Capitolo
ventitreesimo
Lodi
Uno dopo l’altro, gli
dei di tutti i reami si recano presso il Buddha seduto nel luogo del Risveglio
per rendergli omaggio, porgergli delle offerte e indirizzargli delle lodi.
Successivamente i
figli degli dei delle Pure Dimore girarono per tre volte intorno al Tathāgata
seduto nel luogo del Risveglio, lo cosparsero di una pioggia di polvere di
sandalo divino e lo lodarono con questi versi:
1. Colui che illumina il mondo è apparso, il
protettore del mondo che genera la luce, colui che dona al mondo divenuto cieco
l’occhio che distrugge le afflizioni!
2. Tu sei risultato vincitore nella battaglia, tu, il
cui voto si è realizzato grazie ai tuoi meriti. Ricolmo di buone qualità [1], soddisferai gli esseri!
3. Avendo attraversato la palude, senza alcuna
impurità, o Gautama, dimori sulla terraferma. Tu traghetterai gli esseri
trascinati dalla corrente impetuosa!
4. Tu sei superiore, o grande Saggio, un uomo senza
pari nell’universo. Non sei contaminato dalle preoccupazioni mondane, come il
fiore di loto su cui l’acqua scorre via!
5. Solo tu, con la lanterna della saggezza, sei in
grado di risvegliare questo mondo da lungo tempo assopito, avvolto in fitte
tenebre!
6. In questo mondo di esseri da lungo tempo in pericolo,
tormentati dai mali delle afflizioni mentali, sei apparso tu, Re dei Medici,
che liberi da tutte le sofferenze!
7. Ora che tu sei giunto, o Guida, le sofferenze
svaniranno, uomini e Deva saranno colmi di felicità!
8. Coloro davanti ai cui occhi passerai, o suprema
Guida degli uomini, per migliaia di eoni non dimoreranno nei reami inferiori!
9. Coloro che ascolteranno il Dharma diverranno saggi
e saranno privi di malattia. Saranno profondi e privi di timore, poiché avranno
messo fine ad ogni aggregato!
10. Ben presto essi saranno tutti liberi, poiché
avranno reciso il legame delle afflizioni. Liberi dall’attaccamento
cammineranno verso il conseguimento del nobile supremo frutto!
11. Essi diverranno oggetto di generosità nel mondo e
riceveranno offerte; nessun dono che sarà loro recato sarà vano, ma produrrà la
liberazione finale (il Nirvāṇa)!
Così, o Monaci, i
figli degli dei Śuddhāvāsakāyika lodarono il Tathāgata, quindi si prostrarono
inchinandosi con le mani giunte.
Successivamente i
figli degli dei Abhāsvara resero omaggio al Tathāgata seduto nel luogo del
Risveglio con innumerevoli doni divini: fiori, incensi, ghirlande, oli
aromatici, polveri profumate, tessuti, parasole, bandiere e stendardi; girarono
per tre volte intorno a lui offrendogli il fianco destro e lo lodarono con
questi versi:
12. O Saggio, la tua mente è profonda, la tua voce è
dolce, come la voce di Brahmā, simile ad un canto melodioso; tu hai conseguito
il supremo e perfetto Risveglio. Omaggio a te, che possiedi tutte le voci, che
sei passato sull’altra sponda!
13. Tu sei il Protettore, tu sei la terraferma, tu sei
la Guida, tu sei il Maestro del mondo, la tua mente è gentile e
compassionevole! Tu sei il Medico Supremo, colui che cancellerà la sofferenza,
tu sei il Guaritore che reca il beneficio supremo!
14. Non appena hai visto [il Buddha]
Dipaṃkara hai generato una rete di amore e compassione. Versa, o Protettore, la
pioggia dell’Amṛta, lenisci le sofferenze degli dei e degli uomini!
15. Tu sei nel trimundio come il loto su cui l’acqua
scivola via; tu sei simile al monte Meru, stabile e inamovibile. Come il
diamante, il tuo voto è incrollabile. Come la luna, tu sei dotato di tutte le
migliori qualità!
Così, o Monaci, i
figli degli dei Abhāsvara lodarono il Tathāgata, quindi si prostrarono inchinandosi
con le mani giunte e si misero da un lato.
Successivamente
gli dei Brahmakāyikas, avendo alla loro testa Subrahmā, figlio di un dio, si
avvicinarono al Tathāgata seduto nel Bodhimaṇḍa recando una preziosa rete
adorna di innumerevoli gemme, girarono per tre volte intorno a lui offrendogli
il fianco destro e lo lodarono con questi versi, idonei alla circostanza:
16. Tu possiedi i meriti e lo splendore luminoso di
un’intuizione priva di oscurazioni; tu possiedi i trentadue segni maggiori,
l’attenzione e il discernimento; tu possiedi saggezza e qualità ininterrotte.
Noi ci inchiniamo a te.
17. Tu sei immacolato, sei privo delle tre macchie,
sei famoso nei tre mondi, hai conseguito la triplice conoscenza; tu doni
l’occhio della perfetta liberazione che ha tre forme. Noi rendiamo omaggio a te
che sei immacolato e possiedi tre occhi.
18. Tu hai cancellato i turbamenti di un eone oscuro,
la tua mente è perfettamente doma. Tu, superiore per il tuo amore e la tua
compassione, agisci a beneficio degli esseri. O Muni eccellente per la tua
gioia, la tua mente è nella pace perfetta, tu liberi dal dubbio, tu ti diletti
nell’equanimità.
19. Tu eccelli nelle pratiche ascetiche e nelle azioni
meritorie; tu che operi per il bene degli esseri, hai perfettamente purificato
la tua condotta, sei giunto alla perfezione dell’azione. Tu che insegni le
Quattro Verità, gioisci della completa liberazione, tu sei libero e libererai
anche tutti gli esseri senzienti.
20. Il demone giunse qui, forte e potente; tu lo hai
sconfitto per mezzo della saggezza, della virtù eroica e dell’amore. Tu hai
conseguito lo stato supremo e senza morte; noi ti rendiamo omaggio, o Vincitore
dell’esercito dell’ingannatore!
Così, o Monaci, gli
dei Brahmakāyikas, avendo alla loro testa Subrahmā, figlio di un dio, dopo aver
lodato il Tathāgata con questi gāthā, si inchinarono con le mani giunte e si posero
da un lato.
Successivamente i
figli del demone del lato bianco si avvicinarono al luogo in cui sedeva il
Tathāgata, lo ripararono con un prezioso parasole e con grandi baldacchini e a
mani giunte lodarono il Tathāgata con questi versi, idonei alla circostanza:
21. Abbiamo
potuto conoscere il tuo immenso potere quando è apparso il terribile esercito
del demone e quando lo hai sconfitto con grande splendore, senza che ti
alzassi, senza fare un solo gesto, senza pronunciare una sola parola! Noi
rendiamo omaggio a te, o Muni Sarvārthasiddha [2],
che sei onorato in tutti i mondi!
22. I figli del demone, a centinaia di milioni,
numerosi come i granelli di sabbia della Gaṅgā, non sono stati in grado di
farti vacillare, di allontanarti dal sublime albero del Risveglio. Tu hai
compiuto molte centinaia di milioni di sacrifici, numerosi come i granelli di
sabbia della Gaṅgā, ed è per questo che oggi risplendi, accanto all’albero del
Risveglio [3].
23. Mentre perseguivi il supremo Risveglio hai
rinunciato alle tue più amate spose, ai tuoi cari figli, ai tuoi servitori, ai
giardini dei palazzi, alle città, alle terre, ai domini, ai regni, al potere,
agli harem; hai rinunciato anche alle tue mani, ai piedi, alla testa, agli
occhi, alla lingua. A causa di ciò tu oggi risplendi.
24. Tu hai sovente affermato: Io sarò un Buddha. Io
traghetterò con la nave del sublime Dharma me stesso e molte centinaia di
milioni di esseri trascinati dall’oceano del dolore. Indosserò l’armatura della
concentrazione, conseguirò il potere miracoloso e il Risveglio. Il tuo voto è
stato adempiuto e tu traghetterai gli esseri senzienti sull’altra riva.
25. Avendo lodato il più eminente degli oratori che
dona la vista al mondo, con il cuore ricolmo della più grande felicità noi
aspiriamo all’onniscienza. Mentre conseguiamo il supremo e impareggiabile
Risveglio lodato da tutti i Buddha (del passato), possiamo anche noi
sconfiggere l’armata del demone e pervenire all’onniscienza di un Buddha!
Così, o Monaci, i
figli del demone dopo aver lodato il Tathāgata si inchinarono con le mani
giunte e si posero da un lato.
Successivamente un
figlio degli dei Paranirmitta [4], Vaśavartin,
circondato e scortato da molte centinaia di migliaia di figli degli dei, cosparse
il Tathāgata con fiori di loto dorati del fiume Jambu e giunto alla sua
presenza lo lodò con questi versi:
26. Il tuo parlare è retto, privo di errori e di
falsità; ti sei liberato dall’ignoranza e dall’attaccamento e sei entrato nella
via dell’immortalità; meriti nel cielo e sulla terra fama e offerte
ineguagliabili. Noi ci inchiniamo a te, che sei ricolmo di splendore e possiedi
intelligenza e saggezza!
27. Tu generi gioia, hai abbandonato gli offuscamenti,
distruggi le impurità dell’attaccamento; con le tue parole perfettamente chiare
delizi gli dei e gli uomini. Con i raggi luminosi emanati dal tuo corpo sublime
sei il Vittorioso di questo universo, come il Signore degli dei e degli uomini!
28. Tu che hai sottomesso le schiere degli avversari,
sei esperto nella miglior condotta degli altri, sei amato nel mondo degli dei e
in quello degli uomini, correggi i pensieri degli altri; così sapiente, così
saggio, tu riconosci l’altrui comportamento. Cammina sul sentiero di coloro che
possiedono i dieci poteri!
29. Dopo aver abbandonato l’attaccamento alla
multiforme esistenza, avendo lasciato la presa della sofferenza, tu guidi verso
la disciplina gli dei e gli uomini. Tu puoi percorrere le dieci direzioni dello
spazio come la luna nel cielo. Sii l’occhio protettore anche quaggiù, sulla
terra che è parte del trimundio!
30. Tu sei amato nei mondo divino ed in quello umano,
ma non sei turbato dagli oggetti dei sensi. Tu gioisci e provi piacere nella
virtù, senza indulgere nei piaceri del desiderio. Proclamato dalle moltitudini [5], nessuno è pari a te nei tre mondi, o Guida,
protettore del cammino degli esseri!
Così, o Monaci, i
figli degli dei Paranirmitta Vaśavartin, con alla loro testa un figlio degli
dei Vaśavartin, dopo aver lodato il Tathāgata si inchinarono con le mani giunte
e si posero da un lato.
Successivamente
Sunirmita, figlio di un dio, circondato e scortato da una moltitudine di dei [6], si avvicinò al Tathāgata con molti
nastri di seta e giunto alla sua presenza lo lodò con questi versi:
31. Tu sei apparso, Luce del Dharma, libero dai tre
offuscamenti; distruttore del turbamento, delle false visioni e dell’ignoranza,
pienamente ricolmo di modestia e di splendore. Avendo stabilito
nell’immortalità gli esseri che si compiacevano nei sentieri erronei, tu sei
nato qui, nel mondo, oggetto di venerazione nel cielo e sulla terra.
32. Tu sei il medico abile nel guarire che genera la
gioia dell’immortalità. Tu, che cammini sul sentiero dei Vittoriosi che ti precedettero,
allontani gli offuscamenti della visione, gli accumuli dell’ignoranza, i
residui persistenti del passato, tutte le sofferenze degli esseri dotati di un
corpo. Per questo, o Guida che cammini sulla terra, tu sei il più eccelso dei
medici!
33. Il sole splendente e la luna, il gioiello Mani,
come pure il fuoco, non brillano più di fronte a te, che sei ricolmo di eccelso
fulgore! Noi, testimoni della tua saggezza, o meraviglioso Essere, ci
inchiniamo di fronte a te, che generi la luce della conoscenza, che illumini,
che sei ricolmo di regale splendore!
34. Tu, o Guida spirituale dalla voce gentile, indichi
ciò che è vero e ciò che è falso; la tua mente è doma e pacificata, i sensi
sono sottomessi, lo spirito è perfettamente calmo; tu insegni ciò che è bene
sia insegnato e istruisci le moltitudini degli dei e degli uomini! Io rendo
omaggio a Śākyamuni, Supremo tra gli uomini, venerato dagli dei e dagli uomini!
35. O Saggio che possiedi le sublimi parole della
conoscenza, le trametti ai tre mondi. Tu che attraverso la triplice scienza
insegni la liberazione, tu che liberi dall’offuscamento delle tre macchie, o
Saggio che comprendi pienamente con il tuo intelletto ciò che è benefico e ciò
che non lo è, io ti rendo rispettosamente omaggio, o Sublime nel trimundio,
venerato in cielo ed in terra!
Così, o Monaci, Sunirmita,
figlio di un dio, circondato e scortato da una moltitudine di dei, dopo aver
lodato il Tathāgata si inchinò con le mani giunte e si pose da un lato.
Quindi, o Monaci,
Santuṣita, figlio di un dio, insieme con gli dei Tuṣitakāyika [7], si avvicinò al luogo in cui si trovava
il Tathāgata, rivestì con un gran numero di vesti divine il Tathāgata seduto
nel Bodhimaṇḍa e giunto alla sua presenza lo lodò con questi gāthā:
36. Quando dimoravi nel cielo di Tuṣita hai insegnato
il buon Dharma e non hai mai cessato tale insegnamento. Ancora oggi i figli
divini praticano il Dharma.
37. Noi non siamo mai sazi di guardarti e non ci
saziamo di ascoltare il Dharma. Oceano di qualità, Lampada del mondo, ti rendo
rispettosamente omaggio con il capo e con il cuore.
38. Quando dimoravi nel cielo di Tuṣita hai portato a
cessazione tutte le preoccupazioni. Quando hai assunto la postura seduta sotto
l’albero del Risveglio sono state estinte tutte le afflizioni degli esseri
senzienti.
39. Il tuo desiderio di conseguire il perfetto
Risveglio dopo aver sconfitto il demone è realizzato, il tuo voto è adempiuto.
Ora, presto, fai girare la sublime Ruota del Dharma!
40. In luoghi innumerevoli, migliaia di esseri provano
gioia nel Dharma (dicendo): Possa io ascoltare ancora il Dharma! Presto,
allora, fai girare la sublime Ruota del Dharma, libera in tutti i mondi gli
innumerevoli esseri senzienti!
Così, o Monaci, Santuṣita
figlio di un dio e il suo seguito dopo aver lodato il Tathāgata si inchinarono rispettosamente
con le mani giunte e si posero da un lato.
Quindi, o Monaci, Suyāma,
figlio di un dio, insieme con gli dei Yāma [8], si avvicinò al
luogo in cui si trovava il Tathāgata, rese omaggio con fiori, incenso, profumi,
ghirlande e unguenti al Tathāgata seduto nel Bodhimaṇḍa e giunto alla sua
presenza lo lodò con questi gāthā, idonei alla circostanza:
41. Nessuno è pari a te; dov’è quindi qualcuno che ti
sia superiore quanto alla disciplina, all’assorbimento, alla saggezza? Noi
rendiamo omaggio a te, o Tathāgata, che sei incline all’amore e alla suprema
Saggezza!
42. Essendo stati testimoni delle manifestazioni con
cui gli dei, nel Bodhimaṇḍa, hanno onorato colui che siede sul trono, (noi
pensiamo): Nessun altro ne è degno quanto te, venerato dagli dei e dagli
uomini!
43. La tua venuta, in vista della quale hai compiuto
azioni estremamente difficili, non è stata vana: infatti tu hai sconfitto
l’ingannatore insieme con il suo esercito ed hai conseguito il Supremo
Risveglio!
44. Tu hai illuminato le dieci direzioni dello spazio;
l’intero trimundio risplende grazie alla lampada della saggezza. Tu dissolverai
le tenebre e darai al mondo l’occhio che non ha pari.
45. Le tue lodi, pari al numero dei tuoi pori, saranno
cantate per innumerevoli eoni e non avranno fine. O Tathāgata, Oceano di
qualità, celebrato da tutti gli esseri, noi ci inchiniamo a te.
Così, o Monaci, gli
dei, preceduti da Suyāma figlio di un dio, dopo aver lodato il Tathāgata si
inchinarono rispettosamente con le mani giunte e si posero da un lato.
Poi Śakra, il Signore
degli dei, e gli dei Trāyastriṃśa [9] resero omaggio al
Tathāgata con fiori, incensi, lampade, ghirlande, unguenti, polveri profumate,
vesti, parasole, stendardi, bandiere e oggetti di ogni sorta e lo lodarono con
questi versi:
46. O Saggio, tu sei impeccabile, irreprensibile,
perennemente incrollabile come il monte Meru; famoso nelle dieci direzioni
dello spazio, lampada della conoscenza, possiedi lo splendore delle azioni
meritorie; in passato tu hai reso omaggio a centinaia di migliaia di Buddha.
Per questo hai sconfitto l’esercito del demone presso l’albero del Risveglio.
47. Sorgente di disciplina, di apprendimento, di
assorbimento e di intuizione, tu possiedi il vessillo che reca il simbolo della
saggezza; tu sei il Distruttore della vecchiaia e della morte, il Medico
supremo che dona la vista a agli esseri, colui che ha abbandonato le tre
maculazioni, i cui sensi sono pacificati, la mente domata. O Saggio, noi
prendiamo rifugio presso di te, Signore degli Śākya, Re del Dharma nel mondo.
48. Il tuo sforzo verso il Risveglio fu infinito,
esaltato dall’energia della virtù eroica. Con il potere della saggezza, degli
abili mezzi e dell’amore, con il potere dei meriti, con questi poteri infiniti,
tu oggi, nel Bodhimaṇḍa, hai conseguito il Risveglio e possiedi i dieci poteri.
49. Alla vista delle infinite schiere, gli dei furono
pieni di spavento (e pensarono): No, invero il re degli Śramaṇa non potrà rimanere
impassibile nel Bodhimaṇḍa. Ma tu non hai provato alcun timore, non hai
manifestato alcun turbamento. L’armata del demone, colpita duramente dalla tua
mano e completamente sgomenta, è stata sconfitta!
50. E tu, come un tempo fecero i Buddha del passato,
hai conseguito sul trono lo stesso supremo Risveglio; tu sei eguale ad essi,
perfettamente simile, senza alcuna differenza; eguale nel cuore, eguale nella
mente, tu hai conseguito l’onniscienza. Tu, Sublime Essere nel mondo, Sorto da
te stesso, sii un campo di meriti nell’universo.
Così, o Monaci,
Śakra, il Signore degli dei, e gli dei Trāyastriṃśa dopo aver lodato il
Tathāgata si inchinarono rispettosamente con le mani giunte e si posero da un
lato.
Successivamente i
Quattro Grandi Re con i figli degli dei Cāturmahārājakāyika [10] si avvicinarono al luogo in cui si
trovava il Tathāgata recando ghirlande e mazzi di fiori di abhimuktaka, di
campaka, di gelsomino, di noce moscata e di dhānuṣkāri e, circondati da
centomila Apsarā che cantavano canzoni divine, resero omaggio al Tathāgata
lodandolo con questi versi, adatti alla circostanza:
51. O Saggio il cui parlare è melodioso e la voce
accattivante; tu che, come la luna, generi la quiete; tu, la cui mente è in pace,
il volto sorridente e la lingua lunga; tu, che arrechi la più profonda e la più
grande felicità; a te rendiamo omaggio!
52. Quando si ode la tua voce, la tua dolce voce,
tutte le voci e i discorsi del mondo intero, per quanto siano melodiosi e
accattivanti per gli dei e per gli uomini, tutte le dolci voci di coloro che
possono parlare sono superate.
53. Essa pacifica le passioni, gli errori, i
turbamenti, le afflizioni, e genera una gioia incontaminata e divina. Dopo aver
ascoltato il Dharma con mente pura, tutti ottengono realmente la suprema
liberazione.
54. Tu non disdegni gli ignoranti, e non ti
inorgoglisci per la tua conoscenza. Non sei arrogante né timido, sei come una
montagna assolutamente stabile nel centro dell’Oceano.
55. Poiché nel mondo è apparso un tale Essere, gli
uomini hanno conseguito quaggiù un immenso guadagno. Come la dea della fortuna
elargisce la più grande ricchezza, nello stesso modo tu donerai il Dharma al
mondo intero!
Così, preceduti
dai Quattro Grandi Re, gli dei Cāturmahārājakāyika dopo aver lodato il
Tathāgata che sedeva nel Bodhimaṇḍa si inchinarono rispettosamente con le mani
giunte e si posero da un lato.
Successivamente gli
Dei del Cielo si avvicinarono al luogo in cui si trovava il Tathāgata per
rendere omaggio a colui che aveva conseguito il perfetto e compiuto Risveglio,
adornando il cielo intero con una rete di gioielli, con preziosi parasole, con stendardi
gioiello, con preziosi orecchini, con collane di perle, con ghirlande di fiori
tenute da divinità che mostravano la parte superiore del loro corpo, nonché con
delle mezze lune. Essi offrirono tutto questo al Tathāgata, quindi lo lodarono
con questi versi:
56. Noi dimoriamo nel cielo, o Saggio, e vediamo con
chiarezza la condotta di tutti gli esseri nell’universo. Noi abbiamo osservato
la tua condotta, o Essere Puro, e non vediamo alcun offuscamento nel tuo
spirito.
57. I Bodhisattva sono giunti per renderti omaggio, ed
essi riempiono i cieli, o Guida degli uomini. Essi non disturbano le dimore
celesti, poiché essi hanno la natura degli esseri celesti.
58. I fiori che piovono dal cielo e ricoprono le
migliaia di mondi sono caduti sul tuo corpo, così come i fiumi vanni a
congiungersi nell’Oceano.
59. Noi vediamo parasole, orecchini, ghirlande di
fiori di campaka, collane di perle, lune e mezze lune che gli dei ti offrono,
ma essi non si mescolano confusamente tra loro.
60. Nel cielo non vi è spazio nemmeno per un capello,
tanto esso è pieno di divinità in ogni luogo. Essi rendono omaggio al più
nobile tra gli uomini, ma tu non provi orgoglio né stupore!
Così, o Monaci,
gli Dei del Cielo dopo aver lodato il Tathāgata che sedeva nel Bodhimaṇḍa si
inchinarono rispettosamente con le mani giunte e si posero da un lato.
Successivamente
gli Dei della Terra per rendere omaggio Tathāgata pulirono e purificarono
l’intera superficie della terra cospargendola di acqua profumata e ricoprendola
di fiori. Poi offrirono al Tathāgata un baldacchino di stoffe e lo lodarono con
questi versi:
61. Il trimundio è divenuto indistruttibile come il
diamante e perfettamente stabile. Egli [il
Tathāgata] per la sua natura
di diamante è incrollabilmente assiso nel Bodhimaṇḍa. Egli ha detto: La mia pelle e la mia carne, come pure le mie
ossa, potranno disseccarsi in questo luogo, ma io non mi alzerò da qui senza
aver conseguito il Risveglio!
62. Se, o Leone degli uomini, tu non avessi benedetto
l’intera riunione dei tremila mondi, essa inevitabilmente sarebbe crollata,
tanto è potente l’energia dei Bodhisattva che sono giunti qui, le cui piante
dei piedi hanno fatto tremare le dozzine di milioni di regni.
63. Grande e illustre è il guadagno ottenuto dagli Dei
della Terra, laddove il più nobile degli Esseri ha camminato, laddove tutti i
granelli di polvere della terra sono stati illuminati. L’insieme dei tremila
mondi è divenuto un luogo di venerazione, e a maggior ragione lo è il tuo
corpo.
64. I centomila corsi d’acqua sotterranei e tutti i
mezzi di sostentamento che si trovano sulla superficie terrestre, noi li
portiamo a te, così come la terra stessa composta da tremila parti: noi doniamo
tutto a te, fruiscine secondo il tuo volere!
65. Ovunque dimorerai, ovunque ti recherai, ovunque
dormirai, coloro che sono i figli del Sugata, gli uditori di Gautama, coloro
che ascoltano gli insegnamenti del Dharma, tutti noi, facciamo crescere ogni
radice di virtù, in vista del Risveglio!
Così gli Dei della
Terra dopo aver lodato il Tathāgata assiso nel Bodhimaṇḍa si inchinarono
rispettosamente con le mani giunte e si posero da un lato.
Capitolo
intitolato: Lodi, il ventitreesimo.
NdT
[1] De Foucaux traduce qui: Accompli par le doctrines pures. Alla
lettera: compiuto, realizzato, giunto al compimento
– per mezzo di, grazie a – puri insegnamenti, una dottrina pura.
Nel volgere questi versi in francese De Foucaux passa più volte
dalla seconda alla terza persona, e viceversa (Il est apparu…, Tu rassasieras…). Si è cercato qui di armonizzare
la traduzione.
[2] Alla lettera, il Saggio che raggiunge tutti gli obiettivi.
[3] Questa traduzione è confermata
dalla versione francese dal testo tibetano. Secondo la traduzione inglese i
sacrifici erano quelli compiuti dai figli del demone in onore del Tathāgata.
[4] Gli dei che controllano le altrui emanazioni. Si veda a proposito delle
varie classi di divinità la voce “sei
destini” nel già citato Dizionario del Buddhismo di Ph.
Cornu.
[5] Secondo De Foucaux, che traduce
con: prédicateur dans l’assemblée, il
Tathāgata è il soggetto, colui che proclama, che predica (sott. il Dharma,
verosimilmente). Ma in realtà il Buddha non ha ancora deciso se insegnare agli
altri ciò che ha realizzato, come si vedrà nei capitoli successivi. Per cui è
preferibile considerare il Tathāgata come colui che è proclamato come tale
dagli altri.
[6] Dalle altre versioni del testo si
evince che si tratta degli dei Nirmāṇarataya, che fruiscono delle proprie emanazioni.
[7] Gli dei del Cielo dei Soddisfatti, o Felice
Dimora. Vi dimorano i futuri Buddha subito prima della loro ultima
esistenza in questo mondo. Attualmente vi si trova Maitreya.
[8] Gli dei che non combattono più
contro gli Asura.
[9] Gli dei del Cielo dei Trentatré.
[10] I Grandi Re delle direzioni dello
spazio, che governano i quattro punti cardinali.
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Gli dei rendono omaggio al Risvegliato |
Capitolo
ventiquattresimo
Trapuṣa
e Bhallika
Dopo che il
Bodhisattva ha trascorso sette giorni sotto l’albero del Risveglio, i figli
degli dei ritornano presso di lui. – Occupazioni del Buddha nel corso delle
ultime quattro settimane da lui trascorse nel Bodhimaṇḍa. Nuova visita del
demone che, ancora una volta, è confuso dal Bodhisattva. – Tre figlie del
demone, nonostante il parere contrario del padre, cercano di sedurre il
Bodhisattva, il quale, senza nemmeno proteggersi da loro, le trasforma in vecchie
avvizzite. – Esse si recano presso il padre e lo pregano di far scomparire il
decadimento del loro corpo. – Il demone risponde che solo il Buddha può
restituire loro il precedente aspetto. – Esse ritornano da lui, confessano il
loro errore e ricevono il suo perdono. – I Nāga circondano con i loro corpi il
Buddha per proteggerlo dal freddo. –Mentre il Bodhisattva siede ai piedi
dell’albero del Risveglio due mercanti giungono nei paraggi. – Tutti i
finimenti dei loro carri si spezzano. – Una dea dice loro di avvicinarsi senza
timore e indica loro il Buddha. Riconoscendo dalle sue vesti che si tratta di
un monaco, essi gli offrono del cibo. – Vasi portati dai Quattro Grandi Re per
contenerlo. I due mercanti preparano una zuppa con il latte di mille vacche. Il
Buddha lo accetta augurando loro ogni sorta di prosperità. – Prima predicazione
del Buddha.
Così, o Monaci, il
Tathāgata, divenuto un Buddha perfetto e compiuto, lodato dagli dei,
contemplava il re degli alberi senza batter ciglio, seduto con le gambe
incrociate. Egli trascorse una settimana ai piedi dell’albero del Risveglio,
nutrendosi della gioia dell’assorbimento meditativo, provando in se stesso la
beatitudine.
Poi, passati sette
giorni, i figli degli dei Kamavatchara giunsero nel luogo in cui si trovava il
Tathāgata portando diecimila vasi di acqua profumata. Anche i figli degli dei
Rūpāvatchara giunsero nel luogo in cui si trovava il Tathāgata portando
diecimila vasi di acqua profumata e aspersero con l’acqua profumata l’albero
del Risveglio e il Tathāgata.
Innumerevoli dei,
Nāga, Yakṣa, Gandharva, Asura, Garuḍa, Kinnara e Mahoraga bagnarono i loro
corpi con l’acqua profumata caduta sul corpo del Tathāgata e quando ritornarono
nelle loro dimore generarono pensieri rivolti al conseguimento del perfetto e
supremo Risveglio. E quei figli degli dei e tutti gli altri non si privarono
mai di quell’acqua profumata e non desiderarono più nessun altro profumo. E grazie
all’impeto di gioia e di felicità generato nel loro spirito dall’amore per il
Tathāgata non si allontanarono più dal cammino verso il Risveglio perfetto e
completo.
Intanto, o Monaci,
un figlio divino chiamato Samantakusuma discese in quella stessa assemblea.
Dopo essersi prosternato ai piedi del Tathāgata gli si rivolse a mani giunte:
Qual è, o Beato, il nome del profondo assorbimento meditativo in cui il
Tathāgata è rimasto per sette giorni costantemente seduto a gambe incrociate?
Il Tathāgata così
rispose alla domanda del figlio degli dei: Pṛtyahāravyūha (esercizio del
nutrimento della gioia) è il nome di questa profonda meditazione; grazie alla
pratica di essa il Tathāgata è rimasto per una settimana costantemente seduto
con le gambe incrociate.
Allora, o Monaci,
il figlio di un dio Samantakusuma lodò il Tathāgata con questi versi:
1. I tuoi piedi recano il marchio della ruota di un
carro, risplendono come i petali di mille fiori di loto immacolati, sono posati
sulle corone degli dei: tu sei ricolmo di benedizioni, ed io mi prosterno ai
tuoi piedi!
2. Dopo aver reso omaggio ai piedi del Sugata con
animo colmo di gioia, il figlio degli dei così si rivolse a colui che cancella
i dubbi e genera la pace perfetta negli uomini e negli dei.
3. Tu che generi felicità nella stirpe degli Śākya,
che dissolvi l’attaccamento, l’avversione, l’offuscamento dell’ignoranza, che
metti fine alle dispute, cancella i dubbi degli dei e degli uomini!
4. Perché i Buddha che possiedono i dieci poteri e
l’onniscienza infinita, (perché) i Vittoriosi continuano a sedere nel Mahimaṇḍa
con le gambe incrociate?
5. Dunque, perché, o Leone degli uomini, osservi senza
un battito di ciglia, con gli occhi aperti per sette giorni, tu, il cui sguardo
è perfettamente puro, i cui occhi sono simili al loto dai cento petali appena
dischiuso?
6. È la tua aspirazione che fa sì che tu rimanga per
sette giorni costantemente seduto con le gambe incrociate ai piedi del re degli
alberi, oppure è cosa consueta per tutti i leoni della parola?
7. Tu hai denti belli, eguali e puri, la tua bocca
profuma della più soave delle fragranze: pronuncia dunque parole veritiere,
arreca gioia agli uomini e agli dei!
8. Colui il cui viso è simile alla luna gli rispose:
Ascolta le mie parole, figlio di un dio, risponderò in breve alla tua domanda.
9. Così come un re non abbandona per sette giorni il
luogo in cui ha ricevuto la consacrazione dall’assemblea dei suoi congiunti,
poiché questa condizione fa parte dei doveri di un re,
10. nello stesso modo quando sono consacrati con il
conseguimento dei dieci poteri, essendosi realizzate le loro aspirazioni, i
Vittoriosi per sette giorni rimangono seduti nel Dhāraṇīmaṇda con le gambe
incrociate.
11. Come un eroe osserva le schiere nemiche
completamente sconfitte, anche i Buddha nel Bodhimaṇḍa contemplano le
afflizioni mentali che sono state dissolte.
12. Qui ho completamente distrutto, come ladri con gli
oggetti rubati, senza alcun residuo, gli attaccamenti e le avversioni nati
dalle illusioni (dell’ignoranza), che sono come nemici degli esseri senzienti.
13. Qui ho distrutto le nove modalità dell’orgoglio,
che non esistono più; ho abbandonato tutte le contaminazioni e ho generato la
perfetta saggezza.
14. Qui ho bruciato con il grande fuoco della saggezza
la sete di esistenza, che induce a commettere azioni negative, e l’ignoranza,
con le formazioni latenti che residuano.
15. Qui ho reciso con la lama della saggezza l’ignoranza
che dice “io e mio”, la cui radice si estende lontano con i suoi grovigli di
errori, e il nodo stretto delle oscurazioni.
16. Qui ho completamente dissolto le illusioni che per
lungo tempo mi hanno dominato; per mezzo della saggezza ho perfettamente
riconosciuto gli aggregati (skanda) insieme con i loro attaccamenti (upādāna).
17. Qui ho completamente rimosso, senza alcun residuo,
le concezioni dualistiche, le visioni erronee che conducono al profondo
inferno, e certamente esse non rinasceranno mai.
18. Qui ho distrutto con il fuoco della radice della
virtù la foresta delle oscurazioni mentali, senza alcun residuo, ed ho
ugualmente bruciato i quattro errori [1].
19. Qui grazie alle corone dei gradi del Risveglio ho
completamente rovesciato, senza alcun residuo, la ghirlanda dei pensieri
tessuta con il filo nocivo dei concetti.
20. Qui, nel Dhāraṇīmaṇda, ho distrutto i
sessantacinque travagli, i trentacinque [2]
turbamenti impuri e le quaranta azioni negative.
21. Sedendo qui, nel Mahimaṇḍa, ho distrutto le sedici
omissioni, i diciotto elementi, i cinque [3]
tormenti.
22. Attraverso la mia forza, l’impegno e la
perseveranza ho superato le venticinque correnti della passione e le ventotto
paure del mondo.
23. Qui ho perfettamente compreso i cinquecento
ruggiti del Buddha. Ho perfettamente compreso l’intero insieme dei centomila
fenomeni.
24. Qui ho definitivamente estirpato alla radice,
senza alcun residuo, le novantotto formazioni latenti, e ho completamente
bruciato con il fuoco della saggezza i germogli che avrebbero potuto rinascere
intorno.
25. Ho prosciugato con il sole della saggezza il
desiderio generato dal dubbio e nutrito dall’acqua della vista, e il fiume
della brama dalla impetuose correnti.
26. Ho abbandonato la finzione, come pure la menzogna,
la gelosia, l’invidia, l’errore e l’avversione; oggi la foresta delle
afflizioni è stata abbattuta e bruciata dalle fiamme della disciplina.
27. Qui grazie agli effetti dell’eccellente medicina
della saggezza ho rigettato le radici delle dispute che trascinano nei dolorosi
reami inferiori e i discorsi contro gli esseri nobili.
28. Qui ho
conseguito le qualità della saggezza e della meditazione e pertanto ho
raggiunto la fine dei pianti, delle lamentazioni, dei gemiti, delle afflizioni.
29. Poiché ho raggiunto l’unione con la verità oggi
qui ho trionfato sui flussi, sui viluppi, sulle frecce della sofferenza, sulla
stoltezza, sulla mancanza di lucidità.
30. Qui con l’ascia della consapevolezza ho abbattuto,
senza alcun residuo, i cespugli delle afflizioni e gli alberi dell’esistenza
che hanno come radici insane aspettative e li ho bruciati con il fuoco della
saggezza.
31. Qui con la spada della saggezza, come fece Indra
con il re dei Daitya [4], ho distrutto
l’essere orgoglioso dall’immensa forza che governa sui tre regni e la cui
natura è malvagia.
32. Qui, nel Dhāraṇīmaṇda, ho tagliato con la potente
spada dell’intuizione la rete dell’illusione dalle trentasei modalità e l’ho
bruciata con il fuoco della saggezza.
33. Qui con il supremo vomere dell’aratro della
saggezza ho reciso le radici delle afflizioni insieme con le formazioni latenti
che generano [5] sofferenza e
pena.
34. Qui ho purificato l’occhio della saggezza degli
esseri, puro per sua natura. Con l’eccellente balsamo della saggezza ho rimosso
il velo crescente dell’illusione.
35. Qui con i raggi splendenti del sole della pace che
nasce dalla consapevolezza ho prosciugato l’oceano dell’esistenza e le quattro
distese degli esseri turbati dal mostro della brama che genera infiniti
desideri.
36. Qui ho estinto con l’acqua fresca della perfetta
liberazione il grande incendio delle passioni, insieme con il fumo del
pensiero, che è alimentato dalle miriadi di oggetti sensoriali.
37. Qui ho prosciugato con la forza del vento impetuoso
della determinazione ed ho completamente disperso le nubi delle formazioni
latenti, i cui fulmini sono le propensioni e i tuoni le concettualizzazioni.
38. Qui dopo aver conseguito il puro assorbimento
della consapevolezza ho distrutto, senza residuo alcuno, il temibile avversario
che offusca la mente, generato dall’attaccamento all’esistenza.
39. Qui dopo aver sviluppato l’amore ho sbaragliato le
forti e coraggiose schiere del demone, che avevano dispiegato grandi vessilli,
erano ben fornite di cavalli, di elefanti e di carri e si manifestavano in
forme spaventose.
40. Qui dopo aver raggiunto l’assorbimento della
repulsione ho domato, senza alcun residuo, i sei cavalli dei sensi, alimentati
e costantemente inebriati dalle cinque qualità del desiderio.
41. Qui dopo aver raggiunto l’assorbimento privo di
oggetto ho conseguito il definitivo abbandono, senza alcun residuo, di ciò che
si oppone alla riconciliazione, la fine delle dispute e dei conflitti.
42. Qui dopo aver compreso la vacuità ho completamente
distrutto all’interno e all’esterno ogni concettualizzazione, ogni pensiero ed
opinione [6].
43. Qui dopo aver raggiunto l’assorbimento privo di
segni ho definitivamente abbandonato tutti i piaceri della vita umana e divina,
fino al culmine dell’esistenza.
44. Qui dopo aver conseguito le tre forme della
completa liberazione ho reciso, grazie al potere della saggezza, tutti i legami
dell’esistenza, per quanto numerosi essi siano.
45. Qui grazie alla conoscenza della causalità ho
definitivamente sconfitto le tre concezioni causali: di permanenza e
impermanenza, di piacere e dolore, di sé e non-sé.
46. Qui, ai piedi del re degli alberi, ho reciso
grazie alla comprensione dell’impermanenza l’accumulo dei diversi tipi di
karma, che hanno per radici i sei campi dei sensi.
47. Qui ho illuminato con il sole della saggezza ciò
che era rimasto a lungo immerso nelle tenebre, degradato dalla nebbia del
turbamento e dell’ignoranza, ricolmo di arroganza e di avversione.
48. Qui ho attraversato con la nave della virtù e
della determinazione l’oceano dell’esistenza ciclica, che è abitato dai mostri
della confusione e dell’offuscamento, le cui onde sono i desideri e che genera
le erronee visioni.
49. Qui grazie alla mia realizzazione ho estinto il
desiderio, l’avversione e l’ignoranza che genera offuscamenti mentali, come
fossero cavallette cadute in un incendio boschivo e lì bruciate.
50. Qui io, spossato dal lungo cammino sulla strada
delle esistenze cicliche per innumerevoli centinaia di migliaia di eoni, ora ho
trovato la pace, ho distrutto la sofferenza.
51. Qui, per il beneficio degli esseri, ho ottenuto il
nettare dell’amṛta che porta alla fine della vecchiaia, della morte, della pena
e del dolore, mai ottenuto da nessun altro cercatore.
52. Sono giunto nella città della non paura, nella
quale non tornerà più la sofferenza che sorge dagli aggregati né il dolore
generato dalla brama attraverso i campi delle esperienze sensoriali.
53. Qui ho compreso la moltitudine dei grandi nemici
interiori e dopo averli riconosciuti li ho completamente distrutti e resi
incapaci di tornare a manifestarsi.
54. Qui ho conseguito il nettare, per il quale nel
corso di centinaia di milioni di eoni ho rinunciato ai miei occhi, alla mia
carne e ad infiniti beni.
55. Qui ho profondamente compreso ciò che già era
stato realizzato dagli innumerevoli Vittoriosi del passato, famosi tra gli
uomini per le loro parole dolci e gradevoli.
56. Qui ho compreso la vacuità del mondo, che sorge in
dipendenza di cause e condizioni, che è impermanente come un battito di ciglia,
simile ad un miraggio o alla città dei Gandharva.
57. Qui ho perfettamente purificato l’occhio più
sublime con il quale vedo tutti i mondi come se fossero i frutti di un albero
posati sul palmo della mia mano.
58. Qui ho conseguito il perfetto ricordo delle mie
esistenze precedenti e la triplice conoscenza. Io ricordo innumerevoli
centinaia di migliaia di eoni, come se mi fossi risvegliato da un sogno.
59. Gli dei e gli uomini hanno false visioni e, in
preda all’eccitamento, si immergono nelle dispute. Ma io qui ho bevuto l’elisir
dell’amṛta che è esente da errori.
60. Qui dopo aver trionfato con il potere della
benevolenza ho bevuto l’elisir dell’amṛta, grazie al quale coloro che possiedono
i dieci poteri generano il pensiero della benevolenza verso tutti gli esseri.
61. Qui dopo aver trionfato con il potere della
compassione ho bevuto l’elisir dell’amṛta, grazie al quale coloro che
possiedono i dieci poteri generano il pensiero della compassione verso tutti
gli esseri.
62. Qui dopo aver trionfato con il potere della gioia
compartecipe ho bevuto l’elisir dell’amṛta, grazie al quale coloro che
possiedono i dieci poteri generano il pensiero della gioia compartecipe di
tutti gli esseri.
63. Qui dopo aver trionfato con il potere della
pazienza ho bevuto l’elisir dell’amṛta, grazie al quale coloro che possiedono i
dieci poteri generano il pensiero della pazienza nel corso di centinaia di
migliaia di eoni [7].
64. Qui ho bevuto l’elisir dell’amṛta, che era stato
bevuto dai leoni Vittoriosi del passato, più numerosi dei granelli delle sabbie
del fiume Gaṅgā.
65. Le parole che ho detto quando il demone giunse qui
con il suo esercito: Non uscirò dalla postura a gambe incrociate prima di aver conseguito
la fine della vecchiaia e della morte.
66. Ho completamente distrutto l’ignoranza con il
fulmine-vajra della saggezza, indistruttibile e fiammeggiante, ed ho conseguito
lo stato di possessore dei dieci poteri, per questo ho sciolto la postura a gambe
incrociate.
67. Ho ottenuto lo stato di Arhat; le contaminazioni
sono state distrutte senza alcun residuo; l’esercito del demone è stato
sconfitto; per questo ora sciolgo la postura a gambe incrociate.
68. Ho dissolto le nubi dei cinque ostacoli [8]; ho reciso nettamente il legaccio del desiderio; per
questo ora sciolgo la postura a gambe incrociate.
69. Allora quella Luna degli uomini si alzò lentamente
dal suo seggio e sedette su un trono, attendendo la consacrazione.
70. Con migliaia di vasi preziosi ricolmi di acque
profumate in vario modo le schiere degli dei cosparsero l’Amico del mondo
dotato dei dieci poteri, il quale aveva conseguito la perfezione delle qualità.
71. Quindi centinaia di migliaia di dei e centinaia di
migliaia di Apsarā, tutti insieme, incessantemente, resero ineguagliabili
omaggi accompagnandosi con migliaia di strumenti musicali.
72. O figli degli dei, è invero per questo motivo
ragionevole, logico e ben fondato che i Vittoriosi, nel Dhāranīmaṇda, per una
settimana non sciolgono la postura a gambe incrociate.
Così, o Monaci, il
Tathāgata, pervenuto al completo Risveglio, rimase sul trono [pensando]: Qui ho
conseguito il supremo Risveglio, completo e senza pari. Qui ho posto fine alla
sofferenza senza inizio e senza termine di nascita, vecchiaia e morte [9].
Durante la seconda
settimana il Tathāgata camminò a lungo in tutte le regioni del grande
trichiliocosmo.
Nel corso della
terza settimana il Tathāgata contemplò il luogo del Risveglio senza batter
ciglio, [pensando]: Qui ho
conseguito il supremo Risveglio, completo e senza pari, e qui ho posto fine
alla sofferenza senza inizio e senza termine di nascita, vecchiaia e morte.
Nella quarta
settimana il Tathāgata fece una breve passeggiata dal mare d’Oriente fino al
mare d’Occidente.
Quindi il demone
Pāpīyān si avvicinò al luogo in cui si trovava il Tathāgata e gli rivolse
queste parole: Che il Beato entri nel Parinirvāna! Che il Sugata entri nel
Parinirvāna! È giunto ora il momento per il Beato di passare nel Parinirvāna!
Udite queste
parole, o Monaci, il Tathāgata così rispose al demone Pāpīyān: No, Pāpīyān, non
entrerò nel Parinirvāna fino a quando i miei monaci non saranno degli Anziani [10] moderati, lucidi, disciplinati, privi di
paura, competenti, istruiti nel Dharma e immersi in esso, guide capaci di far
risplendere la luce; fino a che non saranno in grado, grazie al Dharma, di
superare i loro contraddittori che diverranno sempre più numerosi, e saranno
radicati nella fede e capaci di insegnare il Dharma unitamente al compimento di
miracoli. No, Pāpīyān, non entrerò nel Parinirvāna fino a quando la conoscenza
del Buddha, del Dharma e del Saṅgha non sarà solidamente radicata nel mondo. O
Pāpīyān, fino a quando ad innumerevoli Bodhisattva non sarà profetizzato che
conseguiranno il Risveglio perfetto e compiuto, fino a quando le mie Quattro
Comunità non saranno moderate, disciplinate, lucide, prive di paura, in grado
di insegnare il Dharma unitamente al compimento di miracoli, fino ad allora io
non entrerò nel Parinirvāna.
Quindi il demone
Pāpīyān, avendo ascoltato queste parole, si fece da parte e rimase immobile.
Triste, sconsolato, a testa bassa, tracciò delle immagini sul terreno con un
bastone, pensando: Costui è andato al di là del mio dominio! [11]
Allora le tre
figlie del demone, Rati, Arati e Tṛṣṇā, si rivolsero a Pāpīyān con questo
verso:
73. Come è triste il tuo animo, Padre! Parla. Se è a
causa di quest’uomo, lo legheremo con la catena della passione e lo
trascineremo come un elefante. Poi, dopo averlo condotto a te, lo metteremo
sotto il tuo potere.
Il demone rispose:
74. Il Sugata è l’Arhat del mondo. Non potrebbe
soccombere al potere del desiderio. È davvero andato al di là del mio dominio.
È per questo che sono così afflitto!
Allora esse, a
causa della sventatezza femminile, sottovalutando il potere del Bodhisattva
divenuto un Tathāgata, senza minimamente ascoltare le parole del loro padre
presero l’aspetto di fanciulle nel fiore della giovinezza, che avevano appena
raggiunto la maturità, e agendo ciecamente si avvicinarono al Tathāgata. Il
Tathāgata non prestò loro attenzione, ed esse si trasformarono in anziane donne
decrepite. Ritornate accanto al loro padre, esse dissero:
75. È vero ciò che ci hai detto, Padre: Egli non è
affatto guidato dal desiderio, è davvero andato al di là del mio dominio. È per
questo che sono così afflitto!
76. Se costui avesse osservato le forme seducenti che
abbiamo assunto per portare Gautama alla perdizione, il suo cuore si sarebbe
spezzato!
77. Padre, fai sparire i corpi decrepiti che ora
abbiamo!
Il demone rispose:
Non conosco
nessuno nel mondo animato o inanimato che possa cambiare le manifestazioni del
potere di un Buddha.
78. Andate dunque in fretta a confessare l’errore che
avete commesso, ed egli vi restituirà i vostri corpi così com’erano, secondo i
vostri desideri.
Allora esse si
recarono dal Tathāgata e lo implorarono:
O Beato, perdona
la nostra colpa! O Sugata, è stato l’errore di persone infantili prive di
lucidità, di stupide, di sconsiderate, di ignoranti, poiché abbiamo pensato che
il Beato potesse essere offeso!
Il Tathāgata
rispose loro con questi versi:
79. Voi, che volete sondare l’insondabile, state
scavando una montagna con le unghie, state lavorando il ferro con i denti,
state bucando una montagna con la testa!
Per questo, fanciulle,
io perdono il vostro errore. Perché? Perché per tutti coloro che dopo aver
compreso che il loro errore è un errore lo confessano e riescono quindi ad
astenersene, questo costituisce un progresso nell’addestramento del nobile
Dharma.
O Monaci, nel
corso della quinta settimana il Tathāgata dimorò nei territori del re dei Nāga,
Mucilinda. In quei sette giorni di maltempo Mucilinda, re dei Nāga, uscì dalla
sua dimora, avvolse il corpo del Tathāgata con sette spire e lo tenne al riparo
sotto i suoi cappucci dicendo: Bisogna che i venti freddi non danneggino il
corpo del Tathāgata.
Nello stesso modo
anche dalla regione orientale arrivarono altri re dei Nāga, in gran numero, avvolsero
il corpo del Tathāgata con sette spire e lo tennero al riparo sotto i loro
cappucci dicendo: Bisogna che i venti freddi non danneggino il corpo del
Tathāgata.
Come dalla regione
orientale, anche dalle regioni del sud, dell’ovest e del nord arrivarono altri
re dei Nāga, avvolsero il corpo del Tathāgata con sette spire e lo tennero al
riparo sotto i loro cappucci dicendo: Bisogna che i venti freddi non danneggino
il corpo del Tathāgata.
E quel mucchio di
re dei Nāga divenne alto come il Meru, re delle montagne. E giammai i re dei
Nāga avevano conosciuto una gioia simile a quella che provarono per sette
giorni e sette notti grazie alla vicinanza con il corpo del Tathāgata.
Poi, al termine
della settimana, i re dei Nāga capirono che il maltempo era cessato, ritirarono
le loro spire dal corpo del Tathāgata, resero omaggio ai suoi piedi con le loro
teste, girarono intorno a lui per tre volte e ritornarono nelle loro rispettive
dimore.
Anche il re dei Nāga
Mucilinda rese omaggio con la testa ai piedi del Tathāgata, girò intorno a lui
per tre volte e ritornò nella sua dimora.
Nella sesta
settimana il Tathāgata camminò dal regno di Mucilinda fino all’albero di ficus
del pastore di capre. Tra il territorio di Mucilinda e l’albero del pastore di
capre, lungo la riva del fiume Nairañjanā, il Tathāgata fu scorto da alcuni
chailaka, da parivrājaka, da anziani śrāvaka, da gautama, da ājīvika e da altri,
i quali gli chiesero: Il Tathāgata ha trascorso felicemente la settimana di
maltempo?
A quel punto, o
Monaci, il Tathāgata pronunciò solennemente queste parole di gioia:
80. Felice è la solitudine per colui che è contento,
che ha inteso il Dharma, che può vedere. Felice è la non violenza nel mondo,
così come l’amore per gli esseri senzienti!
81. Felice è la libertà dal desiderio nel mondo, come
la vittoria sul male. La sottomissione dell’egoismo e dell’orgoglio, ecco la
suprema felicità!
O Monaci, il
Tathāgata vide il mondo in fiamme, arso da nascita, vecchiaia, malattia, morte,
dolore, lamento, conflitto, sofferenza. A quel punto, il Tathāgata pronunciò
queste significative parole:
82. Il mondo è afflitto per ogni dove da suoni,
sensazioni, sapori, forme e odori. Benché spaventati dall’esistenza, tutti a
causa della brama di esistere continuano a perseguire l’esistenza!
Nel corso della
settima settimana il Tathāgata dimorò ai piedi dell’albero Tārāyana [12].
In quel tempo due
fratelli dei territori del nord, mercanti abili e colti, i cui nomi erano Trapuṣa
e Bhallika, dopo aver guadagnato molto si stavano recando dalle terre del sud
verso quelle del nord trasportando diversi tipi di merci con una grande
carovana composta da cinquecento carri a pieno carico. Essi possedevano due
superbi tori, chiamati Sujāta e Kīrti, entrambi privi di timore verso ogni
sorta di ostacolo: infatti venivano utilizzati laddove gli altri tori non
passavano. Ovunque si manifestava un problema, entrambi rimanevano fermi come
se fossero stati attaccati ad un palo. Non potevano essere condotti con il
pungolo, bensì dovevano essere guidati con una manciata di fiori di loto o con
una ghirlanda di gelsomini.
Quando si
trovarono nei pressi dell’albero Tārāyana, a causa di un incantesimo lanciato
da una dea che dimorava in un bosco di alberi da latte i carri si fermarono
magicamente. Le imbracature e tutte le altre parti dei carri si separarono, le
ruote sprofondarono nel terreno fino agli assi e malgrado tutti gli sforzi i
carri non si mossero. I mercanti ne furono meravigliati e spaventati: Per quale
motivo, quale è la causa per cui i carri si sono fermati in mezzo ad una
pianura?
Vennero aggiogati
i due tori Sujāta e Kīrti, ma benché fossero entrambi incitati con una manciata
di fiori di loto e con una ghirlanda di gelsomini non riuscirono ad avanzare.
Allora i viaggiatori pensarono: Senza alcun dubbio c’è più avanti qualche
pericolo, se nemmeno questi due si muovono. Furono allora mandati in
avanscoperta degli esploratori a cavallo, i quali dopo essere ritornati
affermarono: Non c’è assolutamente alcun pericolo.
Furono altresì
rassicurati dalla dea, la quale si manifestò e confermò: Non c’è nulla da
temere. Allora i due tori trainarono il carro presso il Tathāgata. Nel momento
in cui i mercanti videro il Tathāgata luminoso come una fiamma, adorno dei
trentadue segni del Grande Essere, risplendente e maestoso come un sole
nascente, esclamarono, in preda allo stupore: Chi è mai costui? È forse Brahmā,
disceso quaggiù, o Śakra, il Signore degli dei? È forse Vaiśravaṇa, Sūrya, o
Candra? È un dio della montagna o il dio di un fiume?
Allora il
Tathāgata mostrò loro le sue vesti color ocra ed essi dissero: Certo costui
dev’essere un monaco errante, con le vesti color ocra; non dobbiamo quindi
temere nulla da parte sua. Rasserenati, si dissero l’un l’altro: Per questo
monaco deve essere il momento del pasto. Abbiamo del cibo? (Venne loro
risposto:) Abbiamo del miele, dei dolci e delle canne da zucchero decorticate.
Essi presero il
miele, i dolci e le canne da zucchero decorticate, le portarono nel luogo in
cui si trovava il Tathāgata, resero omaggio ai suoi piedi con il capo, girarono
per tre volte intorno a lui, quindi, rimanendo discosti, gli dissero: Voglia il
Beato manifestare la sua compassione nei nostri confronti e si degni di
accettare questo cibo.
In quel momento il
Tathāgata pensò: Non è conveniente che io riceva questa offerta nelle mie mani.
In qual modo l’offerta è stata accettata dai Tathāgata Buddha perfetti e
compiuti del passato? E comprese immediatamente che era accaduto per mezzo di
una ciotola.
Allora, o Monaci, i
quattro Grandi Re sapendo che era giunto il momento del pasto del Tathāgata, in
quello stesso istante si manifestarono dalle quattro direzioni dello spazio
recando quattro ciotole d’oro e le offrirono al Tathāgata: Voglia il Beato
manifestare la sua compassione nei nostri confronti e si degni di accettare
queste quattro ciotole d’oro!
Ma il Tathāgata
rifletté che esse non erano appropriate per un monaco e non le accettò. La
stessa cosa fece con quattro ciotole d’argento, di lapislazzuli, di cristallo,
di diamanti e di smeraldo.
Allora essi
presero quattro ciotole di ogni sorta di materiali preziosi e le offrirono al
Tathāgata. Ma il Tathāgata rifletté che esse non erano appropriate per un
monaco e non le accettò.
Tuttavia, o
Monaci, il Tathāgata pensò nuovamente: Con quale tipo di ciotola i Tathāgata del
passato Arhat Buddha perfetti e compiuti hanno accettato il cibo? E comprese
profondamente che si trattava di ciotole in pietra. Questo fu il pensiero che
nacque nella mente del Tathāgata.
A quel punto il
Grande Re Vaiśravaṇa disse agli altri tre Grandi Re:
Amici! Ci sono
ancora quattro ciotole in pietra che ci sono state donate dai figli degli dei
Nīlakāyika. A quel tempo noi pensammo: Usiamole! Ma il figlio degli dei Nīlakāyika
chiamato Vairocana allora ci disse:
83. Non mangiate in queste ciotole. Conservatele.
Saranno custodite in un famoso reliquiario. Apparirà un Vittorioso chiamato
Śākyamuni e voi gli offrirete queste ciotole.
84. È ora il tempo. È giunto il momento, amici, di
offrire una ciotola a Śākyamuni. Tra canti e suoni melodiosi noi offriremo
queste ciotole dopo avergli reso omaggio.
85. Questa ciotola che ha la natura del Dharma è
indistruttibile, e le ciotole in pietra lo sono anch’esse. Andiamo a prenderle,
prima che altri le tocchino!
Allora i quattro
Grandi Re, circondati ognuno dalla propria corte e dai propri servitori,
recando fiori, bruciaprofumi, ghirlande, essenze, oli profumati, accompagnati
dal suono degli strumenti e dei cimbali e da cori, presero con le loro mani una
ciotola ciascuno, si avvicinarono al luogo in cui si trovava il Tathāgata e dopo
avergli reso omaggio gli offrirono le ciotole, piene di fiori divini.
Tuttavia, o
Monaci, nacque nella mente del Tathāgata questo pensiero: I quattro Grandi Re,
puri e devoti, mi hanno offerto quattro ciotole in pietra. Ma non è opportuno
che io ne possieda quattro. E se ne accettassi una sola causerei il malcontento
negli altri tre. Però dopo aver accettato le quattro ciotole potrei
trasformarle in una sola [13].
Il Tathāgata
distese la mano destra e si rivolse al Grande Re Vaiśravaṇa con questi versi:
86. Offri una ciotola al Sugata e sarai nel vascello
del Supremo Veicolo. Dopo aver donato una ciotola a persone come me, non sarai
mai privo di consapevolezza e intelligenza.
Poi, o Monaci, il Tathāgata
accettò la ciotola dalle mani di Vaiśravaṇa e generò un pensiero di compassione.
Dopo averla accettata, si rivolse al Grande Re Dhṛtarāṣṭra con questi versi:
87. Colui che dona una ciotola al Tathāgata non sarà
mai privo di consapevolezza e di saggezza, fino a quando non sarà giunto, nel
corso del tempo, attraverso stati di gioia e di felicità, al conseguimento del
Risveglio, la cui natura è fresca!
Poi, o Monaci, il
Tathāgata accettò la ciotola dalle mani di Dhṛtarāṣṭra e generò un pensiero di
compassione. Dopo averla accettata, si rivolse al Grande Re Virūḍhaka con
questi versi:
88. Tu, che doni una pura ciotola al Tathāgata
perfettamente puro, otterrai presto una mente pura, e sarai degno di
venerazione nel mondo degli dei e in quello degli uomini.
Successivamente, o
Monaci, il Tathāgata accettò la ciotola dalle mani del Grande Re Virūḍhaka e
generò un pensiero di compassione. Dopo averla accettata, si rivolse al Grande
Re Virūpākṣa con questi versi:
89. Tu, che possiedi una mente impeccabile, doni con
fede una ciotola priva di difetti al Tathāgata, la cui disciplina è
impeccabile, le cui azioni sono impeccabili. Il tuo puro dono sarà egualmente
impeccabile!
Quindi il
Tathāgata accettò la ciotola dalle mani del Grande Re Virūpākṣa e generò un
pensiero di compassione. Dopo averla accettata, grazie al potere del suo
positivo desiderio trasformò le ciotole in una sola. Poi pronunciò con gioia
queste solenni parole:
90. In una precedente esistenza donai delle ciotole da
elemosina piene di fiori, dopo averle rese gradevoli. Per questo, i quattro
Grandi Re miracolosi mi donano quattro ciotole dal piacevole aspetto.
A questo proposito
è detto:
91. Per sette giorni il leone degli uomini osservò
l’albero del supremo Risveglio, stabile nella contemplazione del fine ultimo;
poi, dopo che la terra fu scossa in sei modi, egli si alzò camminando con il
passo del leone!
92. Dopo aver marciato come il re degli elefanti, il
cui passo è costantemente lento, il Saggio giunse ai piedi dell’albero Tārāyana
e sedette, incrollabile come il monte Meru e si immerse nella meditazione e
nella concentrazione.
93. In quel tempo i due fratelli Trapuṣa e Bhallika
insieme con una carovana di mercanti e cinquecento carri entrarono in una
foresta di alberi Sala in fiore.
94. Grazie al potere del Ṛṣi le ruote affondarono
all’istante nella terra fino al mozzo. Vedendo quella situazione una gran
timore si impadronì della mente dei mercanti.
95. Con le spade sguainate o tenendo nelle mani frecce
e lance (essi dicevano): Chi è colui che vive come una gazzella nella foresta? [14] E guardavano il Vittorioso, il cui volto era simile
alla luna d’autunno sgombra dalle nuvole.
96. Abbandonata la collera e messo da un lato
l’orgoglio, lo salutarono con il capo e chiesero: Chi è costui? Dall’alto del
cielo una divinità pronunciò queste parole: In verità, è un Buddha, che agisce
per il beneficio degli esseri.
97. Per sette giorni e sette notti questo essere
compassionevole si è astenuto dal cibo e dalle bevande. Se desiderate alleviare
lo vostre afflizioni, offrite del nutrimento ad un corpo e ad una mente così
disciplinati.
98. Avendo udito queste dolci parole, essi porsero
lodi e resero omaggio al Vittorioso girando per tre volte intorno a lui, poi,
soddisfatti, decisero insieme con i loro compagni di preparare del cibo per
lui.
In quel momento, o
Monaci, la mandria di vacche dei due mercanti Trapuṣa e Bhallika si trovava nel
mercato di un villaggio vicino.
E proprio allora
quando le vacche vennero munte produssero burro chiarificato.
Subito i pastori
lo presero e lo portarono nel luogo in cui si trovavano i due mercanti Trapuṣa
e Bhallika e li misero al corrente dell’accaduto dicendo: Signori, sappiate che
tutte le vacche quando sono state munte hanno prodotto burro chiarificato. È un
segno di buon auspicio oppure no?
Alcuni Brāhmaṇa di
animo avido dissero: Non è affatto un buon auspicio. È necessario un grande
sacrificio a favore dei sacerdoti.
In quel tempo, o
Monaci, un sacerdote di nome Śikhaṇḍī, che in una esistenza precedente era
stato imparentato in linea materna con i mercanti Trapuṣa e Bhallika, era
rinato nel regno di Brahmā. Dopo aver assunto le sembianze di un sacerdote si
rivolse ai mercanti con questi versi:
99. In passato avete espresso questo voto: Voglia il Tathāgata,
conseguito il supremo Risveglio, dopo aver accettato un pasto offerto da noi,
far girare la ruota del Dharma!
100. Questa aspirazione è stata veramente soddisfatta.
Il Tathāgata ha conseguito il supremo Risveglio. Offritegli del cibo e dopo
averlo accettato egli farà girare la ruota del Dharma!
101. È un buon auspicio e si è verificato sotto una
favorevole congiunzione astrale il fatto che le vacche abbiano prodotto del
burro chiarificato. È avvenuto grazie al potere dei meriti di questo grande Ṛṣi.
102. Dopo aver così ispirato i mercanti, Śikhaṇḍī
ritornò nella sua dimora. Trapuṣa e tutti gli altri esultarono.
103. Quindi, dopo aver messo insieme il tutto il latte
di mille vacche, ne raccolsero la parte migliore e prepararono rispettosamente
un pasto.
104. Essi pulirono, lavarono e purificarono una
ciotola preziosa chiamata Abucandra, che costava centomila monete per una sola
oncia [15], e la riempirono di cibo fino all’orlo.
105. Dopo aver preso del miele e il prezioso recipiente
essi si recarono ai piedi dell’albero Tārāyana del Maestro (e gli dissero):
Ricevi questo cibo, accetta da parte nostra questo alimento offerto con amore e
mangialo!
106. Per compassione verso i due fratelli, e
conoscendo la loro precedente aspirazione, colui che ha conseguito il supremo
Risveglio, il Maestro, lo accettò, lo mangiò e dopo il pasto gettò la ciotola
nell’aria.
107. Uno dei re divini, di nome Subrahmā, afferrò la
più preziosa delle ciotole. Ancora oggi, nel reame di Brahmā, egli venera
quella ciotola insieme con tutti gli dei.
A quel punto il
Tathāgata rese felici i due mercanti Trapuṣa e Bhallika dicendo:
108. Che la benedizione degli dei, che rende prospero
ogni luogo e arreca fortuna in ogni azione, sia con voi! Che tutti i vostri
affari si svolgano prontamente secondo i vostri desideri!
109. Che la fortuna vi accompagni costantemente, come
una corona posata sul capo!
110. Possano esservi grandi guadagni per i mercanti
che viaggiano nelle dieci direzioni dello spazio in cerca di ricchezza, e possano
questi essere fonte di felicità.
111. Quale che sia il motivo per cui viaggiate verso
oriente, che gli astri di quella direzione vi proteggano:
112. Kṛttikā e Rohiṇī, Mṛgaśirā, Ardra e Punarvasu, Puṣyā
e Aśleṣā – le quali tutte sono nel cielo dell’est.
113. Che queste sette famose costellazioni,
protettrici del mondo, e gli dei che dimorano nella regione orientale, vi
proteggano ovunque!
114. Che il loro re, famoso con il nome di Dhṛtarāṣṭra,
Signore di tutti i Gandharva, vi protegga insieme con il Sole!
115. Che anche i suoi numerosi e saggi figli, tutti e
novantuno chiamati Indra [16], dotati di grande
vigore,
116. vi proteggano dalle malattie e vi concedano il
favore degli astri. Possano le otto figlie divine dei territori dell’est,
117. Jayantī e Vijayantī, Siddhārthā e Aparājitā,
Nandottarā e Nandisenā, Nandinī e Nandavardhanī,
118. proteggervi anch’esse concedendovi salute e
benessere! Che il reliquiario chiamato Cāpāla, che si trova in un luogo della
regione orientale,
119. abitato dai Vittoriosi, conosciuto dagli Arhat
protettori, possa anch’esso proteggervi nella salute e nel benessere.
120. Che ogni luogo vi sia propizio e che nessun male
vi affligga! Dopo aver guadagnato ricchezze possiate voi ritornare, protetti da
tutte le divinità.
121. Se per qualche ragione doveste recarvi nelle
regioni meridionali, possano proteggervi le costellazioni che presiedono a
quelle terre:
122. Magha e le due Phālgunīs, Hasta e Citrā, la
quinta, che insieme a Svātiś e Viśākhā si trovano nel sud.
123. Che queste sette illustri costellazioni,
guardiane del mondo, che sovrintendono alla regione meridionale, vi proteggano
ovunque!
124. Che il sovrano che vi regna, il cui nome è Virūḍhaka,
Signore di tutti i Kumbhānda, vi protegga insieme con Yama!
125. Che anche i suoi numerosi e saggi figli, tutti e
novantuno chiamati Indra, dotati di grande vigore,
126. vi proteggano dalle malattie e vi concedano il
favore degli astri! Possano le otto figlie divine dei territori del sud,
127.
Śriyāmatī, Yaśamatī, Yaśaprāptā,
Yaśodharā, Suutthitā, Suprathamā, Suprabuddha, Sukhavyūha,
128. proteggervi anch’esse concedendovi salute e
benessere! Che il reliquiario chiamato Padma, che si trova in un luogo della
regione meridionale,
129. che costantemente risplende e illumina ogni cosa
con il suo fulgore, possa anch’esso proteggervi nella salute e nel benessere.
130. Che ogni luogo vi sia propizio e che nessun male
vi affligga! Dopo aver guadagnato ricchezze possiate voi ritornare, protetti da
tutte le divinità.
131. Se per qualche ragione doveste recarvi nelle
regioni occidentali, possano proteggervi le costellazioni che presiedono a
quelle terre:
132. Anurādhā, Jeṣṭhā, Mūlā, Dṛḍhavīryatā, Āṣādhas,
Abhijit e Śravaṇa, che è la settima [17].
133. Che queste sette illustri costellazioni,
guardiane del mondo, che sovrintendono alla regione occidentale, vi proteggano
sempre!
134. Che il sovrano che vi regna, il cui nome è
Virūpākṣa, Signore di tutti i Nāga, vi protegga insieme con Varuṇa.
135. Possano i suoi numerosi e sapienti figli, tutti e novantuno chiamati Indra, dotati di grande
vigore,
136. proteggervi anch’essi concedendovi salute e
benessere! Possano le otto
figlie divine dei territori dell’occidente,
137. Alambuśā, Miśrakeśī, Puṇḍarīkā e Āruṇā, Ekādaśā,
Navanāmikā, Śītā e Kṛṣṇa Draupadī,
138. proteggervi anch’esse concedendovi salute e
benessere! Che la montagna chiamata Aṣṭaṃga che si trova in una zona della
regione occidentale, sul quale dimorano il Sole e la Luna, vi conceda i
successi che desiderate! Possa anch’esso proteggervi nella salute e nel
benessere.
140. Che ogni luogo vi sia propizio e che nessun male
vi affligga! Dopo aver guadagnato ricchezze possiate voi ritornare, protetti da
tutte le divinità.
141. Se per qualche ragione doveste recarvi nelle
regioni settentrionali, possano proteggervi le costellazioni che presiedono a
quelle terre:
142. Dhaniṣṭhā, Śatabhiṣā, le due Bhādrapada [18], Revatī, Aśvinī and Bharaṇī, che è la settima.
143. Che queste sette illustri costellazioni,
guardiane del mondo, che si manifestano alla regione settentrionale, vi
proteggano in ogni circostanza.
144. Che il sovrano che vi regna, il cui nome è Kuvera
Naravāhana, Signore di tutti gli Yakṣa, vi protegga insieme con Maṇibhadra.
145. Possano i suoi numerosi e sapienti figli, tutti e
novantuno chiamati Indra, dotati di grande vigore,
146. proteggervi anch’essi concedendovi salute e
benessere! Possano le otto figlie divine dei territori del settentrione,
147. Ilādevī, Surādevī, Pṛthvī, Padmāvatī,
Upasthitā-Mahārājā, Āśā-Śraddhā, Hirī e Śirī [19],
148. proteggervi anch’esse concedendovi salute e
benessere! Che la montagna
chiamata Gandhamādana, che si trova in una zona della regione settentrionale,
149. e il monte Citrakuta gradevole alla vista, dimora
degli Yakṣa e dei Bhūta, vi proteggano nella salute e nel benessere!
150. Che ogni luogo vi sia propizio e che nessun male
vi affligga! Dopo aver guadagnato ricchezze possiate voi ritornare, protetti da
tutte le divinità!
151. Che le ventotto costellazioni, sette per ognuna
delle quattro direzioni dello spazio; che le trentadue figlie degli dei, otto
per ognuna delle quattro direzioni dello spazio;
152. che gli otto Śramaṇa, gli otto Brāhmaṇa, gli otto
mercanti dei luoghi abitati [20] e gli otto dei
insieme con Indra vi proteggano ovunque!
153. Che la felicità vi accompagni quando partite! Che
la felicità vi accompagni quando ritornate! Che siate felici di rivedere i vostri
congiunti, e che i vostri congiunti siano felici di rivedervi!
154. Che Indra, gli Yakṣa, i Grandi Re, gli Arhat
siano ricolmi di compassione! Possiate andare in ogni luogo con gioia; possiate
raggiungere la felicità dell’Amṛta!
155. Protetti da Brahmā, da Vāsava (Indra), da coloro
che sono perfettamente risvegliati e da coloro che sono liberi da ogni
offuscamento, sempre protetti con amore dai Nāga e dagli Yakṣa, possa la vostra
vita essere preservata per cento autunni!
156. La Guida
impareggiabile, il Signore del mondo, accettò le loro offerte rispettose:
Grazie a queste azioni meritorie diverrete (in una vostra futura esistenza) dei
Vittoriosi, conosciuti come Madhusambhava.
157. Questa fu la prima pura profezia del Vittorioso,
la Guida degli uomini. Successivamente, le predizioni fatte ai numerosi,
infiniti Bodhisattva secondo cui essi avrebbero conseguito il Risveglio furono
sempre confermate.
158. Dopo aver ascoltato questa profezia del
Vittorioso, soddisfatti e ricolmi di gioia, i due fratelli insieme con i loro
compagni presero rifugio del Buddha e nel Dharma.
Capitolo
intitolato: Trapuṣa e Bhallika, il ventiquattresimo.
NdT
[1] Si tratta probabilmente dei
quattro punti di vista distorti: considerare permanenti i fenomeni
impermanenti; puri i fenomeni impuri; attribuire un sé ai fenomeni che ne sono
privi; attribuire un carattere positivo ai fenomeni dolorosi.
[2] Trenta, secondo la versione
inglese.
[3] Venticinque nel testo inglese.
[4] Giganti o Titani, demoni
discendenti della dea Diti, avversari degli dei.
[5] La traduzione di De Foucaux
vorrebbe sofferenza e pena come origine delle radici delle afflizioni, ma è
senza dubbio più coerente il contrario.
[6] Alla lettera: dopo aver raggiunto l’assorbimento definito con il nome di vuoto (Śūnya)
ho distrutto ogni orgoglio interno ed esterno, come pure ogni risolutezza o
irresolutezza.
[7] Nei versi da 60 a 63 sono
riconoscibili i Quattro Illimitati, catvārapramāna.
[8] Nel Dizionario del Buddhismo
si parla di nove (o dieci) ostacoli, che mantengono l’essere nel ciclo delle
rinascite. Nella versione inglese si legge: five
obstructions.
[9] La versione inglese precisa che
questo avvenne nei primi sette giorni dopo il conseguimento del Risveglio.
[10] De Foucaux usa, senza tradurlo, il
termine Sthavira, gli Antichi, in pāli Thera, che indica gli Sthaviravādin, una delle quattro correnti
principali delle scuole delle scuole antiche del buddhismo indiano, all’origine
dell’attuale Theravāda. Qui il termine è probabilmente usato genericamente per
indicare i monaci con più anzianità di pratica (si ricordi però che a questo
punto della sua vita il Buddha non aveva ancora fondato la comunità monastica).
[11] La versione inglese mostra il
demone che scrive quelle parole sul terreno, ma forse De Foucaux ha
inconsapevolmente pensato all’episodio dell’adultera in Giovanni 8, 6-8: Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito
per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro:
Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E
chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
[12] Ficus religiosa, l’albero del Risveglio.
[13] Nella sua traduzione De Foucaux
afferma che il Buddha pensò: après avoir
pris les quatre vases, je pourrais n’en bénir qu’un seul, e bénir significa benedire, consacrare,
augurare felicità, ma certo non compiere l’azione miracolosa di unificare le
quattro ciotole in un solo recipiente (anche se in effetti il gesto miracoloso
corrisponde ad una benedizione dei doni e dei donatori). La versione inglese
riporta invece la decisione del Tathāgata di riunire in una le quattro ciotole,
e pare senza dubbio più coerente con il contesto della narrazione. Tale
versione è anche quella comunemente adottata nelle “biografie” del Buddha nelle
epoche successive.
[14] Più credibile rispetto a De
Foucaux: colui che dimora come se
cacciasse la gazzella nella foresta.
[15] La versione di De Foucaux recita: un vaso prezioso… in grado di contenere
centomila Pala. Il pala come
unità di misura del peso (si veda: https://www.wisdomlib.org/definition/pala)
corrisponde a circa 40-50 grammi, per cui il vaso dovrebbe contenere 4-5
tonnellate di burro chiarificato!
[16] Ottantuno, secondo la versione
inglese.
[17] De Foucaux parla di due Āṣādhas (les deux Āṣādhas), ma in tal caso le
costellazioni sarebbero otto!
[18] Nella versione inglese sono citate
Pūrva Aparā e Uttara Aparā anziché le due Bhādrapada.
[19] Un poco diverso l’elenco secondo
la versione inglese: Ilādevī, Surādevī, Pṛthvī, Padmāvatī, Mahārājā, Āśā, Śraddhā
e la pudica Śirī.
[20] La versione inglese riporta: le otto città in tutte le regioni.
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I Naga riparano il Buddha |
Capitolo
venticinquesimo
La
supplica [1]
Il Buddha si domanda
se debba insegnare il Dharma, così profondo che cercare di farlo comprendere
sarà forse una inutile fatica. – Gli dei percependo la sua incertezza lo
pregano di insegnare il Dharma. – Per tre volte gli dei cercano invano di
convincere il Buddha a predicare la sua dottrina. – Infine, mosso dalla
compassione per tutti gli esseri, acconsente ad insegnare il Dharma. – Gioia
degli dei. – Il Buddha annuncia che predicherà a Benares.
Dunque, o Monaci,
mentre il Tathāgata dimorava ai piedi dell’albero Tārāyana dopo aver da poco
conseguito lo stato di un Buddha perfetto e compiuto, in un luogo solitario,
immerso nella meditazione, sorse in lui un pensiero relativo a coloro che
vivono secondo i principi mondani: In verità, profondo è questo Dharma da me conseguito,
[il
Dharma]
di un Risvegliato perfetto e compiuto; esso è pace, vera pace, pace assoluta; è
eccellente, difficile da vedere, difficile da comprendere; non è afferrabile
con il ragionamento, non appartiene all’ambito della ragione; è nobile, e può
essere conosciuto soltanto dai dotti e dai saggi. Esso è libero da ogni
aggregato; tutto conoscendo, avendo una perfetta conoscenza, esso è libero da
tutte le sensazioni; è il fine supremo, e non dimora in alcun luogo. È la
perfetta tranquillità priva di attaccamento, non conosce desiderio di possesso,
non è oggetto di conoscenza e non lo si può far conoscere, è al di là dei
concetti, trascende completamente i sei oggetti dei sensi; è al di là della
scelta e del dubbio, è ineffabile, non ha suono né voce, non può essere detto [2], non può essere insegnato, è
inconfutabile, trascende ogni base. È pace, è distruzione delle oscurazioni
mentali; poiché esso è vacuità (śūnyatā) priva di base, ha distrutto la sete,
ha distrutto l’attaccamento, è l’arresto [3], è il Nirvāṇa.
Se io insegnassi
questo Dharma agli altri, e se essi non lo comprendessero, avrei fatto una
fatica ed uno sforzo inutili; quindi rimarrò in silenzio, indisturbato.
A quel punto egli
recitò questi versi:
1. Profondo, calmo, chiaro, luminoso è il Dharma che
ho conseguito. Infatti esso è immortale, libero da ogni condizionamento. Se lo
insegnassi non potrebbe essere compreso dagli altri. È meglio che io viva nella
foresta rimanendo in silenzio.
2. Nel silenzio, il linguaggio è purificato. Io ho
compreso ciò che è supremamente meraviglioso tra le cose supreme: il Dharma è
per sua natura come il cielo; libero dai turbamenti della mente e delle
emozioni.
3. Non può essere compreso attraverso le parole. Gli
esseri che hanno svolto i loro compiti nei confronti dei Vittoriosi del passato
dopo averlo udito hanno fiducia in esso.
4. Non esiste qui alcuna realtà, né vi è alcuna
condizione perché vi sia non-esistenza. Per colui che conosce la catena delle
cause e delle azioni successive, non vi è qui né esistenza né non-esistenza.
5. Per centinaia di migliaia di incommensurabili eoni
dimorai accanto ai Vittoriosi del passato, ma non riuscii a giungere alla
comprensione che non vi è un sé né un essere né un’anima.
6. Quando realizzai che nessuno qui muore o nasce, che
tutti i fenomeni sono privi di un sé, allora il Buddha Dipaṃkara fece una
profezia su di me.
7. La mia compassione per tutti gli esseri è infinita,
ma non mi aspetto che essi mi chiedano di esaudire i desideri altrui. Gli
uomini hanno fede in Brahmā, venga quindi a chiedere di mettere in movimento la
ruota del Dharma!
8. In questo modo il Dharma sarà compreso grazie a me:
se Brahmā inchinatosi davanti a me mi pregherà (dicendo): Esponi il Dharma puro
e soddisfacente. Gli esseri sono ben disposti e desiderano conoscerlo! [4]
In quel momento, o
Monaci, il Tathāgata fece scaturire dal ciuffo di peli tra le sopracciglia un
raggio di luce; grazie a quel raggio l’insieme di tremila grandi migliaia di
mondi fu illuminato da un grande splendore del colore dell’oro.
Quindi, il grande
Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo [5] grazie al potere
stesso del Buddha riconobbe nella propria mente l’esitazione del Tathāgata e
come il Beato fosse incline a rimanere indisturbato e a non insegnare il Dharma
e pensò: È necessario che io stesso mi avvicini al Tathāgata e lo preghi di
mettere in movimento la Ruota del Dharma.
Allora, o Monaci, il
grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo si avvicinò agli altri figli degli
dei Brahmakāyikas: Amici, il mondo è perduto, è completamente perduto! Poiché
il Tathāgata dopo aver conseguito il perfetto e supremo Risveglio è incline a
rimanere indisturbato e a non insegnare il Dharma. È indispensabile che noi ci
avviciniamo al Tathāgata Arhat Buddha perfetto e compiuto e che lo preghiamo di
mettere in movimento la Ruota del Dharma.
Quindi, o Monaci, il
grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo, circondato e preceduto da
sessantotto milioni di Brāhmaṇa, si avvicinò al luogo in cui si trovava il
Tathāgata, si prosternò ai suoi piedi a mani giunte e gli rivolse queste
parole: Invero questo mondo è perduto, o Beato! È completamente perduto, o
Beato, poiché il Tathāgata che ha conseguito il perfetto e supremo Risveglio è
incline a non insegnare il Dharma! Abbia il Beato la bontà di insegnare il
Dharma! Che il Sugata insegni il Dharma! Vi sono esseri ben disposti, che
possono essere istruiti con facilità, sinceri, abili, in grado di comprendere
il senso dell’insegnamento del Beato. A quel punto recitò questi versi:
9. Dopo aver conseguito un grande e sublime alone di
saggezza e aver diffuso un raggio di luce nelle dieci direzioni dello spazio, o
Luce della saggezza, o Loto degli uomini, o Maestro, tu, Sole dei precettori,
rimani indifferente!
10. Dopo aver invitato gli esseri a condividere una
sublime ricchezza e aver incoraggiato molte dozzine di milioni di esseri
viventi, non è degno di te, che sei parte dell’umanità, trascurare l’universo
con il tuo silenzio!
11. Batti con forza il tamburo del supremo Dharma! Fa’
echeggiare subito la conca del buon Dharma! Fa’ innalzare il palo (sacrificale)
del supremo Dharma! Fa’ risplendere la grande fiamma del Dharma!
12. Fa’ cadere la nobile pioggia del Dharma! Fa’
attraversare l’oceano dell’esistenza ciclica a coloro che vi sono immersi!
Libera completamente coloro che sono afflitti da grandi malattie! Restituisci
la pace a coloro che sono arsi dalle afflizioni!
13. Mostra la Via della pace, che è felicità,
conforto, assenza di vecchiaia e di pena! Mostra compassione, o Guida, per
coloro che sono privi di aiuto ed hanno smarrito la Via del Nirvāṇa!
14. Apri le porte della completa liberazione, insegna l’autentica
dottrina dell’inamovibile Dharma! O Guida, purifica il sublime occhio del
Dharma agli uomini che sono ciechi dalla nascita!
15. O Luna degli uomini, né nel mondo di Brahmā, né
nel mondo dei Deva, né nel mondo degli Yakṣa, dei Gandharva o degli uomini, vi
è alcuno al di fuori di te che possa distruggere nascita e vecchiaia.
16. Insieme con tutti gli dei, o Re del Dharma, sono
qui ad implorarti: grazie a questi meriti possa presto anch’io mettere presto
in movimento la sublime Ruota del Dharma!
Il Tathāgata, o
Monaci, acconsentì rimanendo in silenzio, dopo aver generato compassione per
Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo insieme con gli dei e con gli uomini, al
fine di portare aiuto agli esseri senzienti.
Allora il grande Brahmā
dal ciuffo di capelli sul capo avendo compreso che il Tathāgata aveva
acconsentito rimanendo in silenzio, lo cosparse di divine polveri di sandalo e
di aloe e, ricolmo di gioia, scomparve in quello stesso luogo.
Poi, o Monaci, per
far sì che si generasse il rispetto degli esseri per il Dharma, per fare in
modo che il grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo ripetesse la sua
richiesta al Tathāgata accrescendo così le radici di virtù, e considerando
altresì la profonda nobiltà del Dharma, il Tathāgata, nuovamente ritiratosi in
solitudine ed immerso nella meditazione, pensò: Profondo, in verità, è questo
Dharma che ho realizzato conseguendo il Risveglio; esso è sottile, perfetto,
difficile da comprendere, al di là delle concettualizzazioni, al di fuori del
dominio della razionalità, solo i dotti e i saggi lo possono conoscere, va
contro le concezioni mondane [6], è difficile da
vedere, è libero da ogni legame, mette fine a tutte le formazioni, distrugge
ogni offuscamento, è inafferrabile poiché è vacuità; è la cessazione della
sete, ha distrutto l’attaccamento, è l’arresto, è il Nirvāṇa. Se io insegnassi
questo Dharma, gli altri non lo comprenderebbero e questo sarebbe per me
disdicevole. Quindi è bene che io rimanga indisturbato.
Allora, o Monaci, il
grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo avendo riconosciuto nella propria
mente grazie al potere del Buddha l’esitazione del Tathāgata, si recò presso la
dimora di Śakra, il Signore degli dei, e gli rivolse queste parole: Bisogna che
tu sappia, o Kauśika [7], che la mente del
Tathāgata, Arhat, Buddha perfetto e compiuto è incline a rimanere indisturbata,
a non insegnare il Dharma. Ahimè, Kauśika, questo mondo è perduto, è
completamente perduto! Ahimè, Kauśika, questo mondo piomberà nelle tenebre
profonde dell’ignoranza! Vi precipiterà, Kauśika, perché la mente del
Tathāgata, Arhat, Buddha perfetto e compiuto è incline a rimanere indisturbata,
a non insegnare il Dharma. Quindi, perché non andiamo noi a pregare il
Tathāgata, Arhat, Buddha perfetto e compiuto, affinché metta in movimento la Ruota
del Dharma? Perché questo? Perché in effetti i Tathāgata non mettono in
movimento la Ruota del Dharma se non sono implorati.
Bene, amico! –
Avendo così parlato, Śakra e Brahmā, gli dei della terra, dell’atmosfera, gli
dei Cāturmahārājakāyika, gli dei Trāyastriṃśa, gli Yāma, i Tuṣita, i Nirmāṇarati,
i Paranirmitavaśavartin, i Brahmakāyika, gli Abhāsvara, i Vrihatphala, i
Subhakritsna e molte centinaia di migliaia di figli degli dei Śuddhāvāsakāyika,
adorni di meravigliosi colori, alla fine della notte illuminarono di una luce
divina i piedi dell’albero Tārāyana e dopo essersi avvicinati al luogo in cui
si trovava il Tathāgata gli resero omaggio inchinandosi ai suoi piedi, girarono
intorno a lui per tre volte offrendogli il fianco destro e quindi si misero di
lato.
Allora Śakra,
Signore degli dei, avvicinatosi al Tathāgata con le mani giunte sulla fronte,
lo lodò con questi gāthā:
17. Alzati, tu che hai vinto la battaglia, porta la
saggezza nel mondo che si agita nelle tenebre, poiché il tuo spirito è
perfettamente libero, come la luna piena alla fine dell’eclissi.
Così egli parlò, e
il Tathāgata rimase in silenzio.
Quindi il grande
Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo così si rivolse a Śakra, Signore degli
dei: Non è in questo modo, o Kauśika, che i Tathāgata, Arhat, Buddha perfetti e
compiuti, devono essere implorati di mettere in movimento la Ruota del Dharma.
Allora il grande
Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo sollevò il mantello su una spalla, posò
il ginocchio destro a terra, si inchinò unendo le mani sulla fronte in
direzione del punto in cui si trovava il Tathāgata e lo supplicò con questo
verso:
18. Alzati, tu che hai vinto la battaglia, porta la
saggezza nel mondo che si agita nelle tenebre. Insegna il Dharma, o Saggio, gli
esseri lo comprenderanno!
Dopo che queste
parole furono dette, o Monaci, il Tathāgata si rivolse così al grande Brahmā
dal ciuffo di capelli sul capo: Profondo o grande Brahmā, è invero il Dharma al
quale mi sono risvegliato: esso è sottile, perfetto, difficile da comprendere,
al di là delle concettualizzazioni, al di fuori del dominio della razionalità,
solo i dotti e i saggi lo possono conoscere, va contro le concezioni mondane, è
difficile da vedere, è libero da ogni legame, mette fine a tutte le formazioni,
distrugge ogni offuscamento, è inafferrabile poiché è vacuità; è la cessazione
della sete, ha distrutto l’attaccamento, è l’arresto, è il Nirvāṇa. Se io
insegnassi questo Dharma, gli altri non lo comprenderebbero e questo sarebbe
motivo di grande disprezzo nei miei confronti. Inoltre, o Brahmā, questi due
gāthā sono costantemente presenti nella mia mente:
19. Il mio cammino va controcorrente ed è difficile da
vedere. Coloro che sono ciechi a causa degli attaccamenti non lo vedranno.
Quindi è inutile esporlo!
20. Gli esseri, caduti in preda al potere
dell’attaccamento, sono trascinati dalla corrente. Con grande fatica ho
conseguito il Dharma. Quindi è inutile esporlo!
Allora, o Monaci,
il grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo e Śakra, Signore degli dei,
vedendo che il Buddha rimaneva in silenzio scomparvero da quel luogo insieme
con i figli degli dei, che erano tristi e dispiaciuti.
In quel tempo, o
Monaci, cominciarono a diffondersi tra gli abitanti del Magadha delle opinioni
erronee e infauste. Alcuni dicevano che i venti non avrebbero più soffiato,
altri che il fuoco non avrebbe più bruciato, altri che il dio non avrebbe più
fatto cadere la pioggia, altri che i fiumi non sarebbero più fluiti, altri che
le messi non sarebbero più cresciute, altri che gli uccelli non avrebbero più
solcato il cielo, altri che le donne incinte non avrebbero più partorito
felicemente.
Allora, o Monaci, il
grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo, consapevole delle esitazioni del Tathāgata
e delle opinioni delle genti del Magadha, al termine della notte illuminò da
ogni lato i piedi dell’albero Tārāyana con una luce divina dai colori
ineguagliabili, si avvicinò al luogo in cui si trovava il Tathāgata, si inchinò
ai suoi piedi, sollevò il mantello sopra la spalla, posò a terra il ginocchio
destro e dopo aver reso omaggio al Tathāgata unendo le mani sulla fronte gli
rivolse questi versi:
21. Vi fu nel passato tra gli abitanti del Magadha una
dottrina pervasa di insegnamenti erronei, un Dharma impuro. Per questo, o
Saggio, apri la porta dell’immortalità: essi sono pronti ad ascoltare il Dharma
del Buddha che è immacolato.
22. Tu hai realizzato il tuo fine, hai conseguito la
liberazione; hai cancellato le maculazioni della produzione della sofferenza;
l’accrescimento della tua virtù è senza cedimenti [8]; hai qui raggiunto la perfezione del supremo Dharma.
23. Nel mondo, o Saggio, non vi è alcuno simile a te;
dove potrebbe trovarsi, o grande Ṛṣi, qualcuno che ti sia superiore? Tu,
Eccelso fra tutti, risplendi nel trimundio, come la montagna che si trova nel
reame degli Asura.
24. Mostra una grande compassione per gli esseri
sofferenti! Coloro che ti sono simili non sono mai indifferenti [9]. O Beato, tu possiedi la forza del senza-paura, solo
tu sei in grado di liberare il mondo.
25. Che gli esseri sofferenti [10], da molto tempo malati, possano, insieme con gli dei,
gli asceti e i brāhmaṇa, essere liberati dal dolore e dalle febbri; per loro
non vi è qui altro rifugio!
26. Da tempo immemore imprigionati [11], dei e uomini ti seguono con amore e desiderano il
nettare dell’amṛta. Il Vittorioso proclamerà completamente e correttamente il
Dharma, così come egli lo ha conseguito.
27. Per questo imploro te, dalla nobile virtù eroica!
Guida gli esseri che da lungo tempo hanno perduto la Via. Questa moltitudine
tormentata dalle afflizioni, o grande Saggio, desidera conoscere ciò che non ha
udito!
28. Fa’ cadere intorno a te la pioggia del Dharma,
come le nubi fanno per la terra assetata. Genera, o Guida, la pioggia del
Dharma che placa la sete. Da troppo tempo gli esseri vagano sperduti!
29. In un mondo che è ricettacolo di visioni erronee,
irto di spine, mostra la retta via senza spine, ed essi avendola compresa
potranno conseguire il nettare del Senza-morte!
Nessun altro all’infuori di te può salvare coloro che,
privi di guida, sono caduti nel precipizio delle oscurazioni. Genera la
compassione e libera coloro che sono caduti nel profondo abisso. Tu sei il toro
(la guida della mandria) che possiede la saggezza.
30. Raramente si ha la fortuna di incontrarti, o
Saggio. Simili ai fiori di Uḍumbara, i Vittoriosi molto raramente nascono sulla
terra come guide. Il momento è giunto, o Guida, libera gli esseri!
31. Nelle tue precedenti esistenze questo fu il tuo
pensiero: Dopo aver io stesso attraversato, farò sì che gli altri attraversino.
Senza alcun dubbio tu sei oggi giunto sull’altra sponda; tu che possiedi il
potere della verità, fa’ in modo che la tua promessa si avveri!
32. O Saggio, disperdi le tenebre con la fiamma del
Dharma; innalza il vessillo del Tathāgata; è giunto il momento di far udire una
voce melodiosa. Parla come il leone, tu dalla voce simile al rombo di un
tamburo!
Allora, o Monaci, il
Tathāgata osservando l’intero universo vide con l’occhio del Buddha gli esseri
infimi, intermedi e superiori; elevati, bassi e medi; inclini al bene e facili
da purificare, inclini al male e difficili da purificare; quelli di immediata
comprensione, quelli che abbisognano di dettagliate spiegazioni e quelli che si
fermano al senso letterale [12]; vide tre
categorie di esseri: coloro che sono radicati nell’errore, coloro che sono
fermi nella verità, coloro che sono indeterminati. Per esempio, o Monaci, un
uomo che sta sulla riva di uno stagno osserva i fiori di loto: alcuni sono
sotto il livello dell’acqua, altri sono sulla superficie dell’acqua, altri
ancora ben al di sopra della superficie. Nello stesso modo, o Monaci, il
Tathāgata osservando tutta l’umanità con l’occhio del Buddha vide gli esseri
suddivisi in tre gruppi.
Allora, o Monaci,
sorse nella mente del Tathāgata questo pensiero: Sia che insegni il Dharma sia
che non lo insegni, il gruppo di esseri radicati nell’errore non potrà
certamente comprenderlo. Sia che insegni il Dharma sia che non lo insegni, il
gruppo di esseri che sono fermi nella verità comprenderà certamente il Dharma.
Quanto al gruppo di esseri indeterminati, se insegnerò il Dharma essi lo
comprenderanno, se non lo insegnerò essi non lo comprenderanno. Questo fu il
suo pensiero.
Quindi il
Tathāgata osservando gli esseri che appartenevano al gruppo degli indeterminati
sviluppò una grande compassione nei loro confronti.
Così, avendo
raggiunto questa perfetta conoscenza e avendo ascoltato la preghiera del grande
Brahmā dal ciuffo di capelli sul capo, il Tathāgata gli rivolse questi versi:
33. Le porte dell’immortalità sono spalancate, o
Brahmā, per coloro che ascoltano [13].
Entreranno coloro che hanno fede, non coloro che hanno motivazioni negative.
Gli uomini della regione di Magadha ascoltino il Dharma.
Allora, dopo aver
appreso il consenso del Tathāgata il grande Brahmā dal ciuffo di capelli sul
capo, soddisfatto, contento, felice, radioso, con lo spirito ricolmo di gioia,
si inchinò ai piedi del Tathāgata e scomparve da quel luogo.
Quindi, o Monaci,
gli dei della terra si rivolsero a gran voce agli dei del cielo e fecero udire
queste parole: Oggi, amici, il Tathāgata, Arhat, Buddha perfetto e compiuto, ha
promesso di mettere in movimento la Ruota del Dharma. Questo sarà di aiuto per
un gran numero di esseri, per la loro felicità, per compassione verso il mondo,
per il bene di innumerevoli esseri, per la salvezza e la gioia degli dei e
degli uomini. O amici, le schiere degli Asura saranno certamente sconfitte, le
schiere dei Deva si accresceranno e nel mondo gli esseri senzienti, in gran
numero, entreranno nel perfetto Nirvāṇa.
Avendo udito ciò
dagli dei della terra, gli dei del cielo lo riferirono agli dei
Chaturmaharajika, questi agli dei Trāyastriṃśa, questi agli dei Yāma, questi ai
Tuṣita, questi ai Nirmāṇarati, questi ai Paranirmitavaśavartin, questi, infine,
ai Brahmakāyika, con queste parole: Oggi, amici, il Tathāgata, Arhat, Buddha
perfetto e compiuto, ha promesso di mettere in movimento la Ruota del Dharma.
Questo sarà di aiuto per un gran numero di esseri, per la loro felicità, per
compassione verso il mondo, per il bene di innumerevoli esseri, per la salvezza
e la gioia degli dei e degli uomini. O amici, le schiere degli Asura saranno
certamente sconfitte, le schiere dei Deva si accresceranno e nel mondo gli
esseri senzienti, in gran numero, entreranno nel perfetto Nirvāṇa.
Così, o Monaci, in
quel momento, in quella circostanza, in un solo istante, a partire dai Deva
della terra fino ai Deva Brahmakāyika, si udì una sola voce, un solo annuncio: Oggi,
amici, il Tathāgata, Arhat, Buddha perfetto e compiuto, ha promesso di mettere
in movimento la Ruota del Dharma!
Allora, o Monaci,
le quattro divinità dell’albero del Risveglio, chiamate Dharmaruci, Dharmakāma,
Dharmarati e Dharmacāri, dopo essersi inchinate ai piedi del Tathāgata così
parlarono: In quale luogo il Bhagavat metterà in movimento la Ruota del Dharma?
A tale domanda, o
Monaci, il Tathāgata rispose con queste parole: A Varanasi, a Ṛṣipatana, nel
Parco delle gazzelle [14].
Le divinità replicarono:
Pochi sono gli abitanti della città di Varanasi, e scarsa l’ombra degli alberi
nel Mrīgadāva, il boschetto delle gazzelle. Vi sono altre grandi città, ricche,
potenti, felici, prospere, piacevoli, dove vivono molti uomini e tanti altri
esseri, adorne di giardini, parchi e boschi. Che il Beato metta in movimento la
Ruota del Dharma in una di queste città!
Il Tathāgata
rispose: Non parlate così, voi che avete un volto grazioso. Per quale motivo?
34. Perché in quel luogo ho compiuto sessantamila niyuta
di koti di sacrifici; in quel luogo ho reso omaggio a sessantamila niyuta di
koti di Buddha. La nobile città di Varanasi è stata la dimora degli antichi Ṛṣi;
essa è un luogo lodato dai Deva e dai Nāga, incline alla pratica del Dharma.
35. Io ricordo i novantunomila koti di Buddha del
passato [15] che fecero girare la Ruota suprema proprio in quel
bosco, tra tutti il più bello, chiamato ‘dei Ṛṣi’, silenzioso, assolutamente
tranquillo, favorevole alla meditazione, sempre venerato dalle gazzelle. Per questo
motivo io metterò in movimento la suprema Ruota in quel bosco, tra tutti il più
bello, chiamato ‘dei Ṛṣi’.
Capitolo
intitolato: La supplica, il venticinquesimo.
NdT
[1] Il capitolo XXV del Lalitavistara
è disponibile in una versione italiana dal sanscrito a cura di Francesco
Sferra, alle pagine 157 e seguenti del volume: Raniero Gnoli (a cura di), La
rivelazione del Buddha, Vol. II – Il Grande Veicolo, pubblicato da
Arnoldo Mondadori Editore nella collana I
Meridiani – Classici dello Spirito. Per un approfondimento del testo
rimando quindi a tale versione e alle note del traduttore. Con l’occasione
ribadisco che ciò che qui viene da me proposto è soltanto una traduzione della
versione francese di Philippe Édouard De Foucaux (1811-1894). Il che significa,
tra l’altro, che ogni confronto tra questa versione e la traduzione di F. Sferra
è del tutto improponibile, per ovvie ragioni.
[2] “Il Tao di cui si può parlare / non è l’eterno Tao / il nome che può
essere nominato / non è l’eterno nome”. Lao Tse, Tao Te King, Ed. Laterza
pag. 25.
[3] Il termine sanscrito è nirodha (che De Foucaux rende con un
incomprensibile, se tradotto alla lettera, empȇchement).
Dice Patanjali negli Yogasūtra: “Yogaś citta - vṛtti - nirodhaḥ”, lo yoga è la soppressione delle modificazioni della mente. Cfr.
I.K. Taimni, La scienza dello Yoga – Commento agli Yogasutra di Patanjali,
Ed. Ubaldini, pag. 17.
[4] La versione di Sferra e quella
inglese riportano il pensiero del Buddha in una forma più ipotetica: “esistono esseri ben disposti e capaci di
conoscere”, e “se esistessero esseri
intelligenti di buona volontà”. Non tutti, quindi. Come il testo del sūtra
confermerà in seguito.
[5] Brahmā Śikhin.
[6] Nel testo francese: est en
désaccord avec tous les mondes. Sferra traduce: è inaccettabile dal mondo intero. La versione inglese recita:
inconceivable, ovvero inconcepibile, inaudito.
[7] Discendente del brahmano Kuśika, appellativo di Śakra (Indra).
[8] Più coerente (si parla qui di un Buddha compiutamente realizzato) la
versione di Sferra: non v’è per te né
diminuzione né crescita del bene, ed anche quella inglese: la tua virtù è senza aumento o diminuzione.
[9] Meglio in Sferra: non esistono
davvero esseri equanimi pari al tuo.
[10] Alla lettera: colpiti da una
freccia.
[11] Nel ciclo dell’esistenza
condizionata.
[12] Fuorviante la traduzione di De Foucaux:
sages, à l’intelligence étendue, aux
parole sublimes. In pratica, una sola categoria di esseri, dal punto di
vista della comprensione. Si vedano invece la versione inglese e (soprattutto)
quella di Sferra.
[13] Marco 4, 9: Chi
ha orecchi per intendere intenda!
[14] Chiamato Mrīgadāva.
[15] Novecentodieci miliardi, secondo
Sferra. Novantuno miliardi, secondo la versione inglese.
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Brahma |
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