri, i poveri, i sofferenti. Riuniscili, grazie al più grande dei tesori.
122. Tu hai sempre perfettamente praticato la virtù. A motivo delle sofferenze degli esseri che si trovano nei reami inferiori, tu hai detto: Io mostrerò la porta suprema verso l’immortalità dello Svarga a milioni di esseri.
123. Ricorda le tue azioni del passato, chiudi le porte dei tre reami inferiori e apri la porta dell’immortalità dello Svarga; adempi ai voti di colui che è virtuoso.
124. Tu hai sempre perfettamente praticato la pazienza. Al fine di placare l’ira e la rabbia degli esseri, dopo aver fatto loro attraversare l’oceano dell’esistenza, li stabilirai nella gioia e nella pace priva di sofferenza.
125. Ricorda le tue azioni del passato: non abbandonare coloro che sono confusi dall’avversione, dal desiderio di fare del male e di nuocere, e non dimenticare neppure coloro che commettono azioni malvagie. Stabilisci questo mondo nella terra della pazienza.
126. Ricorda a qual fine hai praticato l’impegno entusiastico; dopo aver preparato il vascello del Dharma, dopo aver fatto condotto gli esseri al di là dell’oceano dell’esistenza, tu li stabilirai nella felicità e nella pace priva di sofferenza.
127. Ricorda le tue azioni del passato. Questo mondo è travolto da quattro fiumi; presto, tu che eccelli per la forza della tua energia, fai transitare sull’altra sponda gli esseri privi di una guida.
128. O Eroe, ricorda a qual fine hai praticato la concentrazione che distrugge le emozioni disturbanti. Tu hai detto: Porterò sul Nobile Sentiero gli esseri che sono confusi, le cui facoltà sono degradate, i cui pensieri sono simili a scimmie.
129. Ricorda le tue azioni del passato. Questo mondo è confuso a causa della rete delle emozioni disturbanti. Non abbandonare gli esseri tormentati dalle afflizioni, e stabiliscili nella concentrazione su un solo oggetto.
130. In passato hai perfettamente praticato la saggezza. Tu hai detto: Al mondo avviluppato nelle tenebre dell’ignoranza e della confusione io donerò l’occhio che mostra le centinaia di porte del Dharma e che permette la visione della verità.
131. Ricorda le tue azioni del passato. Agli esseri avvolti dalle tenebre dell’ignoranza e della confusione, dona la luce splendente della conoscenza suprema, l’occhio del Dharma, immacolato ed esente dalle passioni.
132. Questi furono i versi che si udirono, scaturiti dagli strumenti musicali e dai cori delle donne. Dopo averli ascoltati, l’apatia del Bodhisattva svanì e la sua mente si rivolse alla suprema e perfetta Saggezza.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva mentre si trovava negli appartamenti delle consorti non poteva evitare di ascoltare il Dharma, non poteva evitare di portare la mente verso il Dharma. Perché questo? Perché, o Monaci, da lungo tempo il Bodhisattva rendeva omaggio al Dharma e a coloro che predicavano il Dharma, praticava il Dharma con grande impegno; desiderava il Dharma; provava gioia nel Dharma; non era mai sazio della ricerca del Dharma ed esponeva il Dharma così come lo aveva ascoltato; era maestro senza pari nell’elargire i doni del Dharma; insegnava il Dharma in modo del tutto disinteressato; non era affatto avaro riguardo agli insegnamenti del Dharma; nell’insegnamento era del tutto disinteressato; praticava il Dharma così come lo insegnava; era coraggioso nella ricerca del Dharma; il Dharma era la sua dimora; il Dharma era la sua protezione; il Dharma era il suo rifugio; egli era un difensore del Dharma; avendo il Dharma come oggetto di meditazione aveva generato la pazienza, aveva praticato la perfetta saggezza, aveva sviluppato l’abilità nei mezzi.
Il Bodhisattva, o Monaci, mostrando una profonda conoscenza degli abili mezzi, agiva in conformità ai desideri di tutti coloro che vivevano negli appartamenti delle donne. Aveva agito secondo la venerabile via dei Bodhisattva del passato, i quali hanno completamente abbandonato il mondo pur agendo secondo le regole del mondo stesso. Pur avendo da tempo compreso le manchevolezze del desiderio, aveva manifestato la gioia della soddisfazione dei desideri dei sensi, al fine di portare gli esseri alla completa maturazione. Grazie al potere dell’accumulazione dei meriti, raccolti con l’illimitata radice della virtù, aveva manifestato un completo dominio sul mondo. Aveva manifestato la gioia della soddisfazione dei desideri che va al di là, per intensità e durata, di quella provata dagli dei e dagli uomini, generata da gradevoli forme, suoni, profumi, gusti e sensazioni tattili. Aveva manifestato il dominio della mente, grazie alla libertà dall’attaccamento alla soddisfazione del piacere sensuale. Grazie al potere dei voti del passato e all’accumulazione dei meriti maturati dalle radici della virtù, aveva portato alla completa maturazione coloro che erano suoi amici.
Mentre viveva negli appartamenti delle consorti, senza che la mente fosse turbata dalle emozioni mondane, ed attendeva il momento per portare a completa maturazione il potenziale degli esseri, il Bodhisattva ricordò completamente il suo voto del passato. Egli attualizzò il Buddha e il Dharma; rinsaldò la forza dei voti, manifestò la grande compassione verso gli esseri senzienti e assunse la loro completa liberazione quale prima determinazione. Ogni ricchezza è soggetta al cambiamento e alla cessazione, ecco ciò che egli vide in ogni cosa. Comprese che il mondo della trasmigrazione è soggetto a numerose calamità e innumerevoli paure. Spezzò le catene di Māra, si liberò egli stesso dai ceppi dell’esistenza ciclica e rivolse completamente il proprio spirito verso il nirvāṇa. 
Dal lontano passato, o Monaci, il Bodhisattva aveva compreso i difetti dell’esistenza ciclica. Attraverso una costante pratica non provava alcuna attrazione nei confronti dei fenomeni composti (saṃskṛta), né verso gli attaccamenti (upādāna) e l’ottenimento (parigraha). Il suo interesse era indirizzato al Buddhadharma. Egli era rivolto solo verso il nirvāṇa, volgendo le spalle al saṃsāra. Era felice di dimorare nel dominio dei Tathāgata, avendo abbandonato il reame di Māra. Avendo compreso le manchevolezze dell’esistenza ciclica e del Trāidhātuka (il trimundio) avvolto nelle fiamme, desiderava abbandonare tutto questo e liberarsi dai difetti del saṃsāra. Desiderava lo stato del monaco errante, e la sua mente era rivolta verso la rinuncia alla famiglia. Era determinato a vivere in solitudine, desiderava la solitudine, cercava la solitudine, ricercava i limiti della foresta e i luoghi solitari. Desiderava la pace dell’essere solo con se stesso.
Cercava di aiutare se stesso e gli altri, e la sua pratica era insuperabile per l’impegno eroico. Desiderava il bene di tutti gli esseri e di essere al loro servizio. Desiderava la loro felicità e la loro realizzazione. Provava compassione per gli esseri e voleva aiutarli. Dimorava stabilmente nell’amore, ricolmo di compassione, ed era abile nell’utilizzo delle attrattive per radunare gli esseri. La sua mente era costantemente stabile, ed era abile nel portare gli esseri verso la perfetta maturazione e nel guidarli. Provava verso ogni essere lo stesso amore che si prova per un figlio unico. Aveva praticato la perfetta rinuncia senza prestare attenzione agli oggetti dei desideri. Era felice di donare e di condividere i suoi beni. Aveva la mano costantemente aperta e donava con generosità. Aveva elargito offerte religiose. Aveva accumulato molti meriti e li custodiva con cura. Era libero da ogni difetto e dall’avarizia, e i suoi pensieri erano perfettamente controllatati. Nell’elargire doni era un maestro senza pari. Dopo aver donato non si aspettava alcuna ricompensa. La sua generosità era eroica, ed egli si ergeva contro il desiderio, la passione, la concupiscenza, l’avversione, la confusione, l’orgoglio, la fierezza, l’ignoranza, l’invidia, al fine di sottomettere le forze ostili delle emozioni disturbanti. Non cessava mai di progredire costantemente verso lo stato dell’onniscienza [34]. Era ben difeso dall’armatura della grande generosità. Era ricolmo di compassione nei confronti degli esseri e desiderava aiutarli. Il suo impegno era la sua corazza. Era concentrato sulla liberazione di tutti gli esseri. Il suo coraggio scaturiva dalla forza della grande compassione. Non ritornava mai sui suoi passi. Era assolutamente equanime nei confronti di tutti gli esseri, e la sua arma era la generosità. Esaudiva i desideri di tutti gli esseri. Era divenuto il grande vaso della Saggezza che realizza costantemente il Dharma. La sua motivazione di conseguire la Saggezza era giunta a (completa) maturazione. Il suo stendardo non era mai abbassato. La sua pratica della generosità era pura, non essendovi coinvolgimento con il soggetto, l’oggetto e l’azione del donare. Deteneva saldamente l’arma del fulmine della suprema saggezza [35]. Contrastava vittoriosamente le forze delle emozioni disturbanti. Il suo comportamento era virtuoso, aveva somma cura delle azioni di corpo, parola e mente ed era consapevole del pericolo insito in ogni minima azione scorretta. La sua disciplina era perfettamente pura. La sua mente era immacolata, priva di difetti, esente da ogni impurità. Le afflizioni che nascono dai discorsi negativi, dalle parole nocive, dal biasimo, dalle critiche, dal disprezzo, dalla sfiducia, dalle percosse, dalle minacce, dalle uccisioni, dalle catene, non turbavano il suo spirito, che era perfettamente stabile. Possedeva una grande pazienza, non aveva desideri nocivi, non recava danno ad alcuno, era completamente libero da aspirazioni insane.
Per andare in aiuto di tutti gli esseri sviluppava una grande energia. Era fermamente determinato. Non trascurava di praticare le radici delle virtù. Era consapevole e controllato. La sua mente non era distratta, e la sua meditazione su un solo punto era stabile. Era abile nell’analisi dei fenomeni. Aveva conseguito la chiarezza mentale ed era libero dalla confusione e dalle oscurazioni. La sua mente rifletteva costantemente sulla natura dell’impermanenza, della sofferenza, del non-sé, di ciò che è repulsivo. Il suo spirito era focalizzato sulla presenza consapevole, sul pensiero della perfetta rinuncia, sulle basi dei poteri sovrannaturali, sulle facoltà sensoriali, sui vari livelli del Risveglio, sul Sentiero, sulle Nobili Verità, sui fattori che conducono al Risveglio. La sua mente era purificata dalla pace interiore e dal discernimento. Aveva realizzato la verità dell’originazione dipendente. Avendo realizzato la verità, non faceva affidamento sugli altri. Aveva il dominio delle tre porte della completa liberazione [36]. Aveva realizzato l’autentica natura di tutti i fenomeni, che sono simili a un’illusione, a un miraggio, a un sogno, a una luna riflessa nell’acqua, a un’eco, a un lampo di luce.
Così dunque, o Monaci, il Bodhisattva per sua stessa natura dimorava in armonia con il Dharma. Così dimorava nella saggezza. Così dimorava impegnandosi nel beneficiare gli esseri senzienti. Sempre più esortato dai Gāthā che scaturivano dai canti e dai suoni degli strumenti musicali grazie alle benedizioni dei Buddha delle dieci direzioni dello spazio, in quel momento egli manifestò le quattro porte del Dharma al fine di condurre alla perfetta maturazione le donne del suo seguito, come avevano fatto tutti i Bodhisattva del passato giunti alla loro ultima esistenza.
Quali sono le quattro porte del Dharma?
La generosità, le parole gradevoli, l’insegnamento opportuno, la condotta conforme al Dharma. Questa è la prima porta del Dharma che egli manifestò, chiamata: la perfetta purezza nell’uso delle quattro attrattive.
La seconda porta del Dharma che manifestò è detta: lo stato irreversibile. Essa genera il potere dell’aspirazione ad una inesauribile onniscienza, e garantisce che le qualità dei Tre Gioielli sono custodite e non dissipate.
La terza porta del Dharma che manifestò è detta: porre la grande compassione nella pratica, con la motivazione di non abbandonare alcun essere senziente.
La quarta porta del Dharma che manifestò è detta: il grande schieramento. Essa genera la forza dell’accumulazione della saggezza, che stabilisce il significato delle diverse categorie relative a tutti i fattori del Risveglio.
Così il Bodhisattva manifestò le quattro porte del Dharma. Quindi, al fine di condurre alla perfetta maturazione tutte le consorti, egli produsse molti fenomeni sovrannaturali. Grazie al potere del Bodhisattva, le manifestazioni miracolose fecero sì che dai suoni degli strumenti musicali scaturissero centinaia di migliaia di porte del Dharma.
Per esempio queste:
133. Attraverso una profonda aspirazione nel cuore di ognuno e una sincera compassione verso gli esseri senzienti è generata la mente del supremo ed eccellente Risveglio. Questo furono le parole che scaturirono dagli strumenti musicali.
134. Fede, benevolenza, rispetto, dedizione, assenza di orgoglio, umiltà verso il maestro spirituale. Studio e ricerca sulla natura della virtù, pratica della consapevolezza. Ecco le parole che si manifestarono.
135. Generosità, controllo di sé, disciplina, condotta virtuosa, pazienza, diligenza; concentrazione, assorbimento meditativo; consapevolezza, abilità nei mezzi. Ecco le parole che si manifestarono.
136. Amore, compassione, gioia, equanimità, la più alta sapienza; le quattro attrattive per riunire i discepoli, la perfetta maturazione degli esseri. Ecco le parole che si manifestarono.
137. Le quattro applicazioni della consapevolezza, i quattro puri abbandoni, le quattro basi dei poteri miracolosi, le cinque facoltà, le cinque forze e i rami dell’Illuminazione. Ecco le parole che scaturirono dagli strumenti musicali.
138. I rami dell’Ottuplice Sentiero [37], la pace interiore, la discriminazione, l’impermanenza, la sofferenza, l’assenza di un sé, la contemplazione di ciò che è repulsivo [38]. Ecco le parole che scaturirono dagli strumenti musicali.
139. Libertà dagli attaccamenti, solitudine, conoscenza dell’estinzione, non-nascita, cessazione, impermanenza, Nirvāṇa. Ecco le parole che scaturirono dagli strumenti musicali.
140. Queste furono le parole che scaturirono dagli strumenti musicali grazie al potere di colui che è un Bodhisattva perfettamente realizzato. Dopo averle udite, le sue incantevoli consorti le impararono e pregarono il Nobile e Perfetto Essere di ricercare il Risveglio.
Così, o Monaci, grazie al Bodhisattva che dimorava negli appartamenti femminili, le sue ottantaquattromila consorti pervennero alla completa maturazione verso il conseguimento del Risveglio perfetto e compiuto, insieme a centinaia di migliaia di dei che si erano là riuniti.
Al tempo dell’uscita del Bodhisattva dal palazzo del padre, in una notte serena, un figlio degli dei Tuṣitakāyika, Hrīdeva, accompagnato da trentaduemila figli degli dei, giunse colà per una visita in merito all’insuperabile e perfetto Risveglio del Bodhisattva. Gli si rivolse con questi versi:
141. Hai manifestato la cessazione, o Glorioso! Hai anche manifestato la nascita, o Leone degli uomini! Per istruire la moltitudine delle consorti, hai agito in armonia con i costumi del mondo.
142. Hai condotto a maturazione un gran numero di esseri nel mondo degli uomini. Ora è giunto il momento: considera la tua determinazione di rinunciare alla famiglia.
143. Poiché colui che è incatenato non può liberare gli altri ed un uomo cieco non può mostrare la via; colui che è libero può liberare, e colui che vede può indicare la via.
144. Gli esseri che sono schiavi del desiderio, attaccati alla loro casa, ai loro beni, ai loro figli, alle loro mogli, quegli esseri, quando sono da te istruiti, possono generare la determinazione di rinunciare alla famiglia.
145. Tu hai rinunciato al regno, ai giochi dell’amore, ai sette tesori nei quattro continenti; quando avrà saputo che tu hai rinunciato a tutto questo, il mondo degli dei e degli uomini vorrà agire nello stesso modo.
146. Non provi piacere negli oggetti del desiderio, e dimori nella gioia della contemplazione. Risveglia dunque le centinaia di dei e di uomini da lungo tempo immersi nel sonno!
147. La giovinezza passa presto, come un torrente di montagna veloce ed impetuoso. Una volta trascorsa la giovinezza, il pensiero di abbandonare la famiglia non ha più attrattiva.
148. Per questo, adempi ora alla tua promessa, mentre sei giovane e nel pieno delle forze, esci dalla famiglia e agisci in favore della moltitudine degli dei.
149. Non ci si può soddisfare con gli oggetti del desiderio, così come non ci si può dissetare con l’acqua del mare. Sono invece soddisfatti coloro che possiedono la saggezza, gli immacolati nobili esseri che hanno trasceso il mondo.
150. Tu, qui, sei il beneamato che rallegra il cuore del re Śuddhodana e delle genti del regno; tu, il cui viso è simile ad un loto dai cento petali, considera ora la tua determinazione di rinunciare alla famiglia.
151. Gli esseri soffrono a causa delle torture ardenti delle emozioni disturbanti. Sono privi di rifugio, imprigionati da robuste catene. Presto, o Eroe, stabiliscili nella pace, sulla via della completa liberazione!
152. Tu, che sei abile nell’arte della medicina, stabilisci presto nella gioia del Nirvāṇa gli esseri che da lungo tempo soffrono e sono vittime delle malattie, dispensando loro la medicina del Dharma.
153. Gli esseri sono ciechi nelle tenebre del loro torpore e avviluppati nella rete delle visioni erronee. Tu sei l’occhio degli dei e degli uomini, presto dunque, fa’ risplendere la luce della saggezza [39].
154. In gran numero gli dei, gli Asura, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva guardano a te con fiducia. (Essi pensano:) Noi potremo vedere colui che ha conseguito il Risveglio, potremo ascoltare il supremo Dharma!
155. Il re dei Nāga vedrà la sua dimora illuminata dal tuo splendore; farà infinite offerte. Esaudisci i suoi voti e le sue speranze!
156. Ai piedi dell’albero Bodhi la tua mente diverrà perfetta, e noi ci presenteremo innanzi a te con i quattro vasi dell’offerta [40]. Questo dicono i Quattro Guardiani del Mondo che ti stanno attendendo con le loro schiere.
157. Anche Brahmā, che dimora nella pace, il cui parlare è dolce, il compassionevole, ti attende. Pregherò il Signore degli uomini affinché faccia girare la ruota del supremo Dharma! Questo è il suo pensiero.
158. Gli dei che venerano il Risveglio sono tutti presenti nel Bodhimaṇḍa [41]. Essi ti attendono pensando: Noi saremo testimoni del suo Risveglio.
159. È vero che i Bodhisattva rendono manifesta la loro presenza tra le consorti. Tuttavia, tu devi essere avanti, non essere da meno rispetto a loro!
160. Ricorda la dolce voce e le soavi parole di Dipaṃkara quando fece la sua profezia: fai udire ora il suono della voce del Vittorioso, di quella voce che è autentica e veritiera.

Capitolo intitolato: Esortazione, il tredicesimo.

  
NdT


[1] Le qualità di un Buddha. Cfr. la voce Buddha in: Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 79 e seg.
[2] Secondo il Mahāyāna il Buddha espose tre cicli di insegnamenti (i tre avvii della Ruota del Dharma): a Sārnāth le Quattro Nobili Verità; a Rājagṛha il ciclo della Prajnāpāramitā; a Vaiśālī e altrove gli insegnamenti sull’aspetto luminoso della mente, sull’ālayavijñāna, sul tathāgarbha ecc. – Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 612.
[3] La traduzione del pensiero degli dei è dubbia. È certo che gli esseri celesti sono preoccupati dal fatto che Sarvārthasiddha stia prolungando la sua permanenza nel palazzo. Secondo la versione dal tibetano, essi temono anche che il Bodhisattva divenuto un Buddha rimanga solo, in quanto gli esseri da lui preparati nelle sue esistenze precedenti sono nel frattempo scomparsi (ne peut-il pas arriver qu’il reste seul?). La versione di De Foucaux, se tradotta alla lettera o quasi, porta ad un testo piuttosto confuso.
[4] De Foucaux traduce con le temps de s’emparer (des esprits), alla lettera: il momento di conquistare gli animi. Uscendo quindi dal palazzo paterno.
[5] Il brano da “O Monaci, il Bodhisattva per un tempo molto lungo…” fino a “varcare la porta del Dharma” fa parte probabilmente del discorso degli dei, anche se non pare coerente che essi si rivolgano ai monaci, che stanno ascoltando la narrazione di Ānanda. 
Secondo De Foucaux le porte del Dharma (et toutes les autres semblables portes de la loi) sarebbero, come le voci e gli strumenti musicali, mezzi per esortare il Bodhisattva. La versione inglese, che seguo, è migliore.
[6] Si riferisce alla vicenda del re Sibi, una delle precedenti esistenze del Bodhisattva. Cfr. la nota 34 al cap. V.
[7] Il nome significa uccello dai begli occhi. Si tratta del beccaccino dorato.
[8] La traduzione inglese attribuisce alle consorti le qualità che secondo De Foucaux sono del Bodhisattva.
[9] Manteniamo in tutta la sezione in versi i tempi dei verbi così come tradotti da De Foucaux, anche se in alcuni versi è utilizzato il presente e in altri il passato.
[10] A Bodhgayā, dove è tuttora venerato il ficus religiosa sotto cui il Bodhisattva conseguì il Risveglio.
[11] Molti dei Gāthā successivi fanno riferimento, in maniera estremamente sintetica, a racconti delle vite passate del Buddha, i Jātaka, storie di nascita, molto popolari in tutta l’Asia, che diedero origine a capolavori della letteratura orientale e ne ispirarono anche la pittura, la scultura e il teatro. Si vedano tra gli altri: Āryaśūra, Le vite passate del Buddha, Ed. Ubaldini e E.W. Burlingame, Parabole buddhiste, Ed. Laterza.
[12] Nel cap. VI del Sūtra del Loto il Buddha predice che il monaco Subhūti diverrà il “Buddha perfetto Śaśiketu (Splendore di Luna)”. Cfr. L. Meazza (trad. di), Sūtra del Loto, Ed. BUR, pag. 164.
[13] Traduco dal testo inglese like a female yak that protects her calf. Nella versione di De Foucaux si legge un improponibile comme la femelle du yak conserve sa queue, ovvero la coda. Anche se è pur vero che il vitello sta costantemente dietro alla madre…
[14] Si veda il cap. II, nota 17. La traduzione ricalca qui la versione inglese, che attribuisce al Bodhisattva la conoscenza delle dieci azioni virtuose. La traduzione francese le indica invece come qualità già possedute dagli uomini (les créatures douées des dix vertus), il che rende poco chiaro il ruolo svolto in questo caso dal Bodhisattva.
[15] La versione di De Foucaux parla, molto riduttivamente, di conoscenza da parte del Bodhisattva dei punti dello spazio e di quelli intermedi.
[16] Sahasrayajña nella versione inglese.
[17] Dal rapido corso. Nome corretto del fiume Gange e della sua personificazione come dea. Traduco il francese la collection des étres con Grandi Esseri, facendo riferimento quindi ai Tathāgata del passato incontrati dal Bodhisattva nelle sue esistenze precedenti (di cui si parla nei Gāthā successivi), e non genericamente agli esseri viventi.
[18] Il mirabolano riveste un ruolo centrale nelle medicine tradizionali.
[19] Secondo la versione inglese si tratta di strumenti musicali.
[20] Alla lettera: Sulla terra e nei regni degli dei le creature si trovano nelle vie delle tre condizioni inferiori, in potere dell’esistenza (ciclica) del desiderio e dell’ignoranza. Gli ignoranti ruotano nelle cinque vie, come gira la ruota del vasaio. In genere si parla di sei dimore (Deva, Asura, uomini, animali, spiriti famelici, esseri infernali), ma spesso Deva e Asura vengono considerati un unico reame. I reami inferiori sono quelli degli animali, degli spiriti famelici e degli inferni. Quanto al desiderio di esistere, si ricordi il Sūtra della messa in moto della Ruota del Dharma: “Esiste la brama per il godimento degli oggetti dei sensi, la brama per l’esistenza e la brama per la non-esistenza”. In: I discorsi del Buddha, Ed. Oscar Mondadori, pag. 4.
[21] La similitudine con la fitta di dolore traduce il francese pal, la tortura dell’impalamento. La successiva fa riferimento alla fragilità, quindi all’inconsistenza del desiderio.
[22] Una figura mitologica indiana, simile ad un coccodrillo o a un drago acquatico. È il vāhana (veicolo) di Varuṇa, dio delle acque terrestri e celesti, e di Ganga.
[23] Virtuoso, persona sinceramente religiosa.
[24] Ovvero privi di esistenza intrinseca, il che non significa non-esistenti.
[25] Musa sapientum, ovvero il banano. Il fusto del banano è simbolo di insostanzialità, in quanto esso è in realtà una falsa struttura, formata dalle sue foglie. Togliendo le foglie non resta più nulla. Si veda E. Conze, Il pensiero del buddhismo indiano, Ed. Mediterranee, pag. 224.
[26] De Foucaux le definisce causes premières et secondes.
[27] La traduzione del sūtra da questo punto in poi, dato il carattere espressamente dottrinale del capitolo, si baserà sia sulla versione francese sia su quella inglese, nel tentativo di rendere l’esposizione il più chiara possibile.
[28] Nel n. 104 la versione inglese riporta anche queste parole: [Il sigillo] non è nell’impronta, ma non è nemmeno altrove. L’ultimo periodo nella versione francese recita: Benché non siano permanenti, i composti non hanno interruzione.
[29] È interessante notare che De Foucaux dice qui che lo Yogi (ovvero il saggio, o, nella versione inglese, il praticante) vede le vide, il vuoto, e aggiunge tra parentesi l’éther, l’etere, identificando la nozione di vacuità con il quinto elemento, estremamente sottile, presente in ogni parte dell’Universo. Non è evidentemente la vacuità di cui si parla nel Buddhismo (Śūnyatā): infatti, qualsiasi cosa si intenda con il termine etere, la sua reale natura sarebbe comunque vacuità, poiché la vacuità non è un qualcosa e non è nemmeno il nulla, bensì è l’autentica natura delle cose; questo è comunque un esempio significativo sia di una errata comprensione della vacuità, sia di quell’horror vacui che ha contraddistinto gran parte della cultura occidentale.
[30] Rispettivamente:
- i cinque aggregati (i cinque elementi condizionati che formano un essere: le forme, le sensazioni, le percezioni, le formazioni della volizione, la coscienza);
- le dodici basi dei processi mentali (le sei sorgenti interne: l’occhio, l’orecchio ecc. più la sorgente mentale; le sei sorgenti esterne: le forme, i suoni ecc. più gli oggetti e i fenomeni mentali);
- i diciotto elementi (le cause, il potenziale di ogni cosa, gli elementi portatori delle relazioni di causa-effetto).
Si vedano le voci corrispondenti in: Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, cit.
[31] Ovvero vuota. Qui la versione francese recita: la loi a… la nature de l’éther. A parte il termine etere, di cui si è detto sopra, si nota che il traduttore ha usato il termine loi, legge, che solitamente traduce il sanscrito dharma, quando è usato nel senso di insegnamento. Ma in questo caso dharma indica i fenomeni, come ben compreso nella versione inglese, che traduce con everything, ogni cosa.
[32] In questo caso la sola traduzione dal francese porterebbe ad un grave errore di comprensione: secondo De Foucaux, il mondo è in fiamme par des désirs e des haines opposés et considérés comme n’existant pas, cioè a causa degli attaccamenti e delle avversioni opposte viste come non esistenti! Al contrario, è proprio il fatto di considerare gli attaccamenti e le avversioni come esistenti di per sé (in questo consiste l’ignoranza-avidya) a causare le sofferenze!
[33] A partire dal Gāthā n. 120, e fino al n. 131, vengono ancora una volta ricordate le sei pāramitā, le virtù trascendenti che costituiscono il cuore della via del Bodhisattva: il dono, l’etica, la pazienza, l’impegno entusiastico, la concentrazione, la saggezza.
[34] Sul significato di onniscienza nell’ambito del Buddhismo si veda il già citato Dizionario del Buddhismo a pag. 433.
[35] Vajra, il fulmine-diamante, simbolo dell’indistruttibilità dell’Illuminazione.
[36] Corpo, parola e mente.
[37] Gli elementi elencati nella stanza 137 e il primo della stanza 138 costituiscono nel loro insieme i trentasette ausiliari dell’Illuminazione, ovvero i fattori necessari per conseguire il Risveglio. Nel dettaglio sono:
- le quattro attenzioni, rivolte al corpo, alle sensazioni, alla mente, agli oggetti mentali;
- i quattro puri abbandoni, o retti sforzi: abbandono degli atti non virtuosi già prodotti e non ancora prodotti; accrescimento degli atti virtuosi già prodotti; sviluppo degli atti virtuosi non prodotti;
- le quattro basi, o membra miracolose: aspirazione, perseveranza, stabilità della mente su un punto, analisi;
- i cinque poteri: fede, energia attenzione, raccoglimento, conoscenza superiore;
- le cinque forze o capacità: sono un ulteriore sviluppo dei cinque poteri;
- i sette fattori o rami dell’Illuminazione: attenzione, discernimento delle dottrine, energia perseverante, gioia, agio, raccoglimento, equanimità;
- l’Ottuplice Sentiero (ovvero la Quarta Nobile Verità): retto punto di vista, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di esistenza, retto impegno, retta attenzione, retto raccoglimento.
Si veda il Dizionario del Buddhismo alla pag. 695 e seg.
[38] Paṭikūlamanasikāra, ovvero la contemplazione del carattere ripugnante delle parti del corpo.
[39] La versione di De Foucaux recita qui: Essi sono del tutto ciechi e privi di occhi, avviluppati nella rete delle visioni erronee; tu, che possiedi la lanterna della saggezza, purifica presto l’occhio degli dei e degli uomini. Il senso profondo della stanza – almeno in questo caso – rimane lo stesso, ma la traduzione inglese è comunque più coerente e lineare: del tutto ciechi e senza occhi è infatti un’inutile ripetizione, e il fatto che il Bodhisattva possieda la lanterna della saggezza non cambia, rimanendo all’interno della metafora, lo stato di chi è privo di occhi.
Più volte, anche in altri testi, è detto che il Buddha possiede l’occhio del Dharma. Si legge nel Denkoroku (è il Buddha che parla): “Io posseggo il tesoro dell’occhio della verità, la mente ineffabile del nirvāṇa. Li consegno a Kāshyapa”. In: Keizan, Lo Zen nell’arte dell’illuminazione – La trasmissione della luce, Ed. Ubaldini, pag. 24.
[40] Il vaso (kalaśa) è uno degli otto simboli favorevoli del Buddhismo, ed è utilizzato nei rituali tantrici. “A livello spirituale viene spesso associato al possesso di poteri sovranormali”. Si veda: Dagyab Rinpoche, Simboli buddhisti e cultura tibetana, Ed. Arkeios, pag. 38.
[41] Il luogo del Risveglio.

Il Bodhisattva tra le consorti





Capitolo quattordicesimo 

Sogni

Il re vede in sogno il Bodhisattva, circondato da una moltitudine di Deva, che diviene monaco. Reso inquieto dal sogno fa sorvegliare il palazzo del figlio da cinquecento uomini. – Visita del Bodhisattva al parco del palazzo. Incontra un uomo vecchio e malandato. – Sue domande sulla vecchiaia. Seconda visita al parco. – Incontro con un malato. Riflessioni sulla malattia. – Terza visita al parco. – Incontro con un morto. Riflessioni del Bodhisattva sulle miserie umane. Egli assume l’impegno di liberare l’umanità. – Quarta visita al parco. – Incontro con un monaco. – Vedendo la calma di quell’uomo il Bodhisattva si ripromette di seguire il suo esempio e di impegnarsi per aiutare gli esseri. – Intanto il re, venuto a conoscenza degli incontri del figlio, ordina di sorvegliarlo strettamente. – Nello stesso tempo raccomanda di distrarlo con ogni mezzo. – Sogno di Gopā, nel quale ella vede il mondo nel caos. Si sveglia spaventata e interroga il suo sposo, il quale la rassicura spiegandole il suo sogno.

Ecco, o Monaci, ciò che apparve in sogno al re Śuddhodana mentre il Bodhisattva veniva esortato dal figlio di un dio. Il re Śuddhodana dormiente vide in sogno il Bodhisattva che nel silenzio della notte usciva dal palazzo, circondato da una schiera di dei; e vide che dopo esserne uscito riceveva l’ordinazione monastica, indossando una veste color ocra. Risvegliatosi, interrogò in fretta un cortigiano: Il mio giovane principe si trova negli appartamenti delle consorti?
Questi rispose: Sì, Maestà.
Ma poi, quando il re entrò negli appartamenti delle donne, la freccia della tristezza entrò nel suo cuore: Certo il giovane principe lascerà il palazzo, poiché si sono manifestati questi segni premonitori. E ancora: No, il giovane principe non dovrà recarsi nei giardini del palazzo! Se sarà convenientemente rallegrato dalle sue consorti, troverà qui il suo piacere e non abbandonerà la famiglia.
Allora il re Śuddhodana fece costruire tre palazzi: per la stagione estiva, per quella delle piogge e per l’inverno, affinché il Bodhisattva vi potesse dimorare felicemente. Il palazzo estivo era veramente fresco, quello della stagione delle piogge era sia caldo che fresco e quello invernale era caldo in modo naturale. Sulle scale di ognuno dei palazzi erano disposte cinquecento guardie, il cui rumore poteva essere udito fino ad una distanza di mezzo yojana. Tutti pensavano: Il giovane principe non potrà uscire dal palazzo senza essere visto.
Coloro che conoscono i segni [1] avevano predetto: Il giovane principe uscirà attraverso la Porta dei Buoni Auspici.
Il re fece quindi costruire dei grandi battenti per la Porta dei Buoni Auspici. Per aprire o chiudere ogni battente erano necessari cinquecento uomini, il cui rumore si poteva udire fino ad una distanza di mezzo yojana. In quei luoghi il giovane principe poteva provare incomparabili piaceri, mentre le giovani consorti lo intrattenevano incessantemente con i loro canti, le musiche e le danze.
Ciononostante, o Monaci, il Bodhisattva disse al suo auriga: Presto, auriga, prepara il carro; andrò nel parco del palazzo.
Il cocchiere, presentatosi dinanzi al re Śuddhodana, così gli parlò: Maestà, il giovane principe uscirà per recarsi nel parco del palazzo.
Il re pensò: Il giovane principe non è mai uscito con me per visitare i bei giardini del palazzo. Potrei farlo uscire io stesso per recarvisi; in tal modo il giovane, circondato dalle consorti, ne trarrà piacere e non abbandonerà il palazzo.
A causa del suo amore e del suo grande rispetto per il Bodhisattva, il re Śuddhodana fece annunciare in città al suono delle campane: Tra sette giorni il giovane principe uscirà per recarsi a visitare il bel parco del palazzo. Da parte vostra dovrete allontanare da quel luogo tutto ciò che può essere sgradevole! Il giovane non vi dovrà vedere nulla di spiacevole, e vi dovrà essere portato tutto ciò che può arrecargli piacere.
Nei sette giorni successivi tutta la città fu addobbata, e il parco del palazzo fu abbellito con tessuti di vari colori, con tendaggi sospesi, parasole, stendardi e bandiere. La strada lungo la quale il Bodhisattva avanzava era stata ben irrorata con acqua aromatizzata e cosparsa di fiori freschi, profumata con incensieri dove bruciavano essenze di ogni tipo; era adorna di vasi ricolmi e di piante kadali [2], tappezzata di stoffe di vari colori, di reti di campanelle preziose, di corone di perle grandi e piccole. Un esercito composto da quattro divisioni di soldati fu perfettamente schierato, e i cortigiani si incaricarono di adornare le consorti del principe. Ma quando il Bodhisattva, uscendo in pompa magna dalla porta orientale della città, si diresse verso il parco del palazzo, in quello stesso istante grazie al potere del Bodhisattva stesso apparve sulla strada un uomo vecchio, decrepito, cadente, con le vene in evidenza sul corpo, i denti dondolanti, il corpo rugoso, i capelli grigi, piegato, ricurvo come la trave di un tetto, abbattuto, poggiato su un bastone; la giovinezza era fuggita da lui, la sua bocca emetteva solo parole disarticolate, il suo corpo pencolava in avanti appoggiandosi ad un bastone e tremava in ogni sua parte.
Il Bodhisattva vedendolo chiese al suo auriga:
1. Auriga, chi è quest’uomo debole, privo di forza, con le carni e il sangue disseccati, i muscoli attaccati alla pelle? Il suo capo è bianco, i denti dondolanti, il corpo e le membra smagriti, cammina con fatica, incespicando, appoggiato ad un bastone.
L’auriga rispose:
2. In verità, mio Signore, quest’uomo a causa della vecchiaia ha il corpo indebolito, è dolorante e privo di forza e di energia; è disprezzato dagli uomini e dalla sua famiglia, è privo di protezione; incapace di agire, è emarginato nella foresta, come un pezzo di legno.
Il Bodhisattva replicò:
3. Dimmi, questa è una regola della sua famiglia? Oppure, in verità, è la condizione di tutti gli esseri umani? Presto, dimmi come stanno le cose; dopo aver saputo la verità, rifletterò su di essa, a partire dalle cause.
L’auriga disse:
4. O Signore, non è né una regola della sua famiglia né una legge del regno. La vecchiaia porta via la giovinezza di tutti gli esseri. Vostra madre, vostro padre, tutti i vostri parenti e i vostri amici diverranno vecchi. Non c’è altra via per nessun essere.
Il Bodhisattva esclamò:
5. Quale sventura, auriga, per quell’essere ignorante e debole la cui mente offuscata dall’orgoglio della giovinezza non vede la vecchiaia! Gira subito il carro, voglio rientrare. Che importa dei giochi e dei piaceri, a me che sono la (futura) dimora della vecchiaia!
Così il Bodhisattva girò il meraviglioso carro e ritornò (nella città).
O Monaci, in un’altra occasione il Bodhisattva uscendo dalla porta meridionale [3] per recarsi con un grande seguito nel parco del palazzo scorse lungo la strada un uomo colpito dalla malattia, febbricitante, indebolito, sporco dei suoi stessi escrementi, privo di protezione, di riparo, dal respiro flebile. Dopo averlo visto, il Bodhisattva chiese all’auriga:
6. Auriga, che è quest’uomo dal corpo dolorante e livido, i cui sensi sono tutti indeboliti, che respira a fatica, il cui ventre è gonfio e sofferente, e che è sporco dei suoi stessi escrementi?
L’auriga rispose:
7. Quell’uomo, Signore, è allo stremo delle forze; è afflitto dal terrore della malattia; è giunto alla soglia della morte. Privo della salute e della bellezza, del tutto senza energia, senza protezione, senza rifugio, senza conforto, non ha più alcun amico.
Il Bodhisattva replicò:
8. La salute è dunque come un sogno illusorio! E la paura della malattia ha quindi questo terribile aspetto! Quale uomo saggio, dopo aver visto una tale condizione d’esistenza, potrebbe provare il desiderio della gioia e del piacere?
Così il Bodhisattva girò il meraviglioso carro e ritornò nella splendida città.
O Monaci, in un’altra occasione il Bodhisattva uscendo dalla porta occidentale per recarsi con un grande seguito nel parco del palazzo scorse un uomo morto, deposto su una lettiga ricoperta da un telo, circondato dal gruppo dei suoi parenti che piangevano, si lamentavano, gemevano; mentre lo seguivano con i capelli sciolti si coprivano il capo di polvere e si battevano il petto.
Dopo averlo visto, il Bodhisattva chiese all’auriga:
9. Auriga, chi è quell’uomo disteso su una lettiga? Chi sono quegli uomini che con i capelli sparsi e ricoprendosi il capo di polvere rimangono intorno a lui, battendosi il petto ed emettendo ogni sorta di lamenti?
L’auriga rispose:
10. O Signore, quest’uomo che è morto nel Jambudvīpa non vedrà più sua madre, suo padre, i suoi figli, la sua sposa. Dopo aver abbandonato i suoi beni e la sua casa, sua madre, suo padre, tutti i parenti e gli amici, è andato in un altro mondo, e non vedrà più i suoi cari.
Il Bodhisattva esclamò:
11. Quale sventura la giovinezza corrosa dalla vecchiaia! Quale sventura la salute, che malattie di ogni tipo distruggono! Quale sventura la vita dell’uomo, che non dura a lungo! Quale sventura le fascinazioni del piacere, che seducono lo spirito del saggio!
12. Anche se non ci fossero né vecchiaia né malattia né morte, i cinque aggregati sarebbero comunque soggetti a grandi sofferenze! Che dire poi della vecchiaia, della malattia e della morte, che sono costantemente legate l’una all’altra? Ebbene, dopo essere tornati io rifletterò su come liberarsene!
Quindi, o Monaci, girato il bel carro, il Bodhisattva subito rientrò nella città.
O Monaci, in un’altra occasione ancora, mentre il Bodhisattva attraverso la porta settentrionale della città si dirigeva verso il giardino del palazzo, grazie al suo stesso potere i figli degli dei fecero apparire lungo la strada la figura di un monaco. Il Bodhisattva vide quel monaco, sereno, composto, discreto, puro; non muoveva gli occhi da una parte e dall’altra, il suo sguardo non andava al di là della distanza di un paio di metri [4], il suo portamento era dignitoso, piacevole a vedersi; il suo passo era gradevole, mentre osservava la strada avanti a sé oppure a destra o a sinistra; ugualmente piacevoli erano la maniera di piegare o allungare le membra, la veste monastica e la ciotola per le offerte.
Avendolo visto, il Bodhisattva rivolse all’auriga queste parole:
13. Auriga, chi è quell’uomo calmo, dallo spirito sereno, che cammina con gli occhi bassi, guardando a non più di un paio di metri, che indossa una veste color ocra e il cui portamento è perfettamente composto? Porta con sé una ciotola per l’elemosina e non è né orgoglioso né altero.
L’auriga rispose:
14. O Signore, egli è uno di coloro che sono chiamati bhikṣu [5]. Avendo abbandonato i piaceri dei sensi, egli ha una condotta perfetta, disciplinata. È divenuto un monaco errante e ricerca la pace interiore. Libero dall’attaccamento e dall’avversione, vive di elemosine.
Il Bodhisattva disse:
15. Ben detto, è una buona cosa, e la condivido. In effetti l’intraprendere una via spirituale è sempre stato lodato dai saggi; in essa si trova ciò che è di giovamento per sé e per gli altri esseri, una vita felice, il cui frutto è il dolce nettare dell’amṛta.
Quindi, girato il bel carro, il Bodhisattva subito rientrò nella più bella delle città.
O Monaci, non appena ebbe saputo che il Bodhisattva aveva ricevuto tali sollecitazioni, il re Śuddhodana fece erigere un gran numero di recinzioni per sorvegliarlo bene. Fece scavare dei fossati e costruire solide porte, esortò i suoi validi soldati, fece loro indossare le armature e fece preparare i carri. Al fine di sorvegliare il Bodhisattva, pose a guardia dei crocicchi e delle quattro porte della città quattro divisioni di soldati, dicendo: Fino a quando sarà controllato giorno e notte il Bodhisattva non uscirà dal palazzo! 
Negli appartamenti delle consorti impartì questi ordini: Non interrompete nemmeno per un istante la musica e i canti; tutti i piaceri e gli svaghi devono continuare incessantemente. Mettete in pratica tutti gli strumenti di seduzione delle donne, soggiogate il giovane principe in modo tale che avendo la mente ammaliata non provi il desiderio di ricevere l’ordinazione monastica.
Così è detto:
16. Alle porte sono stati piazzati uomini che amano il combattimento e che cingono le spade o altre armi; elefanti, cavalli, carri sono anch’essi colà, come pure altri uomini che indossano armature, sul dorso di una fila di elefanti. Sono stati scavati dei fossati e sono state costruite grandi mura di cinta con archivolti; sono state installate solide porte, il cui rumore si può udire fino alla distanza di un krośa.
17. Tutti i soldati degli Śākya, attenti, fanno la guardia notte e giorno; il forte rumore di quel grande esercito riecheggia ovunque. I cittadini, turbati, sono pervasi dal timore: Che il Puro Essere non esca da qui! Che il discendente degli Śākya non parta! Che questa stirpe di re non si interrompa!
18. Le giovani consorti ricevono questi ordini: Non interrompete mai i canti! Siate sempre con lui! Incatenate il suo cuore con i vostri giochi e i piaceri! Usate nelle vostre molteplici azioni tutti gli strumenti di seduzione delle donne! Fate buona guardia, create degli ostacoli, affinché il Puro Essere non vada via! 
19. Questi sono i segni premonitori del momento della partenza del migliore degli aurighi [6]: le oche, le cicogne, i pavoni, le ghiandaie, i pappagalli, non faranno più udire i loro canti; sui palazzi, sui rosoni, sugli archivolti, sulle terrazze, essi, avviliti, rattristati, resteranno pensierosi e a testa bassa.
20. Nelle vasche e negli stagni i loti brillanti appassiranno e seccheranno; gli alberi vedranno seccare le loro foglie e, senza fiori, non germoglieranno più. I flauti, i liuti e gli strumenti a corda si spezzeranno improvvisamente; i tamburi e i tamburelli si romperanno senza emettere alcun suono non appena colpiti con le mani.
21. Tutta la città, offuscata, sarà vinta dal sonno; nessuno avrà il pensiero rivolto alla danza, né al canto, né ai piaceri; il re stesso, profondamente addolorato nel suo cuore, sarà preda di cupi pensieri. Ah! Quale disgrazia per la stirpe degli Śākya! Che queste grandi manifestazioni sovrannaturali non la distruggano!
22. Mentre Gopā e il principe si trovavano nello stesso letto, a mezzanotte Gopā fece questo sogno: tutta la terra tremava, insieme con le montagne e le loro vette; gli alberi, scossi dal vento, spezzati e sradicati, erano caduti a terra.
23. Il sole e la luna erano caduti entrambi dal cielo sulla terra, insieme con le stelle che li circondano. Ella vede i suoi capelli tagliati nella sua mano destra, e la sua corona caduta a terra. Vede le sue mani tagliate, i suoi piedi tagliati e se stessa completamente nuda. Le sue collane di perle e i suoi gioielli spezzati.
24. Vede i quattro piedi del letto in pezzi e sparsi sul pavimento. Il manico del parasole del re, splendidamente adorno, è spezzato e gli ornamenti sono caduti a terra, sparpagliati e trascinati via dalle acque; i gioielli del suo sposo, i suoi abiti e la sua corona sono gettati in disordine sul letto.
25. Vede fiaccole che escono dalla città immersa nelle tenebre, e nel suo sogno le belle reti di gioielli preziosi sono strappate, le corone di perle che vi erano appese sono cadute, il grande Oceano è agitato; vede il Meru, re delle montagne, che vacilla fin dalle sue basi.
26. Questo è ciò che la figlia degli Śākya vede in sogno; risvegliatasi dopo aver avuto tali visioni, con lo sguardo inquieto, dice al suo sposo: Dite, mio Signore, di tutto ciò che ho sognato, che cosa accadrà? Il mio ricordo svanisce; la mia vista è confusa, e il mio cuore è colmo di tristezza!
27. Avendo ascoltato queste parole, colui la cui voce è come quella dell’uccello kalabiṅka [7] e come il suono del tamburo, il cui accento è gradevole come quello di Brahmā, così si rivolge a Gopā: Sii serena, poiché non ti accadrà nulla di male. Solo gli esseri che nel passato hanno compiuto azioni meritorie fanno quei sogni. Quali persone che saranno colpite dalle sofferenze fanno simili sogni?
28. Poiché hai visto in sogno la terra tremare violentemente, le montagne e le loro vette franare a valle, gli dei, i Nāga, i Rākṣasa e le schiere dei Bhūta, tutti ti tributeranno grandi onori.
29. Poiché hai visto gli alberi sradicati e i tuoi capelli tagliati nella tua mano destra, molto presto, Gopā, dopo aver reciso la rete delle afflizioni mentali sarai libera dalla rete della visione dei fenomeni condizionati.
30. Poiché (nel sogno) hai visto la luna e il sole caduti insieme con le stelle e i pianeti, molto presto, Gopā, avendo sconfitto i nemici sorti dalle afflizioni mentali sarai lodata e onorata nel mondo.
31. Poiché hai visto la tua collana di perle strappata, il tuo corpo mutilato e completamente nudo, ben presto, poco tempo dopo che avrai abbandonato il tuo corpo di donna otterrai un corpo maschile.
32. Poiché hai visto i piedi del letto rotti e il manico del parasole adorno di gioielli spezzato, presto, o Gopā, vedrai me divenire, avendo oltrepassato i quattro fiumi, l’unico parasole nei tre mondi.
33. Poiché hai visto gli ornamenti trascinati via dalle acque e, sul letto, la mia corona e le mie vesti, presto, Gopā, vedrai me, che possiedo un corpo ornato dei segni [8], onorato da tutti gli esseri.
34. Poiché hai visto centinaia di milioni di luci che uscivano dalla città avvolta nelle tenebre, presto, o Gopā, io farò risplendere la luce della saggezza nel mondo intero accecato dall’ignoranza e dalla confusione della mente.
35. Poiché hai visto le corone di perle e le preziose reti d’oro strappate, Gopā, dopo aver reciso la rete delle afflizioni la saggezza solleverà la trama dei fenomeni condizionati.
36. Poiché, Gopā, mi hai costantemente reso omaggio e mi hai circondato del massimo rispetto, non ti accadrà nulla di male né di spiacevole; presto ti rallegrerai, ricolma della più grande felicità.
37. Nel passato ho fatto con gioia grandi offerte, ho costantemente praticato la disciplina e la pazienza; per questo coloro che avranno fede in me saranno tutti ricolmi di gioia e di felicità.
38.  Nel corso di un incommensurabile numero di eoni, nel mondo dell’esistenza ciclica, ho seguito la perfetta via del Risveglio; per questo i tre reami inferiori saranno distrutti per tutti coloro che avranno fede in me.
39. Sii allegra e non triste; sii contenta e abbandonati alla gioia; presto conseguirai la felicità e la soddisfazione. Dormi, Gopā, i segni premonitori ti sono propizi! 
40. Colui che possiede lo splendore delle azioni virtuose e reca con sé lo splendore dei meriti vede in sogno i presagi che si manifestano nel momento in cui gli Esseri Nobili, che hanno accumulato un karma virtuoso, lasciano la famiglia.
41. Egli vede grandi mani e grandi piedi che agitano le acque dei quattro grandi Oceani; il mondo intero diviene per lui un letto riccamente adorno e il Meru, re delle montagne, diviene un cuscino per il suo capo.
42. Vede poi nel sogno una vivida luce che si diffonde nel mondo e illumina le tenebre più profonde, e un parasole che uscendo dalla terra ricopre i tre mondi. Al contatto con la luce il dolore degli esseri sofferenti scompare.
43. Quattro animali bianchi e neri leccano i suoi piedi; uccelli di quattro colori giunti presso di lui divengono di un solo colore. Scalando una montagna dei più rivoltanti escrementi, egli cammina senza esserne sporcato.
44. E ancora vede in sogno molte centinaia di milioni di esseri senzienti travolti dalle acque di un fiume in piena. Egli, costruita una barca [9], traghetta se stesso e gli altri e li conduce ad una riva sicura dove non vi sono né timore né sofferenza.
45. Egli vede inoltre molti esseri che soffrono, colpiti dalle malattie, ormai privi dello splendore della salute e allo stremo delle forze; divenuto medico, offre loro in abbondanza piante medicinali e libera milioni di esseri dalle numerose malattie che li affliggono.
46. Seduto sul monte Meru come su un trono, egli vede i discepoli e gli dei che si inchinano a mani giunte. Egli vede se stesso vittorioso in mezzo alla battaglia, e gli dei che lanciano in cielo grida di gioia.
47. Questo è ciò che il Bodhisattva vede in sogno, quale perfetto compimento dei suoi voti compassionevoli e virtuosi.
Avendo ascoltato queste parole, gli dei e gli uomini si rallegrarono e pensarono: Presto costui diverrà il dio degli dei e degli uomini.

Capitolo intitolato: Sogni, il quattordicesimo.


NdT


[1] Gli astrologi, gli indovini.
[2] Il banano sacro. Si veda la leggenda di Kadali Phalam sul blog dei F.lli Orsero alla pagina:
http://www.fratelliorsero.it/it/blog-fratelli-orsero/34-blog/curiosita/939-frutta-nella-mitologia-banana-sacra-indu.
[3] Si noti che il Bodhisattva esce dalla città da quattro porte diverse, secondo lo stesso ordine già seguito nel compiere i passi miracolosi subito dopo la nascita, ovvero Est-Sud-Ovest-Nord. La rotazione che ne consegue è quella in senso orario, come la rotazione del sole nel suo moto apparente, la stessa che si segue quando si compie la pradakṣṇā, la circumambulazione intorno ad un maestro spirituale o ad un simbolo sacro quale uno stūpa, una montagna, un tempio, un albero ecc.
[4] De Foucaux parla qui di una distanza pari a un joug. Secondo il sito www.sciencebehindindianculture.in, in hindi il termine jug (o anche juug) esprime semplicemente un valore numerico pari a 12000 unità, non necessariamente una distanza. La versione inglese parla invece di sei piedi, ovvero circa 180 cm. Questo dato corrisponde a quanto viene insegnato nello Zen a proposito della meditazione camminata, il kin hin, che si pratica con lo sguardo rivolto verso il terreno con un angolo di circa 45°.  Il che significa, per una persona di media altezza, posare lo sguardo a circa 160/180 cm. davanti a sé.
[5] In sanscrito, alla lettera, mendicante. Al femminile bhikṣunī (in pāli: bhikkhu e bhikkhuni). Il termine indica il monaco buddhista.
[6] De Foucaux traduce con: Questi, o eccellente auriga, sono i segni premonitori del momento della partenza. Ma è difficile ritenere che il narratore si rivolga all’auriga del Bodhisattva.
[7] Si veda la nota 6 al cap. V.
[8] I segni maggiori e minori del corpo di un Buddha.
[9] Secondo De Foucaux è il Bodhisattva stesso che diviene un’imbarcazione (Et lui, devenu vaisseau…).

Chi è quell'uomo calmo, dallo spirito sereno, che cammina con gli occhi bassi....




Capitolo quindicesimo

Uscita dalla famiglia

Il Bodhisattva, prima di divenire monaco, chiede il permesso al padre, il quale ostacola il suo desiderio e lo fa sorvegliare a vista. – I Deva e gli esseri celesti si accordano per far cadere la città nel sonno e aprire le porte al giovane principe. – A mezzanotte il Bodhisattva sale sulla cima del palazzo e scorge gli dei che lo attendono. Nello stesso istante si alza l’astro che aveva presieduto alla sua nascita. Riconoscendo da questi presagi che il momento è giunto, il principe chiede il proprio cavallo allo scudiero. Questi cerca di dissuadere il suo maestro, contrapponendo le delizie del palazzo alle austerità della vita monastica; ma tutto è inutile. – Gli dei, pieni di gioia, fanno cadere nel sonno tutta la città. Ogni ostacolo scompare davanti al Bodhisattva; guidato dagli dei quando fa giorno egli è già lontano. Allora congeda gli dei e rimanda indietro il suo scudiero con il suo cavallo. – Intanto le consorti, risvegliandosi e non vedendo il principe, gettano alte grida. – Il re manda dei messi all’inseguimento del figlio. – Essi incontrano lo scudiero e ritornano insieme con lui. – Dolore del re e di Gopā quando apprendono ciò che è accaduto.

Nel frattempo, o Monaci, il Bodhisattva pensò: Non sarebbe corretto e sarebbe ingrato da parte mia se partissi senza aver messo al corrente il grande re Śuddhodana e senza aver avuto il benestare da lui, mio padre.  
Nel silenzio della notte egli uscì dal palazzo nel quale dimorava e si recò in quello del re Śuddhodana. Non appena il Bodhisattva vi entrò, tutto il palazzo si riempì di luce.
Risvegliatosi, il re vide quella luminosità e subito interrogò un cortigiano: Cortigiano! È forse sorto il sole, per cui risplende questa luce?
Il cortigiano rispose: In questo momento, Signore, non è ancora passata la mezzanotte!
1. L’ombra degli alberi è causata dalla luce del sole; (la sua luce) brucia e surriscalda il corpo; all’alba, i cigni, i pavoni, i pappagalli, i cuculi e i Cakravāla fanno udire i loro canti.
2. Questa luce, invece, o Signore degli uomini, è piacevole e dolce; rallegra, reca benessere e non provoca disturbo; essa attraversa le pareti e gli alberi, e non vi è alcuna ombra. Senza dubbio oggi è giunto qui un essere dotato di grandi qualità.
3. Il re, inquieto, rivolse lo sguardo nelle dieci direzioni dello spazio; e vedendo davanti a sé il puro Essere dagli occhi senza macchia, cercò di alzarsi dal letto, ma non vi riuscì. L’Essere dal puro intelletto provò allora grande rispetto per il proprio padre.
4. E rimanendo di fronte al re gli disse: Non ostacolatemi e non siate in pena; poiché è giunto il momento giusto per uscire dalla famiglia, o Signore degli uomini, voi, tutte le persone e tutto il reame, perdonatemi [1].
5. Il re, con gli occhi pieni di lacrime, gli rispose: Qualsiasi cosa possa servire per farti cambiare idea, qualsiasi dono tu desideri, parla, io te lo offrirò. Prendi me, questo palazzo, il mio regno!
6. Il Bodhisattva rispose con dolcezza: O Signore, io desidero quattro cose; donatemele. Se potrete darmele io rimarrò e voi mi vedrete per sempre in questa dimora. Non abbandonerò la famiglia.
7. Io desidero, o Signore, che la vecchiaia non si impadronisca mai di me e che io rimanga per sempre in possesso della mia bella carnagione e della gioventù; che io sia sempre in salute e che la malattia non mi colpisca; che la mia vita sia senza fine e che la morte non sopraggiunga.
8. Quando il re ebbe ascoltato queste parole fu sopraffatto dalla tristezza. – Tu mi chiedi l’impossibile, figlio mio. Su questo non ho alcun potere. Pur vivendo per interi eoni, nemmeno i Ṛṣi si sono mai liberati dal timore della vecchiaia, della malattia, delle disgrazie e della morte.
9. Avendo udito il discorso del padre, il giovane principe disse: Se non potete offrimi questi quattro doni, o Signore, ascoltate allora qual è un altro dono (che desidero): Che alla fine di questa esistenza io non debba rinascere!
10. Ascoltate le parole del più grande degli uomini, il re moderò il proprio desiderio e lasciò andare l’attaccamento nei confronti del figlio [2] e disse: Il tuo desiderio è liberare gli esseri nel mondo. Che i tuoi voti possano essere esauditi!
Intanto, o Monaci, il Bodhisattva, che era ritornato ed era rientrato nel proprio palazzo, sedette sul letto, senza che nessuno si fosse accorto né della sua partenza né del suo ritorno.
Al termine della notte, o Monaci, il re Śuddhodana riunì tutto il clan degli Śākya ed espose loro questo problema: Il giovane principe abbandonerà la sua casa; cosa dobbiamo fare?
Gli Śākya proposero: Maestà, noi lo sorveglieremo. Infatti l’esercito degli Śākya è grande; poiché egli è solo, in che modo potrebbe uscire contro la nostra volontà?
Quindi gli Śākya e il re Śuddhodana schierarono alla porta orientale della città cinquecento giovani Śākya addestrati all’uso delle armi, soldati agguerriti, abili nell’uso dell’arco e delle frecce, in possesso della forza dei grandi Nagna [3]; per sorvegliare il Bodhisattva ogni giovane Śākya era scortato da cinquecento carri, ed ogni carro era accompagnato da cinquecento soldati a piedi.
Nello stesso modo, al fine di sorvegliare il Bodhisattva, alla porta meridionale, a quella occidentale e a quella settentrionale della città furono schierati cinquecento giovani Śākya addestrati all’uso delle armi, soldati agguerriti, abili nell’uso dell’arco e delle frecce, in possesso della forza dei grandi Nagna; ogni giovane Śākya era scortato da cinquecento carri, ed ogni carro da cinquecento soldati. I più anziani del clan degli Śākya, in gran numero, furono dislocati in tutti i crocicchi, nelle piazze e lungo le strade principali. Il re Śuddhodana, circondato e preceduto da cinquecento giovani Śākya sul dorso di cavalli ed elefanti, montava la guardia alla porta della sua dimora.
Mahāprajāpatī Gāutamī disse alle sue innumerevoli servitrici:
12. Accendete lampade luminose; mettete in cima agli stendardi gioielli preziosi; appendete collane di perle; fate risplendere la luce in ogni angolo del palazzo.
13. Fate risuonare musiche e canti; durante la notte vegliate senza sosta, sorvegliate con cura il giovane principe, affinché non possa allontanarsi senza essere visto.
14. Armate e con le mani sugli archi, munite di spade, di lance, di giavellotti, siate pronte, al fine di sorvegliare il mio caro figlio.
15. Chiudete le porte, dotate di robuste serrature e catene e dai solidi battenti; non le aprite se non alla bisogna, affinché il puro Essere non esca.
16. Indossate con cura le collane di pietre preziose e di perle, gli anelli, i gioielli a mezza luna, le cinture, gli orecchini, gli anelli con i sigilli e le cavigliere.
17. Se improvvisamente colui che è il benefattore degli uomini e degli dei volesse uscire all’esterno, come un elefante spaventato, cercate di non recargli danno.
18. Le donne munite di lance circondino il letto di questo puro Essere; non fatevi vincere dal sonno; sorvegliatelo a vista, come un uccello.
19. Munite questa dimora di grate ingioiellate, per sorvegliare il principe. Fate echeggiare il suono dei flauti. Proteggete la tranquillità di questa notte.
20. Questa notte, durante la veglia, richiamatevi l’un l’altra e non addormentatevi, affinché egli non possa uscire, abbandonando il regno e i sudditi.
21. Se partisse, tutto il palazzo reale perderebbe ogni gioia, e il lignaggio del re, che continua da molto tempo, si spezzerebbe!
Intanto, o Monaci, ventotto comandanti delle schiere degli Yakṣa e cinquecento figli di Hārītī, preceduti da Pañcika [4], comandante supremo dell’esercito degli Yakṣa, riunitisi nello stesso luogo, così parlarono: Oggi, amici, il Bodhisattva lascerà il suo palazzo. Affrettatevi a presentargli le vostre offerte.
E i Quattro Grandi Re, entrati nel palazzo reale di Aḍakavatī, dissero alla moltitudine degli Yakṣa: Oggi, o amici, il Bodhisattva lascerà il suo palazzo. Egli abbandonerà la famiglia mentre voi sosterrete gli zoccoli del suo cavallo. 
L’assemblea degli Yakṣa rispose:
22. Duro come il diamante vajra, indistruttibile, con il corpo possente come Nārāyaṇa [5], retto, forte, questo Essere perfetto è inamovibile. Il monte supremo, il grande Meru, potrebbe, se sradicato, essere sollevato in cielo; ma colui che possiede le qualità di un Vittorioso, grandi come innumerevoli montagne simili al Meru, non può essere sollevato da nessuno.
Vaiśravaṇa disse:
23. Gli uomini gonfi d’orgoglio, ecco coloro per i quali il Maestro è pesante. Ma coloro che dimorano nell’amore e nel rispetto riconoscono che è leggero. Fondate la vostra attitudine mentale sullo zelo e sul rispetto, e comprenderete che egli è leggero come un fiocco di cotone che vola nel cielo [6].
24. Quanto a me, sarò davanti, e voi condurrete il cavallo. Quando il Bodhisattva uscirà nel mondo, accumuleremo molti meriti!
Allora, o Monaci, Śakra, il Signore degli dei, disse agli dei Trāyastriṃśa [7]: Oggi, amici, il Bodhisattva uscirà nel mondo.  Si dovrà pertanto, con grande zelo, presentargli delle offerte.
Un figlio degli dei chiamato Śāntasumati così parlò: Io farò sì che nella città di Kapilavastu tutti, uomini, donne e bambini, cadano addormentati [8].
Un figlio degli dei chiamato Lalitavyūha così parlò: Io farò in modo che in quel momento non si oda alcun rumore: di cavalli, elefanti, asini, cammelli, buoi, bufali, uomini, donne, ragazzi e ragazze.
Un figlio degli dei chiamato Vyūhamati affermò: Lungo il percorso che il Bodhisattva seguirà, io preparerò nella distesa dei cieli una piattaforma [9] ingioiellata larga come sette carri, scintillante dello splendore di pietre preziose Mani e Sūryakānta [10], con stendardi e bandiere dispiegati, cosparsa di fiori, profumata da bruciatori con essenze di ogni tipo.
Il re degli elefanti, chiamato Airāvaṇa [11], così disse: Io farò costruire sulla mia proboscide un palazzo a più piani alto trecentoventidue yojana. Dopo esservi salite, le Apsarā accompagneranno con devozione il Bodhisattva con musiche e canti.
E Śakra stesso, Signore degli dei, affermò: Io aprirò le porte e indicherò la via.
Il figlio di un dio, chiamato Dharmacāri, così parlò: Io farò sì che il seguito delle consorti appaia sotto un aspetto sgradevole.
Sañcōdaka, figlio di un dio, affermò: Io aiuterò il Bodhisattva ad alzarsi dal suo letto.
A quel punto i re dei Nāga chiamati Varuṇa e Manasvin, e Anavatapta, re dei Nāga, e Nanda e Upananda, entrambi re dei Nāga, dissero: Da parte nostra, quale offerta al Bodhisattva, genereremo una nube di sandalo [12] e faremo cadere una pioggia di polvere di sandalo di Uraga.
In tal modo, o Monaci, gli dei, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva decisero quali fossero le cose da fare.
Mentre il Bodhisattva dimorava confortevolmente negli appartamenti delle consorti del palazzo echeggiante di musiche, il suo pensiero si focalizzò sul Dharma. Rifletté sulla condotta dei Buddha precedenti e su come essere di beneficio a tutti gli esseri, e ritornarono alla sua mente i quattro voti che aveva formulato in passato. Ecco quali erano i quattro voti.
Un tempo, desiderando essere il signore di coloro che esistono in sé e aspirando all’onniscienza, ho indossato la corazza delle determinazioni. Avendo visto gli esseri sofferenti (ho detto):
Sì! Per gli esseri incatenati insieme nella grande prigione della trasmigrazione, possa io pronunciare il voto della definitiva liberazione dalle loro catene! Possa io liberare completamente gli esseri dai legacci stretti e robusti del desiderio!
Questo è il significato del primo voto del passato che ritornò alla sua mente.
Sì! Per gli esseri precipitati nel pozzo dell’accecamento causato dall’ignoranza, il cui occhio è velato dalla cataratta dell’ignoranza e che sono privi dell’occhio della saggezza e accecati dalle tenebre del turbamento – possa io generare per essi la grande luce del Dharma! Possa io portare loro la lampada della saggezza! Applicando il medicinale della triplice porta verso la felicità, il rimedio che utilizza gli abili mezzi, la saggezza e la conoscenza, possa io, avendo rimosso tutte le tenebre dell’ignoranza e la caligine del velo che lo acceca, purificare l’occhio della saggezza!
Questo è il significato del secondo voto del passato che ritornò alla sua mente.
Sì! Per un mondo che ha dispiegato il vessillo dell’orgoglio, che è pieno di egoismo e di amore per se stesso, ossessionato dall’io e dal mio, sconvolto dalle false visioni della mente e della coscienza [13], aggrappato a tutto ciò a cui non ci si deve attaccare – per questo mondo possa io provocare la caduta dello stendardo dell’orgoglio e indicare il Nobile Sentiero!
Questo è il significato del terzo voto del passato che ritornò alla sua mente.
Sì! Per un mondo che non ha pace; la cui trama è confusa, con i fili aggrovigliati; che si agita insensatamente; che corre da una esistenza condizionata all’altra; che non è libero dal ciclo delle rinascite; che gira in una ruota di fuoco – per questo mondo possa io far risplendere la lampada del Dharma che porta la pace e genera la felicità della saggezza!
Questo è il significato del quarto voto del passato che ritornò alla sua mente.
Siffatti furono i quattro voti formulati nel corso delle esistenze precedenti e che si ripresentarono alla sua mente.
In quel momento le stanze delle consorti furono trasformate e gettate nel caos per opera di Dharmacāri, figlio di un dio, e degli dei Śuddhāvāsakāyika. 
Dopo averle fatte apparire in una condizione sgradevole che ispirava il disgusto, dai cieli in cui dimoravano essi indirizzarono al Bodhisattva questi versi.
25. Intanto i figli degli dei, grandi Ṛṣi, dissero a colui i cui occhi sono allungati come i petali di un loto sbocciato: In che modo puoi provare gioia nel cimitero in cui dimori?
26. Ispirato dai Signori degli dei, egli esaminò immediatamente la dimora delle sue consorti; osservò le donne e constatando che il loro aspetto era ripugnante [affermò]: In verità, vivo in mezzo ad un cimitero!
Il Bodhisattva guardò l’intero seguito delle consorti, e le esaminò attentamente. Alcune avevano gli abiti strappati, altre i capelli spettinati, altre gli ornamenti sparpagliati; ad alcune erano caduti i diademi; alcune avevano lividi alle spalle e il loro corpo era deforme; altre avevano il viso sconvolto, o gli occhi storti; ad alcune usciva la saliva dalla bocca, altre tossivano, altre ancora ridevano o pronunciavano parole sconnesse; alcune digrignavano i denti, altre avevano il viso scolorito o il corpo scomposto; ad alcune penzolavano le braccia, o avevano le gambe divaricate, o la testa ferita; alcune avevano il viso velato, altre avevano la testa arrovesciata; il corpo di alcune era deformato; altre erano completamente nude; alcune, contraffacendo la voce, emettevano suoni rochi; altre, aggrappate ai tamburi, avevano la testa e il corpo rovesciati all’indietro; alcune avevano le mani distese su viṇā e vallaki [14], altre tenevano un flauto tra i denti, altre ancora avevano abbandonato i loro strumenti musicali: kimpala, nakula e sampatāḍa; alcune avevano gli occhi aperti, altre chiusi e altre battevano le palpebre; altre ancora erano distese con la bocca aperta. Il Bodhisattva, vedendo le sue consorti così trasformate e distese sul pavimento, ebbe l’impressione di un cimitero.
È detto:
27. Dopo averle osservate, la Guida del mondo sospirò compassionevolmente e disse: Ahimè! Questi esseri sono caduti in una condizione miserevole! Come si può provare piacere con una schiera di Rākṣasi? [15]  
28. Coloro che a causa di un erroneo giudizio oscurato dalle tenebre di una grande confusione ritengono che il desiderio possieda delle qualità che tali non sono, costoro sono come uccelli entrati in una gabbia della quale non trovano l’uscita.
Intanto il Bodhisattva, continuando ad osservare il seguito delle sue consorti attraverso la porta luminosa del Dharma, proruppe in lamenti compassionevoli nei confronti degli esseri senzienti.
- Gli esseri ignoranti sono uccisi come coloro che sono condannati a morte.
- Gli esseri ignoranti sono pieni di desiderio per dei vasi pieni di escrementi, come se fossero adorni di bei disegni.
- Gli esseri ignoranti annegano come elefanti nelle acque profonde.
- Gli esseri ignoranti sono rinchiusi come ladri in una prigione.
- Gli esseri ignoranti gioiscono come maiali in mezzo alla sporcizia.
- Gli esseri ignoranti sono avidi come cani in mezzo alle ossa e alle immondizie.
- Gli esseri ignoranti cadono come farfalle sulle fiamme di un lume.
- Gli esseri ignoranti sono legati come scimmie in una trappola.
- Gli esseri ignoranti sono completamente prigionieri come pesci presi in una rete.
- Gli esseri ignoranti sono fatti a pezzi come pecore in un mattatoio.
- Gli esseri ignoranti sono impalati come malfattori sulla punta di un palo.
- Gli esseri ignoranti sono spaventati come vecchi elefanti in una palude.
- Gli esseri ignoranti muoiono come i passeggeri di barche distrutte nel grande oceano.
- Gli esseri ignoranti precipitano come persone cieche in un baratro. 
- Gli esseri ignoranti giungono ad esaurimento come l’acqua che cade nelle voragini del Pātāla [16].
- Gli esseri ignoranti sono circondati dal fumo come la grande terra quando perviene alla distruzione, al termine di un Kalpa.
- Gli esseri ignoranti stanno girando come la ruota rotta di un vasaio.
- Gli esseri ignoranti si smarriscono come ciechi erranti tra le montagne.
- Gli esseri ignoranti girano in tondo come cani legati ad una corda.
- Gli esseri ignoranti appassiscono come le erbe e le piante nella stagione calda.
- Gli esseri ignoranti si degradano come la luna calante nella quindicina oscura.
- Gli esseri ignoranti sono divorati come i serpenti da Garuḍa.
- Gli esseri ignoranti sono inghiottiti come i marinai da un grande Makara [17].
- Gli esseri ignoranti sono derubati come dei viaggiatori da una banda di ladri.
- Gli esseri ignoranti sono spezzati come palme dal vento.
- Gli esseri ignoranti sono uccisi come qualcuno morso da un serpente velenoso.
- Gli esseri ignoranti sono feriti come dalla lama di un rasoio cosparsa di miele, poiché credono che si tratti di qualcosa di dolce al gusto.
- Gli esseri ignoranti sono portati via come pezzi di legno dalla corrente del fiume.
- Gli esseri ignoranti giocano come fanno i bambini con i loro escrementi.
- Gli esseri ignoranti sono domati come un elefante lo è dall’uncino del mahout che lo dirige.
- Gli esseri ignoranti sono ingannati come le persone semplici dai ciarlatani.
- Gli esseri ignoranti recidono le radici della virtù come i giocatori d’azzardo perdono i loro beni.
- Gli esseri ignoranti sono distrutti come mercanti divorati dalle Rākṣasi.
Così, attraverso queste trentadue [18] similitudini, dopo aver esaminato con attenzione il seguito della consorti il Bodhisattva ebbe una chiara comprensione dell’impurità del corpo e sviluppò un senso di repulsione e di disgusto; meditò quindi sul suo stesso corpo, ne comprese la limitatezza e si liberò dall’attaccamento verso di esso. Discriminò ciò che è puro da ciò che è impuro [19], e risalendo dalla pianta dei piedi su in alto fino alla sommità del capo, vide come il corpo nasca dall’impurità, generi impurità ed emetta costantemente impurità. A quel punto, recitò questi versi:
28. Generato dal karma, nato dall’acqua della brama, il corpo è l’immagine di un cumulo di rovine; è corrotto dalle lacrime, dal sudore, dal muco, dall’urina, ed è pieno di sangue; è ricolmo di grasso del ventre, di midollo, di pus e dei liquidi del cervello; emette costantemente impurità, essendo pieno di impurità e di cattivi odori.
29.  È composto di ossa, denti e capelli ed è coperto di pelle pelosa; all’interno vi sono gli intestini, il fegato, la milza, la saliva; è debole, ed è tenuto insieme dalle ossa e dai tendini; simile ad una macchina, è rivestito dalla carne; soffre dei dolori causati dalle diverse malattie, ed è costantemente tormentato dalla fame e dalla sete.
30. Questo inferno degli esseri possiede molte aperture ed è soggetto a vecchiaia e morte. Quale uomo saggio, avendo visto il proprio corpo, potrebbe non vederlo come un nemico?
Così il Bodhisattva contemplò il proprio corpo come qualcosa che deve essere lasciato alle spalle [20]. 
I figli degli dei, che permanevano nelle distese dei cieli, così si rivolsero a Dharmacāri, figlio di un dio:
Amico, che accade? Siddhārtha esita; ha osservato con attenzione il seguito delle consorti, e lo guarda ancora. Ci spaventa, poiché fa indugiare su di esso lo sguardo più e più volte. Ah, davvero, costui è profondo come l’oceano e non è possibile scandagliarne la profondità! In verità la mente di colui che è privo di attaccamenti non può certamente attaccarsi agli oggetti dei sensi! No, di certo egli non dimenticherà la promessa che fece un tempo, ispirato dagli dei.
Dharmacāri rispose: Perché parlate in questo modo? Questo è certamente il distacco generato da colui che nel passato praticò in vista del Risveglio. Essendo uscito dalla famiglia e avendo praticato la perfetta rinuncia, per quale motivo non dovrebbe esservi assenza di attaccamento in lui, che è giunto alla sua ultima esistenza? [21]
In quel momento, o Monaci, nella sala della musica il Bodhisattva, che, ricolmo di tristezza [22], aveva preso senza indugio e con mente ferma la sua decisione, distese con grazia le gambe, che teneva incrociate, e si voltò verso oriente. Poi, dopo aver scostato con la mano il reticolo ingioiellato, salì sul tetto del palazzo, rivolse la mente a tutti i Buddha, unì le dita delle mani nel gesto del saluto e rese loro omaggio. Guardando la distesa dei cieli, scorse sospeso nell’aria il Signore degli dei Dasasatanayana [23], circondato da centomila Deva che recavano fiori, incensi, profumi, ghirlande, oli essenziali, polveri profumate, abiti monastici, parasole, stendardi, vessilli, orecchini simili a fiori, e collane di pietre preziose. Il Bodhisattva vide che il corpo del dio era piegato, in quanto si era inchinato verso di lui, come pure facevano i Quattro Guardiani del Mondo, accompagnati da schiere di Yakṣa, di Rākṣasa, di Gandharva e di Nāga, che indossavano solide corazze e cotte di maglia e impugnavano spade, archi e frecce, giavellotti, lance a due e a tre punte; vide che avevano deposto con grazia i loro diademi di perle e le corone e si inchinavano verso di lui. E scorse anche in piedi, a destra e a sinistra, Candra, dio della luna, e Sūrya, dio del sole, figli degli dei. Il re degli asterismi, Puṣyā, era sorto. Quando vide che la mezzanotte era scoccata, il Bodhisattva chiamò Chandaka. 
31. Chandaka, non bisogna indugiare; portami il re dei cavalli bardato con tutti i finimenti. Tutti i segni premonitori sono manifesti: oggi certamente i miei voti si compiranno.
Ma Chandaka, con il cuore afflitto, avendo udito quelle parole così disse:
Dove andrete, voi, Leone degli uomini, dalle lunghe sopracciglia, dagli occhi belli come petali del loto? Voi, simile alla luna piena d’autunno, loto bianco rallegrato dalla luna, dal viso grazioso come i fiori di loto appena sbocciati. Voi, che risplendete come l’oro puro e la luna immacolata quando il sole è tramontato; che sfavillate come il fuoco sacrificale nutrito con il burro chiarificato; che brillate come un diamante o un fulmine; che avete il portamento invincibile di un elefante sicuro [24], e il passo e la postura dei piedi splendidi come quelli di un toro, di un leone, di un cigno.
Il Bodhisattva rispose:
32. È per questo che in passato ho abbandonato le mie mani, i miei piedi, i miei occhi ed anche la mia testa; i miei figli e le mie care consorti, il regno, i beni, l’oro e le (belle) vesti.
33. Ho abbandonato gli elefanti e i cavalli coperti di gioielli, forti, coraggiosi, vivaci e veloci come il vento. È per questo che nel corso di innumerevoli eoni ho praticato la virtù, ho compreso la pazienza, mi sono impegnato nello sforzo entusiastico, nella meditazione, nella saggezza.
34. Quindi, dopo che avrò conseguito la gioia e la pace del supremo Risveglio, sarà giunto per me il momento di liberare gli esseri rinchiusi nella prigione della vecchiaia e della morte!
 Chandaka replicò: Ho sentito dire, Signore, che subito dopo la vostra nascita siete stato presentato ad alcuni Brāhmaṇi esperti nei segni, affinché foste esaminato, e che alla presenza del re Śuddhodana essi hanno così profetizzato: Maestà, egli diverrà il gioiello della stirpe regale. (Śuddhodana) aveva replicato: In che modo? Ed essi avevano risposto: Questo bambino reca i segni dei cento meriti; vostro figlio è nato con lo splendore dei cento meriti. Egli diverrà un (re) Cakravartin, sovrano dei quattro continenti, possessore dei sette tesori. Ma se dopo aver conosciuto il mondo in preda alle sofferenze uscirà dalla famiglia abbandonando il seguito delle sue consorti, una volta conseguito il Risveglio, la condizione in cui non esiste né vecchiaia né morte, egli soddisferà gli esseri con le acque del Dharma.
Ebbene, mio Signore, questa fu la profezia, e non può non realizzarsi. Tuttavia, ascoltate le parole di chi vuole aiutarvi.
(Il Bodhisattva) rispose: In qual modo?
(Chandaka) spiegò: O Signore, per quale motivo alcuni si dedicano a molte pratiche di disciplina e di austerità? Essi indossano vesti di scorza d’albero e pelli di daino, e portano una treccia di capelli sulla sommità del capo; le loro unghie sono lunghe, come i capelli e la barba; costringono il loro corpo a pratiche severe, ad eccessive austerità di ogni tipo, dedicandosi volontariamente a terribili penitenze. Perché, o Signore, dovremmo cercare di ottenere la felicità degli uomini e degli dei in questo modo, quando la stessa felicità è già a disposizione? Questo regno è vasto, florido, ricco, ogni genere di beni vi abbonda, è abitato da moltitudini di uomini e di esseri viventi. E i suoi parchi sono i migliori tra i più belli! Sono adorni di fiori e frutti di ogni tipo, e vi risuonano i canti di stormi di uccelli; gli stagni sono abbelliti da fiori di loto azzurri, gialli, rossi e bianchi, e sono animati dai canti dei fenicotteri, dei pavoni, dei cuculi, dei Cakravāla, delle cicogne e delle ghiandaie; le rive sono fiancheggiate da piante di sahakara, di aśoka, di campaka, di kuravaka, di tilaka, di keśara [25] e da altre piante in fiore, e sono abbellite da boschetti di alberi del corallo [26]. Vi si trovano scacchiere circondate da tavole preziose, protette da pergolati ingioiellati; si può godere dei parchi seguendo il corso delle stagioni, in primavera, in estate, in autunno e durante l’inverno. I grandi palazzi sono simili al monte Kailāśā e al Vijayanta, sono protetti dal Dharma, il buon Dharma, in essi non esistono inquietudini di sorta. Sono abbelliti da terrazze, porticati, arcate, rosoni, padiglioni a più piani, dai quali echeggia il suono dei tralicci adorni di campanelle. Negli appartamenti delle consorti, o Signore, si svolgono danze armoniose e i cori si uniscono ai suoni degli strumenti: i tamburi, i tamburelli, i liuti, i flauti, i cimbali; lì si trascorre dolcemente il tempo rallegrandosi con le risa, le danze, i giochi. E voi, mio Signore, voi siete giovane, armonioso, all’inizio della vita: il vostro corpo è bello e ricco di fascino, i capelli sono neri, e non vi siete ancora dedicato ai piaceri dei sensi. Abbandonatevi dunque per un po’ di tempo ai piaceri, come Indra, Signore degli dei, e poi, divenuti vecchi, andremo via, errando come monaci.   
A quel punto recitò questi versi:
35. Dedicatevi al piacere, voi che ne conoscete le tecniche, come fece il Signore degli immortali nel mondo dei Trentatré Deva, e poi, una volta divenuti vecchi, praticheremo l’ascesi.
Il Bodhisattva replicò:
Basta così, Chandaka. Gli oggetti del desiderio, in verità, non durano a lungo; essi sono impermanenti, incostanti, di natura mutevole; scompaiono velocemente, rapidi come un torrente di montagna; non hanno durata, come un goccia di rugiada; sono privi di sostanza, come un pugno vuoto con cui si inganna un bambino; sono vuoti, come il tronco di un banano; la loro natura è fragile, come vasi d’argilla; come nubi d’autunno, appaiono per un istante e subito svaniscono; non durano a lungo, come i fulmini nel cielo; come un vaso pieno di veleno, generano le sofferenze dell’esistenza ciclica; come un rampicante velenoso, essi sono la causa del dolore. Gli oggetti dei sensi, che sono desiderati da coloro che possiedono una mente immatura, sono simili ad una bolla nell’acqua, la cui natura si trasforma velocemente; sono simili all’illusione e al miraggio causato da un errore della mente; come i sogni, non possono dare alcuna soddisfazione, perché prodotti dall’unione del desiderio e della falsa visione; non possono essere portati a compimento, così come l’Oceano non può essere riempito; come l’acqua salata, possono solo provocare la sete; sono pericolosi al tocco come la testa di un serpente; vengono evitati dai saggi, come un profondo precipizio. I saggi li evitano con cura, i sapienti li disapprovano, gli esseri nobili li respingono, le persone intelligenti li abbandonano, poiché hanno riconosciuto che essi sono causa di pericoli, provocano conflitti, generano errori, producono sofferenze. Ma coloro che sono privi di saggezza invece li ricercano, e gli ignoranti vi si attaccano.
Quindi recitò questi versi:
36. Gli oggetti del desiderio sono evitati dai saggi come la testa di un serpente, o Chandaka, sono allontanati come un vaso impuro, poiché distruggono ogni virtù. Avendo compreso questo, non provo più alcun piacere in essi! 
Allora Chandaka, lamentandosi come fosse stato colpito da una freccia, con gli occhi pieni di lacrime, sopraffatto dal dolore, così parlò:
37. O Signore, per quale motivo alcuni praticano pesanti austerità di ogni genere, indossano nere pelli di daino, portano una crocchia di capelli, i loro capelli, le unghie e le barbe sono molto lunghi e vestono abiti monastici? Alcuni indossano abiti di corteccia, le loro membra sono smagrite e, assorti nelle loro penitenze, mangiano solo erbe e legumi; altri hanno fatto voto di comportarsi come le vacche e tengono il capo rivolto in basso.
38. Noi dovremmo essere nel mondo i migliori, i più nobili, i più eminenti tra i Sovrani universali e i Guardiani del Mondo, simili a Śakra, che detiene la folgore, come Yama, Signore degli dei, e Nirmitta, che aspira alla felicità generata dalla contemplazione nel reame di Brahmā!
39. O Perfetto tra gli uomini, il vostro reame è ricco, vasto, fiorente. I giardini sono deliziosi, i parchi e i palazzi simili al Vijayanta. Le vostre consorti offrono piaceri accompagnati dai canti, dalle danze e dai concerti dei flauti e dei liuti. Godete di questi oggetti del desiderio, o Signore, non andate errando come un monaco!
Il Bodhisattva rispose:
40. Ascolta, Chandaka! A causa del desiderio, nel corso delle mie vite precedenti ho sopportato centinaia di sofferenze: imprigionamenti, catene, percosse, minacce. Ma non vi è stato da parte mia alcun cedimento.
41. Nel passato, la mia mente era immersa negli oggetti dei sensi, sottomessa al potere della passione, ricolma di turbamenti, prigioniera della rete delle false visioni, era divenuta cieca. Ma le sensazioni che motivavano le mie azioni impadronendosi dell’intelletto sono state completamente abbandonate [27].
42. [Colui che non conosce il Dharma non comprende che] gli oggetti dei sensi sono impermanenti, mutevoli, instabili, simili alle nubi, ai fulmini, a gocce di rugiada, vani, senza sostanza, privi di un sé [28], per loro natura del tutto vuoti.
43. Ma ora la mia mente non si attacca agli oggetti dei sensi. Chandaka, porta qui Kaṇthaka, il grande re dei cavalli, perfettamente bardato. I miei voti di un tempo sono adempiuti. Io sarò il Muni, signore di tutti i fenomeni, re del Dharma.
Chandaka replicò:
44. Colei i cui occhi sono come un petalo di loto sbocciato, adorna di collane di perle e di pietre preziose, simile ad un lampo che brilla nel cielo tra cumuli di nubi, non la vedete, così bella sul suo letto?
45. Quei flauti, quei tamburelli dai suoni gradevoli? Quegli strumenti musicali e i loro concerti? I canti degli cakora [29] e i cinguettii dei kalabiṅka? E questa dimora, simile a quella delle femmine dei Kinnara? Come potrete abbandonare tutto questo?
46. Non vedete i gelsomini, i loti azzurri, i fiori dell’aloe, le magnolie e le ghirlande dai profumi soavi di fiori appena raccolti? Gli incensieri dove bruciano le essenze dell’aloe nera, gli aromi migliori, gli elisir più fragranti?
47. Non vedete i cibi profumati dai sapori più accattivanti, cucinati nel migliore dei modi con spezie deliziose? Le dolci bevande preparate con tanta cura? Mio Signore, dove andrete?
48. E queste eccellenti e belle vesti di Kāśi [30], calde durante la stagione fredda e profumate con ottimi elisir, e nella stagione calda rinfrescate con essenza di sandalo di Uraga, non le vedete? O Signore, dove andrete?
49. I piaceri dei cinque sensi, o Signore, per voi qui sono abbondanti come nei reami degli dei. Godetene dunque, abbandonatevi alla gioia e alla felicità, e in seguito il principe degli Śākya potrà ritirarsi nella foresta.
Il Bodhisattva rispose:
50. Per un numero immenso e senza fine di eoni, Chandaka, ho gustato tutti i piaceri sensoriali umani e divini che sorgono dalla forma, dal suono, dall’odorato, dal gusto e dal tatto, ma non ne sono mai stato soddisfatto!
51. Io, figlio del primo dei re, fui sovrano di un grande reame formato da quattro continenti. In passato fui un Cakravartin e possedetti i sette tesori. Vissi in mezzo alle donne. Dominai sugli dei Tridaśa e sugli dei Suyāma.
52. Dopo aver lasciato quei reami, scesi qui. In passato fui tra gli dei dell’emanazione [31] e mi compiacqui delle più grandi ricchezze che rallegrano il cuore. Come Mara, esercitai la sovranità su coloro che controllano i reami degli dei. Ho goduto dei migliori e dei più raffinati oggetti del desiderio, ma non ne ho ottenuto alcuna soddisfazione!
53. In qual modo, e a maggior ragione oggi, quando mi trovo in una condizione inferiore, potrei esserne soddisfatto? È fuori questione! Inoltre, Chandaka, io osservo questo mondo pieno di sofferenza, imprigionato nel ciclo doloroso dell’esistenza condizionata.
54. È un luogo infestato dai serpenti delle afflizioni, reso oscuro dall’agitazione mentale e dall’ignoranza, nel quale gli esseri sono trascinati privi di rifugio e di guida, inseguiti dalla paura della vecchiaia, della malattia e della morte, colpiti da ogni lato dalle sofferenze della nascita, perseguitati dai nemici.
55. Io porterò il vascello del Dharma, che ha la forza dell’etica, della disciplina, della pazienza e dell’impegno; che è eccellente e consolidato dai meriti accumulati, robusto e ben strutturato da profonde meditazioni, indistruttibile come il diamante.
56. Essendo salito su quel vascello ed avendolo già fatto io stesso, traghetterò gli innumerevoli esseri oltre le correnti dell’esistenza ciclica, turbata dalla sofferenza della trasmigrazione, attraverso i flutti dell’ira e dell’attaccamento, superando i Graha [32] che rendono difficile il passaggio. Questa è la mia determinazione. 
57. Per questo motivo, avendo io stesso attraversato l’oceano dell’esistenza infestato dai demoni delle visioni ostili e dai Rākṣasa delle afflizioni, traghetterò gli innumerevoli esseri senzienti e li stabilirò nella terra felice dove non vi sono né vecchiaia né morte!
Allora Chandaka così parlò, alzando alti gemiti: Mio Signore, è questa la vostra ferma determinazione?
Il Bodhisattva rispose: Ascolta, Chandaka, la mia determinazione è di agire per il bene degli esseri e di liberarli. Essa è immutabile, indistruttibile, solida come il monte Meru, Signore delle montagne, impossibile da far vacillare.
Chandaka chiese: Qual è la determinazione del nobile Signore?   
Il Bodhisattva rispose:
58. Nemmeno se mi trovassi in mezzo ad una pioggia di pietre, di frecce, di picche, di scuri, di fulmini e di tuoni, nemmeno se una colata di ferro fuso, fiammeggiante come un fulmine, e le cime infuocate dei vulcani potessero cadere sul mio capo, proverei nuovamente il desiderio di avere una casa!
59. In quel momento gli dei che osservavano dal cielo proruppero in grida di gioia e fecero cadere una pioggia di fiori (esclamando): Vittoria, vittoria a te, che possiedi la suprema comprensione, a te, o Guida, che offri protezione agli esseri!  
60. La mente dell’Essere Supremo è priva di turbamenti così come il cielo non è turbato dall’oscurità, dalla polvere e dalle stelle cadenti; egli, l’Essere Puro, non è attaccato agli oggetti del desiderio, così come il loto non è bagnato dall’acqua nella quale è appena sbocciato.
A quel punto, o Monaci, Śāntamati e Lalitavyūha, figli di un dio, non appena udirono la determinazione del Bodhisattva fecero addormentare tutti gli uomini, le donne e i bambini della grande e nobile città di Kapilavastu e fecero cessare ogni rumore.
Nello stesso istante, o Monaci, il Bodhisattva comprese che tutti gli abitanti della città erano caduti nel sonno, che era scoccata la mezzanotte e che la luna era nella costellazione di Puṣyā, re degli astri. Era giunto il momento di uscire nel mondo e quindi disse a Chandaka: Chandaka, ora non cercare più di dissuadermi, ma prepara Kaṇthaka e portalo a me senza indugio.
Non appena il Bodhisattva ebbe pronunciato queste parole, i Quattro Guardiani del Mondo, che si erano ritirati nelle loro rispettive dimore, le udirono e velocemente ritornarono nella grande città di Kapilavastu, ognuno con le offerte che aveva preparato, al fine di rendere omaggio al Bodhisattva.
Allora Dhṛtarāṣṭra, il grande re Signore dei Gandharva, giunse dall’orizzonte orientale insieme con molte centinaia di migliaia di milioni di Gandharva, accompagnato da concerti di musiche e canti di ogni specie. Non appena arrivato girò intorno alla grande città di Kapilavastu offrendo il fianco destro. Quindi si fermò ad oriente, da dove era giunto, rendendo omaggio al Bodhisattva.
Dall’orizzonte meridionale giunse il grande re Virūḍhaka, insieme con molte centinaia di migliaia di milioni di Kumbhānda che recavano nelle mani ogni sorta di collane di perle e di diamanti e vasi ricolmi di acque profumate con essenze di ogni genere. Non appena arrivato girò intorno alla grande città di Kapilavastu offrendo il fianco destro. Quindi si fermò a sud, da dove era giunto, rendendo omaggio al Bodhisattva.
Nello stesso modo dall’orizzonte occidentale giunse Virūpākṣa insieme con molte centinaia di migliaia di milioni di Nāga che recavano ogni sorta di collane di perle e di diamanti e sollevavano nuvole di fiori e di polveri profumate e facevano spirare brezze impregnate dei profumi più dolci.  Non appena arrivato girò intorno alla grande città di Kapilavastu offrendo il fianco destro. Quindi si fermò ad occidente, da dove era giunto, rendendo omaggio al Bodhisattva.
Il grande re dell’orizzonte settentrionale, Kuvera, giunse insieme con molte centinaia di migliaia di milioni di Yakṣa che recavano diamanti, perle, pietre preziose e torce accese; impugnavano archi, frecce, picche, giavellotti, lance a due e tre punte, dischi, dardi e armi di ogni genere e indossavano robuste corazze.  Non appena arrivato girò intorno alla grande città di Kapilavastu offrendo il fianco destro. Quindi si fermò a nord, da dove era giunto, rendendo omaggio al Bodhisattva.
Giunse anche Śakra, Signore degli dei, insieme con gli dei Trāyastriṃśa, recando con sé fiori divini, oli, profumi, ghirlande, polveri profumate, vesti, parasole, stendardi, vessilli, orecchini ed altri ornamenti. Non appena arrivato girò intorno alla grande città di Kapilavastu offrendo il fianco destro. Quindi si fermò con il suo seguito nella distesa del cielo, da dove era giunto, rendendo omaggio al Bodhisattva.
In quel momento, o Monaci, Chandaka, che aveva ascoltato le parole del Bodhisattva, così gli parlò, con gli occhi pieni di lacrime: O Signore, voi conoscete il tempo propizio, il momento, l’occasione favorevole, ma questo non è il momento giusto per partire. Perché dunque mi date quest’ordine?
Il Bodhisattva rispose: Chandaka, il momento è giunto.
Ma Chandaka replicò: Il momento per fare cosa, Signore?
Il Bodhisattva disse:
61. Molto tempo fa, mentre cercavo di aiutare gli esseri senzienti, ho fatto il voto, una volta che avessi conseguito il Risveglio che non conosce vecchiaia né morte, di liberare il mondo. Di questo, è giunto il momento.
A questo proposito, è detto [33]:
62. Gli dei della terra e dell’aria, come pure i Guardiani del Mondo, il Signore degli dei Śakra con il suo seguito, gli dei Yama e Tuṣita e gli dei Nirmitta e Paranirmitta, giunsero velocemente.
63. Varuṇa, Manasvin, il re dei Nāga Anavatapta ed anche Sāgara ugualmente si affrettarono per presentare le loro offerte nel momento dell’uscita del Supremo Essere dalla famiglia.
64. Anche gli dei del reame della forma, i quali agiscono costantemente nella quiete e dimorano nello stato contemplativo, si affrettarono per rendere omaggio al Supremo Essere, a colui che è degno delle offerte dei tre mondi.
65. Giunti presso di lui dalle dieci direzioni dello spazio, i Bodhisattva che furono suoi compagni nel passato dissero: Noi assisteremo all’uscita del Vittorioso, e gli renderemo omaggio così come si conviene.
66. E il grande Signore dei Guhyaka [34], Pradīptavajra, dotato di forza, di energia e coraggio, era sospeso nel cielo indossando una corazza e teneva con la mano una saetta scintillante.
67. Candra e Sūrya, figli degli dei, si disposero a destra e a sinistra, con le mani giunte in segno di omaggio, ed assistettero alla partenza del Bodhisattva.
68. L’asterismo Puṣyā, insieme con il suo seguito, aveva trasformato il proprio corpo in maniera maestosa e, mantenendosi di fronte al più nobile degli esseri, fece udire i suoni di una voce che toccò il cuore:
69. Oggi ogni virtù e preghiera ha avuto compimento; Puṣyā è comparso [35]; è il momento favorevole per la partenza. Io stesso verrò con te. Non incontrerai alcun ostacolo, o Distruttore delle passioni!
70. Sañcōdaka, figlio di un dio, ti ha esortato: alzati in fretta, tu che primeggi nella forza e nel coraggio! Libera tutti gli esseri prostrati dalle sofferenze! È giunto per te il momento di uscire dal palazzo.
71. Erano giunti milioni di dei, i quali facevano cadere come pioggia fiori deliziosi. Egli [il Bodhisattva], seduto a gambe incrociate in perfetta postura, circondato dagli dei, rifulgeva di grande splendore.
72. Nella città, uomini, donne, giovani di ambo i sessi, tutti dormivano, le loro menti erano pesanti, offuscate. Elefanti, cavalli, buoi, ghiandaie, pappagalli, cicogne, pavoni, erano tutti addormentati, stanchi, non potevano vederlo [36].
73. Anche i giovani Śākya che su elefanti, cavalli e carri erano stati posti a guardia della porta principale, muniti di lance a due punte robuste come il diamante, erano completamente addormentati.
Nella notte, gli uomini al seguito del re e del principe dormivano profondamente; e così pure le donne, dopo aver deposto le loro vesti, si erano addormentate e non udivano più nulla. 
74. Egli, con la voce simile a Brahmā, con parole che arrivarono dritte al cuore, melodiose come il canto del Kalabiṅka, appena passata la mezzanotte così si rivolse a Chandaka: Ti prego, Chandaka, portami il mio buon cavallo Kaṇthaka con i finimenti. Non ostacolarmi, non esitare, se mi vuoi bene.
75. Avendo udito queste parole, Chandaka rispose piangendo al suo maestro: Dove andrete, voi, grande Auriga degli esseri, e a cosa vi serve un cavallo? Voi conoscete il tempo e il momento, e questo non è il tempo e il momento giusto per praticare il Dharma, per andare dove che sia. Le porte sono chiuse, sbarrate con solide travi; chi le aprirà?
76. Ma vedendo che le porte erano state aperte da Śakra grazie al potere della sua mente, Chandaka, che si era rallegrato, ridivenne triste e pianse: Che disgrazia! Chi mi può aiutare? Che fare? Dove devo andare? Non è possibile conformarsi alle terribili parole dette da questo Essere, che primeggia per il suo splendore [37].      
77. Cosa fa questo grande esercito di quattro armate di soldati? Il re, il suo seguito, quello del principe, nessuno di loro lo vede. Le sue numerose consorti stanno tutte dormendo. Yaśovatī è stata fatta cadere nel sonno dalla divinità. Ah, sventura! Che vada, dunque! Che si realizzi il voto da lui espresso in passato!
78. Centinaia di milioni di dei, felici, dissero a Chandaka: Di grazia, Chandaka, porta l’ottimo Kaṇthaka, non ostacolare la Guida (degli esseri). Gli dei e gli Asura hanno fatto risuonare i tamburi, le conche e gli altri strumenti, a centinaia di migliaia, e ciononostante la grande città, fatta cadere nel sonno dagli dei, non si risveglia!
79. Guarda, Chandaka, nel cielo terso risplende una luce divina; guarda i Bodhisattva, giunti a milioni per rendere omaggio. Guarda Śakra, consorte di Śacī [38], circondato da un esercito. Egli risplende, fermo sulla porta. Anche gli dei, gli Asura, le schiere dei Kinnara, sono giunti per rendere omaggio.
80. Udite queste parole delle divinità, Chandaka si rivolse a Kaṇthaka: il grande Auriga degli esseri si sta avvicinando. Tu allora leverai un nitrito.
E Chandaka, dopo averne ornato con l’oro gli zoccoli dal colore delle nubi cariche di pioggia, con il cuore gonfio di tristezza portò la sua cavalcatura a colui che è un Oceano di qualità:
81. O voi, che recate i segni maggiori, che siete compassionevole, ecco qui il vostro bel cavallo di ottima razza. Partite, affinché si realizzino le aspirazioni da voi espresse in passato! Che coloro che vi ostacoleranno siano pacificati, che il vostro voto si adempia! Siate dunque il dio del mondo intero, colui che dona a tutti gli esseri la felicità e la pace dello Svarga!
82. Quando egli, alzatosi dal suo posto, salì sul grande re dei cavalli, candido come il disco della luna piena, e le mani dei Guardiani del Mondo, pure come un loto immacolato, lo aiutarono a salire, tutta la terra fu scossa in sei modi diversi.
Śakra e Brahmā, precedendolo insieme, mostrarono la strada migliore.
83. Una luce pura e brillante si sprigionò dal suo corpo e la terra ne fu illuminata. Tutti gli esseri che dimoravano nei reami inferiori, pacificati e felici, furono liberi dalle afflizioni. Cadde una pioggia di fiori, milioni di strumenti risuonarono. Deva e Asura gli resero omaggio. Tutti, dopo aver compiuto tre volte la circumambulazione presentando il fianco destro, tornarono nella grande città, ricolmi di gioia [39].
84. Il dio della grande città, triste, giunto ormai il momento della partenza del grande Essere, restando davanti a lui, con lo spirito prostrato dal dolore, così si rivolse a colui il cui volto è simile ad un loto:
85. Questa terra e questa città sono avvolte dalle tenebre; nuda, senza di te esse non risplendono più! Per me qui non vi sono più né gioia né piacere, poiché hai abbandonato questo luogo!
86. Tu, il cui splendore è infinito, non ascolterai più, nelle stanze interne piene di stormi di uccelli, i canti e i dolci accordi dei flauti, quei canti e quelle lodi che ti risvegliavano!
87. Non vedrai più le schiere degli dei e dei Siddha [40] che ti rendevano omaggio notte e giorno; quando sarai partito, o Distruttore delle afflizioni, non sentirai più i divini profumi.
88. Una ghirlanda di fiori viene staccata quando è appassita ed è poi abbandonata, e la stessa cosa è ciò tu fai oggi a questa dimora; essa mi sembra la scena di una danza in un teatro: partito tu, non ci sono più né splendore né gioia.
89. Hai privato dello splendore e della forza l’intera città, che ora non brilla più, è come un deserto. Oggi si è dimostrata falsa la profezia dei Ṛṣi, i quali annunciavano che tu saresti divenuto un monarca universale.
90. Il potere degli Śākya su questa terra è ormai privo di forza; il lignaggio della famiglia del re è spezzato; dopo la tua partenza, o grande Albero dei meriti, qui, nelle schiere degli Śākya, ogni speranza è distrutta.
91. Poiché tu parti, o Essere Puro, immacolato, privo di difetti, anch’io verrò con te! Genera amore e compassione [41], e per una volta ancora rivolgi lo sguardo al palazzo che è il tuo!
92. E guardando ancora una volta il palazzo il Saggio pronunciò con voce dolce queste parole: Non rientrerò nella città di Kapila senza aver conseguito ciò che mette fine a nascita e morte!
93. Fino a quando non avrò conseguito il prezioso Risveglio, la condizione nella quale non vi è più vecchiaia né morte, non mi volgerò verso la città di Kapilavastu, che io sia in piedi, seduto, sdraiato o che stia camminando [42].
94. Mentre il Bodhisattva, Signore degli esseri, stava partendo, le Apsarā attraversando il cielo [43] fecero udire le loro invocazioni: Egli è degno di grandi offerte! È il grande albero dei meriti, il campo di coloro che aspirano ai meriti, colui che genera il frutto dell’immortalità!
95. Nel corso di molti milioni di kalpa, per compassione nei confronti degli esseri senzienti, egli ha conseguito il completo Risveglio, grazie alla pratica della generosità, al controllo di sé, alla moderazione. La sua disciplina è perfettamente pura, non viene meno ai suoi voti, la sua condotta è eccellente; non ricerca la soddisfazione dei desideri né il piacere, ha cura della sua disciplina!
96. Ha sempre parlato con pazienza a coloro che smembravano il suo corpo, senza provare collera né avversione, al fine di proteggere gli esseri [44]. Sempre diligente e non venendo mai meno per milioni di kalpa, ha conseguito il perfetto Risveglio e ha compiuto un immenso numero di sacrifici.
97. È costantemente immerso nella concentrazione, il suo spirito è calmo e nella perfetta quiete. Avendo estinto le afflizioni, egli libererà milioni di esseri. La sua saggezza è priva di passioni; possiede discernimento, un perfetto discernimento; la sua mente è libera, egli sarà un Vittorioso che sorge di per se stesso [45].
98. La sua mente è costantemente pervasa d’amore, ed egli ha generato la suprema compassione; possiede la gioia, l’equanimità, la concentrazione, e conosce i quattro illimitati [46]. Egli è il dio al di sopra degli dei, degno della venerazione da parte degli dei. La sua mente è virtuosa, immacolata e perfettamente pura; egli ha ottenuto milioni di perfette qualità.
99. Egli è il rifugio di coloro che sono in preda alla paura, la lampada di coloro che non hanno occhi, la guida di coloro che sono smarriti, il medico di chi è malato da lungo tempo, il grande re che regna secondo la migliore delle leggi; è come Indra dai mille occhi, come Brahmā che ha in se stesso la sua origine.
100. Egli ha corpo e mente nella quiete; è stabile e grande è la sua saggezza; è forte, poiché il suo spirito è perfettamente libero; eroe, distruttore delle afflizioni, ha sconfitto l’invincibile avversario.
101. Come il leone ha abbandonato la paura, come l’elefante il suo spirito è domo, come il toro guida la sua mandria, sempre paziente e privo di collera; è la luna che illumina, è il sole che risplende, è la torcia che genera la luce, perfettamente libero dall’oscurità.
102. Loto immacolato, fiore che ha il profumo della buona disciplina, maestro incrollabile come il monte Meru, dona nutrimento come la terra, miniera di pietre preziose, perfettamente irremovibile.
103. Ha sconfitto il demone delle afflizioni, ha distrutto il demone degli aggregati, ha vinto il demone della morte, ha sterminato il demone figlio degli dei. È la guida della grande carovana: tra poco tempo mostrerà a coloro che camminano su sentieri erronei il Nobile Ottuplice Sentiero.
104. Distruttore della vecchiaia, della morte e delle afflizioni, libero dalle oscurazioni e dall’ignoranza, egli sarà un Vittorioso famoso sulla terra e nei cieli, generato di per se stesso.
Tu sei lodato da coloro che vengono lodati, o Supremo, tu hai la forma di un Nobile Essere: poiché ti abbiamo reso omaggio [47] possiamo noi essere come te, o Leone della parola!
  Così, o Monaci, quando si fece giorno il Bodhisattva, che dopo la partenza aveva attraversato le terre degli Śākya, le terre dei Kroḍya e quelle dei Malla, giunse alla città di Anumaineya nella regione dei Māineya. Quindi scese dal suo cavallo Kaṇthaka e non appena toccò terra congedò la grande moltitudine di Deva, Nāga, Gandharva, Asura, Garuḍa, Kinnara e Mahoraga. Dopo che si furono allontanati sorse in lui questo pensiero: Ora congederò Chandaka e gli lascerò questi ornamenti e Kaṇthaka.
Il Bodhisattva chiamò Chandaka e gli disse: Vai, Chandaka, prendi questi ornamenti e Kaṇthaka, ritorna sui tuoi passi. Nel luogo in cui Chandaka ritornò indietro fu poi costruito un chaitya [48]. Ancora oggi esso è conosciuto con il nome di Chandakanivartana (Il ritorno di Chandaka).
Inoltre il Bodhisattva pensò: Come posso continuare ad avere i capelli lunghi, essendo divenuto un monaco errante? Così tagliò i capelli con la sua spada e li gettò al vento. Essi furono raccolti dagli dei Trāyastriṃśa quale oggetto di culto, ed ancora oggi si svolge presso gli dei Trāyastriṃśa la Festa dei Capelli. Anche in quel luogo fu costruito un chaitya, e ancora oggi esso è conosciuto con il nome di Cūḍāpratigrahaṇa (La ciocca di capelli raccolta).
E ancora il Bodhisattva pensò: Come posso continuare a possedere abiti di Kāśi (Benares), essendo divenuto un monaco errante? Se potessi avere delle vesti color ocra [49] adatte per vivere nella foresta, sarebbe una buona cosa!
Gli dei Śuddhāvāsakāyika pensarono: Il Bodhisattva ha bisogno di vesti ocra. Ed ecco, un figlio degli dei, dissimulando la sua forma divina, giunse davanti al Bodhisattva, indossando un abito ocra. Il Bodhisattva gli disse: Amico, se mi darai delle vesti ocra, io ti darò degli abiti di Kāśi.
Quegli rispose: I tuoi abiti stanno bene a te, questi a me.
Il Bodhisattva continuò: Te lo chiedo con insistenza.
Allora il figlio del dio, sotto le spoglie di un cacciatore, diede al Bodhisattva le vesti color ocra e prese quelle di Kāśi. Poi, il figlio del dio, con grande rispetto, posò con due mani quelle vesti sul proprio capo e ritornò nel regno degli dei, al fine di rendere loro omaggio. Tutto questo fu visto da Chandaka. Anche in quel luogo fu costruito un chaitya che ancor oggi è noto con il nome di Kaṣāyagrahaṇa (La consegna della veste ocra).
Quando le vesti ocra furono indossate dal Bodhisattva, dopo che egli ebbe tagliato i lunghi capelli, in quell’istante centomila figli degli dei compiaciuti, felici, gioiosi, estasiati, rapiti, ricolmi di allegria, fecero udire parole ed esclamazioni che esprimevano il loro entusiasmo: O amici, il giovane Siddhārtha è divenuto un monaco! Dopo aver conseguito il perfetto e supremo Risveglio, egli metterà in movimento la Ruota del Dharma. Libererà completamente dalla nascita innumerevoli esseri che sono soggetti alla nascita; dopo averli perfettamente liberati da vecchiaia, malattia, morte, sofferenza, pena, dolore, prostrazione e paura, dopo averli traghettati al di là dell’oceano della trasmigrazione, egli li stabilirà nella terra del Dharma senza eguali [50], felice, dove non vi è paura né dolore, priva di turbamento, nella pace, esente dalla passione e dalla morte.
Queste parole, riportate dall’uno all’altro, giunsero infine alla dimora degli Akaniṣṭha.
Nel frattempo le donne del seguito non vedendo il giovane principe lo cercarono nel palazzo d’inverno, in quello di primavera e in quello estivo, nei suoi letti, nei suoi appartamenti, ma non avendolo trovato malgrado le loro ricerche, si misero a gridare tutte insieme come dei gabbiani [51].
Alcune delle donne afflitte dal grande dispiacere gridavano: Mio figlio! Altre: Mio fratello! Altre ancora: Il mio sposo! Oppure: Il mio protettore! Il mio signore! Alcune piangevano mormorando parole di tenerezza, altre tormentando il loro corpo. Altre ancora singhiozzavano tenendo il capo chino, oppure guardandosi l’un l’altra. Alcune piangevano con lo sguardo sconvolto, altre coprendosi il viso con le vesti. Alcune piangevano battendosi le cosce con le mani, altre colpendo con le mani il petto, altre graffiandosi le braccia con le unghie, altre ferendosi il capo, altre coprendo la testa con la polvere. Alcune gettavano alte grida con i capelli scarmigliati, altre strappandosi i capelli, altre levando in alto le braccia. Alcune piangevano e correvano precipitosamente, come gazzelle ferite da frecce avvelenate. Alcune singhiozzavano estremamente agitate, come piante kadali [52] scosse dal vento. Altre, distese sul pavimento, sembravano in punto di morte. Altre ancora si rotolavano a terra e piangevano, come dei pesci fuori dall’acqua. Ed altre singhiozzavano dopo essere crollate violentemente sulla terra, come alberi tagliati alla radice.
Il re, avendo udito quel clamore, chiese agli Śākya: Perché negli appartamenti delle donne si sente questo rumore?
Gli Śākya, informatisi, risposero: Maestà, il giovane principe non si trova negli appartamenti delle consorti.
Il re esclamò: Presto, chiudete le porte della città! Cerchiamo all’interno il giovane principe!
Lo cercarono dentro e fuori, ma così facendo non lo trovarono.
E Mahaprajapati Gāutamī, piangendo e prostrandosi sul pavimento, disse al re Śuddhodana: Presto, grande Re, fate sì che io ritrovi mio figlio!
Allora il re inviò dei messaggeri a cavallo nelle quattro direzioni dello spazio: Andate! E non tornate fino a quando non avrete trovato il giovane principe!
E poiché era stato predetto dagli indovini e da coloro che conoscono i segni: “Il Bodhisattva uscirà attraverso la Porta dei Buoni Auspici”, i messaggeri, passando da quella porta, videro in mezzo alla strada la pioggia di fiori che era caduta e pensarono: Il giovane principe è partito passando per questa strada.
Poco oltre, essi scorsero il figlio di un dio che camminava tenendo sul capo gli abiti di seta di Kāśi del Bodhisattva, e quindi pensarono: Sono proprio le vesti di seta del giovane principe: non sarà forse accaduto che a causa di quegli abiti il principe sia stato ucciso? Prendete quell’uomo!
Poi, videro dietro di lui Chandaka che teneva Kaṇthaka e gli ornamenti e che si stava avvicinando. Allora si dissero l’un l’altro: Non agiamo in modo impulsivo. Ecco Chandaka che arriva insieme con Kaṇthaka, interroghiamolo.
Chiesero a Chandaka: Il giovane principe è stato forse ucciso a causa delle vesti di seta?
Chandaka rispose: Nient’affatto! Al contrario, costui diede al giovane principe degli abiti color ocra, e il principe gli donò le sue vesti di seta.
Nel frattempo il figlio di un dio fece ritorno nel mondo degli dei, tenendo sul capo quelle vesti con ambo le mani, per farne oggetto di venerazione.
I messaggeri interrogarono ancora Chandaka: Cosa ne pensi, Chandaka, se raggiungiamo il principe sarà possibile farlo tornare indietro?
Egli rispose: Assolutamente no. È impossibile far ritornare il principe, incrollabile nel suo coraggio e nella sua determinazione. Ecco ciò che ha detto: Non rientrerò nella grande città di Kapilavastu prima di aver conseguito il supremo e completo Risveglio! Ed egli farà ciò che ha detto. Per questo è impossibile far tornare il giovane principe, che è incrollabile nel suo coraggio e nella sua determinazione.
Quindi Chandaka, portando con sé Kaṇthaka e gli ornamenti, rientrò nel palazzo delle consorti. Allora i giovani Śākya Bhadrika, Mahānāma e Anirudda cercarono a lungo di sollevare quegli ornamenti. Ma essi erano fabbricati per corpi forti come quello di Nārāyaṇa e Ardha Nārāyaṇa, per cui non riuscirono a sollevarli [53]. 
Poiché nessuno era riuscito a smuoverli, Mahaprajapati Gāutamī pensò: Fino a quando vedrò questi ornamenti il mio cuore soffrirà. E se li gettassi in uno stagno?
Allora Mahaprajapati Gāutamī gettò gli ornamenti in uno stagno, il quale ancora oggi è conosciuto con il nome di Ābharaṇapuṣkari (Stagno degli Ornamenti).
Così è detto:
105. Dopo che il saggio e coraggioso Bodhisattva fu partito, l’intera città di Kapila uscì dal sonno; tutti pensavano: Il giovane principe sta riposando! E, felici, parlavano gli uni con gli altri.
106. Gopā, svegliatasi insieme con tutte le consorti, guardò il letto e non vedendo il Bodhisattva nel suo appartamento principesco gridò: Ah, siamo stati ingannati! Dove è andato il Bodhisattva?
107. Il re, avendo udito quelle grida, si lasciò cadere a terra esclamando: Il mio unico figlio! Essendogli stata spruzzata dell’acqua sul viso, tornò in sé grazie alle premure di centinaia di Śākya.
108. Gopā, caduta a terra dal suo letto, tagliò i suoi capelli e gettò i suoi ornamenti: Ahimè! La Guida degli uomini mi aveva insegnato un tempo che mi sarei separata da tutto ciò che mi è caro, ma la separazione è stata così improvvisa!
109. Bello, il più bello (tra tutti), dalle membra prive di difetti e ad armoniose; splendente, perfettamente puro, caro a tutti gli esseri, beneamato, felice, onorato nei cieli e sulla terra, dove sei andato, dopo che sei uscito dal talamo?   
110. Fino a quando non vedrò il Bodhisattva, ricolmo di qualità, non gusterò più gradevoli bevande, non mangerò più cibi saporiti, dormirò sulla terra, i capelli intrecciati degli asceti saranno la mia corona, senza più fare il bagno praticherò le austerità dei penitenti.
111. Tutti i giardini non hanno più fiori né frutti; le ghirlande splendenti, ora scure ed appassite, sembrano coperte di polvere; da quando è stata lasciata dal migliore e più nobile degli uomini questa dimora non risplende più, è simile ad un deserto.
112. Addio, melodiosi accordi degli strumenti e voci incantevoli! Stanze delle consorti ricoperte di gioielli, luci velate da reti d’oro, non vi guarderò più, ormai vuote di colui che è ricolmo di qualità!
113. La sorella della madre (del Bodhisattva), in preda al più grande dolore, consolò Gopā dicendo: Non piangere, figlia degli Śākya! Già in passato il più nobile degli uomini aveva detto: Farò sì che il mondo sia libero dalla vecchiaia e dalla morte!
114. Durante la notte il grande Ṛṣi, colui che ha praticato mille azioni virtuose, giunse ad una distanza di sei yojana. Lasciò a Chandaka l’ottimo cavallo e i suoi ornamenti (dicendo): Prendi questi, e ritorna alla città di Kapila.
115. Riferisci a mio padre e a mia madre queste mie parole: Il giovane principe è partito. Non siate oltremodo addolorati. Quando avrò ottenuto il supremo Risveglio – ha detto – ritornerò. E dopo aver ascoltato il Dharma le vostre menti saranno pacificate.
116. Chandaka, piangendo, disse ancora alla Guida degli esseri: Non ho capacità né forza né coraggio. E se tutti i parenti del Nobile Essere mi batteranno, chiedendomi: Chandaka, dove hai condotto il Bodhisattva, colui che è ricolmo di qualità?
117. Non temere, Chandaka – rispose il Bodhisattva. I miei parenti tutti riuniti saranno felici anch’essi, e vedranno in te un maestro. Si comporteranno con te con lo stesso amore che hanno avuto per me.
118. Avendo con sé l’ottimo cavallo e gli ornamenti, Chandaka giunse al parco del nobile e sublime Essere. La guardia del parco, in uno slancio di gioia, portò agli Śākya la buona notizia:
119. Il giovane principe è arrivato al parco insieme con il suo ottimo cavallo e con Chandaka! Non bisogna piangere per lui! Avendo udito, il re, circondato dagli Śākya, fu inondato dalla felicità.
120. Ma Gopā, che conosceva la fermezza di spirito del Bodhisattva, non gioì e non prestò fede a quelle parole: È impossibile che dopo essere partito il giovane principe sia tornato qui senza aver conseguito il Risveglio.
121. Avendo visto solo l’eccellente cavallo e Chandaka, il re gettò un grido e cadde prostrato a terra: Ah, figlio mio, così bravo nel canto e nel suonare gli strumenti musicali! Dove sei andato dopo aver abbandonato il reame?
122. Chandaka, parlami sinceramente: qual è il piano del Bodhisattva, dove è andato? Da chi è stato guidato? Da chi sono state aperte le porte? Che cosa gli hanno offerto gli dei?
123. Chandaka rispose: Ascoltatemi, potente Re. A mezzanotte nella città giovani e vecchi dormivano profondamente; il Bodhisattva dalla dolce voce mi disse: Chandaka, portami subito il re dei cavalli.
124. Io cercai di svegliare la moltitudine degli uomini e delle donne. Ma dormivano di un sonno profondo, non udirono la mia voce. Io gli portai piangendo l’ottimo cavallo dicendo: Andate dunque dove vorrete!
125. Le porte, munite di serrature, furono aperte da Śakra; ognuno dei Quattro Guardiani del Mondo sosteneva uno zoccolo del cavallo. Quando l’eroe salì sul cavallo i tremila mondi tremarono. Egli avanzava nel cielo immenso.
126. Brillava una grande luce, che dissolveva l’oscurità e le tenebre. Cadevano fiori, e centinaia di strumenti melodiosi risuonavano. Gli dei offrivano lodi, e così pure le Apsarā. Egli avanzava attraverso il cielo, circondato dalle schiere divine.
127. Nel frattempo Chandaka, recando con sé l’eccellente cavallo e gli ornamenti, giunse in lacrime presso gli appartamenti delle consorti. Gopā, vedendo Chandaka e l’ottimo cavallo, svenne e cadde distesa sul pavimento.
128. Tutte le donne del seguito si affrettarono e presa dell’acqua bagnarono la figlia degli Śākya dicendo: Davvero ella morirebbe, prostrata dal dolore, se due persone che si amano si separassero! [54]
129. Con uno sforzo, l’affranta figlia degli Śākya si aggrappò al collo del nobile destriero e ricordando i giochi d’amore di un tempo espresse la sua tristezza in molti modi:
130. Tu, che eri la mia gioia! Mio sposo, nobile uomo dal volto pari alla luna immacolata! Mio sposo, tra tutti il migliore, fornito dei segni maggiori, di uno splendore senza macchia!
131. Mio sposo, ben-nato, dal corpo perfetto, proporzionato e slanciato, senza eguale! Mio sposo, ricolmo delle più grandi qualità, venerato dagli dei e dagli uomini, dotato della grande compassione!
132. Mio sposo, forte, vigoroso come Nārāyaṇa, vincitore delle schiere avversarie! Mio sposo dalla voce delicata che risuona come il canto del kalabiṅka, dalla voce dolce come quella di Brahmā!
133. Mio sposo dalla gloria infinita, innalzato da cento azioni meritorie! Dotato di virtù senza macchia! Mio sposo, dalle infinite grazie, adorno di innumerevoli qualità, tu che delizi schiere di Ṛṣi!
134. Mio sposo, la cui nobile nascita è avvenuta nel giardino di Lumbini, dove risuona il ronzio delle api! Mio sposo, il cui nome è famoso e venerato in cielo e sulla terra! Albero di saggezza e virtù immacolate!
135. Mio sposo, il cui sapore è il più dolce, dalle labbra rosse come il frutto del Bimba, dagli occhi di loto, dalla pelle color dell’oro! Mio sposo, dai denti candidi, perfetti, simili al latte della giovenca e alla brina del mattino!
136. Mio sposo, dal naso perfetto, dalle belle sopracciglia tra cui è posto il segno immacolato dell’ūrṇā! Mio sposo dalle spalle arrotondate, dall’addome simile ad un arco, dalle gambe simili a quelle della gazzella, dai fianchi affusolati!
137. Mio sposo, dalle cosce simili alla proboscide dell’elefante! Dalle mani e dai piedi perfetti! Dalle belle unghie rosse come il rame!
138. Tu eri per me il canto delle voci e le musiche degli strumenti! Il più dolce dei fiori migliori! La più bella delle belle stagioni! Tu eri per me il profumo dei fiori e facevi la gioia del seguito delle consorti!         
139. Ah, Kaṇthaka, (destriero) di nobile razza, compagno del mio sposo, dove lo hai condotto? Ah, Chandaka, privo di compassione, non mi hai chiamato quando il più nobile degli uomini stava partendo!
140. Colui che corre in aiuto è andato via! Perché in quel momento non hai detto una sola parola? Oggi la compassionevole guida degli uomini ha abbandonato la grande città!
141. In quale modo è partito, lui che corre in aiuto? In qual modo è uscito dal palazzo del re? Quale che sia il luogo in cui è andato, una dea delle foreste e dei boschi sarà la sua fortunata compagna!
142. O Chandaka, sono profondamente addolorata, poiché mi era stato mostrato un tesoro; tu che mi hai tolto gli occhi, restituiscimi la vista! Un padre e una madre, Chandaka, devono sempre essere amati e venerati da tutti i figli;
143. se egli è partito abbandonandoli, a maggior ragione abbandonerebbe il piacere di stare con una donna! Ah, sia maledetta la separazione da coloro che amiamo: è come uno spettacolo di danza, la cui natura è l’impermanenza!
144. Aggrappati al pensiero concettuale, gli ignoranti a causa delle loro errate visioni sono soggetti a nascita e morte. Una volta egli ha detto: per tutto ciò che è composto e soggetto a nascita e morte non vi sono amici.
145. Che il suo voto si adempia! Che egli consegua il supremo Risveglio! Poi, divenuto un Buddha sotto il più nobile degli alberi, avendo raggiunto il Risveglio esente da passioni, che egli ritorni nell’eccellente città!
146. Udite le parole di Gopā, Chandaka, con il cuore profondamente ferito, rispose piangendo:
147. Gopā, ascolta bene le mie parole: A mezzanotte, mentre tutto il seguito delle consorti giaceva profondamente addormentato, colui che è innalzato da centinaia di meriti segretamente mi disse:
148. Portami Kaṇthaka! Udite queste parole io vi guardai addormentata sul vostro letto e gridai ad alta voce:
149. Gopā, alzatevi! Il vostro amato sta partendo! Ma un dio soffocò il mio grido e non una sola donna si risvegliò. Così io, piangendo, portai
150. il re dei cavalli perfettamente bardato. Kaṇthaka venne avanti nel suo grande splendore; il rumore (dei suoi passi) riecheggiò alla distanza di un krośa, ma tuttavia nessuno, nella grande città, lo udì,
151. poiché tutti erano stati fatti cadere nel sonno dagli dei. Ricoperta d’oro, d’argento e di pietre preziose, la terra, pur colpita con forza dagli zoccoli di Kaṇthaka [55], emetteva un suono meraviglioso, sbalorditivo e solenne.
152. Ma nessuno lo udì. In quel momento era sorto l’astro Puṣyā; la luna e le stelle risplendevano nel firmamento; in cielo, dozzine di milioni di dei con le mani giunte
153. e il capo chino, salutavano rispettosamente, accompagnati dalle schiere degli Yakṣa e dei Rākṣasa. I Quattro Guardiani del Mondo, dotati di grandi poteri magici, sostenevano gli zoccoli di Kaṇthaka con le loro mani pure ed immacolate come i filamenti del loto.
154. Colui che è innalzato dallo splendore dei meriti montò a cavallo, simile ad un loto rosso e ad un fiore varsikī [56]. La terrà tremò in sei modi, i campi del Buddha brillarono di una pura luce.
155. Śakra stesso, il Signore degli dei, sposo di Śacī, in quel momento aprì le porte. Preceduto da centinaia di milioni di dei, (il Bodhisattva) avanzò, venerato dagli immortali e dai Nāga.
156. Non appena si seppe che Kaṇthaka stava conducendo la Guida del mondo attraverso il cielo, le schiere dei Deva e dei Dānava [57] insieme con i compagni di Indra scortarono il Sugata che stava avanzando.
157. Le Apsarā, con le parole di un canto di benedizione, lodarono le qualità del Bodhisattva; esse conferirono forza a Kaṇthaka, e fecero udire la loro dolce voce che rapisce il cuore:
158. Kaṇthaka! Presto, presto, conduci la Guida del mondo! Non temere, non devi avere timore di nulla, né di ostacoli né di pericoli, poiché tu rechi con te la Guida del mondo.
 159. Ognuno degli dei gioiva in se stesso: Sono io che conduco la Guida del mondo! E da ogni parte non vi era un solo punto che non fosse calpestato dai piedi di milioni di dei.
160. Guarda, Kaṇthaka, questa via che si estende in mezzo al cielo, variamente decorata, abbellita da molti preziosi luoghi ameni, profumata dagli incensi delle più soavi essenze divine.
161. Grazie a queste tue azioni meritorie tu, o Kaṇthaka, gioirai dei piaceri divini nell’eccellente dimora degli dei Trāyastriṃśa, circondato e preceduto dalle Apsarā.
162. O Gopā, non piangete più, dunque. Siate felice e ricolma della più grande gioia. Ben presto vedrete il Nobile Essere che avrà conseguito il Risveglio, onorato dagli dei.
163. O Gopā, non sono gli uomini che hanno compiuto azioni meritorie che devono essere compianti. Bisogna gioire per colui che si è innalzato per lo splendore di cento meriti, non si deve piangere per lui!
164. O Gopā, quandanche parlassi per sette giorni dell’apparato messo in opera quando il principe venerato dagli uomini e dagli dei è partito, non potrei comunque descriverlo!
165. Il vostro più grande merito, che non può essere compreso dalla mente, consiste nel fatto che vi siete posta al servizio di Colui che beneficia il mondo. E voi diverrete pari a lui, il Nobile Essere.

Capitolo intitolato: Uscita dalla famiglia, il quindicesimo



  
NdT


[1] Qui De Foucaux fa dire al Bodhisattva: ô roi, avec le peuple, avec le royaume, souffrez donc que je parte. Ma ogni possibile traduzione sarebbe comunque poco significativa, sia che si legga souffrez come indicativo o come imperativo. Più coerente pare la versione inglese. Che considera le parole di Sarvārthasiddha come una richiesta di comprensione e di perdono da parte di persone alle quali è comunque ancora legato dal rispetto e dall’affetto.
[2] La traduzione di De Foucaux è qui il frutto di un possibile malinteso: infatti essa porta ad una contraddizione tra il pensiero del re (le roi s’opposa au désir de son fils et combattit son dessein) e le sue parole successive (mets ta joie à délivrer les êtres, qu’il s’accomplisse le dessein médité par toi). A meno che non si voglia intendere che il re si oppose al (proprio) desiderio verso il figlio e combatté il (proprio) intento (di ostacolarlo). Ovvero, la versione inglese.
De Foucaux probabilmente si accorse del problema, ed infatti inserì tra parentesi, prima delle parole del re, l’espressione puis il dit, dove il poi sembra voler suggerire una radicale trasformazione dell’atteggiamento del re, da un iniziale rifiuto delle decisioni del figlio ad una successiva accettazione (subito il re… ma poi…).
[3] Compare qui nuovamente il termine Nagna, già visto nel capitolo VII. Nemmeno in questo caso è riportato nella versione inglese, ma è comunque chiaro il riferimento ad esseri dotati di grande forza fisica. La traduzione con l’italiano nudo (si veda la nota 31 al cap. VII) può essere giustificata dal fatto che si tratta di persone atletiche, muscolose, dei lottatori che spesso, come nell’antichità classica occidentale, combattevano nudi.
[4] Pañcika, divinità guerriera, è il comandante degli Yakṣa, gli spiriti della vegetazione, ed è lo sposo di Hārītī, protettrice dei bambini e dell’armonia della famiglia.
[5] Secondo la versione inglese le qualità descritte nel gāthā si riferiscono al Bodhisattva e non a Nārāyaṇa (personificazione dell’aspetto solare di Viṣṇu), come propone invece De Foucaux: Solide comme le diamant, indivisible est le corps de Nārāyaṇa.
[6] Secondo la traduzione inglese: leggero come un fiocco di cotone lo è per un uccello.
[7] Il Cielo dei Trentatré Dei.
[8] Qui la traduzione di De Foucaux è priva di senso: je les conduirai tous, hommes, femmes…, ovvero: io li guiderò tutti, uomini, donne
[9] Nel testo chiamata vedika, termine che indica un altare (in sanscrito: vedi), una zona elevata con funzione di altare sacrificale di forma e misure ben definite.
[10] Eliolite, la pietra del sole.
[11] Airāvaṇa (o Airāvata) è l’elefante bianco dalle quattro zanne emerso dalla frullatura dell’Oceano che divenne il veicolo (vāhana) del dio Indra.
[12] Nel testo si legge: un nuage de benjoin, una nube di benzoino, laddove con benzoino si intende la resina ricavata dall’arbusto diffuso in Oriente e utilizzata in profumeria, e non l’omonimo composto chimico presente nell’olio di mandorle amare.
[13] Le erronee visioni relative ad un sé permanente e separato.
[14] Strumenti musicali a corda.
[15] Femminile di Rākṣasa, esseri demoniaci, spiriti malefici molto pericolosi. Può essere tradotto con diavolesse.
[16] Nella cosmografia induista i pātāla sono regni sotterranei, situati sotto la superficie dei continenti. Non devono essere confusi con gli inferni (chiamati nāraka). Il nome di uno di essi è proprio Pātāla.
[17] Mostro acquatico, simile al coccodrillo. È il veicolo di Varuṇa, dio delle acque terrestri e celesti, e di Gaṅgā.
[18] In realtà sia nel testo di De Foucaux sia nella versione inglese se ne contano trentatré. 
[19] Ovvero, come recita la versione inglese, distrusse la sua percezione del corpo come qualcosa di attraente e lo vide invece come repellente.
[20] De Foucaux legge qui: permase con il ricordo di essere passato da un corpo ad un altro.
[21] Sebbene simile in ultima analisi, la traduzione della versione inglese risulta più chiara: è evidente che quando egli seguì in passato una condotta illuminata, sviluppò questo tipo di distacco. Perché allora avrebbe generato un attaccamento proprio in questa esistenza, che è l’ultima?
[22] Il testo francese riporta l’espressione le coeur affligé, con il cuore afflitto. Non è però da ritenersi che il Bodhisattva fosse addolorato a causa della partenza e dell’abbandono della famiglia, bensì che il suo stato d’animo derivasse dall’aver compreso la natura impura dei corpi delle consorti e, per estensione, di tutti gli esseri. Infatti nella versione inglese si legge, più esplicitamente: he was filled with distaste, egli era pieno di disgusto.
[23] Dasasatanayana, ovvero colui che possiede mille occhi. Epiteto del dio Indra.
[24] Improponibile pare la versione di De Foucaux, che definisce il portamento del Bodhisattva simile a quello di un éléphant furiex, d’un éléphant qui joue.
[25] Nell’ordine: mango, saraca, magnolia, amaranto, latifoglia sempreverde, castagna rosa indiana.
[26] Erythrina Caffra, un albero che può raggiungere i 20 mt di altezza.
[27] Sebbene la traduzione di De Foucaux dei gāthā 41/43 sia stata qui in parte rielaborata da chi scrive, la versione inglese del verso 41 è comunque ben più comprensibile e coerente: Sotto l’influenza della disattenzione e sopraffatto dall’illusione, nel passato ero cieco, coperto da un velo di visioni erronee. Tali punti di vista hanno fatto sì che mi attaccassi alla nozione di un sé e perpetuassi l’esperienza delle sensazioni, tutto perché non conoscevo il Dharma.
[28] Traduco con privi di un sé il francese sans conscience d’elles-mêmes, il cui significato (alla lettera: senza coscienza di sé) è molto diverso.
[29] Perdix rufa, una specie di pernice.
[30] Varanasi, nota un tempo come Benares.
[31] Nirmitta tra i Nirmitta, dice De Foucaux.
[32] I Graha (dalla radice grah, afferrare) sono “una classe di demoni che afferrano o invasano le proprie vittime, infliggendo loro ogni sorta di malattia, in particolar modo la pazzia” (in: M. & J. Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 150). Sono anche associati ai pianeti, che secondo l’astrologia sono in grado di influenzare, positivamente o negativamente, la vita degli uomini.
[33] Nei versi da 62 a 74 seguenti De Foucaux traduce i verbi con il tempo presente, per poi passare ai tempi del passato. Come già in altri casi, ritengo preferibile uniformare la traduzione usando sempre il passato remoto, l’imperfetto ecc.
[34] I celati, nascosti. Spiriti che esercitano il loro potere da caverne o altri nascondigli.
[35] Qui Puṣyā parla di se stesso.
[36] De Foucaux traduce: non ti vedono, come se anche queste parole facessero parte del discorso di Puṣyā. Ma, come suggerito dalla versione inglese, esso termina con il verso 70.
[37] La versione inglese è la seguente: solo Śakra ascolterà un essere con un potere così invincibile. Entrambe le traduzioni evidenziano comunque la disperazione di Chandaka.
[38] Personificazione della potenza divina. È detta anche Indrāṇī, ed è la consorte di Śakra, ovvero Indra.
[39] Secondo la versione inglese gli dei girano intorno alla città e poi se ne allontanano.
[40] Il termine Siddha indica gli yogi che attraverso la pratica hanno acquisito le facoltà sovrannaturali (siddhi). La versione inglese propone la traduzione: i divini Siddha, anziché gli dei e i Siddha.
[41] De Foucaux traduce con regret, rimpianto, rimorso, dispiacere. Ma nessuno di questi termini pare qui appropriato.
[42] È qui il caso di riportare anche la traduzione (francamente improponibile) di De Foucaux del verso 93: Fino a che essa è immobile, sdraiata, offuscata dal sonno, non mi rivolgerò verso la città di Kapilavastu; fino a quando essa non avrà conseguito grazie a me il supremo Risveglio, la condizione nella quale non vi è più vecchiaia né morte. Nella versione inglese, che anche se non conosco il testo originario è sicuramente migliore, vengono proposte, riferite al Bodhisattva, le quattro possibili posture del corpo umano: in piedi immobile, in cammino, seduto, sdraiato.
[43] E qui, illogicamente, De Foucaux traduce come se a viaggiare nel cielo fosse il Bodhisattva: tandis qu’il s’en allait à travers le ciel. E questo dopo aver ripetutamente parlato di Kaṇthaka, il cavallo sul cui dorso egli era uscito dalla città!
[44] Più convincente la versione inglese: Ha sempre parlato con pazienza, al fine di proteggere gli esseri. Anche quando le sue membra sono state tagliate non ha mai provato avversione o ostilità.
[45] Molto precisa in alcuni dettagli la versione inglese, che definisce la mente del Bodhisattva libera dal pensiero concettuale.
[46] Ovvero l’equanimità, la benevolenza, la compassione, la gioia compartecipe. Sono chiamati anche i quattro incommensurabili, nonché le dimore di Brahmā (Brahmā vihāra). Probabilmente per questo, De Foucaux traduce così: meditando sul distacco, egli conosce la norma della via di Brahmā.
[47] Ovvero: grazie ai meriti generati dalle nostre preghiere.
[48] Il termine chaitya indica un tempio, un santuario, un monumento, uno stūpa.
[49] De Foucaux traduce con rougeâtre, rossiccio; la versione inglese recita: saffron-colored, color zafferano. Il termine ocra traduce il sanscrito kaṣāya, che darà il nome all’abito monastico buddhista (in giapponese kesa).
[50] Il passo è un poco ambiguo: De Foucaux traduce con région sans supérieure de la loi, la versione francese dal tibetano parla di région d’une nature impérissable, la versione inglese parla di realm of phenomena. Poiché probabilmente nel testo radice compare il termine dharma, la traduzione dipende dal significato che ad esso si attribuisce. Si tratta comunque di una “terra” dalle caratteristiche opposte a quelle del saṃsāra, dell’esistenza ciclica.
[51] Qui le versioni concordano: in francese si parla di ossifraghe, in inglese di falchi pescatori. Per cui, invece della forma consueta in italiano, strillare come aquile, utilizzo l’immagine molto “ligure” del gabbiano.  
[52] Il banano.
[53] La traduzione di De Foucaux contiene alcune incongruenze: dice che i tre giovani soulèverent longtemps (sollevarono a lungo) ces ornements, ma, visto quanto segue, quelli dei tre Śākya furono evidentemente solo dei vani tentativi. Nel periodo successivo afferma che gli ornamenti erano forts comme Nārāyaṇa et Ardha Narayana (Nārāyaṇa è un epiteto del dio Viṣṇu), il che rende necessaria una traduzione più libera.
[54] La versione inglese recita: la perdita di due persone care non sarebbe sopportabile.
[55] Più coerente con quanto precedentemente narrato è la versione inglese, secondo cui ad essere ricoperti d’oro ecc. sono gli zoccoli del cavallo, non la terra che essi calpestano.
[56] Il gelsomino.
[57] Potenze celesti avversarie dei Deva. Cfr. il già citato Dizionario dell’Induismo alla pag. 99.

Il Bodhisattva abbandona il Palazzo




Capitolo sedicesimo 

Visita a Bimbisāra

Il Bodhisattva dopo aver indossato la veste monastica rende visita a diverse persone e giunge alla città di Vaiśālī. – Si pone sotto la guida di Arāḍa Kālāma; ma accorgendosi ben presto che non ha più nulla da imparare da quel maestro si reca nella capitale della regione del Magadha. – Un uomo di palazzo comunica al re che è giunta una persona straordinaria. Il re rende visita al Bodhisattva e, affascinato dall’incontro, gli offre metà del suo reame. – Il Bodhisattva lo ringrazia e si stabilisce sulla riva del fiume Nairañjanā.  

Così, o Monaci, grazie alle benedizioni del Bodhisattva Chandaka fece quel racconto che calmò il dispiacere del re Śuddhodana, di Gopā, figlia degli Śākya, di tutte le donne del gineceo e di tutta la moltitudine degli Śākya.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver dato al figlio di un dio con le sembianze di un cacciatore gli abiti in seta e dopo aver indossato le vesti color ocra, divenne egli stesso un monaco errante, in perfetta armonia con il mondo, per compassione verso tutti gli esseri e con il fine della loro completa maturazione. 
In seguito il Bodhisattva si recò nel luogo in cui si trovava l’eremo di una Brāhmaṇa della stirpe Śākya [1], la quale lo invitò a fermarsi e a prendere del cibo.
Poi, il Bodhisattva giunse presso l’eremo della Brāhmaṇa Padmā, dalla quale fu ugualmente invitato a restare e a condividere il cibo.
Successivamente andò al romitaggio del Brahmāṛṣi [2] Raivata, che gli rivolse lo stesso invito.
Nello stesso modo anche Rājaka, figlio di Datṛmadaṇḍika, invitò il Bodhisattva.  
Così, o Monaci il Bodhisattva arrivò infine nella grande città di Vaiśālī [3].
In quel tempo anche Arāḍa Kālāma, insieme con una grande comunità di śrāvaka [4] e con trecento discepoli, si era stabilito nella città di Vaiśālī e insegnava ai suoi studenti la via che conduce al distacco e al controllo dei sensi. Quando vide da lontano il Bodhisattva che si avvicinava fu preso da stupore e disse ai suoi discepoli: Guardate, guardate dunque la bellezza di costui!
Essi risposero: Lo vediamo! È davvero impressionante!
Allora, o Monaci, essendomi avvicinato [5] al luogo in cui si trovava Arāḍa Kālāma, gli dissi queste parole: Arāḍa Kālāma, desidero diventare Brahmacārin [6].
Egli rispose: Pratica dunque, o Gautama, gli insegnamenti che ti esporrò, grazie ai quali ogni figlio di buona famiglia munito di fede può, con minima fatica, acquisire l’onniscienza.
Quindi, o Monaci, sorse in me questo pensiero: Io possiedo la fede, sono diligente, ho consapevolezza, pratico l’assorbimento meditativo, ho la conoscenza. Pertanto praticherò in solitudine, con diligenza, senza distrazioni, in un luogo isolato, per comprendere quegli insegnamenti e realizzarli.
Di conseguenza, o Monaci, solo, nella quiete, con determinazione, in un luogo isolato, compresi con un minimo di sforzo quegli insegnamenti e li realizzai.
Successivamente, o Monaci, mi recai presso Arāḍa Kālāma e gli dissi: Così dunque, o Arāḍa, tu hai compreso e realizzato tutti questi insegnamenti.
Egli mi rispose: È così, Gautama.
Ed io: Anche io ho realizzato l’insegnamento, dopo averlo compreso.
Egli mi rispose: O Gautama, nello stesso modo in cui ho compreso l’insegnamento, anche tu lo hai compreso. E ciò che tu comprendi, così pure io lo comprendo. In tal modo possiamo entrambi esporlo alla comunità dei discepoli.
Così, o Monaci Arāḍa Kālāma mi rese il più grande onore e mi fece risiedere tra i suoi discepoli al fine di condividere gli stessi fini.
In seguito sorse in me questo pensiero: La dottrina di Arāḍa non conduce alla liberazione, non porta ad una completa liberazione. È quindi necessario che io mi dedichi alla ricerca di un insegnamento superiore a questo, per sconfiggere completamente la sofferenza.
Successivamente, o Monaci, dopo essere rimasto a Vaiśālī finché lo gradii, proseguii fino al Magadha. Viaggiando in quel territorio ed essendomi avvicinato alla città di Rājagṛha giunsi nel luogo in cui si trova il Pāṇḍava, il re delle montagne. Rimasi là, sulle pendici del re delle montagne, in solitudine, senza alcuna compagnia, protetto da molte centinaia di milioni di dei.
Un mattino, all’alba, indossate le vesti e recando con me il mantello e la ciotola delle offerte, entrai nella grande città di Rājagṛha attraverso la Porta delle Acque Calde per chiedere l’elemosina.
Mantenevo un portamento gradevole mentre avanzavo o indietreggiavo, mi volgevo a destra e a sinistra, piegavo o distendevo le membra; con un passo dignitoso, indossando convenientemente la tonaca leggera e il manto monastico e tenendo la ciotola delle offerte; con i sensi non agitati, la mente non distratta dai fenomeni esterni, lo sguardo posato non oltre la distanza di un paio di metri, come un uomo che porti un vaso d’olio [7].
Alla mia vista gli abitanti di Rājagṛha furono presi da grande meraviglia. Chi è costui? È forse Brahmā?  O Śakra, il Signore degli dei? Oppure Vaiśravaṇa, o qualche divinità della montagna? Tali furono i loro pensieri.
E qui è detto [8]:
1. Il Bodhisattva dallo splendore infinito ed immacolato ricevette da se stesso l’ordinazione monastica. Con la mente pacificata, con azioni gentili, egli dimorava sulle pendici del Pāṇḍava, il re delle montagne.
2. Al termine della notte il Bodhisattva, indossata la veste, recando con sé la ciotola delle offerte, bello a vedersi entrò con spirito umile a Rājagṛha per l’elemosina.
3. Le moltitudini degli uomini e delle donne osservavano quell’uomo, simile all’oro nativo composto di elementi puri, fornito dei trentadue segni, e nessuno si saziava della sua vista.
4. Dopo aver ornato la strada cospargendola di stoffe preziose e di semi, la folla lo seguì. Chi è questo essere, di cui non si è mai visto il pari, per il cui splendore brilla l’intera città?
5. Migliaia di donne erano salite sulla cima della case o riempivano i portoni, le finestre e la strada e, avendo lasciato vuote le loro case, osservavano il più nobile degli uomini, senza desiderare nient’altro.
6. Nessuno fece più acquisti né vendite, nessuno consumò più bevande inebrianti, nessuno più si divertì nelle case e nella strada, da quanto tutti erano impegnati a guardare il più nobile degli uomini.
7. Un uomo, recatosi in fretta a palazzo, disse gioiosamente al re [9]: Maestà, avete ricevuto una grande fortuna. Brahmā in persona, qui, in città, sta chiedendo l’elemosina. 
8. Alcuni dissero: È Śakra, il re degli dei! E altri: È Suyāma, figlio di un dio, o forse è un dio Santuṣita travestito. Altri ancora dissero: È uno degli dei Sunirmita.
9. Qualche altro disse: È Candra, o Sūrya, oppure Rāhu, Balā [10] o Vemacitri [11]. Finalmente, qualcuno disse queste parole: È colui che dimora sul Pāṇḍava, il re delle montagne.
10. Il re, uditi questi discorsi, al colmo della gioia, affacciato ad una finestra tonda osservò il nobile Essere, il Bodhisattva che risplendeva come l’oro puro.
11. Il re Bimbisāra, dopo avergli fatto una elemosina, disse all’uomo (che l’aveva avvertito): Osserva bene dove va. Questi, avendo constatato che si dirigeva verso il re delle montagne, riferì: Maestà, è andato sulle pendici della montagna.
12. Al termine della notte il re Bimbisāra si recò, insieme con un grande seguito, alle pendici del Pāṇḍava, il re delle montagne, e vide il monte splendente di luce.
13. Sceso dal carro continuò a piedi e osservò con profondo rispetto il Bodhisattva. Il Signore degli uomini, dopo aver fatto un cuscino di erba, era seduto, incrollabile come il monte Meru.
14. Il re rese omaggio ai suoi piedi con il capo, si intrattenne con lui su diversi argomenti e quindi gli disse: Io ti offro la metà del mio regno, godi dunque qui dei piaceri dei sensi, non andare errando!
15. Il Bodhisattva rispose con voce dolce: Signore della terra, possa tu vivere a lungo! Quanto a me, dopo aver abbandonato un regno desiderabile, ho abbracciato la vita monastica, senza alcuna aspettativa, cercando la pace.
16. – Tu sei nel fiore della giovinezza, risplendi per la bellezza del tuo corpo, sei pieno di energia; accetta una grande ricchezza e un gran numero di donne; rimani nel mio regno; fruisci degli oggetti del desiderio!
17. Io provo una grande gioia per averti incontrato, disse ancora il re del Magadha al Bodhisattva. Sii dunque mio compagno, io ti farò dono di un intero ricco regno. Godi degli oggetti del desiderio!
18. Non vivere più nella foresta, non sedere più sulla terra ricoperta di erba. Ora, mentre il tuo corpo è nel fiore della giovinezza, vivi qui nel mio regno, godi degli oggetti del desiderio!
19. Il Bodhisattva, compassionevole e amorevole, gli rispose dolcemente con parole benevolenti ma dirette: Che la buona sorte sia sempre con te, o protettore della terra! Quanto a me, non sono più attratto dagli oggetti del desiderio.
20. I desideri sono come un veleno, e portano con sé infiniti errori. Spingono gli esseri negli inferni, nei reami degli spiriti famelici e degli animali [12]. I desideri sono disprezzati dai saggi, in quanto privi di valore. Essi sono stati da me abbandonati come un grumo di muco secco.
21. I desideri cadono come frutti dagli alberi. Corrono come nubi gonfie di pioggia nel cielo. Sono mutevoli ed incostanti come il vento, ingannevoli e distruttivi verso tutto ciò che è buono.
22. Coloro che non hanno raggiunto l’oggetto del loro desiderio sono come avvolti nelle fiamme, ma anche coloro che lo hanno raggiunto non trovano la pace. Quando sorgono senza che li si sappia padroneggiare, i desideri violenti generano allora una grande sofferenza.
23. O protettore della terra, quand’anche un uomo soddisfacesse tutti i propri desideri, sia divini che umani, nonostante ciò non raggiungerebbe tuttavia una completa soddisfazione.
24. Ma, o protettore della terra, coloro che sono in pace e gentili, la cui mente è rivolta al Dharma nobile e privo di errore, che sono guidati dalla saggezza, costoro sono soddisfatti e non provano più alcuna attrazione per gli oggetti del desiderio.
25. O protettore della terra, per coloro che inseguono i loro desideri non vi sarà mai fine. Come un uomo che abbia bevuto dell’acqua salata sente aumentare la sete, la stessa cosa avviene per coloro che inseguono i loro desideri.
26. Dunque, o protettore della terra, osserva questo corpo, mutevole, privo di sostanza, macchina di sofferenza, con costanti fuoriuscite dalle nove porte impure. Maestà, non vi più in me alcun desiderio di piacere.
27. Dopo aver abbandonato grandi quantità di oggetti desiderabili e migliaia di donne bellissime, non provo alcuna attrazione per le cose del mondo. Me ne sono allontanato, con il solo fine di conseguire la suprema Saggezza, la più grande felicità.
28. Il re disse: Da quale paese sei giunto, monaco errante? Dove sei nato? Dov’è tuo padre? Dov’è tua madre? Sei uno Kṣatriya, un Brāhmaṇo, un re? Parla, tu che sei un monaco, per il quale la conoscenza non è un fardello [13].
29. Il Bodhisattva rispose: O protettore della terra, hai inteso parlare della città di Kapila degli Śākya, ricca e potente tra tutte. Il nome di mio padre è Śuddhodana. È là che io sono divenuto monaco, per conseguire le più nobili qualità.
30. Il re disse: Che tu sia felice! Averti visto è stata una gioia. Quale che sia la tua nascita, noi possiamo imparare da essa. Sii dunque benevolente verso di me. È con buone intenzioni che ho invitato colui che è libero dalle catene delle passioni.
31. Quando avrai conseguito il Risveglio, condividi con me il Dharma, o Maestro del Dharma. Il fatto che tu dimori nel mio regno è già per me il dono più grande, o Essere Originato da Te stesso!
32. Il re, dopo aver nuovamente reso omaggio ai piedi (del Bodhisattva) e aver girato per tre volte intorno a lui offrendogli il lato destro, rientrò a Rājagṛha circondato dal suo seguito.
33. Il Protettore del mondo, colui la cui mente dimora nella pace, rimase nella capitale del Magadha soggiornandovi fino a quando lo gradì; quindi, dopo essere stato di beneficio agli dei e agli uomini, si recò sulle sponde del fiume Nairañjanā [14].

Capitolo intitolato: Visita a Bimbisāra, il sedicesimo.
NdT


[1] Secondo la versione inglese, un Brāhmaṇo di nome Śākī.
[2] Un veggente di stirpe sacerdotale. I rājaṛṣi erano di stirpe regale, i mahaṛṣi erano gli antichi veggenti, i devaṛṣi quelli dotati di virtù elevate, divine. Cfr. Dizionario dell’induismo, pag. 366.
[3] La capitale dei Licchavi.
[4] Uditori.
[5] Qui, per la prima volta nel Lalitavistara Sūtra, le parole e le azioni del Bodhisattva sono riportate in prima persona: Je lui parlai aussi…. Non si tratta di un errore, in quanto il fatto è confermato dalla versione inglese e da quella tibetano-francese. La stessa cosa si ritroverà in diversi passi dei capitoli successivi.
[6] Il Brahmacārin, lo studente di religione, è il primo dei quattro aśrama, gli stadi della vita per gli hindu. Il Bodhisattva sta quindi chiedendo ad Arāḍa Kālāma di accettarlo come discepolo.
[7] La descrizione del Bodhisattva è molto simile a quella del monaco errante da lui incontrato nel Capitolo XIV, “Sogni”.
[8] Da questo punto la narrazione ritorna in terza persona. I gāthā iniziano con il tempo presente, per poi passare, come spesso avviene, ai tempi del passato (che utilizzo nella traduzione di tutta la sezione in versi).
[9] Si tratta di Bimbisāra (558– 491 a.C.), re del Magadha. Dopo un secondo incontro con il Bodhisattva, ormai divenuto Buddha, Bimbisāra si convertì al Buddhadharma e rimase per tutta la vita un fedele amico del Tathāgata. Morì di fame dopo essere stato imprigionato dal figlio Ajātaśatru, che aveva subito la nefasta influenza di Devadatta, l’invidioso e scismatico cugino del Buddha (Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pagine 64 e 155).
[10] Il Possente. Si tratta probabilmente di Balarāma (Rāma il possente), fratello di Kṛṣṇa.
[11] Un principe degli Asura.
[12] Secondo la traduzione di De Foucaux coloro che sono rinati tra gli esseri infernali, tra i Preta (gli spiriti avidi) o tra gli animali, ovvero nei tre reami inferiori, sont méprisés par les sages, sono disprezzati dai saggi. Proprio da un punto di vista buddhista la traduzione è erronea, in quanto tutti gli esseri sono guardati con compassione, amore ed equanimità dai Buddha, dai Bodhisattva e da tutti coloro che seguono la Via. Ad essere oggetto di disprezzo sono eventualmente i desideri, come detto nella versione inglese. Si veda anche la traduzione francese dal tibetano, secondo la quale gli esseri negli inferni ecc. sont secourus par les sages, sono aiutati dai saggi.
[13] La versione inglese recita, più semplicemente: se non ti dispiace.
[14] Oggi Lilajan River, nel Bihār.

Il Buddha con il re Bimbisara