LALITAVISTARA SUTRA - Capitoli I - IX


LALITAVISTARA

La storia tradizionale
della vita del Buddha Śākyamuni

 tradotto dal sanscrito
da
Philippe édouard de Foucaux
   





Traduzione dal francese di m. Mauro Tonko




OṂ
Lode a Māyādevī
Che salì al cielo dei Trentatré Deva per l’insostenibile gioia della nascita
Lode a Siddhārtha
 Che della madre inseguì l’assenza nel fitto della foresta
Lode al Buddha
Che ne ritrovò la presenza nella vacuità del Sé
Lode a Prajnāpāramitā
Che non conosce mancanza né presenza
Prego Marpa Lotsāva il Traduttore
Affinché accordi la sua benedizione alle pietre della torre
Che mi accingo con tracotanza a costruire
Dedico questo lavoro
A tutti i Maestri mai riconosciuti
Affinché quest’opera senza inizio né fine
Sia di beneficio a tutti gli esseri


(m. Mauro Tonko)


Prajnaparamita




Introduzione
(di P.E. de Foucaux)

I

Il Lalitavistara, di cui questa è una traduzione nuova e completa (1), condotta sul testo sanscrito stampato a Calcutta nella Bibliotheca Indica (2), è tra i libri buddhisti uno di quelli che per primi sono stati conosciuti dagli studiosi europei. Fin dal 1807 il maggiore Knox aveva portato dal Nepal a Calcutta un manoscritto di questo libro di cui parla Colebrooke in una Memoria sulla setta Jaina (3), nella quale gli attribuisce il nome di Lalita Purāṇa (4).
Uno dei primi problemi che si presentano in merito al Lalitavistara riguarda la data della sua composizione.
Secondo Rhys Davids “il Lalita Vistara è un libro sanscrito, un poema, di datazione e autorevolezza sconosciute, composto probabilmente in Nepal da qualche buddhista vissuto tra i seicento e i mille anni dopo la morte del Buddha. Come documento sul Buddhismo delle origini ha quasi lo stesso valore di un poema del medio evo per gli eventi del Vangelo. La domanda sull’autorevolezza del Lalita Vistara è così importante, ci si rivolge così spesso a questo libro come se fosse decisivo per i problemi del Buddhismo delle origini, che ogni lettore di testi su questo soggetto farà bene a precisare e a ricordare ciò che si sa intorno a tale datazione” (5)
Non sembra che Rhys Davids abbia esaminato con attenzione il testo sanscrito del Lalitavistara, poiché vi avrebbe visto che questo libro, che egli definisce un poema, contiene trecento pagine in prosa e tutt’al più duecento pagine in versi in metri estremamente diversificati. Avrebbe anche rilevato che la prosa è scritta in un Sanscrito generalmente corretto, mentre le parti in versi appartengono a un dialetto particolare nel quale abbondano forme insolite prese in prestito talvolta dalla lingua dei Veda e più spesso dal Pāli e dal Prākṛita; da cui si può concludere che la prosa e i versi non sono né dello stesso autore né dello stesso periodo.
È utile rilevare qui che nel Mahāvastu, una delle opere più importanti della raccolta dei testi buddhisti del Nord (6), le forme insolite dei Gāthā appaiono assai spesso nella prosa (7). Aggiungiamo che Sénart ci ha fatto conoscere la scoperta, nel Punjab, di un manoscritto su corteccia di betulla contenente un trattato di aritmetica redatto in quello stesso dialetto, il che confermerebbe la sua opinione secondo cui il dialetto dei Gāthā fu una autentica lingua letteraria (8).
Per non omettere alcuna delucidazione su ciò che si sa del dialetto dei Gāthā, prendo a prestito da Rájendralálamittra l’interessante passaggio che precede la sua traduzione inglese del Lalitavistara, p. 39:
“Si può ipotizzare, il che sembra la cosa più verosimile, che la prosa e la poesia siano i prodotti di due diversi periodi; ma allora si presenterebbe questo problema: In che modo sono state legate l’una all’altra? Chi avrebbe indotto gli autori delle parti in prosa ad inserire nelle loro opere le produzioni non corrette arrivate dall’altra sponda dell’Indo? Solo la veridicità e l’autenticità di quelle narrazioni avrebbero potuto indurre alla loro adozione. Ma come supporre verosimilmente che la storia più autentica dello Śākya, nei trecento anni successivi alla sua morte, potesse trovarsi solo in contrade lontane centinaia di miglia dal luogo della sua nascita e dalle terre della sua predicazione? I grandi Sūtra, si pensa, sono stati redatti all’incirca nel periodo del terzo concilio (309 a.C.), epoca nella quale non è per nulla verosimile che i saggi dell’India centrale si siano recati nel Kashmir alla ricerca di insegnamenti che potevano essere trovati a casa loro.
“L’ipotesi più ragionevole sembra essere che i Gāthā siano opera di bardi, contemporanei o successori immediati dello Śākya, che raccontavano davanti al popolo riunito di Magadha le parole e le gesta del loro grande maestro, nei versi di una lingua facile e popolare e che, nel corso del tempo, vennero perciò considerati come le fonti più autentiche di tutte le informazioni relative al fondatore del Buddhismo. La grande considerazione che si ha in India, e in particolare negli scritti buddhisti, per le ballate e le improvvisazioni dei bardi, favorisce questa ipotesi; e la circostanza per cui le parti in poesia sono generalmente introdotte per rinforzare il racconto in prosa con le parole: ‘E qui si dice’, apporta una forte presunzione di verosimiglianza.
“Secondo il Mahāvaṃsa, le scritture buddhiste venivano recitate, un capitolo dopo l’altro, così com’erano compilate dai Thera (anziani) della prima Assemblea. Questo sarebbe stato difficilmente possibile se i Sūtra non fossero stati in versi, e noi sappiamo, nel capitolo 37 della stessa opera, che essi erano in versi, anzi sotto forma di Gāthā.
“Il dotto professor Max Müller (9) e il dr. A. Weber (10) hanno adottato questa modalità nell’esaminare l’origine del dialetto dei Gāthā… John Muir propone il suo parere con un poco di esitazione dicendo: ‘Le particolarità del dialetto dei Gāthā sono così anomale che è molto difficile spiegarle. In ogni caso, è chiaro che se non era una lingua parlata, quel dialetto era quantomeno un linguaggio scritto in un periodo remoto...’(11).
“Il professor Benfey, pur adottando il mio punto di vista, suggerisce una piccola modifica. Egli afferma: ‘Le idee di Babu Bājendralāla sull’origine dei Gāthā si dimostrano valide in molti modi; esse esigono soltanto una piccola modifica, la sostituzione di credenti ispirati – come erano la maggior parte dei buddhisti più antichi – usciti dalle classi inferiori della popolazione, al posto di bardi professionisti’ (12).
“Se Benfey avesse usato il termine aggiunta al posto di sostituzione, non ci sarebbe stato nulla da eccepire. Che alcuni dei più ferventi discepoli dello Śākya, che continuarono la sua opera e diffusero la sua religione dopo il Nirvāna, abbiano ricordato i suoi insegnamenti in prosa o in versi è naturale supporlo; e che si debbano loro alcuni Gāthā non può essere negato con certezza; ma da ciò che si sa dei primi maestri del Buddhismo è difficile inferire che essi appartenessero alle classi inferiori della popolazione e fossero così, in genere, abbastanza ignoranti per non essere capaci di scrivere in sanscrito in un modo sufficientemente corretto. La maggior parte di loro erano Brahmani o Kṣatriya, tutti ricordati per la loro cultura, la loro saggezza e la loro capacità. È del tutto naturale supporre che gli scrittori buddhisti dell’epoca successiva facessero citazioni di parole e di testi di quei maestri e non di quelli che provenivano dalle classi inferiori della popolazione, i quali, sebbene costituissero la parte più numerosa della comunità, ricoprivano raramente un ruolo decisivo negli insegnamenti della dottrina buddhista e la loro autorità non poteva essere invocata con qualche possibilità per conferire autenticità alle narrazioni degli scrittori più recenti. Benché fossero state abolite le differenze di casta per tutto ciò che concerneva la religione e all’interno della comunità monastica, gli scritti dei buddhisti del Nepal non fanno dubitare che, dal punto di vista delle distinzioni sociali, la casta mantenne tra loro, in linea di massima, quasi la stessa forza e resistenza che aveva tra i seguaci del Brahmanesimo durante il periodo induista; e frequenti sono i richiami ai Brahmani buddhisti che per la maggior parte erano persone importanti. Anche ai nostri giorni non mancano esempi di dissidenti dell’Induismo che si definiscono ‘Brahmani cristiani’. Non sarebbe quindi ragionevole attribuire le imperfezioni dei Gāthā all’ignoranza delle classi inferiori. Tali imperfezioni, inoltre, non sono evidentemente dovute all’ignoranza, ma alle espressioni familiari, agli arcaismi e ad altre cause che mostrano le particolarità del linguaggio dell’epoca in cui i Gāthā furono scritti. Il carattere familiare del linguaggio dei bardi e dei rapsodi popolari è d’altro canto molto ben conosciuto in Europa come in India.
“Le loro ballate e narrazioni, spesso improvvisate, non potevano raggiungere una grande purezza di dizione e il loro successo dipendeva in gran parte dalla loro semplicità familiare. Un vasto uditorio composto da persone di classi e livelli diversi non poteva sostenere più di tanto l’influenza di un linguaggio raffinato ed elevato. Una sola volgarità o una parola familiare in molti casi faceva più effetto del discorso di un purista. Tutto questo è particolarmente capito in India. I nostri cantori di Gāthā o rapsodi non sono degli ignoranti; possono scrivere correttamente in sanscrito, ma le loro ballate e i loro versi di elogio sono pieni di termini volgari e familiari presi a prestito dalla lingua comune e più se ne servono più riescono a farsi applaudire da un pubblico numeroso.
“Non c’è alcun motivo di dubitare che i precursori dei nostri cantori di Gāthā e dei nostri Bhāt [c] avessero ben compreso questo metodo e lo avessero seguito con cura. Gli scritti dei Kuladjña bengalesi [d] provano in modo evidente che questo è stato il sistema nel corso di mille anni e che anche prima si è dovuto trattare del medesimo sistema. Il gusto della gente per questa forma popolare di linguaggio è così spiccato che anche oggi la recitazione del Mahābhārata e del Rāmāyana non può attirare un pubblico numeroso a meno che non si mescolino alla narrazione originale delle espressioni comuni che le conferiscano un carattere locale. Quando i testi originali, al mattino, sono letti e spiegati in semplice prosa, in occasione di cerimonie chiamate Kathakatha, l’uditorio è ridotto a poche persone, di rado più di una dozzina; ma quando, nel pomeriggio, gli stessi racconti sono arricchiti da un Kathaka con tutta l’abilità di uno spirito esperto che conosce bene la lingua comune, tutti i villaggi si raccolgono intorno a lui e gustano con avidità ogni parola che esce dalle sua labbra. L’istituzione dei Bhāt è antica quanto la civiltà Indo-Ariana; se ne trova qualche traccia nei Veda e in tutte le riunioni e le feste religiose o pseudo-religiose: matrimoni, Śrāddha [e] e assemblee solenni; per i Bhāt, l’usanza è sempre stata quella di recitare lunghi brani in versi in onore dell’ospite, dei suoi avi, della sua casta e del suo paese.
“Nelle riunioni e nelle assemblee religiose l’oggetto della lode è, per forza di cose, il fondatore della religione come pure ciò che è oggetto del culto; ma ovunque il linguaggio è per quanto possibile semplice, popolare e familiare. Oggi si preferisce generalmente la lingua comune del posto, ma, invariabilmente, vengono aggiunti dei versi in sanscrito i quali possiedono molte caratteristiche dei Gāthā buddhisti.
“Non c’è motivo di dubitare che durante i tre grandi concili le sedute si aprissero e si chiudessero con la recitazione di versi di lode. Il Mahāvaṃsa, come si è visto in precedenza, menziona chiaramente la recitazione dei Gāthā, e il titolo di maestro era certificato facendogli recitare alcuni Gāthā. Deve essere accaduta la stessa cosa durante tutte le riunioni e le assemblee, e di conseguenza mi pare che la conclusione che se ne deve trarre è che l’insieme dei Gāthā è dovuto ai rapsodi o ai bardi di professione e probabilmente anche ad alcuni maestri religiosi”.
Poiché abbiamo parlato del Mahāvastu è utile segnalare qui che Eugène Burnouf lo definisce come “fornito di un grande valore e di una incontestabile antichità”. Ora, se secondo la testimonianza degli storici cinesi (13) questo libro è per la setta Mahāsaṅghika ciò che l’Abhiniskramaṇa Sūtra è per quella Dharmagupta e il Lalitavistara per quella Sarvāstivāda, ne consegue che questi testi esistevano contemporaneamente in un’epoca che deve essere quella in cui i discepoli del Buddha si divisero in sette, ovvero intorno al II secolo dopo la morte di Śākyamuni, in quanto, secondo l’autore del Mahāvaṃsa, durante il secolo successivo alla sua morte si era verificata una sola scissione (14).
Quanto detto concorda con la tradizione cinese, la quale ci insegna che una traduzione in cinese del Lalitavistara fu eseguita nel 65 d.C.; il che riporta necessariamente l’esistenza di quest’opera al secolo precedente la nostra era e gli assegna una antichità di almeno duemila anni. È il risultato a cui, attraverso altre considerazioni, ero già pervenuto nell’introduzione al Rgya-tcher-rol-pa [f], p. XVI e seguenti.
Wassilief è della stessa opinione: “Sebbene – egli afferma – il Lalitavistara sia messo nel novero dei Sūtra del Mahāyāna, è evidente che la sua origine risale ai primi inizi delle leggende” (15).
Consultiamo ora, in merito alla datazione del Lalitavistara, A. Weber, di cui nessuno può contestare l’autorità in materia.
“Il punto principale è stabilire una cronologia relativa e un ordine di successione tra le diverse scritture buddhiste, compito che Eugène Burnouf, le cui ricerche costituiscono il nostro unico riferimento, ha portato a termine con grande intelligenza e con accettabili conclusioni. In primo luogo, parlando dei Sūtra, ovvero le parole del Buddha stesso, Burnouf li divide in Sūtra semplici e Sūtra chiamati Mahāvaipulya Sūtra o Sūtra Mahāyāna, affermando che questi ultimi sono i più moderni per la lingua, la forma e la dottrina. Per ciò che concerne quest’ultimo punto, ha senza dubbio ragione, perché in primo luogo nei Mahāvaipulya Sūtra il Buddha appare quasi esclusivamente circondato da dei e da Bodhisattva, personaggi specifici della mitologia buddhista, mentre invece nei Sūtra semplici sono gli esseri umani che compongono la maggior parte della sua cerchia, e gli dei si trovano soltanto accanto a loro.
“In secondo luogo, i Sūtra semplici non recano tracce di quegli insegnamenti che non sono propri di tutti i Buddhisti, ma appartengono soltanto ai Buddhisti del Nord, come per esempio il culto di Amitābha, di Mañjuśrī, di Avalokiteśvara, dell’Ādibuddha [g] e dei Dhyāni Buddha (16), e inoltre non si trovano in essi incantesimi e formule magiche presenti in abbondanza soltanto nei Mahāvaipulya Sūtra. Ma che la circostanza per cui la lingua di questi lunghi brani in poesia, frequentemente inseriti nei Mahāvaipulya Sūtra in una forma molto alterata, una mescolanza di Sanscrito, Pāli e Prākṛita (ciò che non avviene per la parte in prosa (17)) sia presa come prova della posteriorità dei Sūtra Mahāyāna, questo, fino ad oggi, non pare affatto certo. I brani in versi si armonizzano veramente in maniera così completa, per forma e sostanza, con il testo in prosa da poter essere considerati come un semplice ampliamento o una correzione (18)? Oppure non si distinguono piuttosto proprio su questi punti, in modo tale da poterli vedere come dei frammenti di tradizioni più antiche, esattamente come gli analoghi brani così spesso presenti nei Brāhmaṇa [h]? In quest’ultimo caso, noi dovremmo piuttosto considerarli come una prova secondo cui le leggende buddhiste non erano in origine redatte in Sanscrito, ma nei dialetti popolari.
“Secondo il racconto del viaggiatore cinese Faxian, che compì un pellegrinaggio dalla Cina all’India negli anni dal 399 al 414 d.C., sembra risultare che i Sūtra Mahāyāna in quel periodo fossero già diffusi, poiché Faxian menziona alcuni degli insegnamenti specifici di quei Sūtra in quanto estesamente studiati” (19).
Da ciò che si è detto si può desumere per prima cosa che poiché i Sūtra Mahāyāna nei primi secoli della nostra era erano stati diffusi e ampiamente studiati, non dovevano più costituire una novità nell’India di quel periodo; inoltre, che siccome le parti in versi di quei testi erano redatte in un particolare dialetto simile al linguaggio comune dell’epoca, esse sono più antiche delle parti in prosa.
È quindi possibile, senza il timore di commettere un grosso errore, far risalire la composizione dei Sūtra Mahāyāna ai secoli precedenti la nostra era, prima dell’epoca in cui fu redatta la versione definitiva del Mahābhārata. Ciò che conferisce a questa ipotesi una notevole verosimiglianza è il fatto che il nome di Kṛṣṇa come divinità non compare nei Sūtra Mahāyāna, mentre vi si trova il nome di Viṣṇu (e il suo sinonimo Nārāyaṇa) di cui Kṛṣṇa è l’incarnazione.
Il Mahābhārata è la glorificazione di Kṛṣṇa. Nulla impedisce quindi di pensare che i Brahmani, i quali vedevano con inquietudine la crescente influenza del Buddhismo sulle genti e sui re, credettero di trovare un efficace mezzo per combattere tale influenza contrapponendole, per neutralizzarla, quella di un’altra religione.
Il culto di Kṛṣṇa, nuovo per quell’epoca, sarebbe sembrato soddisfare quelle condizioni e per questo essi avrebbero raccolto nel Mahābhārata, il grande poema in onore di Kṛṣṇa, le vecchie leggende del Brahmanesimo, una parte delle quali era già stata adottata dai Buddhisti, modificandole in modo tale da armonizzarle con la dottrina che diffondevano (20).
Ciò che va a sostegno della tesi secondo cui il Mahābhārata ha assunto la sua forma definitiva nel momento in cui il Buddhismo era più fiorente è il fatto che nella Bhagavadgītā, che all’interno del Mahābhārata espone la quintessenza della dottrina kṛṣṇaita, il Brahmanesimo presenti ai suoi fedeli la liberazione finale come molto più facile da raggiungere di quanto non lo sia per i Buddhisti. È in questo modo che esso, per bocca di Kṛṣṇa stesso, la promette a chiunque sia un fervente adoratore del dio: “O figlio di Pṛthā, coloro che prendono rifugio in Me, anche se sono di bassa nascita – donne, vaiśya o śūdra – possono raggiungere la destinazione suprema” (21) [i].
Questo śloka della Bhagavadgītā, già notevole dal punto di vista dei Vaiśya (agricoltori o commercianti) e degli Śūdra (domestici), lo è ancora di più per ciò che riguarda le donne, alle quali promette una liberazione finale immediata, mentre il Buddhismo la rimanda a quando avranno meritato di rinascere nello stato di essere umano di sesso maschile, dopo una lunga serie di esistenze ricche di opere buone.
I Brahmani, predicando questa dottrina, nello stesso tempo in cui attiravano a sé le classi inferiori, sembrano aver contato anche sull’influenza delle donne per diffondere il culto di Kṛṣṇa, la cui sensualità doveva piacere alla fervida immaginazione degli Hindu.


Note dell’Autore

(1) La prima traduzione francese del Lalitavistara, con qualche taglio, è stata fatta da chi scrive queste righe sulla versione tibetana del testo che si trova nel Kanjur [a]. È stata pubblicata, con il testo tibetano, presso l’Imprimerie Nationale in 2 vol. in-4°, Parigi 1847-1848.
(2) The Lalita vistara or memoirs of the early life of Sákya Siñha, edito da Rájendralálamittra, 1 vol. in-8°, 1877. La traduzione inglese che completerà quest’opera è a tutt’oggi stampata a metà.
(3) Asiatic Researches, t. IX, e Miscellaneous Essays, di H.T. Colebrooke, vol. II p. 199.
(4) Una analisi del Lalitavistara, a cura di R. Lenz, è stata inserita nel 1836 nel Bulletin scientifique di San Pietroburgo.
Salomon Lefman ha pubblicato a Berlino la traduzione tedesca dei primi cinque capitoli del Lalitavistara con abbondanti note che occupano i tre quarti del suo volume. Lefman aveva annunciato un’edizione critica del testo sanscrito del Lalitavistara per il 1877. Siamo veramente dispiaciuti di non aver potuto utilizzare questa nuova edizione, della quale non è ancora apparsa nessuna parte.
(5) The Hibbert, 1881, p. 197 e seguenti.
(6) Il Mahāvastu [b], testo sanscrito pubblicato per la prima volta con una introduzione e un commentario da E. Sénart (Collezione di opere orientali pubblicate dalla Société Asiatique), T. I, 1882.
(7) Alcuni esempi a caso: P. 41, II. 6, 7 e 10. – P. 128, I. 9 – p. 193, I. 16 e 17 – p. 229, I. 12 ecc.
(8) Journal Asiatique, febbraio-marzo 1883, p. 256.
(9) Chips, I, p. 297 e seguenti.
(10) Indische Studien, III, p. 139-140.
(11) Sanskrit texts, II, p. 126.
(12) Göttingen Gelehrte Anziegen, for 1861, p. 134.
(13) Sam. Beal, Romantic Legend of Sákya, p. 5.
(14) Loto della Legge, trad. di Eug. Burnouf, p. 356.
(15) Le Bouddisme, ses dogmes, son histoire et sa littérature, trad. dal russo di G.A. La Comme, p. 176 – V. anche, a p. 31 e 119, alcuni dettagli sull’origine dei Sūtra Mahāyāna.
(16) Nessuna di queste figure compare nel Lalitavistara, nel quale non si trovano nemmeno incantesimi né formule magiche.
(17) Abbiamo visto, p. II n. 3, che queste forme alterate si trovano nella prosa del Mahāvastu.
(18) Ciò che prova bene che i Gāthā, ovvero i brani in versi, non sono né ampliamenti né correzioni è il fatto che nei capitoli da VI a XVI del Lalitavistara i Gāthā sono così legati alla narrazione che non li si potrebbe eliminare senza omettere una parte degli eventi più importanti della vita di Śākyamuni. I Gāthā costituiscono quindi la parte principale, poiché narrano avvenimenti non presenti nei brani in prosa, i quali sono stati scritti solo per collegare tra loro i racconti che contengono i Gāthā.
(19) The history of Indian Literature, di Albrecht Weber, p. 298 e seguenti.
(20) Si veda la leggenda del colombo e del falco, secondo i Brahmani e i Buddhisti, in: Le Mahābhārata; 0nze épisodes de ce poème traduits par P.E. Foucaux; Introd. p. XXXI e p. 231 e seguenti. La Storia di Nala si trova nella diciottesima sezione del Gandavyūha dei Buddhisti del Nord. – Si veda l’Introduzione dell’edizione sanscrita del Lalitavistara di Rājendra, p. 9 – Si veda anche il Dasarathajātaka, being the Buddhist story of king Rāma, di B. Fansboll. Bisogna qui osservare, a proposito di quest’ultima leggenda, che alla fine della sua eccellente memoria sul Rāmāyana inserita in The Indian Antiquary, t. I, A. Weber considera il Dasarathajātaka come la prima versione della storia di Rāma e Sītā, il che proverebbe che alcuni elementi sono stati presi in prestito dal fondo comune delle leggende indiane, sia da parte dei Brahmani che dei Buddhisti, gli uni e gli altri preoccupati di far prevalere i loro sistemi, collegando ad essi tutte le tradizioni del passato, senza preoccupazioni sulla loro origine.
(21) Bhagavadgītā, IX, 32. Questo stesso śloka è ripetuto nel Mahābhārata, edizione di Calcutta, t. IV, p. 295, sl. 363. Fa parte dell’Anugītā, che è stata tradotta in inglese, in calce alla Bhagavadgītā, in The sacred books of the East, da Kāshināth, t. VIII, p. 255.


NdT

[a] Il canone tibetano.
[b] Grande Storia, testo del I sec. a.C.
[c] Membri di una casta di cantori. Si veda: https://www.merriam-webster.com/dictionary/bhat
[d] Il termine si riferisce forse a Kaula (o Kula: famiglia, lignaggio), antiche scuole tantriche śivaite. Si veda: https://it.wikipedia.org/wiki/Kaula.
[e] Riti supplementari alle cerimonie funebri, o anche per liete occasioni (da śraddhā, fede).
[f] La versione tibetana del Lalitavistara.
[g] Il Buddha “primordiale”, all’origine di tutti i lignaggi. Quanto ai Dhyāni Buddha, si tratta di una espressione divulgativa per indicare i 5 Buddha “prototipi” delle famiglie dei Vittoriosi, Jinakula: Vairocana (che siede al centro del mandala), Vajrasattva-Akṣobhya (est), Ratnasambhava (sud), Amithābha (ovest), Amoghasiddhi (nord). Sono nozioni presenti all’interno del Buddhismo tantrico, il Vajrayāna.
[h] Composizioni sacerdotali aggiunte in epoche successive ad ognuno dei quattro Veda.
[i] La citazione di Bhagavadgītā, IX, 32 è stata tratta dalla versione dell’opera edita in lingua italiana dalle Edizioni Bhaktivedanta, 1981, pag. 408. Cfr. La Bhagavadgītā “così com’è”, con testo sanscrito originale, translitterazione in caratteri romani, traduzione letterale, traduzione letteraria e spiegazioni di Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupāda, fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Kṛṣṇa. Il “figlio di Pṛthā” a cui Kṛṣṇa si rivolge è Arjuna. Il termine Vaiśya indica il terzo varṇa (le c.d. caste), ovvero gli allevatori, i commercianti, i coltivatori. Śūdra indica il quarto varṇa, i servitori.


II

C’è in questo periodo, in Inghilterra, una scuola di orientalisti, della quale cui E.C. Childers è stato uno dei maggiori esponenti, che non ammette che il Buddhismo ortodosso possa trovarsi in luoghi diversi rispetto ai testi conservati a Ceylon. Ma stando a quello che dice Olcott (1) anche a Ceylon bisogna saper scegliere, poiché vi sono laggiù, tra i monaci, due opinioni ben distinte sulla natura del Nirvāṇa (la liberazione finale): una che afferma il completo annichilimento dell’anima, l’altra che sostiene che essa sopravvive dopo la distruzione del corpo.
Io sostengo quest’ultimo parere, e proprio a seguito di una discussione su questo tema in una nota apposta alla fine del suo dizionario Pāli-Inglese a proposito della nostra divergenza di opinioni sul modo di definire il Nirvāṇa dei Buddhisti – che egli considera un totale annientamento, mentre io non ammetto questa tesi – E.C. Childers afferma:
“Devo dire che le argomentazioni di Foucaux non smuovono minimamente la mia fiducia nel mio punto di vista. Già dall’inizio si può vedere quanto la discussione tra noi abbia pochi punti di raffronto, quando F[oucaux] cita contro di me il Lalitavistara, che egli definisce un testo canonico! Nondimeno, il passaggio citato può conciliarsi con il Buddhismo ortodosso ed io sono disposto ad accettarlo. Ma quando F[oucaux] dice: ‘E siccome per arrivare al Nirvāṇa bisogna sbarazzarsi da ogni composto, il paragone della lucerna che si spegne ci dimostra solo la scomparsa di un composto e non l’annichilimento della mente’, è chiaro che egli accetta l’opinione che la mente non sia un composto. Mi permetto quindi di rinviarlo all’articolo Saṃkhāra del mio dizionario [b]; vi troverà che la mente è il più importante dei Saṃkhāra (composti), il che darà una risposta completa alla sua argomentazione”.
Ebbene, dopo aver letto con la massima attenzione l’articolo Saṃkhāra del dizionario Pāli, invece di essere convinto giungo proprio alla conclusione opposta a quella che E. Childers sperava, semplicemente perché avrei dovuto dire l’anima (2) invece che la mente (3). Ecco perché:
“Le tradizioni buddhiste del Nord e del Sud concordano nel dirci che il Buddha e dopo di lui i buddhisti di tutti i tempi sono stati certi che le anime non hanno avuto inizio (4).
“Ne consegue che le anime, non essendo il prodotto di nessuna causa, non fanno parte dei composti in quanto, è lo stesso Childers a dirlo (p. 453, col. 2, del suo dizionario): i composti sono tutto ciò che è il prodotto di una causa.
“C’è quindi una netta differenza tra anima e mente. La mente è il risultato dell’unione dell’anima con gli organi del corpo, mentre l’anima può essere ricondotta ad uno stato assoluto, cosa che in effetti accade tutte le volte che, secondo il dogma della trasmigrazione, essa passa da un corpo in un altro e durante lo stato intermedio in cui non è nel corpo cha ha appena abbandonato e non è ancora in quello a cui darà vita.
“Siccome Childers non ammette l’autorità dei testi del Nord, sebbene essi concordino con quelli del Sud, prenderò a prestito dal suo dizionario Pāli (p. 58, col. 1) la definizione degli esseri del mondo senza forma, i quali, assumendo un corpo, hanno prodotto il mondo della trasmigrazione. Questi esseri, secondo lui, non hanno corpo e sono puri sfavillii (fulgori) dotati di intelligenza. Dotati di intelligenza, è vero, ma contaminati dall’ignoranza, ovvero dalla concezione secondo cui si considera permanente ciò che è transitorio. Ora, siccome l’onniscienza che conduce al Nirvāṇa è esattamente il contrario di questa ignoranza, per quale motivo l’anima, con l’aiuto dell’onniscienza, non entrerebbe in un mondo senza forma nel quale l’onniscienza continuerebbe ad esistere, liberata per sempre dall’ignoranza che trattiene gli esseri nella ruota della trasmigrazione?”
Avevo scritto ciò che è stato appena letto considerando il dogma della trasmigrazione così come lo insegnano i Brahmani, i Buddhisti del Nord dell’India, quelli della Cina e del Tibet, ai quali si può aggiungere la maggior parte dei Buddhisti di Ceylon, del Siam e della Birmania. Si vedrà tra poco che se si ammette come unica vera dottrina dello Śākya ciò che con il nome di Karma insegnano alcuni testi di Ceylon, il mio ragionamento, basato sulla differenza tra anima e mente, mancherebbe di una solida base, poiché avremmo davanti solo una successione di astrazioni che producono alternativamente una serie di corpi e di anime del tutto indipendenti gli uni dalle altre. Se questa è la vera dottrina dello Śākya si può credere che essa dovrebbe avere poco successo presso il popolino che non ha mai amato molto le astrazioni e che senza dubbio preferirebbe il sistema generalmente adottato, se, tuttavia, ci si degnasse di fargli conoscere l’altro.
A questo punto è necessario citare i seguenti passi, presi a prestito da Rhys Davids (5):
“Non è mai stata trovata in alcun punto dei Pitaka Pāli [c] nessuna menzione e nemmeno un riferimento alla trasmigrazione delle anime (6), che si suppone comunemente trattarsi di un elemento fondamentale del Buddhismo. Di conseguenza, non esito affatto a sostenere che Gotama [d] non insegnasse la trasmigrazione delle anime. Ciò che insegnò sarebbe molto meglio espresso in sintesi, volendo conservare la parola trasmigrazione, con trasmigrazione di un carattere. Ma sarebbe più corretto eliminare del tutto il termine trasmigrazione quando si parlerà del Buddhismo e dire che il suo insegnamento è la dottrina del Karma.
“Gotama sosteneva che dopo la morte di ogni essere, umano o no, non sopravvive nulla, se non il Karma, ovvero il risultato delle sue opere in pensiero e azione.
“Ogni individuo, umano o divino, è stato l’ultimo erede e l’ultimo risultato del Karma di una lunga serie di individui del passato, une serie così lunga che il suo inizio è al di là della possibilità di calcolarlo e la sua fine coinciderà (7) con la fine del mondo; ne dovrebbe conseguire che ogni generazione è il risultato esatto, inevitabile e naturale della generazione precedente, essendo quest’ultima il risultato di una ancora precedente e così via, nel corso di un passato davvero senza limiti”.
Questo modo di definire la trasmigrazione è così diverso da quelle generalmente accettato che credo sia utile tradurre a questo punto ciò che dice Th. Goldstücker, il quale è stato uno dei primi in Europa a farcela conoscere (8):
“Secondo i Brahmani e la maggior parte dei Buddhisti è sempre la stessa anima che, dopo la sua prima nascita, ritorna nelle sue nascite successive, fino al momento in cui è completamente liberata dalla trasmigrazione. Ma presso i Buddhisti del Sud si è radicata anche un’altra concezione. Nelle loro credenze, la successione delle esistenze di un essere è anche una successione di anime e ognuna di queste, pur essendo il risultato di quella che l’ha preceduta, non è affatto identica ad essa, così che il corpo muore e l’anima insieme ad esso, non lasciando dietro di sé che le buone e le cattive azioni compiute durante la vita. Il risultato di tali azioni diventa allora il seme di una nuova vita, la cui anima è di conseguenza il prodotto necessario dell’anima della vita precedente (9). Così tutte le anime che si succedono devono impegnarsi nella soluzione dello stesso problema che ebbe inizio quando il loro primo avo entrò in questo mondo; ma nessuna nascita successiva è vivificata dalla stessa anima (10).
Questo dogma è chiarito nelle loro opere con diversi paragoni. Per esempio, essi dicono, una lucerna è accesa da un’altra; la luce dell’ultima non è identica a quella della prima, ma nondimeno senza l’una l’altra non può essere prodotta. O ancora: un albero produce un frutto; dal frutto nasce un altro albero, e così via. Il primo albero e l’ultimo non sono lo stesso albero, benché il frutto sia la causa necessaria dell’ultimo (11)”.
Questi paragoni nei quali spicca, se li si applica all’anima, la confusione tra fisico e morale, non possono soddisfare una mente abituata a rigorose deduzioni; poiché il passaggio da una luce ad un’altra e da un albero ad un altro è sempre prodotto da un legame fisico, mentre quando si tratta dell’ingresso di un elemento immateriale come l’anima in uno materiale come il corpo è impossibile che non vi sia un istante in cui l’anima non si trovi né nel corpo che ha appena lasciato né in quello che sta per animare. In tal modo anche nel paragone del seme, che sulle prime sembra più corretto perché un seme è completamente separato dall’albero, il suo essere materia va a contrapporsi al ragionamento. Nato da un albero, il seme darà origine ad un albero della stessa specie che, a sua volta, produrrà un seme del tutto simile, mentre l’anima prodotta dal Karma, cioè da una entità astratta, sarà indipendente e guiderà il corpo a suo piacimento.
Sostenendo, come si è visto, che nel Nirvāṇa l’anima sopravviva al corpo, parlavo dal punto di vista della trasmigrazione così come è generalmente intesa dai Buddhisti del Nord ed anche dalla maggior parte dei Buddhisti del Sud.
 Intavolare qui un dibattito per determinare quale fosse il pensiero di Śākyamuni su ciò che Rhys Davids propone di definire la trasmigrazione di un carattere, occuperebbe più tempo e spazio di quanto ne abbiamo a disposizione; ma era necessario richiamare l’attenzione dei lettori francesi su questo modo di considerare la trasmigrazione, un modo che senza dubbio costituirà una novità per la maggior parte di essi.
Dicendo che i testi buddhisti del Nord non costituivano una autorità certa per lo studio del Buddhismo delle origini, si portava a testimonianza, tra l’altro, il fatto che il Dhammapada [f], uno dei testi considerati come assolutamente necessari per comprendere bene il pensiero di Gotama, non si trovasse né nei testi sanscriti del Nepal né in quelli tibetani del Kanjur. Non si muoverà più questo rimprovero ai testi del Nord dopo che W.W. Rockhill ha trovato nella collezione tibetana una raccolta di massime che pur avendo un altro nome è l’esatta riproduzione del Dhammapada (12).
Questa scoperta, che certo non sarà l’unica, prova che è necessario esaminare con attenzione tutti i testi del Kanjur per confrontarli con quelli di Ceylon, per capire bene in che cosa la scuola del Nord differisce da quella del Sud. L’autentico insegnamento di Śākyamuni dovrà trovarsi, come ha giustamente detto Eugène Burnouf, là dove le tradizioni del Sud e del Nord saranno completamente concordi tra loro.
Pubblicando una nuova traduzione francese del Lalitavistara, condotta questa volta sul testo originale sanscrito, non faccio alcuna fatica a riconoscere che l’interpretazione di più di un passaggio non mi soddisfa. Devo tuttavia avvertire colui che leggerà la mia traduzione tenendo sotto gli occhi il testo stampato della Bibliotheca indica, affinché prima di criticare questa traduzione voglia attendere la pubblicazione del secondo volume, nel quale troverà un gran numero di varianti ricavate da un ottimo manoscritto della Société Asiatique e da altri due manoscritti che appartengono alla Bibliothéque Nationale. Leggendo quelle varianti vedrà quale aiuto possa portare nella critica dei testi originali il loro confronto con traduzioni molto accurate come quelle comprese nella raccolta tibetana.
Se questa nuova traduzione del Lalitavistara può oggi comparire è grazie al suo inserimento negli Annali del Musée Guimet, poiché altrimenti la sua pubblicazione sarebbe stata ritardata per molto tempo. Spero che sarà accolta con favore in un momento in cui in India, in Inghilterra, in Russia, in Germania, in America e in Francia il Buddhismo attira l’attenzione di tutti coloro che si interessano allo studio delle religioni [g].

                   Parigi, 20 dicembre 1883



Note dell’Autore

(1) Le Bouddhisme sous forme de cathéchisme, di H.S. Olcott, trad. francese, p. 20, in-12, Parigi, 1883 [a].
(2) Nel suo dizionario Pāli, alla voce Attā, Childers spiega il termine con: Self, body, person, individuality: “il sé, il corpo, la persona, l’individualità”.
(3) Idem, alla voce Mano: The mind, the intellect, the thoughts, the heart: “la mente, l’intelletto, i pensieri, il cuore”.
(4) Idem, p. 31, col. 1, le parole Anamatagge sañsare sono esplicite: “Nelle esistenze senza numero che non hanno avuto inizio”, secondo Rogers, e secondo Turnour: “Senza inizio e senza fine”.
(5) Hibbert Lectures, On the origin and growth of religion, p. 91. E in: Buddhism, p. 100 e seg. Si veda anche Buddhist birth stories, dello stesso autore, t. 1, p. 25.
(6) Come armonizzare questa affermazione con il seguente passaggio del Manual of Buddhism di Spencer Hardy, p. 397: “Anche nei testi storici, nei racconti, nella conversazione, la concezione comune della trasmigrazione si presenta costantemente. Incontriamo innumerevoli passaggi come questo: ‘Queste persone, con l’aiuto del Buddha, entrarono (dopo la loro morte) nel mondo celeste’. Alla fine dell’Apannaka Jātaka il Buddha stesso dice: ‘Coloro che un tempo erano il mercante poco saggio e i suoi compagni, oggi sono Devadatta e i suoi discepoli ed io ero allora il mercante saggio’. La conclusione di tutti i Jātaka è una affermazione simile a questa.
Nel volume appena pubblicato di Rhys Davids, Buddhist birth stories, che contiene la traduzione della prima parte del testo dei Jātaka, si vede in effetti che alla fine di ogni racconto il Buddha fa la stessa affermazione.
È un modo implicito, se non esplicito, di parlare della trasmigrazione.
(7) A meno che il Nirvāṇa non interrompa la serie delle esistenze, cosa che qui Rhys Davids non dice.
(8) Chambers Encyclopœdia, alla voce Trasmigrazione. Riprodotto nei Literary Remains of Th. Goldstücker, t. I, p. 205 e seg. Si veda anche Koeppen, Die Religion des Budda, p. 300. Mons. Bigandet, nel suo bel libro: The life of Gaudama, Rangoon 1866, p. 21, in nota, ci aveva altresì fatto conoscere questa dottrina, che definisce startling, “strana, stupefacente”, la quale, aggiunge, è generalmente sconosciuta alla gente. Si veda anche: Buddhist controversy held at Pantura, Ceylon, 1873, p. 16-18.
(9) Questo è il contrario di ciò che insegnano le Upaniṣad brahmaniche: “L’anima non è prodotta da un’altra e nessun’altra è prodotta da quella. Senza nascita, eterna e senza decadimento, essa non è mai uccisa ancorché il corpo sia ucciso. Se colui che uccide dice: Io uccido, se colui che è ucciso dice: Io sono ucciso, entrambi non conoscono la verità”. Katha Upaniṣad, p. 105, trad. inglese nella Bibliotheca indica; Bhagavadgītā, II, 19 [e].
(10) Se è questo l’autentico insegnamento del Buddha (benché ci sia consentito di dubitarne, visto che Mons. Bigandet ci avvisa che in Birmania esso è generalmente ignorato dalla gente e che Olcott ci dice che a Ceylon un certo numero di monaci non lo accettano), rimane da spiegare chiaramente in che modo l’anima arrivata per ultima possa espiare gli errori e ricevere le ricompense dei milioni di anime che l’hanno preceduta e alle quali essa è completamente estranea.
(11) Si veda nel Manual of Buddhism di Spence Hardy, p. 397-398, qualche altro paragone dello stesso genere. L’autore del manuale fa quindi questa riflessione: Le difficoltà relative a questo particolare dogma consistono nel fatto che esso è generalmente respinto. Anche i monaci lo hanno talvolta negato; ma quando sono stati loro mostrati i passaggi in cui è insegnato nei loro testi sacri, sono stati costretti a riconoscere che era uno dei dogmi della loro religione.
(12) Udānavarga: A collection of Verses from the Buddhist Canon. Being the northern Buddhist version of Dhammapada. Translated from the Tibetan by Woodville Rockhill. In-8, London, Trübner (1883). V. anche: Texts from the Buddhist Canon commonly known as Dhammapada, traslated from the Chinese by Samuel Beal. In-8, London, Trübner, 1878.


NdT

[a]In versione italiana: H.S. Olcott, Catechismo buddhistico, Ed. Reprint. Si veda anche: 
http://zenvadoligure.blogspot.it/2015/09/il-catechismo-del-buddha.html.
[b] Termine Pāli (in sanscrito saṃskāra), che qui indica le cose composte.
[c] Il termine Pitaka (canestro) indica le raccolte dei testi del Canone buddhista.
[d] Nome con cui si designa tradizionalmente il Buddha nei testi Pāli. In sanscrito: Gautama.
[e] Cfr. la traduzione di P. Filippani-Ronconi in: Upaniṣad antiche e medie, Ed. Boringhieri, pag. 500: “18. Questo Veggente non nasce e non muore mai, non ha origine da alcuna cosa e mai non fu; increato, costante, eterno, questo Antico non viene ucciso allorché il corpo viene ucciso. 19. Allorché l’uccisore si immagina di uccidere e colui che viene ucciso si immagina di venire ucciso, entrambi non sanno: quegli non uccide, questi non viene ucciso”.
[f] I versi del Dharma (in sanscrito Dharmapāda). Cfr. http://zenvadoligure.blogspot.it/search/label/Dhammapada.
[g] Si veda una nota personale a questa II parte dell’Introduzione nel post:
http://zenvadoligure.blogspot.it/2017/05/esiste-non-esiste-ne-esiste-ne-non.html


Immagine del Buddha a Sarnath

LALITAVISTARA

ovvero

Descrizione dettagliata dei giochi


Capitolo primo

L’oggetto del discorso

Invocazione. – Ānanda riferisce come trovandosi nella città di Śrāvasti insieme col Buddha, in compagnia di dodicimila monaci e trentaduemila Bodhisattva, abbia udito il Buddha raccontare gli eventi che costituiscono l’oggetto del Lalitavistara; come il Bhagavat per bontà verso gli dei e il mondo abbia acconsentito ad esaudire le preghiere degli dei, che gli avevano richiesto di insegnar loro la Legge già esposta in passato dai Buddha precedenti.

Om! Omaggio a tutti i Buddha e Bodhisattva, ai venerabili Śrāvaka e Pratyekabuddha [1], che dimorano nei dieci punti dello spazio delle regioni del mondo senza fine, illimitato!
Così ho udito: una volta il Bhagavat [2] si trovava a Śrāvasti, nel Jetavana, il giardino di piacere di Anāthapiṇḍada, circondato da una grande assemblea di monaci, in numero di dodicimila, quali il Venerabile [3] Ājñātakauṇḍinya, il Venerabile Aśvajit, il Venerabile Bāṣpa, il Venerabile Mahānāman, il Venerabile Bhadrika, il Venerabile Yaśodēva, il Venerabile Vimala, il Venerabile Subāhu, il Venerabile Pūrṇa, il Venerabile Gavāṃpati, il Venerabile Kāśyapa di Uruvilvā, il Venerabile Kāśyapa di Nadī, il Venerabile Mahākātyāyana, il Venerabile Kapphina, il Venerabile Kauṇḍinya, il Venerabile Tchunandana, il Venerabile Pūrṇa Maitrāyaṇīputra, il Venerabile Aniruddha, il Venerabile Nandika, il Venerabile Kaṣphila, il Venerabile Subhūti, il Venerabile Revata, il Venerabile Khadiravanika, il Venerabile Amōgarāja, il Venerabile Mahā Paramika, il Venerabile Vakkula, il Venerabile Nanda, il Venerabile Rāhula, il Venerabile Svāgata, il Venerabile Ānanda.
Ugualmente, oltre ai dodicimila monaci con costoro alla loro testa, egli si trovava con trentaduemila Bodhisattva, tutti vincolati ad una sola nascita, avendo essi generato tutta la perfezione dei Bodhisattva, manifestato tutta la saggezza superiore dei Bodhisattva, acquisito tutta l’energia dei Bodhisattva, ottenuto tutta la scienza magica dei Bodhisattva, realizzato il completo compimento delle preghiere dei Bodhisattva, percorso fino alla meta la via dei Bodhisattva, ottenuto il pieno controllo di sé attraverso la contemplazione propria dei Bodhisattva, ottenuto il completo dominio di sé dei Bodhisattva, realizzato pienamente la pazienza dei Bodhisattva, popolato per intero le Terre dei Bodhisattva; costoro erano il Bodhisattva Mahāsattva Maitreya, il Bodhisattva Mahāsattva Dharaṇīsvararāja, il Bodhisattva Mahāsattva Siṁhakētu, il Bodhisattva Mahāsattva Siddhārthamati, il Bodhisattva Mahāsattva Praśānthacharitamati, il Bodhisattva Mahāsattva Pratisamvimprāpta, il Bodhisattva Mahāsattva Nityōyukta, il Bodhisattva Mahāsattva Mahākaruṇachandri e altri alla loro testa fino a trentaduemila.
In quel tempo il Bhagavat si trovava nella grande città di Śrāvasti, e lì dimorava onorato, rispettato, riverito, ricolmo di offerte della quadruplice assemblea, dei re, dei figli del re, degli Kṣatriya [3], dei Brāhmaṇi, dei funzionari, degli abitanti della città e della campagna, dei Tīrthika, degli Śramaṇa, dei Brāhmaṇi, dei Characa, dei Parivrajaka [5]. Il Bhagavat aveva con sé cibi preparati con cura, gustosi e abbondanti, abiti monastici, letti per il riposo, medicinali e utensili necessari; pur possedendo una eccellente reputazione e degli ottimi beni, il Bhagavat era distaccato da tutto, come il loto sul quale l’acqua scivola via. E la buona novella della sua fama si diffondeva nel mondo.
Arhat [6], Buddha perfetto e realizzato, dotato di saggezza e di perfetta condotta, Sugata [7], primo tra coloro che conoscono il mondo, il Grande Essere che è il cocchiere di coloro che devono essere disciplinati, il precettore degli dei e degli uomini, il Buddha Bhagavat che possiede i cinque occhi, è apparso. Dopo aver profondamente conosciuto egli stesso questo e l’altro mondo con gli dei e i demoni, con Brahmā, con gli Śramaṇa, i Brāhmaṇi e le altre creature, con gli dei e gli uomini, dopo averli compresi, dopo averli preparati, egli ha preso dimora ed ha insegnato il Dharma, che al suo inizio, al suo centro, alla sua fine è la legge della virtù, dall’eccellente significato, dalle belle espressioni, priva di confusioni, compiuta, autenticamente chiara, del tutto immacolata, perennemente pura; tale è il Dharma che egli ha insegnato.
In quel tempo il Bhagavat entrò nella meditazione chiamata Buddhālankāravyūha (disposizione degli ornamenti del Buddha) e non appena vi si immerse dalla sommità del capo, dalla protuberanza che lo incorona, uscì il raggio chiamato Pūrva-buddha-anupasmrity-asanga-ājñana-ālōka-alankāra (ornamenti luminosi della saggezza priva di passione che richiama il ricordo dei Buddha precedenti). Il raggio, quando illuminò tutte le dimore degli dei Śuddhāvāsa, incoraggiò gli innumerevoli figli degli dei con Maheśvara, figlio di un dio, alla loro testa. Poi i raggi di luce del Tathāgata [8] fecero sì che si udissero questi Gāthā di incoraggiamento:
1. Unitevi a colui che genera la buona luce che distrugge le tenebre, che ha una bella luce, un meraviglioso splendore, puro e senza macchia; che ha il corpo completamente pacificato, la mente pura e in pace, al Muni Śākya Siṁha [9];
2. l’oceano di saggezza, puro, dalla grande forza, signore del Dharma, onnisciente, maestro dei Muni, dio al di sopra degli dei, degno degli omaggi degli uomini e degli dei, che dimora di per sé nel Dharma ed esercita il controllo;
3. coloro che sono divenuti signori della propria mente difficile da soggiogare, che hanno la mente completamente liberata dalle trappole del demone, la cui vista e udito non sono quaggiù privi di scopo, che vanno verso la sponda tranquilla della liberazione, si affidino a lui.
4. A colui che si è manifestato nel Dharma senza eguale, che dissolve le tenebre, che insegna la buona regola, al Buddha che compie azioni pacifiche, dall’intelligenza incommensurabile; avvicinatevi tutti con devozione!
5. è il re dei medici, il dispensatore dell’amṛta [10] che guarisce; è l’eroe degli oratori, il distruttore delle schiere dei malvagi, l’amico del Dharma, colui che ne conosce profondamente il significato autentico; è la guida che indica la Via suprema.
Non appena essi furono toccati dai raggi luminosi della saggezza priva di passioni che genera il ricordo dei Buddha precedenti, non appena furono esortati da quei Gāthā, i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, essendo usciti perfettamente calmi dalla meditazione, grazie al potere del Buddha rammentarono i Buddha Bhagavat di tutti i Kalpa [11], incommensurabili, al di là di ogni calcolo e di ogni enumerazione.
E ugualmente ricordarono tutte le assemblee per la purificazione dei Campi dei Buddha e tutti gli insegnamenti del Dharma.
Tuttavia, nel corso della notte tranquilla, il figlio di un dio Śuddhāvāsakāyika, chiamato Iśvara, e con lui quello chiamato Maheśvara, come pure Nandana, Chandana, Mahita, Praśānta, Vinitēçvara e altri numerosi figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, di una bellezza al di là della più grande bellezza [12], dopo aver illuminato il Jetavana intero di uno splendore divino ed essersi recati nel luogo in cui si trovava il Bhagavat e aver reso omaggio ai suoi piedi con il capo, si misero da un lato. E rimanendo discosti gli dei Śuddhāvāsakāyika dissero al Bhagavat: C’è, o Bhagavat, una parte della Legge chiamata Lalitavistara, compimento dei Sūtra, una raccolta molto sviluppata che espone la radice della virtù dei Bodhisattva, che narra dettagliatamente la discesa dal divino cielo di Tuṣita [13] e la permanenza nel seno della madre; che mostra il potere della terra nella quale avviene una nascita superiore; la perfetta eccellenza delle qualità del comportamento dell’infante Bodhisattva; la perfezione in ogni arte del mondo e in ogni azione: la scrittura, il calcolo, la postura delle dita unite in preghiera, l’aritmetica, l’uso della spada, il tiro con l’arco, il pugilato, la lotta; la superiorità su tutti gli esseri; che mostra il godimento degli oggetti dei sensi negli appartamenti delle donne; che celebra l’acquisizione del frutto perfettamente maturato e l’etica di un Bodhisattva, i diversi giochi di un Bodhisattva, la distruzione di tutte le congreghe dei demoni; l’energia di un Tathāgata, le sue intrepidità [14], le diciotto condizioni non mescolate [15], l’insegnamento della Legge incommensurabile di un Buddha (questo Sūtra) esposta dai Tathāgata del passato, i Bhagavat Padmōttara, Dharmakētu, Dipaṃkara, Gunāketu, Mahākara, Ṛṣidēva, Śrītējas, Satyaketu, Vajrasañhata, Sarvābhibhū, Hemavarṇa, Abhyuśagami, Pravāṭasāgara, Puśpakētu, Vararūpa, Sulōśana, Ṛṣigupta, Unnata, Puśpita, Urṇātējas, Puśkala, Suraṣmi, Mañgala, Sudarṣana, Mahāsiṁhatējas, Sthitabuddhidatta, Vaṣantagandhin, Satyadharmavipulakīrti, Tiṣya, Puṣya, Lōkasundara, Vistīrṇabhēda, Ratnakirti, Ugratējas, Brahmatējas, Sughōṣa, Supuṣpa, Sumanōjñaghōṣa, Suchēṣtarūpa, Prahasitanētra, Gunarāci, Mēghasvara, Sundaravarṇa, Āyustējas, Salīlagajagāmi, Lōkābhilāchita, Jitaśatru Sampūjita, Vipacyi, Cikhin, Viśvabhū, Krakuś’anda e Kanakamuni; questo Sūtra, che è stato un tempo insegnato da Kāshyapa Tathāgata Arhat Buddha perfetto e realizzato, che il Bhagavat voglia oggi riportarlo nuovamente alla luce, per aiutare un gran numero di uomini, per la felicità di un gran numero di uomini, per compassione nei confronti del mondo, a favore di una grande moltitudine di uomini, per la felicità degli dei e degli uomini, per la completa esposizione del grande Veicolo [16], per la sottomissione di tutti gli oppositori, per la glorificazione di tutti i Bodhisattva, per l’assoggettamento di tutti i demoni, a favore di tutti i grandi uomini che dimorano nel Veicolo dei Bodhisattva [17], alfine di generare lo sforzo eroico e l’energia, di far sì che la buona Legge venga seguita, di prevenire l’interruzione della famiglia dei Tre Gioielli [18], di mostrare l’operato di un Buddha. Così essi parlarono, e il Bhagavat acconsentì con il suo silenzio, avendo generato compassione nei confronti di quei figli degli dei come pure per tutto il mondo con gli dei.
Quindi i figli degli dei, avendo compreso dal silenzio del Bhagavat che egli aveva acconsentito, compiaciuti, estasiati, trasportati dalla felicità, pieni di gioia, dopo aver reso omaggio ai piedi del Bhagavat con il capo, avendo girato intorno a lui per tre volte offrendogli il fianco destro [19] e avendolo cosparso delle divine polveri di sandalo, di aloe e di fiori di māndārava [20], scomparvero in quello stesso luogo.
Al termine della notte il Bhagavat, recatosi nel luogo in cui si trovata il boschetto di bambù, sedette sul seggio preparato per lui, circondato dalla folla dei Bodhisattva e dalle assemblee degli Śrāvaka, e dopo essersi seduto si rivolse ai monaci.
Così, o Monaci, durante la notte serena il figlio di un dio Śuddhāvāsakāyika, chiamato Iśvara, e con lui Maheśvara, Nandana, Sunandana, Chandana, Mahita, Praçānta, Vinitēçvara e altri numerosi figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, come già detto, scomparvero in questo stesso luogo.
Allora i Bodhisattva e i Mahā-Śrāvaka inchinatisi con le mani giunte, di lato al Bhagavat, così gli parlarono:
Che il Bhagavat voglia insegnarci quella parte del Dharma chiamata Lalitavistara. Ciò sarà di beneficio per numerose creature, per la felicità di innumerevoli esseri, per la compassione per il mondo, per il bene di una grande quantità di creature, per il conforto degli dei e degli uomini e dei Bodhisattva Mahāsattva del presente e del futuro.
Il Bhagavat acconsentì con il silenzio, mosso da compassione per i Bodhisattva Mahāsattva, per i Mahā-Śrāvaka, per gli dei, gli uomini, gli Asura [21] e il mondo intero.
Così è detto:
6. Durante la notte, o Monaci, mentre sedevo nella pace e privo del turbamento delle passioni, dopo essere giunti da piacevoli dimore [22], con la mente concentrata su un solo punto e perfettamente raccolti,
7. i figli degli dei sono venuti qui, dotati di un grande potere sovrannaturale, risplendenti di un fulgore senza macchia, dai bei colori che generano gioia. Dopo aver illuminato del loro splendore il bosco chiamato Jeta, si sono avvicinati con gioia alla mia presenza.
8. Maheśvara, Chandana, Iśa e Nanda, Praśāntacitta, Mahita, Sunanda, come anche il figlio di un dio Śanta, con molte dozzine di milioni di dei,
9. i quali, dopo aver reso omaggio ai miei piedi ed aver girato intorno a me offrendomi il fianco destro, dopo essersi avvicinati sono rimasti accanto a me; poi, dopo che ebbero fatto anjali [23] a mani giunte, colmi di rispetto, mi hanno presentato una richiesta dicendo:
10. “Muni, questo Sūtra perfetto, ricolmo di tutto ciò che distrugge le passioni, questo grande Nidāna [24] che è stato insegnato da tutti i Tathāgata in soccorso di tutti i mondi del passato,
11. che il Muni lo insegni nuovamente oggi, con il desiderio di conquistare a sé la grande assemblea dei Bodhisattva, esponendo il supremo Grande Veicolo che distrugge le contraddizioni e il demone”.
12. Egli accolse la preghiera della moltitudine degli dei e acconsentì in silenzio. E tutti, felici, pieni di gioia, estasiati, gettarono fiori, ricolmi di compiacimento.
13. Per questo, o Monaci, ascoltate dalla mia bocca [25] questo grande insegnamento, questo Sūtra perfetto che è stato insegnato da tutti i Tathāgata per recare aiuto a tutti i mondi del passato.

Capitolo primo, intitolato: Nidāna, l’oggetto dell’insegnamento

  
NdT

[1] Rispettivamente: uditori (che ottengono la liberazione nell’udire gli insegnamenti del Buddha) e buddha-da-sé (o realizzatori solitari).
[2] Il Signore, colui che possiede bhaga, potere spirituale, o in genere grande dignità.
[3] Si è scelto di tradurre con Venerabile il termine sanscrito āyuṣmant (pali: āyasmā), mentre il testo francese mantiene la translitterazione āyouchmat. Per i nomi dei monaci sono state utilizzate le translitterazioni reperite in: Sutra del Loto (trad. di L. Meazza), Ed. Rizzoli, Ph. Cornu Dizionario del Buddhismo, Ed. B. Mondadori o nel testo che si va traducendo.
[4] Il secondo varṇa, i guerrieri.
[5] Rispettivamente: seguaci di altre scuole, asceti, brahmani, studiosi itineranti, monaci erranti.
[6] Il Vincitore del nemico, colui che ha sconfitto le passioni (in pāli: arahant).
[7] Il Bene andato, fino alla completa liberazione.
[8] Colui che è andato nella talità, la realtà così com’è, la realtà assoluta, la grande Illuminazione.
[9] Il leone, simbolo di sovranità.
[10] Il nettare dell’immortalità, a-mṛta, non-morte. È il termine da cui origina il greco ambrosia.
[11] Periodi di tempo inimmaginabili, incalcolabili.
[12] Per la traduzione di questo periodo cfr. la versione dal tibetano in: Lalitavistara - Vie et doctrine du Bouddha tibétain (trad. di Pauthier e Brunet - 1866), Ed. Sand, pag.24.
[13] Dimora di colui che sarebbe divenuto il Buddha prima di nascere sulla terra per un’ultima volta. Attuale dimora di Maitreya, il Buddha futuro.
[14] In numero di quattro. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 81.
[15] Ovvero le diciotto qualità speciali, non mescolate, senza oscuramento. Id., pag. 80.
[16] Il Mahāyāna.
[17] Il Bodhisattvayāna.
[18] O Tre Tesori (sanscrito: Triratna, pali: tiratana): Buddha, Dharma e Saṅgha, il Buddha, la dottrina e la comunità dei praticanti.
[19] In sanscrito pradakṣṇā, circumambulazione in senso orario, seguendo cioè il movimento del sole.
[20] L’albero di corallo (Erythrina Indica), uno dei fiori del paradiso, di colore rosso scarlatto e con foglie a gruppi di tre che simboleggiano la Trimūrti.
[21] Alla lettera non-dei. Classe di esseri intermedi tra uomini e dei, quindi semidei, titani.
[22] Nel testo vihara, dimore, i monasteri buddhisti.
[23] In sanscrito offerta divina, gesto di saluto e omaggio a mani giunte davanti al petto, tipico dell’Induismo e del Buddhismo.
[24] In sanscrito causa, origine, occasione, ragione. Es. I dodici nidāna (anelli, legami) della produzione condizionata, la successione di cause ed effetti concatenati. Qui nidāna indica l’oggetto dell’insegnamento.

[25] Come già detto nel sommario iniziale del capitolo, chi espone il Sūtra è Ānanda, uno dei principali discepoli del Buddha nonché suo cugino. Essendo dotato di una eccezionale memoria durante il Concilio di Rājagṛha fu invitato ad esporre tutti gli insegnamenti del Buddha. Infatti i Sūtra iniziano con l’espressione “così ho udito”.

Sravasti

Capitolo secondo

L’Esortazione

Inizio del racconto. – Il Buddha parla della sua permanenza nel cielo degli dei Tuṣita, laddove i suoi meriti lo avevano portato al livello supremo. Onori che gli venivano resi da milioni di Buddha, dagli dei e dagli esseri celesti. Con la motivazione di pervenire alla Saggezza suprema, egli si prepara a discendere dal cielo degli dei e a nascere tra gli uomini [a].

Qual è, o Monaci, tra tutti, l’insegnamento del Dharma chiamato l’eccellente Lalitavistara, il supremo e perfetto tra i Sūtra?
O Monaci, il Bodhisattva dimorava in quel tempo nel meraviglioso cielo di Tuṣita; [colà è] adorato da coloro che sono adorati, avendo conseguito il supremo potere, [è] lodato, glorificato, ricolmo di elogi, celebrato da centomila dei, avendo realizzato la sua ricerca, essendo sommamente innalzato dalle sue aspirazioni, avendo ottenuto la saggezza che penetra tutta la Legge dei Buddha; possiede l’occhio grande e perfettamente puro del Dharma; ha acquisito la consapevolezza, l’intelligenza, la prudenza e la conoscenza estesa vivificata dalla gioia; ha conseguito la perfezione del dono, dell’etica, della pazienza, dell’energia, della concentrazione e della saggezza [1], della grande conoscenza dei mezzi e del supremo passaggio all’altra sponda; abile e dotato della perfetta conoscenza della via di Brahmā, della grande mansuetudine, della grande compassione, della grande gioia, della grande equanimità; effettivamente giunto attraverso una superiore conoscenza alla saggezza priva di oscurazioni e di passioni; ha acquisito la perfetta consapevolezza, la perfetta rinuncia, le basi del potere sovrannaturale, la perfezione dei sensi, l’energia, tutti i gradi della suprema intelligenza e l’autentica Via; è giunto all’autentico compimento di tutti gli insegnamenti della suprema saggezza; il suo corpo presenta i marchi maggiori e i segni minori, prodotti dall’accumulazione di meriti incommensurabili [2]; segue da lungo tempo la corretta Via; agisce in conformità alla sua parola, manifesta con chiarezza la parola e l’azione autentiche; possiede una mente retta, priva di inganni ed astuzie a cui nulla può essere di ostacolo; ha messo da parte tutto ciò che è orgoglio, fierezza, invidia, timore e torpore; ha generato una mente equanime nei confronti di tutti gli esseri; ha reso onore con il rispetto ad incommensurabili centinaia di milioni di Buddha; è stato visto in viso da molte centinaia di milioni di Bodhisattva ed ha l’aspetto di coloro che lo guardano; è rallegrato dalle lodi di Śakra [3], di Brahmā, di Maheśvara, dei guardiani del mondo [4], dei Nāga, degli Yakṣa, dei Gandharva, degli Asura, dei Garuḍa, dei Kinnara, dei Mahōraga e dei Rākṣasa [5]; possedendo la perfetta consapevolezza di ogni parola il suo insegnamento è immediatamente compreso senza alcun impedimento [6]; vaso di perfetta consapevolezza, possiede il ricordo di tutti gli insegnamenti di tutti i Buddha; ha ottenuto le infinite e illimitate formule magiche; grande guida dei viaggiatori del vascello del Dharma, realizzato grazie alla perfetta consapevolezza; [possiede] grazie alla Via compiutamente percorsa  il totale distacco, le basi del potere sovrannaturale, il perfetto risveglio, l’energia eroica, tutti i livelli della suprema intelligenza; possiede la saggezza trascendente, la legge preziosa della conoscenza dei mezzi, tutti i meriti,  la determinazione che fa andare al di là delle quattro correnti; ha vinto il demone e gli oppositori; ha soggiogato tutti gli avversari; rimane saldo di fronte alla lotta; ha distrutto la moltitudine nociva delle corruzioni naturali; è armato del fulmine-diamante [6bis] della suprema saggezza; nato con la motivazione superiore che è il grande fusto della compassione generato dalla radice della suprema saggezza; è stato consacrato con l’acqua profonda della virtù eroica; possiede l’orecchio di colui che è abile nei mezzi [7]; possiede tutti i gradi della suprema intelligenza, le vie sottili della meditazione, le fibre della contemplazione; è nato dal lago senza impurità di un gran numero di qualità; possiede l’aspetto vasto e puro di una luna libera dal passaggio delle nubi dell’orgoglio e dell’arroganza; ha il profumo della buona condotta, della  rivelazione e della serenità che si diffonde senza ostacoli nelle dieci direzioni dello spazio; decano della scienza nel mondo; non imbevuto degli otto dharma mondani [8]; fiore di loto dei grandi uomini; diffonde il dolce profumo dei meriti e dell’accumulazione della conoscenza; possiede l’occhio così perfetto e puro che il loto dai cento petali si dischiude ai raggi del sole della saggezza e della conoscenza; è spinto dallo slancio supremo dei quattro fondamenti del potere soprannaturale; possiede i denti e le unghie acuminate delle quattro Nobili Verità; ha i denti risaltanti delle quattro dimore di Brahmā; ha il capo rivolto alle quattro direzioni; possiede il corpo progressivamente perfezionato dalla comprensione dei dodici anelli della produzione condizionata [9]; avendo perfettamente e completamente soddisfatto le ventisette condizioni dei rami della suprema intelligenza, con le quali ha fatto una treccia, possiede la capigliatura della conoscenza e della saggezza. Ha dischiuso le tre porte della completa liberazione; ha l’occhio perfetto e puro del discernimento e della pace interiore; dimora nelle grotte e nelle caverne della montagna della meditazione, della completa liberazione, della contemplazione e dell’acquisizione del distacco; ha il corpo ben sviluppato dalla pratica delle Quattro Nobili Verità; possiede l’energia generata dall’esercizio dei dieci poteri e delle quattro intrepidità; è libero dall’orrore e dalla paura della vita e della morte; possiede un coraggio che non si piega; domatore dei Tirthya [10], schiere numerose di lepri e gazzelle; fa udire il potente ruggito del leone, la voce che fa riconoscere colui che è al di là del Sé; leone degli uomini; con il raggio luminoso della saggezza uscito dalla sfera della suprema contemplazione e della perfetta liberazione rende priva di fulgore la luce dei Tīrthika, schiere che emettono versi scintillanti; distrugge l’oscurità del velo delle tenebre e dell’accecamento dell’ignoranza; arde di energia e di virtù eroica; tra gli dei e gli uomini risplende per il fulgore dei meriti; sole dei grandi uomini; ha messo in fuga la quindicina nera e perfettamente realizzato la quindicina luminosa [11]; conquista i cuori ed è piacevole a vedersi; possiede la vista che nulla può oscurare; ben armato dalle schiere delle costellazioni di centomila dei; possiede il cerchio della contemplazione, della suprema liberazione e della conoscenza; a causa della felicità della suprema intelligenza emette raggi come la luna; fa dischiudere i fiori di loto degli dei e degli uomini saggi; è la luna dei grandi uomini; si è recato nel Dvīpa [12] delle quattro assemblee; in possesso dei sette rami preziosi dell’intelligenza suprema, usa egualmente la sua mente per tutti gli esseri; nulla può arrestare il suo pensiero; ha praticato le ascesi e i voti della via delle azioni meritorie, con l’intendimento di conseguirne ogni risultato in modo abbondante e completo; fa girare il tesoro della ruota preziosa di un re della Legge, che nulla può fermare; nato in una famiglia della stirpe dei re Cakravartin [13]; ricolmo di tutti i tesori del Dharma profondo e difficile da penetrare e del sorgere dipendente;  non sazio di rivelazione, non oltrepassa mai il limite di una virtù e di una saggezza abbondanti, perfette, infinite; ha l’occhio come il calice di un grande loto; possiede la mente eguale alla terra, all’acqua, al fuoco e all’aria; una mente incrollabile, forte e stabile come il monte Meru; ha abbandonato passione e collera; ha un’intelligenza perfetta, senza eguale, ampia e priva di impurità come il vasto cielo; un pensiero superiore assolutamente puro; ha conseguito la perfezione del dono [14] e prima ancora  ha pienamente realizzato la pratica dello Yoga; ha perfettamente compiuto il proprio dovere; è adorno degli ornamenti della verità; ha profondamente ricercato tutte le radici della virtù; indossa le vesti che dovevano essere indossate; ha reso manifesta la radice della virtù; durante sette incommensurabili Kalpa [15] ha conseguito tutte le radici della virtù; ha fatto i doni delle sette specie [16]; ha praticato con cura le buone opere meritorie che devono compiere coloro che hanno cinque scopi; ha ben agito nelle tre modalità del corpo, nelle quattro modalità della parola, nelle tre modalità della mente; ha perfettamente seguito la via delle dieci azioni virtuose [17]; ha praticato uno Yoga perfetto dai quaranta rami; ha ottenuto la completa perfetta liberazione dai quaranta rami; ha praticato rettamente la superiore benevolenza che ha quaranta rami; è entrato nel Dharma dopo centomila koti [18] di Buddha; ha offerto doni a cinquantacinquemila centinaia di niyuta [19] di koti di Buddha; ha reso servizio a trecentocinquanta centinaia di decine di milioni di Pratyekabuddha; ha incamminato nella via dello Svarga [20] e della liberazione un numero infinito, incommensurabile, di esseri; ha generato la motivazione di rivestirsi della qualità perfetta e compiuta di un Buddha; dopo aver trasmigrato da qui, lui che dimora in questo meraviglioso cielo di Tuṣita con il nome di Śvetaketu, il migliore tra i figli degli dei, onorato da tutte le schiere divine – dopo aver trasmigrato da qui ed essere nato nel mondo, egli si ricoprirà ben presto della qualità perfetta e compiuta di un Buddha. Mentre siede è stabilmente e confortevolmente assiso [21] nel grande carro celeste posato su trentaduemila terre, adorno di terrazze, di porticati, di archi, di oeils-de-boeuf, di fresche stanze, di padiglioni e di palazzi; sopra il quale è dispiegata una tenda con grandi ombrelli e stendardi al vento, bandiere e tralicci con campanelle preziose; cosparso di un tappeto di fiori di māndārava 21] parsa di un tappeto di fiori di  con parasolie di mahā māndārava; animato dai canti di centomila niyuta di koti di Apsarā [22]; abbellito da piante di atimukta, champaka, pāṭalā, kovidāra, muchalinda, mahā muchalinda, aśoka, nyagrodha, tinduka, asana, karṇikāra, keṣara, sāla e ratna-vṛkṣa [23]; (nel palazzo) protetto da reti d’oro, adorno di grandi vasi ricolmi, dove il terreno è  stato reso più bello da un lavoro di livellamento, nel quale si trovano fiori di jyōti, di mallika e di sumanā [24]; posto (in quel palazzo) in modo tale da poter essere visto in viso dagli occhi di centomila niyuta di koti di dei; (nel palazzo) che risuona dei canti della Legge copiosa che distrugge tutte le corruzioni generate dall’impeto, dal desiderio e dalla sensualità; in quel palazzo dorato da cui sono escluse la collera, l’ira, l’orgoglio, il vanto e l’arroganza; (nel palazzo) che genera la gioia, la serenità e la perfetta consapevolezza prodotta dall’accontentamento; mentre egli è colà, stabilmente e confortevolmente seduto, durante il grande sermone sul Dharma, e risuonano gli accordi di ottantaquattromila strumenti, per effetto dell’accumulazione dei meriti del Bodhisattva scaturiscono queste stanze di esortazione.
1. Ricorda, tesoro di meriti abbondanti, la consapevolezza, il discernimento e la via, tu che generi la luce di una conoscenza infinita; tu che hai una forza senza eguale, una immensa energia, (ricorda) la profezia di Dipaṃkara [25].
2. Ricorda, mente perfetta e senza macchia, libera dalla triplice oscurazione, tu che hai cancellato il peccato dell’orgoglio, che hai un pensiero buono, puro e senza macchia, (ricorda) quale fu in altro tempo la tua pratica del dono.
3. Ricorda, tu che discendi da una famiglia degna di onore, la tua calma, la tua fedeltà ai voti, la tua pazienza e la tua saggezza; l’energia eroica e la contemplazione che hai praticato per centinaia di milioni di Kalpa.
4. Ricorda, ricorda, tu la cui fama è senza confini, le centinaia di milioni di Buddha cui hai reso onore! Compassionevole verso chiunque, il tempo è giunto, non lasciarlo sfuggire!
5. Trasmigra, trasmigra, tu che conosci la legge della trasmigrazione, distruttore della vecchiaia e della morte, tu che sei privo di passioni! Ti guardano, numerosi, gli dei, gli Asura, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva.
6. Sebbene tu abbia goduto della felicità per mille Kalpa, non te ne puoi saziare, come l’acqua del mare non può soddisfare la sete. Sii gentile, tu che sei ricolmo di saggezza, soddisfa le creature da così tanto tempo tormentate dalla sete.
7. Non sei forse tu, che godi di una fama senza macchia, a gioire del Dharma e a non rallegrarti del desiderio? Tu che hai l’occhio immacolato, abbi compassione di questo mondo insieme con quello degli dei!
8. Nemmeno gli dei a centinaia di migliaia avendo ascoltato il Dharma ne saranno saziati. E volgiti anche a coloro che sono senza requie e dimorano nella vie del male.
9. E ancora, tu che possiedi l’occhio senza macchia, tu osservi i Buddha nelle dieci direzioni dello spazio; tu comprendi il Dharma, e perciò questa Legge, la migliore fra tutte, condividila con il mondo!
10. Il cielo di Tuṣita splende della gloria dei tuoi meriti, o glorioso! Spirito compassionevole, diffondi dunque su Jambudvīpa la pioggia del nettare dell’immortalità.
11. Gli innumerevoli dei che dopo aver trasceso il regno del desiderio sono ora nel regno della forma gioiscono grandemente dicendo: Possa io ottenere la suprema conoscenza, scopo dei miei voti!
12. Le opere del demone [26] sono state da te distrutte; i miserevoli Tīrthika sono stati da te sconfitti; cosicché la saggezza si è posata sul palmo della tua mano. Il tempo è giunto, non lasciarlo sfuggire!
13. Tu, o eroe, hai disteso una nube sul mondo riarso dal fuoco della corruzione; diffondi la pioggia dell’amṛta, dissolvi la corruzione degli dei e degli uomini.
14. Tu che sei abile nella conoscenza dei rimedi, che possiedi il medicinale della verità, attraverso l’utilizzo dei rimedi della triplice liberazione insedia prontamente nella felicità del Nirvāṇa gli esseri da così tanto tempo malati.
15. Quando non sentono il ruggito del leone le schiere degli sciacalli urlano senza timore. Fa’ loro intendere il ruggito di leone del Buddha, terrorizza i Tīrthika ostili, simili a sciacalli!
16. Tu che tieni nella mano la lampada della saggezza, che possiedi la forza generata dall’eroismo; tu che a Dharaṇimaṇḍa hai colpito con forza la terra con il palmo eccellente della mano [27], sconfiggi il demone!
17. I quattro guardiani del mondo che ti donarono le ciotole [28], e Śakra e Brahmā, che ti accoglieranno alla tua nascita (sulla terra), e altri a centinaia di migliaia, guardano a te.
18. Volgi lo sguardo, o glorioso, ai figli generati da famiglie degne di onore, e rimanendo accanto a loro, o mente eccelsa, mostrerai la condotta di un Bodhisattva.
19. Laddove dimora il fortunato Bodhisattva, così come il più prezioso gioiello è riposto in uno scrigno idoneo, tu che sei il più prezioso dei tesori, o intelligenza senza oscurazioni, diffondi su Jambu Dvīpa la pioggia (dell’amṛta).
20. Così, scaturite dagli accordi musicali, queste stanze variegate esortano colui che ha un cuore compassionevole attraverso queste parole: Il tempo è giunto, non lasciarlo sfuggire!

Così è detto nel Lalitavistara, nel capitolo dell’esortazione, il secondo.


NdT

[a] I sunti che precedono i capitoli non fanno probabilmente parte del testo originario del sūtra, e infatti non si trovano né nella versione inglese né nella traduzione francese dal tibetano. Nel testo di De Foucaux che si va traducendo sono posti nell’indice alla fine del volume, ma si è voluto qui inserirli all’inizio di ogni capitolo per facilitare la comprensione dell’argomento in esso trattato.
[1] Sono le sei pāramitā, le perfezioni o virtù trascendenti: dāna, śīla, kṣānti, vīrya, dhyāna (in alcuni casi si trova samādhi), prajñā.
[2] Si tratta dei trentadue marchi maggiori e degli ottanta segni minori del corpo di un Buddha. Nelle tradizioni buddhiste si nominano anche i diciotto dharma speciali dei Buddha (sei qualità del corpo e del comportamento, sei qualità di penetrazione, tre qualità di attività, tre qualità di saggezza), i dieci poteri del Tathāgata, le quattro intrepidità, le trentadue qualità di liberazione, le quattro perfette intelligenza specifiche, i tre modi o aspetti, i trentanove modi o aspetti straordinari di un Buddha. Cfr. Dizionario del Buddhismo alla voce buddha, pag. 78 e seguenti.
[3] Forte, potente. Epiteto divino, riferito in particolare a Indra.
[4] I Lokapāla, custodi delle regioni del mondo, dei punti cardinali.
[5] Figure mitiche dell’Induismo e del Buddhismo. Rispettivamente: serpenti (o elefanti); spiriti agresti; musici degli dei; semidei; figure con corpo umano, becco e ali di uccello; centauri; figure metà uomo e metà serpente; spiriti demoniaci.
[6] Ho seguito qui la traduzione inglese del testo, in quanto più lineare e comprensibile.
[6bis] Il vajra (tibetano rdo-rje), diamante e/o fulmine, importante simbolo nel Mahāyāna e nel Vajrāyana, rappresenta l’indistruttibilità del Risveglio e della vacuità e la chiarezza della mente illuminata.
[7] I mezzi abili, gli espedienti salvifici (upāya) che sono a disposizione dei Buddha per aiutare gli esseri ad uscire dalla sofferenza.
[8] Speranza del guadagno e timore della perdita; speranza del piacere e timore della sofferenza; speranza della fama e timore della caduta; speranza della lode e timore del biasimo.
[9] Pratītyasamutpāda (in pāli: paṭiccasamuppāda), il sorgere dipendente, l’insieme dei meccanismi di interazione su cui si reggono i fenomeni nelle loro relazioni causali. Cfr. Dizionario del Buddhismo alla voce interdipendenza, pag. 266 e seguenti.
[10] Probabilmente si tratta dei Tīrthika, nominati poco più avanti. È un termine sanscrito usato dai buddhisti indiani e tibetani in riferimento ai fautori di sistemi religiosi loro avversari. In tibetano (mu-stegs-pa) significa sostenitori dei punti di vista estremi, cioè gli eternalisti e i nichilisti.
[11] Riferimento alle fasi lunari.
[12] Alla lettera significa isola, ma vale anche come continente. Secondo i Purāṇa il mondo era composto da sette Dvīpa, con Jambu Dvīpa, l’India, in posizione centrale.
[13] I Sovrani della Ruota, monarchi universali.
[14] Si veda la nota [1].
[15] Un giorno di Brahmā, pari a quattromila trecentoventi milioni di anni umani, la durata di un universo.
[16] Probabilmente si tratta dell’offerta in sette rami (saptāṅgapūja) ai maestri o alla divinità: prosternazioni, offerta di ciò che si è posseduto, confessione delle azioni negative, gioia delle azioni benefiche, richiesta degli insegnamenti, supplica perché continuino a rimanere in favore degli esseri sofferenti, dedica di tutti i meriti.
[17] Sono le precedenti: azioni del corpo (salvare vite, donare, mantenere la castità), della parola (dire la verità, pacificare le discordie, parlare con gentilezza, recitare mantra), della mente (gioire del benessere altrui, essere benevolo, adottare punti di vista corretti). Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 171.
[18] Unità di misura pari a dieci milioni.
[19] Unità di misura pari, a seconda delle fonti, a centomila o a un milione.
[20] Il cielo di Indra.
[21] Traduco in questo modo assis à l’aise, con un voluto riferimento alle qualità che secondo Patañjali devono possedere le āsana (posture) dello Yoga, ovvero essere sthira-sukham, stabili e comode. Si veda I.K. Taimni, La scienza dello Yoga – Commento agli yogasūtra di Patañjali, Ed. Ubaldini, pag. 232.
[22] Essenza dell’acqua, seducenti ninfe celesti danzanti del cielo di Indra, si mostrano spesso come uccelli acquatici. Raccolgono i guerrieri morti in battaglia, come le Valchirie.
[23] Per identificare le piante citate si possono utilmente consultare i seguenti siti Internet:
http://ayurvedicmedicinalplants.in/content/history-ayurveda
https://venetiaansell.wordpress.com/
http://iu.ff.cuni.cz/pandanus/.
[24] Rispettivamente: alcanna, mango e gelsomino.
[25] Secondo il Sanghata Sūtra, un testo del buddhismo Mahāyāna, molte vite prima dell'illuminazione Śākyamuni incontrò il Buddha del passato Dipaṃkara, che gli predisse che egli sarebbe a sua volta diventato un Buddha. Si veda qui la traduzione in italiano del sūtra:
http://padmasambhavagururinpoche.com/wp-content/uploads/2014/01/sanghasutraitaliano.pdf
[26] Probabile riferimento a Māra, termine che indica sia il demone tentatore, dio del regno del desiderio, sia l’insieme delle tendenze che distolgono il praticante dalla Via della liberazione. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 377.
[27] Bhūmisparśamudrā, il gesto del toccare la terra con cui un Buddha chiama la Terra a testimoniare il conseguimento del Risveglio.
[28] Dopo il Risveglio si presentarono al Buddha i quattro guardiani del mondo, caturmahārāja, divinità che risiedono alla base del monte Meru a guardia dei punti cardinali. Essi gli offrirono cibi prelibati in preziose ciotole. Il Risvegliato prodigiosamente unì le quattro ciotole e le offerte in un’unica ciotola e in un unico cibo, indicando così che la Via verso la liberazione era una sola, per gli uomini e per gli dei. 

Il Cielo Tusita


Capitolo terzo

La perfetta purezza della stirpe

Il Bodhisattva, consapevole che il tempo del Dharma era giunto, istruisce gli dei del cielo Tuṣita. – I figli degli dei, avendo saputo che dopo dodici anni il Bodhisattva sarebbe entrato nel grembo di una madre, si recano in India, con l’aspetto di Brāhmaṇi, per consultare i Veda. Essi vi trovano che il Bodhisattva sarà dotato alla nascita di trentadue segni e sarà necessariamente un re o un Buddha. – Attributi della regalità. I sette tesori straordinari. Avendo appreso queste notizie, un gran numero di eremiti ascendono ai cieli fino al regno del fuoco e ne sono consumati. – Prima di discendere dal cielo il Bodhisattva si sottopone ai quattro grandi esami per sapere dove dovrà nascere. – I figli degli dei vagliano allora sedici famiglie reali dell’India, ma scoprono che tutte hanno dei difetti; interrogano il Bodhisattva, il quale elenca i segni dai quali si riconoscerà la famiglia prescelta. – La famiglia degli Śākya soddisfa tutte le condizioni.

Allora, o Monaci, il Bodhisattva, consapevole che il tempo del Dharma era giunto, era uscito dal grande carro celeste e, fermatosi nel luogo in cui sorgeva il grande palazzo Dharmōchaya [1], insegnava il Dharma agli dei Tuṣita. Poi il Bodhisattva dopo essere entrato nel palazzo sedette sul trono chiamato il Dharma Sublime.
Intanto anche tutti i figli degli dei che condividono la buona sorte del Bodhisattva e dimorano nel suo stesso Veicolo [2] entrarono nel palazzo. Giunti dalle dieci direzioni dello spazio, i Bodhisattva che seguono lo stesso stile di vita del Bodhisattva e i figli degli dei, entrati nel palazzo mentre si ritiravano le schiere di Apsarā e gli dei di rango inferiore e formando una assemblea unita in un unico pensiero di profondo raccoglimento, in numero di sessantottomila koti di persone sedettero, così come si conviene, ognuno sul proprio seggio.
In quel momento, o Monaci, fu detto: tra dodici anni il Bodhisattva entrerà nel grembo di una madre.
Intanto i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, che si erano recati nella terra di Jambu e avevano dissimulato la loro divina bellezza sotto l’abito dei Brāhmaṇi, sfogliavano i Veda e i Brāhmaṇa. Quale che sia l’aspetto di colui che entrerà nel grembo di una madre, egli sarà dotato dei trentadue segni del grande essere [3]. Colui che li possiede avrà davanti a sé nella vita due sole possibilità, non tre [4].
Se rimarrà nella propria dimora diverrà un re Cakravartin, capo vittorioso di un esercito composto da quattro armate, in unità col Dharma, re del Dharma, possessore dei sette tesori [5]: il tesoro della ruota, il tesoro dell’elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro della moglie, il tesoro della gemma, il tesoro del ministro e, settimo, il tesoro del consigliere.
In che modo il re Cakravartin è in possesso del tesoro della ruota?
Al re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, che ha lavato il proprio capo il quindicesimo giorno della luna, dedicato alle pratiche devozionali [6], che ha osservato il digiuno e si è recato sulle terrazze del palazzo accompagnato dal seguito delle proprie donne, il tesoro della ruota divina appare verso oriente con mille raggi, una circonferenza e un centro, tutto d’oro, non fabbricato da alcun artigiano, alto come sette alberi tāla [7].
Il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, avendo visto nella sua interezza la preziosa ruota divina, così riflette: ho appreso che al re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, che ha lavato il proprio capo il quindicesimo giorno della luna, dedicato alle pratiche devozionali, che ha osservato il digiuno e si è recato sulle terrazze del palazzo accompagnato dalle donne della propria casa, il tesoro della ruota divina appare verso oriente, ed è per questo che egli sarà un re Cakravartin. Poiché la preziosa ruota divina è apparsa a me, so che sono un autentico re Cakravartin. Possa io quindi comprendere il divino tesoro della ruota! Poi, dopo aver gettato il mantello sulla spalla e posato a terra il ginocchio destro, che il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, faccia girare con la mano destra la ruota divina dicendo: o venerabile e divino tesoro della ruota, gira in armonia con il Dharma, e non in opposizione al Dharma!
Intanto la ruota divina, messa in moto dal re Kṣatriya la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, avanza facendo sorgere delle apparizioni nel cielo d’oriente. Il re Cakravartin vien dietro con il suo possente esercito composto di quattro armate; e in tutti i luoghi della terra in cui la ruota divina si ferma, il re Kṣatriya si ferma con il suo esercito. E tutti i sovrani dell’oriente, tenendo una coppa d’argento piena di polvere d’oro o una coppa d’oro piena di polvere d’argento, si alzano davanti al re Cakravartin dicendo: Signore, qui siete il benvenuto. Signore, degnatevi di avvicinarvi. Signore, dimorate qui, in questo regno che cresce, che è felice, prospero, piacevole, con molti abitanti, fittamente popolato; è una vostra conquista, Signore, vi appartiene.
Dopo che gli sono state rivolte queste parole, il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, così risponde ai re locali: Fate sì che ognuno dei vostri regni agisca in conformità con il Dharma e non contro il Dharma. Non uccidete esseri viventi; non prendete nulla che non vi sia stato offerto; fate sì che il desiderio non vi faccia commettere adulterio; non mentite; di modo che la mia conquista non generi nulla in opposizione al Dharma e che voi non siate indulgenti verso coloro che agiscono contro il Dharma.
Dopo averli così esortati, il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, dimora come conquistatore delle terre orientali e, avendole sottomesse, entra nell’oceano orientale; entratovi, lo attraversa, quindi avanza nel cielo fino alle regioni meridionali, tra manifestazioni sovrannaturali. Il re Cakravartin continua ad avanzare, seguito dal suo possente esercito di quattro armate, e nello stesso modo sottomette la regione del sud. E poi, come quella del sud, quelle di ponente e del nord; dopo la completa conquista del nord, entra nell’oceano settentrionale, lo attraversa e passando nel cielo grazie a trasformazioni sovrannaturali ritorna alla sua capitale e si ferma al di sopra degli appartamenti femminili, senza essere affatto stanco.
È in questo modo che il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, possiede il tesoro della ruota.
In che modo il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro dell’elefante?
Il possesso del tesoro dell’elefante per il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come già si è detto. Esso è tutto bianco, ben saldo su sette membra; la sommità della testa è adorna d’oro, ha uno stendardo d’oro, è coperto da un manto d’oro e avvolto da una rete d’oro; possiede una forza sovrannaturale; attraversa i cieli e conosce bene la legge delle trasformazioni. Perciò questo re degli elefanti si chiama Bodhi (Saggezza).
Quando il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio di sperimentare il tesoro dell’elefante gli sale sul dorso all’alba, attraversa in ogni parte la grande terra circondata e delimitata dall’oceano e dopo essere ritornato alla capitale riassume con gioia il proprio ruolo.
È in questo modo che il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro dell’elefante.
In che modo il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro del cavallo?
Il possesso del tesoro del cavallo per il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come già si è detto. Esso è grigio con la testa nera e la criniera intrecciata; è docile quando viene montato, ha uno stendardo d’oro, un manto d’oro ed è avvolto da una rete d’oro; possiede poteri sovrannaturali; attraversa i cieli e conosce la legge delle trasformazioni. Perciò questo re dei cavalli si chiama Balōhaka (Velocità delle nubi).
Quando il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio di provare il tesoro del cavallo, lo monta all’alba, attraversa in ogni parte la grande terra circondata e delimitata dall’oceano; poi, dopo essere ritornato alla capitale riassume con gioia il proprio ruolo.
È in questo modo che il re Cakravartin è in possesso del tesoro del cavallo.
In qual modo il re Cakravartin possiede il tesoro della gemma?
Il possesso del tesoro della gemma per il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come già si è detto. Essa è pura, completamente blu, con le otto sfaccettature del lapislazzuli, fatta per costituire un bell’ornamento. Per il fulgore del tesoro della gemma, tutto il padiglione delle donne è ricolmo di luce. E quando il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio di provare il tesoro della gemma, a mezzanotte, immerso nelle tenebre, dopo aver attaccato il tesoro della gemma sulla cima di uno stendardo esce per osservare la bella terra del parco regale. A causa dello sfavillio della gemma l’intero esercito composto da quattro armate è illuminato fino alla distanza di uno yojana [8]. Gli uomini che si trovano nel raggio del tesoro della gemma, illuminati dalla sua luce, si vedono gli uni con gli altri, si riconoscono tra loro e si dicono vicendevolmente: Amici, alzatevi, date inizio alle attività, mettete in mostra le vostre merci; vediamo bene che il sole si è ormai levato.
È così che il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, possiede il tesoro della gemma.
In qual modo il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro della moglie?
Il possesso del tesoro della moglie per il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come già si è detto. Ella è una donna onorevole, nata da stirpe Kṣatriya; non troppo alta né troppo piccola, non troppo formosa né troppo magra; non troppo chiara né troppo scura; molto bella, gentile, piacevole a vedersi, con un bel colorito e perfettamente proporzionata. La sua pelle emana una profumo di sandalo; la sua bocca esala il profumo del loto blu. È dolce al tocco come un abito di Kāchilindi. Quando il clima è freddo le sue membra sono calde al tatto, quando fa caldo esse sono fresche. All’infuori che per il re Cakravartin, ella non prova desiderio per un altro uomo né con il pensiero né, a maggior ragione, con il corpo.
È così che il re Cakravartin possiede il tesoro della moglie.
In qual modo il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro del ministro?
Per il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, il possesso del tesoro del ministro è generato come già si è detto. Costui è sapiente, illuminato, prudente. Possiede una vista divina, e con essa vede fino alla distanza di uno yojana i tesori nascosti che hanno un proprietario e quelli che non ne hanno, e con questi (ultimi) adempie ai propri doveri per il bene del re Cakravartin.
È così che il re Cakravartin possiede il tesoro del ministro.
In qual modo il re Cakravartin è in possesso del tesoro del consigliere militare?
Per il re Cakravartin il possesso del tesoro del consigliere militare è generato come già si è detto. Egli è saggio, illuminato, prudente; e non appena il re manifesta il proprio pensiero egli appronta un esercito così come deve essere fatto.
È così che il re Cakravartin possiede il tesoro del consigliere militare.
È così che egli possiede i sette tesori; e con i mille figli che ha generato, eroici, coraggiosi, di grande bellezza, vincitori degli eserciti nemici, egli dimora nella grande terra circondata dall’oceano, da lui ben governata in armonia con il Dharma, senza fare uso di punizioni né della forza.
Se invece il Bodhisattva esce dalla sua dimora e va errando come un monaco, senza un luogo dove posare il capo [9], diverrà un Buddha; e dopo aver rigettato i desideri nati dalle passioni sarà, senza che alcuno gli sia di guida, il maestro degli dei e degli uomini.
Intanto, i figli degli dei che si erano recati nella terra di Jambu esortavano i Pratyekabuddha con queste parole: Venerabili, preparate il campo del Buddha [10]; tra dodici anni il Bodhisattva entrerà nel grembo di una madre.
In quello stesso tempo, o Monaci, nella grande città di Rājagṛha [11], sul monte Gōlangulaparivartana, viveva un Pratyekabuddha chiamato Mātaṇga. Avendo udito tale novella, egli restò immobile come fango su una roccia. Poi si innalzò in cielo fino all’altezza di sette alberi tāla ed essendo entrato nella regione del fuoco, come una fiaccola ormai estinta entrò nel Nirvāna definitivo. La sua bile, il flegma, i muscoli, i nervi, le ossa, la carne e il sangue, tutto scomparve, completamente consumato dal fuoco; solo le pure reliquie ricaddero a terra, e sono ancora oggi riconoscibili le orme del Ṛṣi [12].
In quello stesso tempo, o Monaci, nei dintorni di Vārāṇasī (Benares), nel Mrīgadāva, [13] a Ṛṣipatana, cinquecento Pratyekabuddha che vi dimoravano, avendo udito tale novella, si innalzarono nei cieli fino all’altezza di sette alberi tāla ed avendo raggiunto la regione del fuoco, come fiaccole ormai estinte entrarono nel Nirvāna definitivo. La loro bile, il flegma, i muscoli, i nervi, le ossa, la carne e il sangue, tutto scomparve, completamente consumato dal fuoco; solo le pure reliquie ricaddero a terra. E poiché i Ṛṣi erano così ricaduti, da allora quel luogo è chiamato Ṛṣipatana; inoltre da quel giorno le gazzelle vivono ancora colà in assoluta sicurezza, e per questo è anche detto Mrīgadāva.
Intanto, o Monaci, mentre dimorava nel cielo divino di Tuṣita il Bodhisattva praticò quattro grandi contemplazioni. Quali sono, queste quattro? La contemplazione del tempo, dei continenti, dei paesi, delle famiglie [14].
Per quale motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione del tempo? (Perché) un Bodhisattva non entra nel grembo di una madre all’inizio dell’evoluzione del mondo, quando gli esseri senzienti non sono ancora apparsi. Ma quando il mondo si è interamente manifestato e sono comparse la vecchiaia, la malattia e la morte, allora il Bodhisattva entra nel grembo di una madre.
Per quale motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione dei continenti? (Perché) i Bodhisattva non nascono in un continente di barbari; non nascono nel Pūrvavideha, nè nell’Aparagodānīya né nell’Uttarakuru, ma nascono certamente nel Jambudvīpa [15].
Per quale motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione dei paesi? (Perché) i Bodhisattva non vengono alla luce nei paesi dei barbari, nei quali vivono popoli di uomini in preda alle oscurazioni mentali, ignoranti; incapaci di parlare come i caproni e di distinguere i buoni dai cattivi insegnamenti; i Bodhisattva nascono invece nel paese di mezzo.
Per quale motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione delle famiglie? (Perché) i Bodhisattva non nascono in una famiglia indegna, in quella di un caṇḍāla [16], di un musico, di un carraio o di un servitore. Essi vengono alla luce certamente in due sole famiglie, quella dei Brāhmaṇi e quella degli Kṣatriya. Quando la famiglia dei Brāhmaṇi è rispettata, essi nascono in questa; quando è la famiglia Kṣatriya ad essere rispettata, nascono al suo interno. Oggi, o Monaci, la famiglia degli Kṣatriya è degna di rispetto, per cui i Bodhisattva è lì che nascono. Sostenendosi sulla forza di questo ragionamento il Bodhisattva mentre dimorava nel cielo divino di Tuṣita praticava le quattro grandi contemplazioni; quando ebbe terminato rimase in silenzio.
Allora i figli degli dei e i Bodhisattva si domandarono l’un l’altro: In quale eccelsa famiglia nascerà il Bodhisattva? Nel grembo di quale madre entrerà?
Alcuni dissero: La famiglia Vaideha, nel Magadha, che ha prosperato ed ha visto accrescere il proprio benessere, è quella più idonea affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri risposero: Non è adatta. Per quale motivo? Perché non è pura da parte di madre né di padre; è comparsa nel mondo a causa di piccoli meriti, e non per effetto di abbondanti meriti; è incivile, incostante, instabile; vive in un territorio sabbioso dove non vi sono né giardini nè laghi né stagni; la sua città è posta su pareti rocciose, come una città di barbari. Quindi non va bene.
Alcuni altri dissero: La famiglia Kōśala, che possiede un numeroso seguito, molti carri e grandi ricchezze, ecco quella che è adatta affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri ancora replicarono: Nemmeno questa è adatta, perché la famiglia Kōśala proviene dalla stirpe dei Mātaṇga [17].  Non è pura da parte di madre né di padre, e favorisce le persone di basso livello. Non è una famiglia di alto rango, in possesso di beni, di diamanti e di innumerevoli tesori di ogni tipo; quindi non va bene.
Alcuni dissero: La famiglia del re Vatsa, che ha accresciuto le proprie ricchezze, è la migliore affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri controbatterono: Non è adatta nemmeno questa, perché la famiglia del re Vatsa è volgare, violenta, non risplende di alcuna nobiltà. Ha le sue origini presso genti straniere, non è cresciuta grazie ai meriti delle azioni del padre e della madre; il re parla costantemente di guerra. Nemmeno questa è adatta.
Alcuni affermarono: La grande città di Vaiśālī [18], ricca ed estesa, felice per la sua prosperità, deliziosa, animata da abitanti che vi dimorano in gran numero, abbellita da terrazze, porticati, colonne, oeils-de-boeuf, sale estive, padiglioni, palazzi; addobbata ovunque con ghirlande di fiori dei suoi giardini e dei suoi boschetti, simile alla città dove vivono gli dei: è proprio quella più appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri replicarono: Non è adatta, perché le persone non parlano tra loro in maniera conveniente; non viene onorato il Dharma; non vi sono rispettati né gli uomini di rango superiore, né gli adulti né gli anziani né i capi. Ognuno pensa in cuor suo: Io sono re! E così pensando, nessuno accetta la propria condizione di discepolo né l’autorità del Dharma. Quindi nemmeno questa è idonea.
Qualcuno disse: Nella città di Ujjain, la famiglia Pradyōta, che possiede un potente esercito e grandi carri, che ha sconfitto il nemico schierato per la battaglia, è la più appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri controbatterono: Non è adatta nemmeno questa, perché gli abitanti sono violenti, avventati, crudeli, impetuosi, irascibili e non si curano delle conseguenze delle loro azioni. Non è conveniente che il Bodhisattva vi entri e vi dimori nel grembo di una madre.
Alcuni proposero: La città di Matura [19] è ricca, vasta, fiorente e abitata in ogni sua parte da una numerosa popolazione; il palazzo del re Subāhu, capo di un valoroso esercito, è adatto affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Ma altri risposero: Non va bene neanche questa, perché il re è nato in una famiglia nella quale le false visioni si trasmettono da una generazione all’altra e regna su genti simili a barbari. Non è conveniente che un Bodhisattva giunto alla sua ultima rinascita faccia parte di una famiglia che ha false visioni. Quindi neanche questa va bene.
Qualcuno disse: Nella città di Hastināpur vive la famiglia di un re che discende dalla stirpe dei Pāṇḍava, potenti eroi di grande bellezza, vincitori degli eserciti nemici; è una famiglia adatta affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
E altri obiettarono: Non è adatta, perché coloro che sono nati nella famiglia dei Pāṇḍava hanno creato molta confusione nella loro genealogia: Yudhiṣṭhira è detto figlio di Dharma, Bhīmasēna figlio di Vāyu, Arjuna figlio di Indra, i gemelli Nakula e Sahadeva figli degli dei Aśvin [20]. Si tratta quindi di una famiglia di cui non è bene che il Bodhisattva entri a far parte dimorando nel grembo di una madre.
Alcuni proposero: La città di Mithilā, nella quale prosperano il benessere e la gioia, una terra abitata dal re Sumitra, che possiede elefanti, cavalli, grandi eserciti, e oro in abbondanza, argento, perle, diamanti, lapislazzuli, conchiglie, cristalli, coralli, oro nativo, beni ed attrezzi di ogni tipo; temibile a causa della sua invincibile armata di re e di consiglieri militari, vincitore dei nemici, circondato da amici, in armonia con il Dharma – è questa la famiglia più appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Ed altri replicarono: Non è appropriata, perché il re Sumitra, che invero possiede tali qualità, è così anziano che non è in grado di generare un figlio; inoltre ha già molti figli, quindi non è una famiglia idonea a che il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
In questo modo i Bodhisattva e gli dei dopo aver passato in rassegna le più eccelse tra le maggiori famiglie regali che dimoravano nei sedici grandi regni di Jambudvīpa, videro infine che tutte, quali che fossero, avevano dei difetti.
Mentre essi riflettevano, il figlio di un dio chiamato Jñānakētudhvaja, irremovibile nella ricerca del Risveglio e fermamente stabilito nel Grande Veicolo, così si rivolse alla vasta assemblea dei Bodhisattva e degli dei: Venite, amici. Rechiamoci presso il Bodhisattva in persona e chiediamogli in quale eccellente famiglia, dotata di ogni sorta di qualità, colui che è giunto alla sua ultima esistenza sarà generato.
Ben detto! Ben detto! dissero. E tutti, con le mani rispettosamente giunte, recatisi presso il Bodhisattva, lo interrogarono: O Sublime! [21] In quale eccellente famiglia, dotata di ogni sorta di qualità, colui che è giunto alla sua ultima esistenza sarà generato?
Rivolgendosi alla grande assemblea di Bodhisattva e di dei il Bodhisattva disse: Amici, la famiglia nella quale il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza rinascerà è dotata di sessantaquattro qualità. Quali sono le sessantaquattro qualità? Eccole: la famiglia è molto nota; non punisce coloro che non sono malvagi; appartiene ad una classe elevata, ad un nobile lignaggio; si è realizzata grazie ai Grandi Esseri del passato; si è realizzata grazie ai Nobili Grandi Esseri; si è realizzata grazie ai Grandi Esseri che si sono distinti; si è realizzata grazie ai Grandi Esseri famosi per il loro grande potere. In questa famiglia vi sono molte donne e molti uomini; essa non conosce paure, non è umiliata né prostrata; non è ambiziosa; ha purezza di costumi; possiede la saggezza; è tenuta in alta considerazione dai suoi consiglieri; si dedica ad utili attività; fruisce con gioia dei propri beni; coltiva amicizie durevoli; risparmia la vita degli esseri rinati in forma animale; questa famiglia è riconoscente, non agisce secondo i propri desideri; non agisce sulla base del piacere, dell’ignoranza o della paura; essa è senza timore ed è irreprensibile; non dimora nell’ignoranza; elargisce abbondanti offerte; è incline all’azione, all’abnegazione, al dono; tiene in alta considerazione le azioni risolute. Possiede stabilmente una grande energia, la forma superiore dell’energia eroica; essa onora i Ṛṣi, le divinità, i chaitya [22], gli antenati; non è schiava delle inimicizie; il suo nome è conosciuto nelle dieci direzioni dello spazio; possiede un grande seguito che non può essere diviso, un seguito che nulla può sorpassare; è la migliore delle famiglie, la più rispettata; ha ottenuto la suprema autorevolezza che spetta ad una famiglia; è nota per la grandezza del suo potere; è rispettosa del padre e della madre; rende onore agli Śramaṇa e ai Brāhmaṇi. Possiede grandi quantità di cereali e di oggetti preziosi; è proprietaria di abbondanti ricchezze, di oro, diamanti, perle, lapislazzuli, cristalli, corallo, oro nativo, argento, beni ed attrezzi di ogni tipo; possiede molti elefanti, cavalli, cammelli, buoi e montoni; ha un gran numero di operai e di schiavi di ambo i sessi; è una famiglia insuperabile: tutte le sue azioni hanno avuto buon esito; è nata dalla stirpe dei re Cakravartin; questa famiglia è il frutto delle radici piantate in un passato virtuoso. È stata generata da una stirpe di Bodhisattva; è una famiglia libera da tutte le impurità che provengono dalla nascita in tutti i mondi degli dei, dei demoni e di Brahmā, nella comunità degli Śramaṇa e dei Brāhmaṇi.
Così, o amici, la famiglia nella quale nasce un Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza è dotata dei sessantaquattro segni [23].
O amici, la donna nel cui grembo discende il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza possiede trentadue qualità. Quali sono le trentadue qualità? Eccole.
Il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza discende nel grembo di una donna conosciuta da tutti e nota per le sue qualità; ella non trascura alcun dovere; appartiene ad un lignaggio perfetto, ad una famiglia perfetta; è di grande bellezza; possiede un nome eccellente e una figura di perfette proporzioni; non ha ancora avuto figli; ha purezza di costumi; possiede grande abnegazione, un viso sorridente, è generosa nell’accoglienza; è saggia, sottomessa, priva di timore, ha grande esperienza; è colta, schietta, spontanea; non conosce invidia, gelosia, leggerezza e infedeltà; non è troppo loquace; è paziente, forte, modesta, riservata; non è passionale, non prova né avversione né turbamenti; non ha i difetti tipici delle donne; è devota al marito e possiede ogni tipo di buone qualità.
È nel grembo di una donna siffatta che il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza dovrà discendere. O amici, la donna nel cui grembo il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza possiede questi trentadue tipi di qualità. Inoltre, o amici, il Bodhisattva non discende nel grembo di una madre durante la quindicina oscura, ma in quella luminosa, il quindicesimo giorno, il giorno della luna piena, durante la congiunzione con Puṣya [24]. In quel giorno il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza entra nel grembo di una madre dedita alle pratiche religiose.
I Bodhisattva e i figli degli dei che nel frattempo avevano appreso dal Bodhisattva in cosa consistesse la purezza perfetta della famiglia e della madre, pensarono: quale può essere la sola famiglia dotata delle qualità indicate dal Sublime? E dopo aver riflettuto ed aver dimorato nello stato meditativo dissero tra loro: La città degli Śākya è prospera, grande, felice, ricca, deliziosa; è abitata ovunque da una numerosa popolazione. Il re Śuddhodana è di stirpe pura da parte di madre come da parte di padre; ha una moglie pura, e il suo agire è puro; è perfetto e molto saggio; risplende per i suoi meriti; è nato in una famiglia illustre, che ha origine da una stirpe di re Cakravartin; possiede ricchezze, tesori e beni incommensurabili di ogni specie; crede nel karma e non ha visioni erronee. In tutto il territorio degli Śākya è l’unico re che sia onorato e rispettato dai capi dei mercanti, dai ministri, dai consiglieri e da tutti coloro che compongono il suo seguito. È aggraziato e di bell’aspetto; non troppo anziano né troppo giovane; il suo corpo è dotato di ogni buona qualità. Conosce i cerimoniali, conosce la verità, conosce il mondo e i segni. Re del Dharma, governa secondo il Dharma. La grande città di Kapilavastu [25] è la dimora di esseri che generano la radice della virtù; tutti coloro che vi sono nati condividono una parte delle qualità del loro re. La sposa del re Śuddhodana è Māyādevī, figlia del re Śākya Suprabuddha; ella è giovane, nel fiore degli anni, di perfetta bellezza. Non ha ancora avuto figli, né maschi né femmine. È bella come un raffinato dipinto, simile ad una dea riccamente adorna, priva di difetti e sincera. Mai aspra né scostante. Mai distratta, sempre impeccabile. La sua voce è come quella del cuculo [26], non è mai ciarliera, dice parole dolci e piacevoli; ha veramente abbandonato la collera, l’orgoglio, l’arroganza, la passione, la violenza; non prova invidia, parla al momento giusto; pratica il dono in modo perfetto; è virtuosa, felice del suo sposo e a lui devota; non rivolge mai il suo pensiero ad altri uomini. Il suo viso, il naso, le orecchie, tutto è ben proporzionato; i suoi capelli hanno il bel colore delle api nere. Ha una fronte alta, e belle sopracciglia mai aggrottate. Il suo viso è sorridente, ed ella parla in maniera appropriata, le sue parole sono dolci e misurate. Accoglie con grazia, è corretta, schietta, spontanea, franca, modesta e riservata; mai rude né superficiale, non pronuncia parole ingiuriose o insensate. Non è preda di passioni, di avversione né di turbamenti; è dolce e paziente. I suoi piedi, le mani, gli occhi sono ben curati, mani e piedi delicati. Ella è dolce al tatto come una veste di Kāchilindi. Come una foglia novella del loto blu il suo sguardo è perfettamente puro. Il suo naso, dalla bella forma, ha un gradevole colorito. Le braccia sono forti e si incurvano come un arcobaleno; le sue membra sono ben sviluppate e di forma perfetta in ogni loro parte. Le labbra sono rosse come il frutto Bimba [27]: ella affascina chi la guarda. Il suo collo è perfettamente simmetrico, adorno di splendide collane; i denti sono puri come fiori di gelsomino. Le spalle sono proporzionate e le sue braccia vi si uniscono con grazia; il ventre ha la curvatura di un arco, i fianchi sono perfetti, l’ombelico profondo, le anche dolcemente sviluppate, sode e tornite. È forte come il diamante, tutto il suo corpo è senza eguale. Le cosce ben proporzionate sono come la proboscide di un elefante, le gambe simili a quella di un’antilope Ēnaya. Le palme delle mani e le piante dei piedi somigliano ad una lacca rosea. Ella è piacevole alla vista per tutti gli esseri; i suoi occhi sono privi di difetti. Incanta il cuore e gli occhi, è tra le donne come una perla che si distingue per la perfezione della sua bellezza. Nessuna le è pari; e poiché il suo corpo pare il frutto di una illusione, le è stato attribuito il significativo nome di Māyā [28]. Esperta in ogni arte, simile ad una Apsarā nel Nandana [29], ella dimora negli appartamenti delle donne del grande re Śuddhodana. È in lei che si trovano riunite tutte le qualità necessarie per divenire la madre del Bodhisattva.
Questo significa perfetta purezza della famiglia, così come è descritta dal Bodhisattva, e si manifesta proprio nella famiglia degli Śākya.
E qui così è detto:
1. Nel palazzo Dharmōchaya l’Essere Puro siede sul trono del Sublime Dharma. Il Ṛṣi è circondato dagli dei che condividono la sua buona sorte e dai Bodhisattva dalla grande reputazione.
2. Mentre Egli era colà seduto, sorse un pensiero: Qual è la famiglia di perfetta purezza e saggezza, idonea quindi perché il Bodhisattva vi possa nascere? E dove sono una madre e un padre con qualità ugualmente pure?
3. E ancora, osservando attentamente il continente Jambu: qual è un grande Kṣatriya di stirpe regale? Poi, vedendo che tutti avevano difetti, hanno trovato che solo la famiglia degli Śākya ne era priva.  
4. Śuddhodana, nato in una famiglia di re, appartiene ad una stirpe di uomini superiori, ad un lignaggio di perfetta purezza; la sua famiglia è felice e prospera senza generare conflitti, è onorata da coloro che sono virtuosi e rispetta il Dharma.
5. Nella città di Kapila anche gli altri esseri hanno menti rette e pure. Abbellito da parchi, giardini e vihāra [30], il luogo natio del Bodhisattva risplende nella città di Kapila.
6. Tutti coloro che vi rivestono un ruolo di grande rilevanza possiedono la forza di due o tre elefanti. Eccellono nel tiro con l’arco, e tuttavia non colpiscono altri esseri nemmeno per proteggere la propria vita.
7. L’incantevole moglie di Śuddhodana è la prima tra mille, poiché ha raggiunto la perfezione. Ella rapisce il cuore, come fosse frutto di magia, ed il suo nome è proprio Māyādevī.
8. La sua bellezza è perfetta come quella di una giovane figlia degli dei; il suo corpo è di perfette proporzioni, le sue membra sono prive di ogni difetto.
9. Nessun dio o essere umano può saziarsi della vista di Māyā. Ella non è travolta dall’attaccamento né offuscata dall’avversione; è amorevole, dolce, giusta e si esprime con bontà.
10. Modesta e casta, ella segue il Dharma. Non conosce orgoglio, presunzione, superficialità; è schietta e spontanea; prova gioia nella rinuncia, ed ha pensieri di benevolenza.
11. Conosce le leggi del karma, ha abbandonato la menzogna e dimora costantemente nella verità; corpo e mente sono perfettamente controllati. Degli innumerevoli difetti delle donne così diffusi su tutta la terra in lei non vi è traccia.
12. Nei mondi degli dei, dei Gandharva e degli uomini non vi è donna pari a lei. Come vi può essere chi le sia superiore? Ecco ciò che è opportuno per divenire madre del grande Ṛṣi.
13. Nel corso di cinquecento rinascite, senza alcuna eccezione, è stata madre del Bodhisattva e ovunque Śuddhodana ne è stato il padre. Ella possiede quindi tutte le qualità grazie alle quali può esserne la madre.
14. Come un asceta ella dimora impassibile nelle austerità e praticandole è costantemente in armonia con il Dharma. Con il consenso del re, ha ottenuto la grazia di rinunciare al desiderio per trentadue mesi.
15. Ovunque si trovi, in piedi, seduta, distesa sul suo giaciglio, la sua postura risplende, illuminata dal fulgore delle sue azioni virtuose.
16. Non esiste un dio, un Asura o un uomo che possa guardarla generando pensieri di desiderio. Gli esseri che seguono i sentieri virtuosi e sono dotati delle qualità più nobili, tutti vedono in lei una madre o una figlia.
17. A seguito delle azioni virtuose di Māyādevī, la grande famiglia del re fiorisce. Egli non invade le terre dei re vicini, e pertanto la sua fama e la sua gloria si accrescono.
18. Così come Māyā è summum vas [31], ugualmente il Venerabile risplende sovrano. Si potranno così vedere due esseri dotati delle supreme qualità: il figlio e sua madre Māyā.
19. Infatti in tutto il Jambudvīpa non vi è donna degna di portare nel grembo il più nobile degli uomini, tranne la regina dalle qualità senza eguali e dalla forza di mille elefanti.
20. è in questo modo che i magnanimi figli degli dei, insieme con i Bodhisattva che hanno realizzato la grande saggezza, lodano Māyā, che possiede ogni buona qualità e che è degna di essere la madre del figlio della stirpe Śākya.

Capitolo intitolato: La perfetta purezza della stirpe, il terzo.

NdT
[1] Alla lettera, il centro del Dharma.
[2] Il Bodhisattvayāna, che è il Grande Veicolo (Mahāyāna) per eccellenza.
[3] I trentadue marchi maggiori del corpo di un Budda: ad es. piedi e mani contrassegnati da una ruota, dita affusolate, peli diritti, pelle dorata, spalle larghe, occhi blu… Cfr. il Dizionario del Buddhismo, pag. 79.
[4] Diverrà o un re o un Buddha.
[5] Un re Cakravartin (il sovrano della ruota, monarca universale) è dotato di sette tesori (in sanscrito sapta rājāyaratna), emblemi particolari dalle straordinarie qualità.
[6] Posadha, o uposatha, giorni del mese lunare dedicati al digiuno o, nel buddhismo, a incontri particolari dei monaci, alla recitazione dei voti e alla pratica della confessione.
[7] Un tipo di palma.
[8] Unità di misura pari ad una distanza che varia, a seconda dei testi, da 6 a 16 km.
[9] Traduco con un voluto riferimento evangelico (Luca 9, 58: Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo) il francese sans asile, senza rifugio. Nella tradizione del Buddhismo Zen moderno, il maestro Kodo Sawaki (1880-1965) era chiamato Yadonashi, il senza dimora.
[10] Buddhakṣetra, i regni creati dai Buddha per accogliervi gli esseri senzienti e facilitare la loro liberazione. Cfr. il Dizionario del Buddhismo, pag. 92.
[11] Capitale del regno del Magadha, nell’India centrale. Vi si svolse il primo concilio. Nei dintorni si trova il Picco dell’Avvoltoio, dove il Buddha diede il secondo giro della Ruota del Dharma e rilasciò gli insegnamenti della Prajnāpāramitā.
[12] Termine sanscrito (leggasi: rishi) che indica il veggente, un modello ideale per coloro che seguono la via spirituale.
[13] Il Parco delle Gazzelle (o dei Daini) di Sārnāth, nel quale il Buddha tenne il sermone sulle Quattro Nobili Verità, poco dopo il Risveglio.
[14] Tempo, continente, paese, famiglia, in cui sarebbe nato.
[15] I continenti che si trovano rispettivamente ad est, ovest, nord e sud del monte Meru (o Sumeru), il monte d’oro che costituisce l’axis mundi e su cui precipita la Gaṅgā celeste, per poi dividersi nei quattro fiumi terrestri.
[16] I paria, o dalit, alla lettera oppressi, ma più noti come intoccabili, fuori-casta. Gandhi li chiamava Harijan, figli di Dio.
[17] Fuori-casta.
[18] Capitale del Licchavi, una delle prime repubbliche dell’antica India (VI secolo a.C.). 
[19] O Muttra, a sud di Nuova Delhi, sul fiume Yamuna.
[20] I fratelli Pāṇḍava sono i protagonisti del maggior poema epico indiano, il Mahābhārata. Sono figli di Pāṇḍu e delle sue mogli Kuntī (i primi tre) e Mādrī (gli altri due). Essi sono altresì considerati figli degli dei citati nel testo (Dharma, personificazione della Legge cosmica, di ciò che sostiene l’universo – Vāyu, dio del vento – Indra, primo tra gli dei – gli Aśvin, divinità gemelle identificate con Castore e Polluce). Una sorta di “doppia paternità”, quindi, che porta ad una genealogia non bene identificabile.
[21] Traduco con O Sublime il testo francese Excellent Pourucha, che mantiene non tradotto il termine sanscrito Puruṣa, uomo, maschio, o anche genere umano. Si tratta di una figura cosmogonica, il principio creativo, il maschio primordiale che racchiude in sé l’universo e rappresenta la totalità. Il che non va ovviamente inteso nel senso che il Buddha sia un dio creatore!
La versione inglese traduce con Sublime Being (si veda: https://aryanthought.files.wordpress.com/2014/05/lalitavistara-sutra.pdf).
[22] Sale dedicate al culto, scavate direttamente nella roccia.
[23] Seguendo la traduzione francese del testo tibetano di Pauthie e Brunet nonché la traduzione inglese sopra citata, ho collegato il periodo in tutti i mondi degli dei, dei demoni… con il precedente, dove si parla delle impurità della nascita, anziché, come fa De Foucaux, con il successivo.
[24] Un asterismo – ovvero un gruppo di stelle, una costellazione o una parte di essa – particolarmente importante nel sistema astrologico indiano. Nel sito http://planet.racine.ra.it/ si legge che Pushya, il Fiore, raffigurato da una luna crescente sulla punta di una freccia, è la residenza della divinità vedica Brihaspati, il Signore della Preghiera, maestro degli dei.
[25] Oggi una città del Nepal, con 27mila abitanti.
[26] L’uccello qui citato è il kōkila, il koel comune (Eudynamys scolopaceus), un cuculo tipico dell’Asia meridionale.
[27] Il frutto del vitigno tropicale Coccinia grandis, noto come zucca edera o baby anguria.
[28] Māyā, in sanscrito illusione, potere miracoloso di generare ciò che è in contrasto con la norma (da cui magia), è anche il nome della dea (devi) che ne è la personificazione.
[29] Il giardino del dio Indra.
[30] In origine abitazioni e luoghi messi a disposizione del Buddha e della comunità per i ritiri della stagione delle piogge, poi, per estensione, i monasteri buddhisti. La regione indiana del Bihār trae il suo nome dal termine vihāra.
[31] De Foucaux riporta l’espressione vase convenable (dove vase è vaso, ovviamente nel senso di grembo, seno, ventre), che traduco con il latino summum vas per richiamare volutamente le Litanie Lauretane dedicate alla Vergine Maria, una figura archetipica della Madre non così lontana da quella di Māyādevī.

La Ruota del Dharma



Capitolo quarto

Luminose porte del Dharma

Dopo aver identificato la famiglia nella quale nascerà, il Bodhisattva continua ad insegnare il Dharma agli dei. – Un incommensurabile numero di Bodhisattva giunti dalle dieci direzioni dello spazio e divenuti visibili agli dei grazie alla benedizione del Bodhisattva. – Le centootto porte del Dharma insegnate ai figli degli dei dal Bodhisattva. Frutti che molti di essi ricavano dagli insegnamenti. – Ultime raccomandazioni del Bodhisattva agli dei. Egli li esorta a seguirle per giungere insieme con lui alla liberazione finale.

Quindi, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver esaminato attentamente quale fosse la famiglia nella quale sarebbe nato sedette nel grande palazzo chiamato Uccadvhvaja, nel regno di Tuṣita, esteso per sessantaquattro yojana, e lì insegnò il Dharma agli dei Tuṣita. Il Bodhisattva salì nel grande palazzo dopodiché invitò tutti gli dei Tuṣitakāyika: Riunitevi tutti, e ascolterete dalla bocca del Bodhisattva, quale ultimo insegnamento da ricordare, ciò che è chiamato Śhyutyākāraprayōga (La cerimonia della discesa). Così egli parlò, ed avendo udito le sue parole tutti i figli degli dei Tuṣitakāyika e un gran numero di Apsarā si riunirono nel palazzo.
Da quel luogo il Bodhisattva impartì la benedizione sugli elementi del vasto mondo, composto dai quattro continenti, fino al suo estremo confine.
Il mondo ne risultò così bello, così gradevole a vedersi, così adorno, così delizioso, che tutti gli dei Kāmavachara e i figli degli dei Rūpavachara guardando le proprie dimore ebbero l’impressione di trovarsi in un campo di cremazione.
Il Bodhisattva sedette su un trono completamente adorno grazie alla compiuta maturazione dei suoi meriti: il trono era incastonato di molte pietre preziose, ornato da una composizione di innumerevoli fiori, impregnato di profumi celestiali e delle più pure essenze, adorno di fragranti fiori divini dei più diversi colori, scintillante dello splendore di tante migliaia di gioielli, ricoperto da intrecci guarniti di pietre preziose e risonanti per le numerose campanelle che li decorano, facendo udire il suono di diverse centinaia di migliaia di campane preziose, ricoperto da centinaia di migliaia di reti preziose, riparato da molte centinaia di migliaia di pregiati parasole, ricoperto da centinaia di migliaia di frange e di tele di seta, lodato da ogni parte dai canti e dai suoni di innumerevoli Apsarā, lodato per centinaia di migliaia di buone qualità, custodito da schiere di Guardiani del mondo; onorato da innumerevoli Brahmā, sostenuto da incalcolabili Bodhisattva, oggetto di pensieri senza fine da parte di molte centinaia di migliaia di niyuta di koti di Buddha nelle dieci direzioni dello spazio; generato dalla perfetta maturazione dei meriti trascendenti accumulati durante infiniti niyuta di koti di Kalpa. 
In tal modo, o Monaci, il Bodhisattva assiso sul trono dotato di cotante qualità si rivolse a quella grande assemblea di dei: Guardate, amici, il corpo del Bodhisattva compiutamente adorno dei segni di cento meriti. Guardate a levante, a ponente, al nord, in basso, in alto, in ogni dove, nelle dieci direzioni dello spazio – guardate i Bodhisattva, in numero tale da andare al di là di ogni calcolo, i quali, nel cielo di Tuṣita, prossimi alla loro ultima esistenza, circondati da schiere di dei, quale manifestazione della discesa da Tuṣita, insegnano con chiarezza la porta del Dharma [1].
Tutta l’assemblea degli dei grazie alla benedizione del Bodhisattva poté vedere i Bodhisattva e avendoli visti, rivoltasi verso il Bodhisattva e avendolo salutato giungendo le mani, lo adorò mediante la prosternazione delle cinque membra [2] e pronunciò rispettosamente queste parole: Meraviglioso! La benedizione del Bodhisattva è inafferrabile per il pensiero, poiché non appena abbiamo rivolto lo sguardo abbiamo visto i Bodhisattva!
Ed egli rivolgendosi nuovamente alla grande assemblea degli dei disse loro: Perciò dunque, amici, ascoltate, quale manifestazione della discesa (da Tuṣita) che delizia le divinità, l’insegnamento delle porte luminose del Dharma, che i Bodhisattva rilasciano agli dei; esso è composto da centootto porte [3], ed è sempre spiegato dai Bodhisattva all’assemblea degli dei al tempo della discesa. Quali sono le centootto porte? Sono queste:
1. La fede, amici, è una porta luminosa del Dharma; essa conduce ad una motivazione incrollabile.
2. La serenità è una porta luminosa del Dharma; essa conduce la mente offuscata ad uno stato di calma.
3. Ciò che genera la gioia è una porta luminosa del Dharma; esso porta alla perfezione (del corpo).
4. L’accontentamento è una porta luminosa del Dharma; esso genera la purezza della mente.
5. Il controllo del corpo [4] è una porta luminosa del Dharma; esso conduce alla purificazione delle tre azioni non virtuose del corpo.
6. Il controllo della parola è una porta luminosa del Dharma; esso porta al completo abbandono delle quattro azioni non virtuose della parola.
7.Il controllo della mente è una porta luminosa del Dharma; esso porta al completo abbandono delle tre azioni non virtuose della mente [5].
8. Il ricordo del Buddha è una porta luminosa del Dharma; esso genera la pura percezione del Buddha.
9. Il ricordo del Dharma è una porta luminosa del Dharma; esso genera la pura comprensione del Dharma.
10. Il ricordo della Comunità dei praticanti [6] è una porta luminosa del Dharma; esso porta a non trasgredire le regole.
11. Il ricordo della rinuncia è una porta luminosa del Dharma; esso conduce al completo abbandono di ogni fenomeno composto [7].
12. Il ricordo della condotta virtuosa è una porta luminosa del Dharma; esso conduce al perfetto compimento delle aspirazioni.
13. Il ricordo delle divinità è una porta luminosa del Dharma; esso genera la stabilità della mente.
14. La gentilezza è una porta luminosa del Dharma; essa porta al di là dei meriti generati dalle azioni virtuose provenienti dai fenomeni composti.
15. La compassione è una porta luminosa del Dharma; essa genera la non-violenza.
16. La gioia è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla scomparsa di ogni dispiacere.
17. L’equanimità è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al disprezzo nei confronti del desiderio.
18. La meditazione sull’impermanenza è una porta luminosa del Dharma; essa porta a superare l’attaccamento verso gli oggetti del desiderio, abbiano essi o meno una forma.
19. La meditazione sulla sofferenza è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla soppressione delle erronee motivazioni.
20. La meditazione sul non-Sé è una porta luminosa del Dharma; essa porta a superare l’attaccamento alla falsa nozione del Sé.
21. La meditazione sulla pace è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’estinzione della fiamma della passione.
22. L’umiltà è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla pace interiore.
23. La modestia è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla pace interiore.
24. La verità è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non ingannare né gli dei né gli uomini.
25. L’autenticità è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non ingannare se stessi.
26. La pratica del Dharma è una porta luminosa del Dharma; essa porta a prendere rifugio nel Dharma.
27. La presa di rifugio nei Tre Gioielli è una porta luminosa del Dharma; essa porta all’abbandono delle vie errate.
28. La riconoscenza è una porta luminosa del Dharma; essa porta a non distruggere la radice delle azioni virtuose.
29. La conoscenza degli effetti delle azioni è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’apprezzamento degli altri.
30. La conoscenza di sé è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non lodare se stessi.
31. La conoscenza degli esseri senzienti è una porta luminosa del Dharma; essa porta a non biasimare gli altri.
32. La conoscenza del Dharma è una porta luminosa del Dharma; essa genera lo zelo verso il Dharma e ciò che dal Dharma deriva.
33. La conoscenza del tempo è una porta luminosa del Dharma; essa genera la corretta visione di ciò che è veramente importante.
34. L’abbandono dell’orgoglio è una porta luminosa del Dharma; esso conduce alla perfetta conoscenza.
35. Il pensiero privo di avversione è una porta luminosa del Dharma; esso porta ad aver cura di sé e degli altri.
36. L’abbandono della collera è una porta luminosa del Dharma; esso permette di essere liberi dal rimpianto.
37. Il rispetto è una porta luminosa del Dharma; esso conduce ad una totale assenza di dubbio.
38. La discriminazione di ciò che non è virtuoso è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono delle scelte fondate sul desiderio.
39. L’assenza di malvagità è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono delle scelte fondate sulla malvagità.
40. L’assenza di agitazione mentale è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla scomparsa di ogni forma di ignoranza.
41. La ricerca del significato del Dharma è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla presa di rifugio nel significato del Dharma.
42. Il desiderio del Dharma è una porta luminosa del Dharma; esso porta ad ottenere la luce del Dharma.
43. L’indagine su ciò che è stato rivelato è una porta luminosa del Dharma; essa conduce fin dall’inizio ad uno studio attento del Dharma.
44. La corretta pratica è una porta luminosa del Dharma; essa genera la corretta comprensione.
45. La completa conoscenza di nome-e-forma [8] è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al superamento di ogni attaccamento.
46. La corretta visione delle cause è una porta luminosa del Dharma; essa genera la definitiva liberazione attraverso la conoscenza.
47. L’abbandono del veleno dell’avversione è una porta luminosa del Dharma; esso genera una mente non giudicante.
48. La conoscenza concreta degli aggregati [9] è una porta luminosa del Dharma; essa produce la perfetta conoscenza della natura della sofferenza.
49. L’uguaglianza degli elementi è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’abbandono di tutto ciò che è causato.
50. Il ritrarsi dagli organi dei sensi [10] è una porta luminosa del Dharma; esso genera la comprensione della Via.
51. La pazienza verso ciò che non è nato è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla realizzazione della cessazione delle nascite.
52. L’attenzione rivolta al corpo è una porta luminosa del Dharma; essa porta a distaccarsi dal corpo.
53. L’attenzione rivolta alle sensazioni è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla cessazione delle sensazioni [11].
54. L’attenzione rivolta alla mente è una porta luminosa del Dharma; essa genera la comprensione di ciò che nella mente è illusorio.
55. L’attenzione rivolta agli oggetti mentali è una porta luminosa del Dharma; essa genera la saggezza priva di oscurazioni.
56. I quattro abbandoni completi sono una porta luminosa del Dharma; essi conducono all’abbandono di ogni qualità non virtuosa e al compimento di ogni qualità virtuosa.
57. I quattro fondamenti dei poteri miracolosi sono una porta luminosa del Dharma; essi generano la leggerezza del corpo e della mente.
58. La facoltà della fede è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non dipendere dalla guida degli altri.
59. La facoltà dell’energia è una porta luminosa del Dharma; essa genera una profonda saggezza.
60. La facoltà dell’attenzione è una porta luminosa del Dharma; essa genera la produzione di azioni virtuose.
61. La facoltà del raccoglimento è una porta luminosa del Dharma; essa porta alla completa liberazione della mente.
62. La facoltà della saggezza è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla superiore conoscenza discriminante.
63. La forza della fede [12] è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a trascendere la forza del demone [13].
64. La forza dell’energia è una porta luminosa del Dharma; essa permette di non regredire.
65. La forza dell’attenzione è una porta luminosa del Dharma; essa porta a non distrarsi dalla verità.
66. La forza del raccoglimento è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono di ogni incertezza.
67. La forza della saggezza è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’assenza di illusioni.
68. L’attenzione, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa genera la comprensione del Dharma così come esso è.
69. L’esame profondo della dottrina, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; esso conduce al compimento di tutti gli insegnamenti.
70. La perseveranza, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa genera la suprema intelligenza.
71. La gioia, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa produce il perfetto assorbimento meditativo.
72. La padronanza di sé, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al compimento delle proprie azioni.
73. Il raccoglimento, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; esso genera il riconoscimento dell’uguaglianza di tutti i fenomeni.
74. L’equanimità, che è uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa produce l’avversione nei confronti di ogni rinascita.
75. Il retto punto di vista è una porta luminosa del Dharma; esso non permette di trasgredire le regole.
76. Il retto pensiero è una porta luminosa del Dharma; esso genera l’abbandono di ogni incertezza, dubbio, indecisione.
77. La retta parola è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a comprendere che ogni sillaba, ogni parola, ogni discorso sono simili ad un’eco [14].
78. La retta azione è una porta luminosa del Dharma; essa evita la maturazione degli effetti delle azioni negative.
79. I retti mezzi di esistenza sono una porta luminosa del Dharma; essi generano la cessazione di ogni desiderio.
80. Il retto sforzo è una porta luminosa del Dharma; esso conduce all’approdo sull’altra sponda.
81. La retta attenzione è una porta luminosa del Dharma; essa libera dagli oscuramenti che la ostacolano.
82. La retta meditazione profonda è una porta luminosa del Dharma; essa produce il perfetto raccoglimento di una mente imperturbabile.
83. Il pensiero della suprema saggezza [15] è una porta luminosa del Dharma; esso genera la continuità del lignaggio dei Tre Gioielli.
84. La motivazione è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non desiderare di seguire il Piccolo Veicolo [16].
85. La motivazione di ordine superiore è una porta luminosa del Dharma; essa genera la chiara visione del Buddhadharma.
86. L’impegno è una porta luminosa del Dharma; esso conduce alla perfetta realizzazione di tutte le azioni virtuose.
87. La perfezione della generosità è una porta luminosa del Dharma; essa genera la completa purezza dei marchi maggiori, dei segni minori e delle Terre dei Buddha – e la perfetta maturazione di ogni essere avido [17].
88. La perfezione dell’etica è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al superamento di ogni turbamento e di ogni via erronea, e alla completa maturazione degli esseri che compiono azioni malvagie.
89. La perfezione della pazienza è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al completo abbandono della malvagità, della malizia, dell’avversione, dell’orgoglio e della superbia, nonché alla completa maturazione degli esseri con motivazioni negative.
90. La perfezione dell’energia [18] è una porta luminosa del Dharma; essa genera le radici di ogni azione virtuosa e la perfetta maturazione degli esseri che cedono alla pigrizia.
91. La perfezione della concentrazione [19] è una porta luminosa del Dharma; essa genera ogni forma di conoscenza superiore e porta alla totale maturazione gli esseri la cui mente è soggetta alla distrazione.
92. La perfezione della saggezza è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono dell’ignoranza, dell’oscuramento mentale, delle tenebre e delle false apparenze, nonché la completa maturazione degli esseri che hanno visioni erronee.
93. L’abilità dei mezzi [20] è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al corretto insegnamento della Via in accordo con le necessità e le capacità degli esseri senzienti e alla pratica di tutti gli insegnamenti del Buddha.
94. I quattro soggetti d’unione [21] sono una porta luminosa del Dharma; essi conducono a riunire insieme gli esseri senzienti e, dopo l’ottenimento della perfetta comprensione, alla chiara visione di tutti gli insegnamenti.
95. La completa maturazione degli esseri senzienti è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non limitarsi alla propria felicità e genera una condizione priva di sofferenza.
96. La comprensione del Dharma è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’abbandono di tutte le afflizioni degli esseri senzienti.
97. L’accumulazione dei meriti è una porta luminosa del Dharma; essa genera il sostentamento di tutti gli esseri.
98. L’accumulazione della saggezza è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’acquisizione dei dieci poteri [22].
99. L’accumulazione della calma è una porta luminosa del Dharma; essa porta al conseguimento della concentrazione di un Tathāgata.
100. L’accumulazione della visione interiore è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’acquisizione dell’occhio della saggezza.
101. L’entrata nella consapevolezza luminosa e discriminante è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’ottenimento dell’occhio del Dharma.
102. L’entrata in ciò che è affidabile è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’ottenimento dell’occhio del Buddha.
103. L’acquisizione delle formule magiche [23] è una porta luminosa del Dharma; essa genera il ricordo di tutti gli insegnamenti del Buddha.
104. L’acquisizione dello zelo è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a far gioire tutti gli esseri offrendo loro insegnamenti.
105. L’accettazione del Dharma è una porta luminosa del Dharma; essa conduce ad armonizzarsi con tutti gli aspetti del Buddhadharma.
106. L’accettazione del Dharma non ancora sorto è una porta luminosa del Dharma; essa conduce ad ottenere il compimento di tutte le profezie.
107. La terra da cui non si ritorna [in questo mondo] è una porta luminosa del Dharma; essa porta al perfetto compimento di tutti i Dharma del Buddha.
108a. La saggezza dell’evoluzione da una terra all’altra è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’ottenimento dell’onniscienza.
109b. La terra dell’emancipazione è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla discesa nel grembo di una madre, alla nascita, all’ingresso nel mondo, alla pratica dell’ascetismo, al cammino verso il luogo del Risveglio, alla sconfitta del demone, alla messa in movimento della Ruota del Dharma e alla manifestazione del Parinirvāna, la perfetta Liberazione.
Ecco, o amici, l’elenco delle centootto porte del Dharma [24] che vengono infallibilmente insegnate dal Bodhisattva all’assemblea degli dei quando è giunto il tempo della sua discesa dal cielo Tuṣita.
Inoltre, o Monaci, mentre il capitolo sulle porte del Dharma veniva insegnato nell’assemblea degli dei ottantaquattromila figli degli dei generarono la mente della suprema saggezza; trentaduemila figli degli dei che avevano in precedenza compiuto azioni pure acquisirono l’accettazione dei Dharma non ancora generati; trentasei milioni di figli degli dei ottennero la purezza dell’occhio del Dharma, privo di afflizioni e di oscurazioni; e tutta la dimora di Tuṣita fu cosparsa di fiori divini fino all’altezza del ginocchio.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva, con grande gioia dell’assemblea degli dei, pronunciò in quel tempo questi Gāthā:
1. Nel momento in cui la Guida, il Leone degli uomini, discende dal cielo di Tuṣita, così egli parla agli dei: Abbandonate ogni accecamento!
2. O beati, tutte le gioie divine concepite dalla mente, quali che siano, sopraggiungono a causa delle azioni virtuose. Imparate a riconoscere i frutti delle azioni virtuose.
3. Perciò siate riconoscenti; non ricadete nuovamente laddove si trovano erronee visioni, infelicità e sofferenza, perché avete qui esaurito i meriti accumulati delle azioni virtuose compiute in passato.
4. Applicatevi nella pratica del Dharma che avete ascoltato dalla mia bocca avendo generato rispetto, e otterrete una felicità stabile, senza fine.
5. I desideri sono tutti impermanenti, mutevoli, non duraturi; simili ad un sogno, ad un effetto di magia, ad un miraggio; privi di stabilità come un lampo o una bolla sull’acqua!
6. E non crediate di provare sazietà per il piacere generato dalle qualità degli oggetti del desiderio: è come se beveste acqua salata. I saggi, gli uomini virtuosi al di sopra del mondo e privi di passioni, costoro giungono alla soddisfazione.
7. La compagnia delle Apsarā, il conversare con esse, i luoghi dove si sta tutti insieme, dove ci si ritrova seguendo il proprio desiderio, tutto ciò è come un balletto; e in questa compagnia non vi sono amici né sodali né vera unione,
8. tranne che per colui che compie azioni virtuose; egli attira gli altri verso di sé, essi si mettono alla sua sequela, e allora tutti sono in armonia e generano pensieri di gentilezza gli uni verso gli altri.
9. Si segua la pratica del Dharma; coloro che praticano correttamente non sono preda della sofferenza. Si riporti la mente al Buddha, al Dharma e al Saṅgha, e all’attenzione.
10. Rallegratevi nello studio, nella disciplina e nella generosità; praticate la pazienza e lo sforzo eroico. Il dolore è impermanente ed è privo di un sé. Investigate con attenzione questi fenomeni a partire dalla loro origine.
11. La loro esistenza è prodotta da cause e condizioni, non originano da se stessi, sono vacuità. Tutto ciò che vedete in me in quanto potere sovrannaturale, saggezza e onniscienza,
12. tutto questo è prodotto da azioni meritorie: l’etica, lo studio, la consapevolezza. Istruite voi stessi attraverso la mia etica, il mio studio, la mia consapevolezza;
13. attraverso la generosità, il dominio di sé, il controllo dei sensi, avendo presenti gli altri, per essere loro di aiuto, per compassione nei loro confronti. Non è con le parole, i discorsi o le emissioni sonore che gli insegnamenti virtuosi possono essere acquisiti.
14. Cominciate subito a praticare e così come parlate, nello stesso modo agite. Non perdete l’opportunità per seguire gli altri; fate da voi stessi il giusto sforzo con energia.
15. Poiché ogni persona, dopo aver agito, non riceve alcun dono; tuttavia, senza aver agito non si ottiene nulla. Ricordate la sofferenza che in altri tempi, nella ruota delle rinascite, voi stessi avete provato per lungo tempo.
16. L’assenza di sofferenza che risulta dalla liberazione definitiva non è conseguita attraverso una pratica erronea. Per questo, dopo aver trovato del tempo, un maestro spirituale [25], una dimora idonea
17. e un perfetto insegnamento del Dharma, pacificate gli attaccamenti che derivano dalle afflizioni. Liberatevi dall’orgoglio, dalla presunzione e dall’arroganza, e impegnatevi nella ricerca della Via per eccellenza, costantemente attenti all’onestà e alla gentilezza,
18. privi di malvagità, interamente dediti al cammino verso il Nirvāṇa; distruggete con il lume della saggezza le tenebre impure dell’ignoranza.
19. Squarciate con la folgore della saggezza la rete degli errori a cui segue il pentimento. Per quale motivo dovrei parlare ancora del Dharma ricolmo di benefici?
20. Non rimanete laddove vi è trasgressione del Dharma; quando la Saggezza suprema sarà da me conseguita e farà cadere la pioggia del Dharma che conduce all’immortalità,
21. di nuovo e ancora, avendo purificato la mente, venite e ascoltate l’autentico Dharma.

Capitolo intitolato: Luminose porte del Dharma, il quarto.



NdT

[1] Già nei capitoli precedenti, De Foucaux usa sempre loi, alla lettera: legge, per tradurre quello che nel testo sanscrito è certamente Dharma (pali: Dhamma, tibetano chos, cinese: fa, giapponese: ). Ritengo però preferibile non tradurre con Legge, anche se con l’iniziale maiuscola, e proporre il termine sanscrito così com’è, tranne in alcuni casi per evitare eccessive ripetizioni. Qui Dharma indica comunque sempre l’insegnamento del Buddha e la Via per conseguire il Risveglio. In realtà i significati del termine sono molteplici. Si veda per questo Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, alla voce: dharma, pag. 157 e segg.
[2] I cinque punti di contatto del corpo con il terreno (ginocchia, mani e fronte) simboleggiano l’offerta dei cinque aggregati impuri (gli skandha, che costituiscono tutti i fenomeni composti. Nell’uomo sono: corpo, sensazioni, percezioni, formazioni karmiche, coscienza) e la loro purificazione. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 411.
[3] Numero simbolico che si presta a diverse interpretazioni (è multiplo di 3 e di 4: 33 x 4 = 108). Il rosario buddhista (mala) è composto da 108 grani.
[4] Il testo francese riporta ai punti 5, 6 e 7 il termine répression, che traduco con controllo proprio per evitare una visione coercitiva nei confronti di corpo, parola e mente che non appartiene alla tradizione buddhista.
[5] Le azioni non virtuose di corpo, parola e mente (De Foucaux parla di péchés, non traducibile con peccati in un’ottica buddhista) sono rispettivamente: uccidere, rubare, avere una sessualità scorretta – mentire, calunniare, proferire parole che feriscono, compiacersi in chiacchiere – invidiare, provare malevolenza, avere punti di vista erronei).
[6] Buddha, Dharma e Saṅgha, i Tre Gioielli, o Tre Tesori, oggetto della Presa di Rifugio.
[7] Con fenomeno composto (nel testo francese agrégat) viene tradotto da de Foucaux il termine sanscrito upādhi (che indica piuttosto un sostrato, un terreno, una base, come il corpo lo è per la mente).
[8] Nāma-Rūpa, nome-e-forma, mente-e-corpo, il quarto dei 12 anelli della produzione condizionata. Nāma è anche il nome collettivo con cui si designa l’insieme dei quattro skanda del mentale – vedi nota 2.
[9] Aggregati (nel testo francese supports) traduce il sanscrito skanda, come generalmente avviene nella maggior parte dei testi sul buddhismo. Skanda designa un gruppo, un assemblaggio di parti.
[10] Negli Yogasūtra di Patañjali si parla di pratyāhāra (il quinto degli otto rami dello Yoga classico), ovvero del ritrarsi della mente dagli oggetti dei sensi, il che porta al completo controllo sui sensi stessi. Cfr. I.K. Taimni, La scienza dello Yoga – Commento agli yogasūtra di Patañjali, Ed. Ubaldini, pag. 246 e segg.
[11] A partire dal n. 52, e fino al n. 82, l’elenco descrive i trentasette ausiliari dell’Illuminazione, ovvero i fattori necessari per conseguire l’Illuminazione. Essi sono: le quattro attenzioni ravvicinate (52-55), i quattro abbandoni completi (56), i quattro fondamenti dei poteri miracolosi (o quattro membra miracolose - 57), le cinque facoltà o poteri (58-62), le cinque forze o capacità (63-67), i sette rami dell’Illuminazione (68-74) e l’ottuplice sentiero (75-82) esposto dal Buddha nella Quarta Nobile Verità.
Per quanto concerne il n. 55, entrambe le versioni francesi riportano (come oggetto della mémoire, dell’attenzione), il termine loi, che è evidentemente la traduzione di Dharma = Legge, ovvero insegnamento del Buddha (si veda la nota 1). Ma dharma in sanscrito ha molti significati, tra cui fenomeni, oggetti fisici e mentali, ciò che è prodotto da una causa ed è conoscibile. In questo caso viene spesso usato con l’iniziale minuscola e al plurale, i dharma. La versione inglese riporta infatti la traduzione phenomena, i fenomeni. Per tali motivi ho scelto la traduzione oggetti mentali, anziché Dharma, insegnamenti, che non sarebbe coerente con il contesto. Cfr. Dizionario del Buddhismo, alla voce trentasette ausiliari dell’Illuminazione, pag. 695 e segg.
[12] Sono le cinque facoltà precedenti (da 58 a 62), sviluppate in modo tale da neutralizzare gli ostacoli che impediscono la piena comprensione delle Quattro Nobili Verità.
[13] Māra, dalla radice mṛi, morte. Il Maligno, il dio del Regno del desiderio. È colui che tentò il Buddha, proponendogli il conseguimento di obiettivi mondani.
[14] Seguo qui la traduzione inglese del testo. La versione francese recita invece: La retta parola…conduce a comprendere l’uguaglianza di ogni sillaba, di ogni discorso, di ogni via della parola o dell’eco. Il significato può avvicinarsi a quello della versione inglese, se si intende che la natura ultima di ogni parola e in generale di ogni suono è la vacuità.
[15] La versione inglese traduce con the mind of awakening, la mente del Risveglio, in sanscrito Bodhicitta.
[16] La tradizione Hīnayāna, contrapposta qui a quella Mahāyāna.
[17] Dal n. 87 al n. 92 l’elenco riporta le sei pāramitā, le perfezioni, le virtù trascendenti praticate dai Bodhisattva (dāna, śila, kṣānti, vīrya, dhyāna, prajñā).
[18] Detta anche impegno o sforzo entusiastico, perseveranza. In sanscrito è vīrya, dalla cui radice derivano il termine latino vir e l’italiano virilità, virile.
[19] La perfezione della concentrazione è detta dhyāna-pāramitā o anche samādhi-pāramitā. Dal sanscrito dhyāna (genericamente: meditazione, concentrazione) deriva il termine cinese ch’an(na) e successivamente il giapponese zen(na).
[20] Upāyakauśalapāramitā, la perfezione nell’abilità dei mezzi, la capacità del Bodhisattva di guidare gli esseri verso la liberazione utilizzando tutti i metodi (upāya) a disposizione.
[21] Catuḥsaṃgrahavastu, le quattro attrattive per radunare i discepoli: la generosità, le parole gradevoli, gli insegnamenti calibrati sulle necessità del discepolo, una condotta conforme al Dharma. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 482.
[22] Daśabala, i dieci poteri dei Buddha, ovvero conoscere: ciò che è o non è fondato, i risultati del karma, le aspirazioni degli esseri, i loro temperamenti, le loro capacità intellettive, tutte le vie, le concentrazioni meditative, le esistenze anteriori, la morte e la rinascita degli esseri, come si consegue l’estinzione delle oscurazioni. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 81.
[23] Dhāranī, invocazioni alla recitazione delle quali sono attribuiti poteri magici. Alla lettera, sostenitori (di idee, visioni ecc. nella mente del meditante).
[24] Sia nelle versioni francesi sia in quella inglese il testo parla ripetutamente di centootto porte del Dharma. Ma in tutte le traduzioni l’elenco riporta 109 punti. Nella versione di De Foucaux gli ultimi due punti sono contrassegnati in apice dalle lettere a e b, come se si trattasse in realtà (è una possibile spiegazione) di una unica porta del Dharma sotto due aspetti diversi, essendo la Terra del Risveglio quella che conclude l’evoluzione da una Terra all’altra.
È inoltre da dire, rifacendosi al significato del mala buddhista (v. nota 3), che i grani di cui è composto sono sì 108, ma ad essi si aggiunge in genere un grano più grande che rappresenta uno stupa, un reliquiario, simbolo della realizzazione della vacuità.
Cfr. http://www.buddhism.it/insegnamenti/articoli/significato-simbolico-mala/.

[25] De Foucaux riporta ami, la versione tibetano-francese docteur, quella inglese spiritual guide. Data l’importanza che nel buddhismo e nella spiritualità indiana in genere è attribuita alla figura del guru (lama in tibetano), scelgo qui la traduzione maestro spirituale


Capitolo quinto

La messa in movimento [1]

Vedendo partire il Bodhisattva gli dei abbracciano i suoi piedi piangendo. – Egli li consola dicendo che dopo di lui il Bodhisattva Maitreya insegnerà loro il Dharma. – Conferisce a Maitreya il supremo potere e gli annuncia che sarà il suo successore come Buddha. – Il Bodhisattva chiede sotto quale aspetto debba entrare nel grembo di una madre. – Gli vengono proposti molti aspetti di divinità e di esseri sovrannaturali; un dio afferma che il Veda prescrive l’aspetto di un elefante, quindi egli lo adotta. – Otto segni appaiono nel parco del re degli Śākya. – La regina chiede al re il permesso di dedicarsi a pratiche ascetiche e lo prega di fare abbondanti offerte. Il re ordina di fare tutto ciò che ella desidera. – Gli dei e i Bodhisattva si avvicinano da ogni parte per accompagnare il Bodhisattva. – Splendore che illumina tutti i mondi nel momento in cui il Bodhisattva comincia ad allontanarsi dal cielo Tuṣita. – Tremore della terra. – Nessun essere prova paura né sofferenza. – Milioni di dei sostengono il carro del Bodhisattva.

Quindi, o Monaci, il Bodhisattva dopo che ebbe perfettamente istruito la grande assemblea degli dei con il sermone sul Dharma, dopo che lo ebbe fatto loro comprendere perfettamente, dopo che li ebbe esortati, rallegrati e resi pazienti, così si rivolse a quella benedetta assemblea di divinità: O amici, io mi recherò nel Jambudvīpa. Un tempo, quando praticavo la via del Bodhisattva, ho attirato a me gli esseri senzienti mediante i quattro soggetti d’unione: la pratica del dono, le parole gentili, il compimento dello scopo ultimo, la conformità dello scopo ultimo [2]. Amici, non sarebbe per me appropriato e costituirebbe una mancanza di riconoscenza nei loro confronti se non realizzassi la Saggezza perfetta e compiuta di un Buddha.
Tuttavia i figli degli dei Tuṣitakāyika abbracciando i piedi del Bodhisattva e piangendo così parlarono: O Nobile Essere, se non rimarrai qui il cielo di Tuṣita non risplenderà più.
Allora il Bodhisattva rispose alla vasta assemblea degli dei: Costui, il Bodhisattva Maitreya, vi insegnerà il Dharma. Quindi il Bodhisattva dopo aver tolto la corona dal proprio capo la posò sulla testa del Bodhisattva Maitreya dicendo: Nobile Essere, sarai tu colui che dopo di me realizzerà la Saggezza perfetta e compiuta di un Buddha.
Ma, o Monaci, dopo che il Bodhisattva ebbe consacrato il Bodhisattva Maitreya nel meraviglioso cielo di Tuṣita, si rivolse ancora alla grande assemblea degli dei: Sotto quale aspetto, Amici, entrerò nel grembo di una madre?
Allora alcuni risposero: In forma umana. Altri dissero: Con l’aspetto di Śakra. E altri ancora: Con la forma di Brahmā. – Con l’aspetto di un grande re. – Con l’aspetto di Vaiśravaṇa. – Con l’aspetto di Rāhu. – Con la forma di un Gandharva. – Con quella di un Kinnara. – Con quella di un Mahoraga. – Con l’aspetto di Maheśvara. – Con la forma di Candra. – Con quella di Sūrya. – Con l’aspetto di un Garuḍa [3].
Allora uno dei figli degli dei del regno di Brahmā, chiamato Ugratejā, che era stato un Ṛṣi nella sua precedente rinascita e che dopo essere trasmigrato non si si era mai allontanato dal cammino verso la perfetta e compiuta Saggezza, così parlò: Come è detto nei Brāhmaṇa, nei Mantra, nei Veda e negli Śāstra, è noto sotto quale aspetto il Bodhisattva debba entrare nel grembo di una madre. Quale è tale aspetto? Con le grandi membra del più bell’elefante a sei zanne, coperto da una rete d’oro, molto piacevole, con la testa rossa e le tempie umide [4], dalle forme belle e ben proporzionate. Venendo a conoscenza di ciò, un brāhmaṇa esperto nel significato dei Veda e degli Śāstra predirà che il nascituro possiederà i trentadue marchi maggiori (del corpo di un Buddha).
Dunque, o Monaci, avendo meditato sul momento della sua nascita, mentre si trovava nel meraviglioso cielo di Tuṣita il Bodhisattva fece manifestare otto segni nella pura dimora del re Śuddhodana. Quali sono gli otto segni? Nella dimora del re non vi furono più malerbe, tronchi di alberi morti, piante spinose, pietrisco, sabbia, rifiuti; essa divenne ben irrigata in ogni luogo, purificata da ogni sporcizia, senza vortici di terra, anfratti oscuri, polvere; senza più mosche, vespe, zanzare, farfalle, serpenti velenosi; ricoperta di fiori, ben livellata come il palmo della mano. Questo fu il primo segno premonitore.
Stormi di uccelli che vivono su Himavat [5], il re delle montagne – patragupta, pappagalli, ghiandaie, kokila, cigni, aironi, pavoni, oche, kuṇāla, kalabiṅka [6], fagiani e molti altri dalle ali variopinte, dal canto dolce e gradevole –, discesi nella pura dimora del re Śuddhodana, si posarono [7] sulle terrazze, sulle balaustre, sugli archi, sugli oeils-de-boeuf, sulle gallerie, sui tetti del palazzo; e pieni di gioia svolazzarono e testimoniarono la loro felicità, ognuno con il proprio canto. Questo fu il secondo segno premonitore.
Tutti gli alberi presenti nei giardini, nei parchi e nei boschetti del re Śuddhodana, benché fiorissero e fruttificassero in stagioni diverse, contemporaneamente si ricoprirono di fiori sbocciati. Questo fu il terzo segno premonitore.
Tutti quanti gli stagni, la cui acqua era a disposizione del re Śuddhodana, si riempirono di fiori di loto dai mille petali, grandi come la ruota di un carro. Questo fu il quarto segno premonitore.
E tutti i generi di vivande che si trovavano nella pura dimora del re Śuddhodana – burro chiarificato [8], olio, miele, succo di canna, zucchero – benché usati in abbondanza non si esaurirono. Questo fu il quinto segno premonitore.
E tutti i grandi tamburi, quelli in terracotta e quelli in bronzo, i liuti, le arpe, i flauti, le tiorbe [9], i cimbali, tutti gli strumenti musicali nessuno escluso, che si trovavano nei grandi appartamenti delle donne, emisero di per se stessi, senza essere toccati, un suono dolce e melodioso. Tale fu il sesto segno premonitore.
Tutti gli scrigni che erano custoditi nella pura e meravigliosa dimora del re Śuddhodana e che contenevano oro, argento, diamanti, perle, lapislazzuli, madreperla, cristalli, corallo ed ogni tipo di tesori, tutti senza eccezione, apertisi, apparirono puri, splendenti e completamente ricolmi. Questo fu il settimo segno premonitore.   
La dimora del re fu illuminata da ogni lato da una luce assolutamente pura, che oscurava lo splendore del sole e della luna e generava benessere nel corpo e nella mente. Questo fu l’ottavo segno premonitore.
Intanto Māyādevī aveva fatto un bagno, aveva massaggiato il corpo con unguenti, aveva ricoperto le braccia con vari ornamenti e indossato gli abiti festivi più belli e raffinati; ricolma di soddisfazione, di gioia, di felicità, circondata e preceduta da diecimila donne, si era avvicinata al re Śuddhodana assiso nel centro della sala dei concerti e si era seduta alla sua destra su un trono adorno di una rete preziosa, con il volto sorridente e non accigliato e si rivolse al re Śuddhodana con questi versi:
1. Ascoltatemi, grande Signore, protettore del mondo; concedetemi la grazia che io oggi vi chiedo. Ascoltate dalla mia voce il mio intendimento, che è motivo di gioia per il mio animo; gioite ed abbiate il cuore colmo di soddisfazione.
2. Mi dedicherò, o Signore, a pratiche di austerità, al digiuno e alle prosternazioni con gli otto punti del corpo, motivata dalla compassione verso il mondo. Evitando di recare sofferenza agli esseri senzienti, con motivazioni costantemente pure, cosicché mentre farò del bene a me stessa altrettanto farò per gli altri.
3. Avendo io abbandonato ogni spirito di ottenimento [10] e messo da parte l’orgoglio e la concupiscenza, o Re, non seguirò più, sbagliando, i desideri. Dimorando nella verità, senza malvagità né durezza, non pronuncerò mai alcuna parola non virtuosa.
4. Avendo abbandonato la malevolenza, la cattiveria, l’avversione, il turbamento e l’orgoglio, lontana da ogni brama, contenta della mia sorte, agendo con purezza, senza menzogna, senza invidia, camminerò nel sentiero delle dieci azioni virtuose [11].
5. O Signore degli uomini, non fate di me un oggetto di desiderio, determinata come io sono a seguire una via di austerità. Nulla in voi, o Re, sia non meritorio; permettetemi di seguire per lungo tempo i precetti di una condotta virtuosa e di praticare il digiuno.
6. O Signore degli uomini, ciò che io desidero è questo: dopo essere prontamente entrata nelle stanze più elevate del palazzo dei cigni, costantemente circondata dalle donne del mio seguito, riposare piacevolmente su un giaciglio cosparso di fiori, gradevole e profumato.
7. Non vi saranno eunuchi né giovani, e nessuna donna di aspetto volgare comparirà alla mia presenza; non vi saranno né immagini né suoni né odori per me sgradevoli, ma possa io percepire solo suoni dolci e melodiosi.
8. Coloro che sono stati imprigionati e messi ai ceppi vengano liberati; tutti coloro che sono sprovvisti di beni vengano resi ricchi. Durante tutta la settimana, per dare gioia agli uomini, donate vesti, cibo, bevande, carri aggiogati e bei cavalli.
9. Cessino le dispute e le liti, non vengano dette parole dure, ma ci si rivolga gli uni verso gli altri con spirito benevolente, con pensieri d’amore e compassione. In tutta la città, gli uomini, le donne e i bambini gioiscano insieme come gli dei nel Nandana [12].
10. Nessuno, grandi o piccoli, riceva punizioni per ordine del re, né sofferenze né minacce né percosse; guardate a tutte le creature, o Re, come ad un vostro figlio unico, con spirito sereno, con pensieri di amore e di dolcezza.
11. Il re, avendo ascoltato queste parole così gradevoli, disse: Che tutto questo si compia esattamente come lo desideri. Ciò che hai deciso nel tuo spirito, la grazia che mi chiedi io te la concedo.
12. E il più grande dei re impartì l’ordine al proprio seguito: Sulla sommità del palazzo più bello approntate una decorazione con un gran numero di fiori bellissimi, profumi ed effluvi di qualità superiore, con ombrelli e bandierine, abbellita da un filare di alberi tāla [13].
13. Che ventimila uomini coraggiosi nel combattere e variamente armati con frecce, lance, giavellotti e spade si dispongano nel luogo in cui si ode il verso dei cigni e lì facciano buona guardia, affinché la regina non abbia nulla da temere.
14. E che la regina, circondata da donne come una figlia degli dei, dopo aver fatto un bagno ed essere stata massaggiata con unguenti, con il corpo rivestito dagli abiti più belli, al suono di migliaia di strumenti divini che rallegrano il cuore, dopo essere salita [a palazzo], sieda come una figlia degli dei sul letto che reca gioia allo spirito, dai piedi tempestati di vari e preziosi gioielli e completamente cosparso di fiori variegati.
15. E che ella riposi sul suo giaciglio, dopo aver deposto il suo diadema di pietre preziose, come una figlia degli dei che si sia recata nel Miśraka [14].
Intanto, o Monaci, i quattro grandi re, Śakra signore degli dei, Suyāma figlio di un dio, Santuṣita, Sunirmita, Paranirmitavaśavartin, Sārthavāha figlio di Māra, Brahmā signore delle creature, il Purōhita [15] Brahmōttara, il Purōhita Subrahmā, Prabhāvyuha e Abhāsvara [16], Maheśvara-Śuddhāvāsakāyika, Niṣṭhāgata, Akaniṣṭha [17] e molte centinaia di migliaia di divinità si erano riunite e così parlarono tra loro: O amici, non sarebbe degno di noi e mancheremmo di riconoscenza se lasciassimo solo il Bodhisattva. Chi tra di noi ha il coraggio di rimanere accanto al Bodhisattva, costantemente e incessantemente, quando scenderà (sulla terra), crescerà nel grembo (della madre) e nascerà; quando nel corso della giovinezza si dedicherà ai divertimenti tipici di quell’età, si recherà negli appartamenti delle donne e osserverà i loro giochi; quando uscirà nel mondo, praticherà l’ascesi, si avvicinerà al Bodhimaṇḍa [18], vincerà il demone, conseguirà la Saggezza suprema e perfetta di un Buddha, farà girare la Ruota del Dharma, fino a che entrerà nel Maha Parinirvāna – con la motivazione di essergli d’aiuto, con una mente amorevole, benevolente, compassionevole, empatica, pacificata? E in quel momento essi pronunciarono questi versi:
16. Chi tra voi saprà restare vicino all’essere dalle perfette sembianze con uno spirito costantemente ricolmo di amore?  Chi desidera incrementare lo splendore dei propri meriti, la propria energia e la propria reputazione?
17. Colui il cui desiderio, nella città degli dei Tridaśa [19], è di gioire costantemente dei piaceri divini con le più belle Apsarā, stia accanto all’Essere dal viso simile ad una luna immacolata;
18. E colui che desidera altresì essere felice nella città degli dei, nel Miśraka, il più bello e più piacevole dei giardini, nel quale abbondano i doni degli dei, pieno di fiori, cosparso di polvere d’oro, costui rimanga vicino all’Essere dallo splendore senza impurità.
19. E anche colui che aspira a gioire della compagnia delle dee in un carro meraviglioso, nel Nandana ricolmo di foglie e fiori di māndārava, resti accanto al grande Essere.
20. Oppure, se desidera regnare sugli dei Yāmya o essere il signore degli dei Tuṣita ed essere degno di onori da parte del mondo intero, stia vicino a colui la cui gloria è infinita.
21. Colui che desidera godere di qualsiasi bene la sua mente possa immaginare nella città degli dei Nirmitta o nel reame degli dei Vaśavartin, costui si unisca all’Essere che possiede le più nobili qualità.
22. è il signore di Māra il demone, il suo spirito è immacolato; è giunto molto al di là di ogni conoscenza; ha l’assoluto dominio sul desiderio, ha oltrepassato ogni potere. Colui che possiede una corretta motivazione resti con colui che viene in aiuto.
23. E ancora, colui il cui intendimento è andare al di là del Reame del Desiderio [20] e risiedere nella città di Brahmā, si unisca oggi stesso al grande Essere che possiede lo splendore dei quattro incommensurabili [21].
24. Inoltre, chi tra gli uomini ha come obiettivo il grande e meraviglioso potere di un re Cakravartin, resti accanto a colui che è una miniera di gioielli, che dà sicurezza e felicità e possiede abbondanti meriti.
25. E anche chi è un Signore della terra, figlio della più nobile stirpe, in possesso di una grande quantità di ricchezze e di un numeroso seguito, vincitore delle schiere dei suoi nemici, vada insieme con colui che viene in aiuto.
26. (Colui che desidera) la bellezza, i piaceri, il potere, la gloria e la fama, la forza e le nobili qualità, gli insegnamenti degni di essere ricordati dopo che siano stati compresi, si ponga al seguito del Saggio che ha la voce di Brahmā.
27. Colui che desidera la realizzazione dei desideri divini ed umani ed ogni felicità nel Trimundio, la felicità nella contemplazione, la felicità nella solitudine, si ponga al servizio del Signore del Dharma.
28. Chi desidera rinunciare sia alla passione sia all’errore ed abbandonare le afflizioni mentali [22] si metta prontamente al seguito di colui il cui spirito è calmo, tranquillo, perfettamente pacificato, e la cui mente è domata.
29. Che si sia un discepolo oppure no, come i Pratyekajina [23], per ottenere la perfetta conoscenza dell’Onnisciente e far udire con i dieci poteri il ruggito del leone [24] ci si rechi presso il Saggio che è un Oceano di qualità.
30. Chi desidera distruggere la via erronea e percorrere la retta Via dagli otto sentieri che conduce all’immortalità, resti accanto a colui che grazie alla pratica del Nobile Ottuplice Sentiero mette fine al ciclo delle rinascite.
31. Colui che desidera onorare il Sugata, ascoltare il Dharma del Compassionevole e conseguire altresì le qualità che sono retaggio dell’assemblea dei fedeli, si ponga al seguito dell’Oceano di qualità.
32. (Colui che desidera) la distruzione della nascita, della vecchiaia e della morte e la liberazione dalla catena delle rinascite, stia accanto al Puro Essere simile al vasto cielo perfettamente limpido.
33. Colui che aspira ad essere desiderato, a conquistare gli animi, ad essere amato da tutti, ad ottenere ogni qualità fisica e spirituale e vuole liberare se stesso e gli altri, si rechi presso il Saggio piacevole a vedersi.
34. Il saggio che desidera la moralità, la contemplazione e la saggezza [25] per conseguire la completa liberazione, si accosti senza indugio al Re dei medici, che è profondo, difficile da trovare, difficile da incontrare [26].
35. Queste e molte altre qualità generano la felicità degli esseri e la loro liberazione finale: ci si ponga quindi al seguito del Saggio che le possiede tutte, il quale, per conseguirle, ha portato a compimento i propri voti.
Dopo aver ascoltato questi versi, centoottantaquattromila divinità Cātur-Mahā-Rājika, centomila dei Trāyastriṃśa, centomila Yāma, centomila Tuṣita, centomila Nirmānarati, centomila dei Paranirmitavaśavartin, sessantamila dei Mārakāyika nati in tale condizione per l’effetto dei loro meriti anteriori, sessantottomila Brahmākāyika e molte centinaia di migliaia di altre divinità, compresi gli dei Akaniśta, si trovarono riuniti insieme. E anche molte centinaia di migliaia di figli degli dei, a levante, a mezzogiorno, a ponente, a settentrione, si riunirono insieme. E i più alti in grado tra loro indirizzarono questi Gāthā alla grande assemblea di divinità:
36. Ascoltate bene queste parole, o Signori degli dei, e come in esse si esprima in questo momento la nostra determinazione. Dopo aver abbandonato la ricchezza e i piaceri legati ai desideri e la suprema gioia della contemplazione, uniamoci al sublime e puro Essere.
37. Dal momento in cui discenderà nel grembo di una madre e fino a quando vi dimorerà, rendiamo omaggi di ogni sorta al Grande Essere, che di tali omaggi è degno; proteggendo colui che è ben protetto dai suoi meriti, colui al quale nessun danno può essere causato da una mente ostile.
38. Con canti e concerti dai suoni armoniosi, celebrando le perfezioni e le qualità dell’Oceano di qualità, rendiamo felici gli dei e gli uomini; ascoltandoli, le creature genereranno la mente di Saggezza.
39. Ricolmeremo di fiori la dimora del re, odorosa dei dolci effluvi dell’aloe nera; in modo che dei e uomini, avendo percepito tali profumi, siano liberi dalle febbri, felici e privi di malattie.
40. Con i petali di māndārava, pārijāta, candra, sucandra e sthala, freschi e brillanti, ricopriremo di fiori la città di Kapila [27], per onorare colui che è generato per i meriti delle sue azioni [28].
41. Fino a quando rimarrà nel grembo della madre, senza essere contaminato dai tre veleni [29], fino a quando colui che pone fine alla vecchiaia e alla morte non sarà nato, fino ad allora rimarremo uniti con spirito amorevole e renderemo omaggio a colui che possiede la suprema Saggezza.
42. Meriti abbondanti e perfettamente acquisiti saranno quelli degli dei e degli uomini che vedranno l’Essere puro e bagnato di acqua profumata compiere sette passi [29bis] ed essere accolto dalle mani di Śakra e di Brahmā.
43. Fino a che compirà azioni mondane e dimorerà negli appartamenti delle donne, e poi, quando uscirà dal palazzo avendo completamente abbandonato la sua dignità regale, per tutto questo tempo noi, con animo benevolente saremo insieme con colui che distrugge le afflizioni del desiderio.
44. Fino a quando non sarà giunto al Bodhimaṇḍa; fino al momento in cui, dopo aver fatto un cuscino di erba [30], non avrà conseguito la suprema Saggezza avendo definitivamente sconfitto il demone; fino a quando non sarà stato pregato da centinaia di migliaia di Brahmā di far girare la ruota (del Dharma), noi renderemo devotamente omaggio al Sugata.
45. Fino al momento in cui, avendo conseguito il Risveglio, egli non avrà educato centinaia di milioni di esseri dei tremila mondi alla disciplina che conduce allo stato senza morte e non sarà giunto al termine del Sentiero del Nirvāṇa la cui natura è pace, fino ad allora nessuno di noi lascerà il Ṛṣi Glorioso!
Tuttavia, o Monaci, nella mente delle figlie degli dei del reame del desiderio che avevano visto il corpo perfetto del Bodhisattva sorse un pensiero: Quale sarà mai la giovane donna che porterà (nel suo grembo) questo Puro Essere, il più Nobile tra tutti? In preda alla curiosità, esse, con i loro corpi divini che incantano i cuori, dopo aver preso quanto di più bello vi era tra gli incensieri, i fiori, le ghirlande, gli unguenti, le lampade, le polveri profumate e gli abiti, sostenute dalle benedizioni generate dalla maturazione dei loro meriti, lasciata in quel momento la dimora degli dei, si recarono a Kapila, la più bella tra le più grandi città, adorna di centomila giardini, nella dimora ricca di cigni del re Śuddhodana, un grande palazzo simile a quello del Signore degli dei; lì esse, indossando vesti ondeggianti, adorne dello splendore privo di macchia dei loro meriti, con le braccia abbellite da ornamenti divini, indicando la regina Māyādevī distesa sul suo giaciglio, rivolsero le une alle altre questi versi, rimanendo sospese nel cielo:
46. Delle Apsarā che dimorano nella città degli immortali e che videro la bellezza del Bodhisattva che rapisce il cuore, questo fu il pensiero: Quale donna sarà la madre del Bodhisattva?
47. Con le mani piene di fiori e di ghirlande, esse si appressarono alla dimora del Signore degli uomini, in preda ad un dubbio. Recando fiori ed unguenti, avendo rispettosamente salutato con le mani unite;
48. avvolte in vesti fluttuanti, con le loro incantevoli forme, dopo aver porto il saluto con la mano destra e aver osservato la regina Māyā che riposava sul suo giaciglio, dissero: Guardate bene questa bellezza umana!
49. Noi qui dicevamo soddisfatte: è la nostra bellezza di Apsarā ciò che più incanta i cuori, ma osservando la moglie del Signore degli uomini guardate come scompaiono i nostri corpi divini!
50. Dotata di ogni qualità, ella è assolutamente degna di essere la madre del più nobile tra gli uomini. Come una pietra preziosa è posta in un bel vaso, così la regina è il vaso del dio tra gli dei! [31]
51. Dal palmo delle mani e dalla pianta dei piedi fino al capo, il suo corpo che rapisce il cuore supera il corpo di un dio; gli occhi non si saziano di guardarla, poiché rallegra sempre più la mente e l’anima!
52. Il suo bel viso e il suo corpo brillano come la luna in cielo. E lo splendore che si diffonde dal corpo di lui (il Bodhisattva) è come il sole senza nubi, come la luna limpida [32].
53. Come l’oro puro nella massa d’oro nativo, così risplende la bellezza della regina. I suoi capelli, dai cui riccioli si diffonde un dolce profumo, sono simili alla grande ape nera. I suoi occhi sono come petali di loto; i suoi denti puri come le stelle in cielo.
54. Il suo addome è ricurvo come un arco, i suoi fianchi ampi e torniti, e le giunture aggraziate; le cosce e i polpacci sono simili alla proboscide dell’elefante, le ginocchia ben proporzionate.
55. Le palme delle mani e le piante dei piedi sono lisce e rosse: è evidente che ella è una figlia degli dei e non altro. Dopo aver così osservato la regina in tanti modi, gettato dei fiori, girato intorno a lei per tre volte porgendole il fianco destro e lodato la gloriosa madre del Vittorioso, esse ritornarono subito alla città degli dei.
56. Quindi i guardiani delle quattro direzioni dello spazio, Śakra, Suyāma, Nirmitta, le schiere degli dei, Kumbhānda, Rākṣasa, Asura, Mahoraga, Kinnara, dissero:
57. Rimanete davanti al più nobile degli uomini; fate la guardia e proteggete il più eccelso tra gli uomini. Non accusate alcun essere di avervi recato offesa; non fate nulla che possa nuocere agli uomini.
58. Là, nella sublime dimora dove si trova Māyādevī, tutti voi, insieme con le persone del suo seguito, avendo a portata di mano archi, frecce, lance e spade, sospesi nel vasto cielo, osservate con attenzione.
59. Consapevoli del momento della discesa (del Bodhisattva dal cielo Tuṣita), i figli degli dei giunti al cospetto di Māyā, felici, recando fiori e unguenti e salutandola con le mani unite, dissero:
60. Discendi! Discendi, Signore degli uomini! O Sublime, leone dei Maestri, oggi è giunto il momento per la tua nobile Persona! Avendo tu generato compassione per il mondo intero, ascolta la nostra preghiera per il dono del Dharma.
Quindi, o Monaci, al momento della discesa del Bodhisattva, dalla regione dell’est molte centinaia di migliaia di Bodhisattva, tutti vincolati ad una sola rinascita, che dimoravano nel sublime cielo di Tuṣita, si recarono nel luogo in cui si trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio. Nello stesso modo da ognuna delle dieci direzioni dello spazio molte centinaia di migliaia di Bodhisattva, tutti vincolati ad una sola rinascita, che dimoravano nel sublime cielo di Tuṣita, si recarono nel luogo in cui si trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio. Dalle dimore degli dei Cāturmahārājakāyika ottantaquattromila centinaia di migliaia di Apsarā, come pure fecero altrettante migliaia di Apsarā dalle dimore degli dei Trayastrinca, Yama, Tuṣita, Nirmāṇarati e Paranirmitavaśavartin, con canti e suoni di strumenti di ogni tipo si recarono nel luogo in cui si trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio.
Intanto il Bodhisattva, seduto sul trono Śrīgarbha [33] generato dai suoi meriti, di fronte a tutti gli dei e i Nāga nel palazzo a più piani, accompagnato dai Bodhisattva, dagli dei, dai Nāga, dagli Yakṣa a centinaia di milioni, dai quali era circondato e preceduto, cominciò ad allontanarsi dalla dimora di Tuṣita. 
E, o Monaci, mentre il Bodhisattva si allontanava emanò dal suo corpo una luminosità tale per cui quel grande universo fu completamente pervaso da uno splendore maggiore della luce divina, meraviglioso, diffuso in ogni luogo, come prima di allora non era mai avvenuto. Anche là nelle dimore del mondo in cui si trovano i peccatori, avviluppati dalle tenebre del male, immersi nelle oscurazioni; e i due astri, il sole e la luna, con la loro grande energia e il loro straordinario potere, lodati per la loro forza, cessarono di illuminare e non emanarono luce a causa di quella luce, non generarono colori a causa di quei colori, più non risplendettero a causa di quello splendore; e nei luoghi in cui gli esseri che vi sono nati non vedono nemmeno le loro stesse braccia distese, anche là, in quel momento, apparve una grande e maestosa luce. E quegli esseri, immersi nella luce, si videro perfettamente l’un l’altro, e si riconobbero e così dissero: Qui esistono allora altri esseri!
Nello stesso istante nelle innumerevoli migliaia di regioni dell’universo si manifestarono sei fenomeni e diciotto grandi segni. Esse furono scosse, fortemente scosse, fortemente scosse per ogni dove; tremarono, tremarono fortemente, tremarono fortemente per ogni dove; vibrarono, vibrarono fortemente, vibrarono fortemente per ogni dove; risuonarono, risuonarono fortemente, risuonarono fortemente per ogni dove; rimbombarono, rimbombarono fortemente, rimbombarono fortemente per ogni dove; all’estremità si abbassarono, al centro si sollevarono; al centro si abbassarono, all’estremità si sollevarono; a levante si abbassarono, a ponente si sollevarono; a ponente si abbassarono, a levante si sollevarono; a sud si abbassarono, a nord si sollevarono; a nord si abbassarono, a sud si sollevarono. In quell’istante si udirono grida di gioia, di piacere, di felicità, di allegria, di ringraziamento, piacevoli da udirsi, degne di lode, senza pari, melodiose, che fugavano ogni timore. In quel momento nessun essere patì alcun male, né timore, né spavento, né paura. Né allora fu più visibile lo splendore del sole e della luna, né di Śakra, di Brahmā o dei guardiani del mondo. Tutti gli esseri infernali o nati come animali o nel mondo di Yama furono in quel momento liberi dalla sofferenza e ricolmi di felicità. Nessun essere fu tormentato dall’attaccamento, dall’avversione, dalle oscurazioni, dall’invidia o da gelosia, orgoglio, ipocrisia, collera, malvagità, rimpianto; tutti gli esseri in quell’istante generarono pensieri di benevolenza e generosità, e provarono gli uni verso gli altri l’amore di un padre e di una madre.
Senza essere toccati, cento milioni di strumenti divini ed umani fecero udire le loro incantevoli melodie. Centinaia di milioni di divinità sollevarono il grande carro divino con le mani, le spalle e le teste. Centomila Apsarā, dirigendo musiche corali e rimanendo dietro, davanti, a destra e a sinistra, lodarono il Bodhisattva con i loro canti.
61. A te, che possiedi infiniti meriti; a te, innalzato dalla virtù praticata per un così lungo tempo; a te, purificato dalla disciplina del Dharma, viene oggi offerto una grande omaggio.
62. In passato, per molte decine di milioni di kalpa, sono stati da te offerti in dono amati figli, mogli, tesori; della pratica del dono, ecco qui il frutto, grazie al quale tutti questi fiori sono sparsi ovunque come una pioggia.
63. Dopo aver pesato la tua stessa carne, o Sublime, l’hai donata per compassione ad un uccello che aveva fame e sete [34]. Della pratica della generosità ecco qui il frutto, grazie al quale il regno dei Preta [35] ottiene cibo e bevande.
64. Poiché in passato per molte decine di milioni di kalpa hai praticato l’etica senza mai infrangere i tuoi voti, il frutto delle tue pratiche virtuose è la purificazione delle inquietudini e delle visioni erronee.
65. In passato, per molte decine di milioni di kalpa, hai meditato sulla pazienza, fondamento della suprema Saggezza; il frutto della pratica della pazienza è che gli dei e gli uomini sono ricolmi di pensieri di benevolenza.
66. In passato, per molte decine di milioni di kalpa, hai meditato sull’impegno entusiastico che nulla può superare; il frutto di questa pratica è che il tuo corpo risplende come il monte Meru.
67. In passato, per molte decine di milioni di kalpa, ti sei dedicato alla contemplazione che distrugge le afflizioni; il frutto della pratica della contemplazione è che gli esseri non sono più tormentati dalle passioni.
68. In passato, per molte decine di milioni di kalpa, hai meditato sulla saggezza che distrugge le oscurazioni; il frutto della pratica della saggezza è la luce che risplende senza pari [36].
69. Rivestito della corazza della pace interiore che distrugge le afflizioni, tu che sei disceso mosso dalla compassione verso tutti gli esseri, tu che hai conseguito la gioia suprema, la pazienza, la purezza, o Sugata, omaggio a te!
70. Innalzato dallo splendore della luce della fiaccola della saggezza, tu che illumini tutto ciò che è errore, oscuramento e illusione, tu che sei divenuto l’occhio dei tremila mondi, tu che indichi la Via, o Muni [37], omaggio a te!
71. Abile nella conoscenza dei fondamenti del supremo potere, tu che vedi la verità, che hai compreso il significato profondo del Dharma, dopo essere andato al di là e aver condotto al di là gli altri esseri [38], tu che sei libero dai legami, o Sugata, omaggio a te.
72. Abile in ogni conoscenza e nell’uso dei mezzi [39], tu mostri la trasformazione dell’esistenza di colui che non sarà più soggetto ad essa; agisci in completa armonia con le leggi dell’universo, ma in alcun modo sei attaccato ad esso [40].
73. Vederti ed ascoltarti arrecherà grandi, inimmaginabili meriti a coloro cui questo dono sarà concesso; a maggior ragione, dopo aver udito dalla tua bocca l’essenza del Dharma e aver avuto fede in esso, ne nascerà una grande gioia!
74. L’intero paradiso di Tuṣita si è oscurato, il sole si è levato nel Jambudvīpa e risveglierà dal sonno delle afflizioni centinaia di migliaia di esseri, in numero tale che la mente non riuscirà a contarli.
75. La grande e prospera città sarà oggi gremita da centinaia di migliaia di divinità. Nella dimora del re le Apsarā con i loro strumenti faranno ascoltare un gradevole concerto.
76. La moglie le cui azioni sono virtuose, di suprema bellezza, è pervasa dallo splendore dei suoi meriti; il di lei figlio perfetto è colui che nei tre mondi risplende per la sua regalità.
77. Nella migliore delle città non vi saranno più dispute né liti tra gli uomini causate dalla cupidigia o dall’avversione; tutti, divenuti rispettosi grazie alla nobiltà del più eccelso tra gli uomini, genereranno una mente compassionevole.
78. La famiglia del re, che trae origine dalla stirpe dei re Cakravartin, cresce. La fiorente città di Kapila sarà ricolma di tesori di oggetti preziosi.
79. Per gli Yakṣa, i Rākṣasa, i Kumbhānda, le schiere degli dei e dei Dānava [41] con tutto il seguito di Indra, pronti a proteggere il più eccelso tra gli uomini, la liberazione giungerà presto.
80. Dopo aver lodato la guida che ha acquisito grandi meriti, dimorando nell’amore e nel rispetto, tutti noi saremo presto come te, o Eccelso tra gli uomini, perfettamente maturi per la suprema Saggezza. 

Capitolo quinto, intitolato: la messa in movimento.
    

NdT

[1] Della Ruota del Dharma.
[2] Si tratta delle quattro attrattive per radunare i discepoli: la generosità, le parole gradevoli, gli insegnamenti calibrati sulle necessità del discepolo, la condotta conforme al Dharma. Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 482.
[3] Divinità ed esseri sovrannaturali del pantheon indiano. Candra (leggasi ciandra, termine maschile in lingua sanscrita), è la luna, Sūrya il sole.
[4] Tra l’occhio e l’orecchio l’elefante possiede una ghiandola sudorifera provvista di un sistema muscolare che gli permette di espellere particolari secrezioni, le quali giocano un ruolo determinante nella ricerca del partner e nella formazione delle coppie. Cfr. http://www.mille-animali.com/animali/mammiferi/elefante.php.
[5] Personificazione dell’Himālaya, padre di Pārvati e di Gaṅgā.
[6] I termini sanscriti non tradotti nel testo indicano rispettivamente i tordi, i cuculi, le beccacce e un uccello simile al passero (kalabiṅka o kalaviṅka) dal canto melodioso, spesso presente nei miti buddhisti anche al di fuori dell’India.
[7] Come già nei passi dei capitoli precedenti nei quali si trovano lunghi elenchi descrittivi, anche qui i verbi sono spesso tradotti con tempi diversi: ad es. il Bodhisattva “fit apparaȋtre” gli otto segni e la dimora del re “fut sans herbe”, ma poi “tel est le premier signe”, e gli uccelli “se posent sur les terrasses”, e poi ancora “tel fut le second signe”. Si è allora preferito utilizzare costantemente le forme del passato, per rendere uniforme la narrazione.
[8] Il ghī (dal sanscrito ghṛta): è il burro bollito e schiumato, simbolo di fertilità, come l’acqua evaporata che ricade sulla terra. È spesso presente nei cerimoniali e nella medicina tradizionale indiana.
[9] Un grande liuto basso.
[10] Nel testo francese si legge “esprit bien éloigné du vol”, ma non è pensabile che Māyādevī, futura madre del Buddha e moglie di un sovrano, potesse rivolgere la mente al furto, sia pure per poi allontanarsene! Per questo si è tradotto con abbandonato ogni spirito di ottenimento. Nella tradizione Zen si parla di pratica mushotoku, ovvero senza spirito di profitto, senza desiderio di conseguimento di vantaggi materiali né spirituali.
[11] V. cap. II nota 17.
[12] Nome di un giardino nel paradiso di Indra.
[13] V. cap. III nota 7.
[14] Un giardino nel paradiso di Indra.
[15] Il sacerdote di famiglia o cappellano domestico.
[16] Termine collettivo che designa gli Splendenti, divinità minori che presiedono all’illuminazione spirituale. Cfr. M. e J. Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 3.
[17] Classi di divinità, di esseri superiori.
[18] Il luogo del Risveglio.
[19] Gruppo di trentatré divinità vediche.
[20] Il Kāmadhātu. Nel saṃsāra, il ciclo delle esistenze condizionate, si distinguono sei “destini”, le sei possibili condizioni di rinascita (esseri infernali, spiriti avidi, animali, uomini, semidei e dei), distribuiti in tre “regni”: il Regno del Desiderio (i primi cinque destini più sei cieli degli dei del desiderio); il Regno della Forma Pura, Rūpadhātu (diciassette cieli abitati dagli dei); il Regno Senza Forma, Arūpadhātu (quattro livelli superiori di dei).
[21] Ovvero i quattro illimitati: equanimità, benevolenza, compassione, gioia compartecipe. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 485.
[22] Il francese péché è stato reso con errore e non con peccato, trovandoci in un contesto buddhista. E corruption naturelle è stato tradotto, sulla scia della versione inglese, con afflizioni mentali. Infatti nel Buddhismo si parla di due categorie di oscuramenti, quello delle passioni e quello cognitivo. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 437.
[23] Pratyekajina (conquistatore solitario) o Pratyekabuddha (Buddha-da-sé, realizzatore solitario) è colui che in una vita precedente ha incontrato il Buddha ma non ne ha praticato fino in fondo gli insegnamenti. Per questo, giunto alla sua ultima esistenza, si ritira per praticare da solo, come solitario è il corno del rinoceronte. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 473. Si veda il Khaggavisana Sutta (Il Sūtra del corno di rinoceronte) in: http://www.canonepali.net/snp-1-3-khaggavisana-sutta-il-corno-del-rinoceronte/.
[24] Per i dieci poteri v. cap. IV nota 22. L’espressione ruggito del leone indica il corretto insegnamento del Dharma. Si veda il Cūlasīhanada Sutta (Il Sūtra del ruggito del leone) in: http://www.canonepali.net/mn-11-culasihanada-sutta-il-ruggito-del-leone/.
[25] I tre addestramenti in cui sono raggruppati gli otto rami dell’Ottuplice Sentiero. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 488.
[26] La versione inglese attribuisce espressamente gli ultimi tre attributi alla liberazione anziché al Bodhisattva (pag. 38-39 del testo; pag. 52-53 del file PDF). In effetti le tre qualità sono spesso citate in relazione al Dharma, che è profondo, difficile da incontrare e da comprendere. Ma in lingua francese médecin è il medico (medicina è médicament o remède) e quindi, stando alla lettera della versione di De Foucaux, non sarebbe corretto (anche se molto significativo) tradurre roi des médecins con Dharma, inteso come Rimedio Supremo. Si rammenti comunque che Buddha, Dharma e Saṅgha sono considerati come aspetti di un’unica realtà.
[27] Kapilavastu, capitale del regno degli Śākya, oggi in Nepal.
[28] Compiute nelle esistenze precedenti.
[29] Le tre passioni principali: ignoranza, avversione e attaccamento.
[29bis] Si veda il post http://zenvadoligure.blogspot.it/2017/05/i-passi-miracolosi-del-buddha-e-della.html
[30] Si tratta dell’erba kuśa, la più sacra, che veniva utilizzata durante i riti vedici. Si riteneva avesse il potere di dissipare gli stati d’ira. Su uno strato di erba kuśa erano usi sedere gli yogi durante le pratiche meditative. È detto nella Bhagavad Gītā 6, 11: In un luogo puro egli [lo yogi] deve prepararsi un seggio né troppo alto né troppo basso. Questo deve essere fatto a strati di erba kuśa, con sopra una pelle di daino ricoperta da una stoffa.
[31] Cfr. cap. III nota 31.
[32] De Foucaux precisa tra parentesi che lo splendore del Sole e della Luna è in questo caso una qualità del corpo del Bodhisattva, mentre – forse più coerentemente – la versione inglese lo elenca tra le qualità della regina Māyādevī.
[33] Il termine garbha (qui preceduto dal prefisso onorifico Śrī, ovvero ciò che è oggetto di venerazione, dei, uomini o cose) indica grembo, matrice.
[34] è qui ricordata la vicenda del re Sibi (narrata nel Mahābhārata e nel Laṅkāvatārasūtra), futuro Bodhisattva, il quale per compassione tagliò e donò pezzi del proprio corpo, pesandoli su una bilancia, per salvare un piccione che stava per essere divorato da un falco. I piatti della bilancia si pareggiarono solo quando il re salì su di essa con tutto il corpo, facendo dono della propria vita. Cfr. E.W. Burlingame, Parabole buddhiste, Ed. Laterza, pag. 224.
[35] Spiriti famelici, una delle sei classi di esseri del saṃsāra.
[36] Le pratiche descritte nei versi da 63 a 68 sono, ancora una volta, le sei pāramitā, le perfezioni.
[37] Muni, veggente, sapiente, ma anche colui che ha fatto il voto del silenzio. Il Buddha è Śākyamuni, il Saggio degli Śākya nonché il Silenzioso degli Śākya, e il Buddhismo è infatti detto la Via del Silenzio. Cfr. il Dizionario dell’Induismo alla pag. 286.
[38] Gate gate pāragate pārasaṃgate bodhi svāhā (Andato, andato, andato al di là, completamente andato al di là, Risveglio! Svāhā!) è il mantra conclusivo del Prajñāpāramitāhṛdayasūtra, il Sūtra del Cuore della Perfezione della Saggezza.
[39] Upāya, gli abili mezzi. V. cap. II nota 7.
[40]Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Giovanni, 15,19. Ed anche: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. Giovanni 17,13.
[41] Potenze celesti avversarie dei Deva, come gli Asura. 

Kokila, il cuculo




Capitolo sesto 

La discesa nel grembo di una madre

Il Bodhisattva discende nel grembo della madre con l’aspetto di un giovane elefante bianco. Entra dal fianco destro della madre mentre ella dorme e vede in sogno ciò che sta accadendo. – La regina poi si alza e, ricolma di un benessere sconosciuto, si reca in un bosco vicino, dal quale fa chiamare il re. Questi, volendo entrare nel bosco, sente il proprio corpo così pesante da non poter camminare. – Spiegazione del sogno della regina da parte dei Brāhmaṇa, che gli preannunciano che avrà un figlio che diventerà un re o un Buddha. – Gioia del re. – Gli dei offrono le loro dimore affinché la regina vi possa rimanere senza essere disturbata. – Il re fa costruire un palazzo appositamente per lei. – Stupore di alcuni figli degli dei vedendo il Bodhisattva entrare nel grembo di una donna. – Interruzione del racconto da parte di Ānanda per spiegare il fatto. – Descrizione del Ratnavyūha del Bodhisattva. – Le sue attività nel periodo in cui si trova nel grembo della madre.
Quindi, o Monaci, passata la stagione fredda, nel mese di Viśākhā (aprile-maggio), quando era ritornata in cielo la costellazione Viśākhā [1], proprio all’inizio della primavera, la stagione più bella, con gli alberi più belli ricoperti di foglie, adorna dei fiori più belli, non fredda né calda, senza nebbie né polvere, con il suolo ricoperto da un tappeto verde, folto e morbido, il Signore dei tre mondi, riverito da tutti, consapevole che il tempo era giunto, nel quindicesimo giorno della luna, allora nel suo pieno fulgore, nel periodo della congiunzione con Puṣyā [2], essendo il Bodhisattva disceso dal paradiso di Tuṣita,  pienamente memore e consapevole, entrò nel grembo della madre, in quel tempo da lei dedicato al digiuno, attraverso il suo fianco destro, sotto l’aspetto di un piccolo elefante bianco a sei zanne, con la testa del colore della cocciniglia, le zanne splendenti come oro, tutte le membra e gli organi senza alcuna imperfezione. Dopo essere entrato, si appoggiò a destra, e mai lo fece a sinistra. Māyādevī, dolcemente addormentata sul suo giaciglio, ebbe in sogno questa visione:
1. Un elefante bianco come la neve e l’argento, con sei zanne, belle zampe, una proboscide superba, la testa tutta rossa, è entrato nel mio grembo; il più bello degli elefanti, dall’andatura armoniosa, dalle membra del corpo forti come il diamante.
2. E giammai una tale felicità è stata da me immaginata, provata o goduta; al punto che, in uno stato di piacere per il corpo e di gioia per lo spirito, sono stata totalmente assorbita nella contemplazione.
Quindi Māyādevī, indossati abiti e ornamenti, con il corpo e lo spirito in uno stato di benessere, piena di gioia, di allegria e di felicità, alzatasi dal suo talamo, circondata e preceduta da una schiera di ancelle, discesa dall’alto del più bello tra i palazzi, si recò nel luogo in cui si trovava un boschetto di aśoka [3]. Seduta nel bosco di aśoka, inviò un messaggio al re Śuddhodana con queste parole: Che il re venga; la regina desidera vederlo.
Il re Śuddhodana udite queste parole ne ebbe il cuore pieno di gioia e sollevatosi dal suo meraviglioso trono, circondato e preceduto dai consiglieri, dagli abitanti della città, dal suo seguito e dai suoi famigliari, si diresse verso il sito del bosco di aśoka ma, lì giunto, non poté entrarvi, sentendo il suo corpo completamente appesantito. Fermatosi sul limitare del bosco, dopo aver riflettuto per qualche istante, recitò questo Gāthā:
3. Non ricordo di aver mai sentito il mio corpo così pesante come oggi, nemmeno quando mi sono trovato nel mezzo di una battaglia di valorosi. Non riesco addirittura ad entrare nel luogo dove si trova la mia stessa famiglia; cosa mi accade dunque, e a chi potrò chiederlo?
Allora i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, rimanendo in cielo e manifestando solo metà del loro corpo rivolsero al re Śuddhodana questi versi:
4. Maestà, il Bodhisattva, il grande Essere, in possesso delle qualità dell’ascesi e della disciplina, degno degli onori dei tremila mondi, amorevole e compassionevole, benedetto dalla virtù e dalla saggezza, dopo essere disceso dal cielo di Tuṣita, è entrato, quale figlio tuo, nel grembo di Māyā.
5. Giunte le mani e chinato il capo, il re entrò (nel bosco), con grande rispetto; dopo aver guardato Māyā, abbandonando l’orgoglio e l’arroganza, disse: Cosa posso fare per voi? Di che si tratta? Parlate!
6. La regina rispose: Simile alla neve e all’argento, più splendente del sole e della luna, il più bello degli elefanti, con le zampe ben proporzionate, con sei zanne, nobile, con le membra forti come il diamante, meraviglioso, è entrato nel mio grembo. Ascoltate il mio racconto!
7. Ho visto in un sogno affatto oscuro, lucido, un insieme di tremila mondi e di milioni di dei che lodavano la mia persona mentre ero addormentata. In me non c’erano più né avversione né collera né turbamento; ed ho provato le gioia della contemplazione, con la mente pacificata.
8. è bene, Maestà, che facciate subito venire qui dei Brāhmaṇa, capaci di spiegare i Veda e i sogni, e che conoscano le leggi dell’astrologia, poiché essi mi diranno se questo sogno è per me veritiero e se accadrà qualcosa di gioioso per me o di spiacevole per la nostra famiglia.
9. Dopo aver ascoltato queste parole il re fece istantaneamente giungere dei Brāhmaṇa versati nei Veda e nella lettura dei testi sacri. Quando fu alla presenza dei Brāhmaṇa, Māyā disse: Ascoltate il racconto di ciò che ho visto in sogno.
10. I Brāhmaṇa risposero: Raccontate, o Regina, ciò che avete visto in sogno. Dopo averlo ascoltato, sapremo (ciò che significa).
11. La regina disse: Simile alla neve e all’argento, più splendente del sole e della luna, il più bello degli elefanti, con le zampe ben proporzionate, con sei zanne, nobile, con le membra forti come il diamante, meraviglioso, è entrato nel mio grembo; spiegatemi il significato di tutto questo!
12. Avendo ascoltato queste parole i Brāhmaṇa così parlarono: Proverete una grande felicità, non accadrà nulla di spiacevole alla famiglia. Nascerà un figlio con il corpo fornito dei grandi segni, nobile discendente di una famiglia di re, un Cakravartin, un grande Essere.
13. Se dopo aver abbandonato gli affetti, la regalità e il palazzo andrà errando come un monaco, libero dagli attaccamenti, compassionevole verso tutti gli esseri, egli sarà un Buddha, degno degli onori dei tre mondi, e sazierà tutti gli uomini con il nettare meraviglioso dell’Amṛta. 
14. Infine, dopo aver fatto queste favorevoli profezie, avuti in dono nel palazzo del re cibi ed abiti, i Brāhmaṇa si allontanarono.
Quindi, o Monaci, udita la risposta dei Brāhmaṇa conoscitori dei segni e dei presagi, versati nell’astrologia e nell’interpretazione dei sogni, il re Śuddhodana, al colmo della contentezza, della felicità e della gioia, in preda all’estasi, dopo aver ricoperto i Brāhmaṇa di abbondanti doni in cibi ben cucinati, gradevoli, delicati e saporiti e molti abiti, li congedò.
Nello stesso tempo, alle quattro porte della grande città di Kapilavastu, in tutti i crocicchi e le piazze, fece distribuire offerte: cibo a chi desiderava cibo, bevande a chi desiderava bevande, abiti a chi desiderava abiti, carri a chi desiderava carri; e poi profumi, ghirlande, unguenti, polveri profumate, letti, ripari, mezzi di sussistenza a chiunque, finché ne desiderasse, al fine di rendere omaggio al Bodhisattva.
Poi, o Monaci, nella mente del re Śuddhodana sorse un pensiero: in quale dimora Māyādevī potrà vivere a suo agio e senza essere disturbata?
Ed in quell’istante i quattro Grandi Re, avvicinatisi al re Śuddhodana, così parlarono: Non ti preoccupare, o Re; riposa senza inquietudini, perché noi prepareremo la dimora del Bodhisattva.
E Śakra, il Signore degli dei, accostatosi al re Śuddhodana, disse:
15. La dimora dei quattro Grandi Re Guardiani (del mondo) è povera; quella degli dei Trāyastriṃśa è superiore. Io dono al Bodhisattva un palazzo pari al Vijayanta [4].
Suyāma figlio di un dio, accostatosi al re Śuddhodana, disse così:
16. Dopo aver visto la mia dimora dieci milioni di Śakra sono rimasti pieni di ammirazione; la felice dimora di Suyāma, io la dono al Bodhisattva.
Allora Santuṣita, figlio di un dio, accostatosi al re Śuddhodana, così parlò:
17. Io dono al Bodhisattva il delizioso palazzo nel quale il Glorioso ha precedentemente dimorato presso gli dei Tuṣita.
Quindi Sunirmita, figlio di un dio, accostatosi al re Śuddhodana, così disse:
18. Io presenterò al Bodhisattva, in segno di omaggio, una dimora felice, un sogno divenuto realtà, composta di gioielli preziosi.
Allora Paranirmitta Vaśavartin, figlio di un dio, avvicinatosi al re Śuddhodana, così disse:
19. Tutte queste dimore, senza eccezione, che si trovano nel Reame del Desiderio, per quanto belle sono completamente eclissate dallo splendore del mio palazzo.
20. E questa felice dimora, composta di gioielli preziosi e splendidi, io la offro, o Re, per rendere omaggio al Bodhisattva, e ve lo condurrò.
21. Il grande palazzo che io offrirò e dove la regina dimorerà è ricolmo di fiori divini, profumato di essenze divine.
Avvenne così, o Monaci, che tutti i grandi dei Kamavatchara [5] per rendere omaggio al Bodhisattva offrirono nella migliore delle città, Kapila, le dimore di ognuno di essi. Ma il re Śuddhodana fece costruire un palazzo che andava al di là di ogni costruzione umana, senza però uguagliare quelle degli dei. In ognuna di esse il Bodhisattva, grazie al potere della meditazione detta ‘il grande ordine’[6], fece apparire Māyādevī. Per tutto il tempo in cui il Bodhisattva rimase nel grembo della madre, egli restò seduto con le gambe incrociate, sul lato destro del corpo di lei. E tutti quei Signori degli dei dicevano, ognuno tra sé e sé: È proprio nel mio palazzo che la madre del Bodhisattva vive, e non altrove!
E qui è detto:
22. Mentre egli era immerso nella meditazione detta ‘il grande ordine’ e dopo che fenomeni incomprensibili si furono manifestati grazie al potere sovrannaturale, tutti gli dei videro raggiunto il loro scopo, e così pure il desiderio del re fu esaudito.
Sorse allora tra alcuni figli degli dei che facevano parte di quella assemblea divina un pensiero: poiché tutti i figli dei Quattro Re Guardiani, senza alcuna eccezione, si allontanano con disgusto dai corpi umani in quanto emanano un cattivo odore, a maggior ragione lo fanno gli altri dei, di rango più elevato, quali i Trāyastriṃśa, o gli Yama o i Tuṣita. In qual modo dunque il Bodhisattva, che è al di là di tutti i mondi, che è puro e privo di odori sgradevoli, che è la perla degli esseri, disceso dalla divina dimora Santuṣita, rimane in un corpo umano dallo sgradevole odore per dieci mesi [7], nel grembo di una madre?
In quel momento, grazie al potere del Buddha [a], Ānanda così parlò al Bhagavat: è stupefacente, Bhagavat, quanto il sesso femminile sia soggetto al biasimo, così come è detto dal Tathāgata, e quanto sia turbato dalla passione. Ma questo, Bhagavat, è ancora più stupefacente: come in effetti una volta il Bhagavat, che è al di là di tutti i mondi, quando era un Bodhisattva, essendo disceso dalla divina dimora di Tuṣita in un corpo umano dallo sgradevole odore, sia rimasto sempre sul lato destro del grembo della madre dopo esservi penetrato. Non riesco a dire come sia avvenuto, così come raccontato dal Bhagavat.
Il Bhagavat disse: Ānanda, vuoi vedere il Ratnavyūha del Bodhisattva, di cui il Bodhisattva si compiacque quando era nel grembo della madre?
Ānanda rispose: è il momento, Bhagavat! È il momento, Sugata! Che il Tathāgata ci mostri il diletto del Bodhisattva, e dopo averlo visto ne avremo una grande gioia.
Il Bhagavat fece un cenno, al quale Brahmā, Signore dei Saha, con sessantottomila Brahmā discesi da quel Reame, comparve al suo cospetto; quindi, dopo aver reso omaggio ai suoi piedi con il capo ed aver girato intorno al Bhagavat per tre volte rivolgendogli il fianco destro con le mani giunte e restando a capo chino, gli si fermò accanto.
Avendolo riconosciuto, il Bhagavat così si rivolse a Brahmā Sahāmpati, il Signore delle creature: è stato preso in consegna da te il gioiello di cui mi compiacevo quando ero Bodhisattva, nei dieci mesi durante i quali mi trovavo nel grembo di mia madre?
Brahmā rispose: Proprio così, o Bhagavat! Proprio così, o Sugata!
Il Beato chiese: Dove è ora, Brahmā? Mostralo.
Brahmā rispose: Si trova nel reame di Brahmā.
E il Bhagavat ingiunse: Ebbene, Brahmā, mostra il gioiello del Bodhisattva, che per dieci mesi è stato con lui. Si vedrà in qual modo è stato fabbricato.
Brahmā, Signore delle creature, così disse allora agli dei Brahmā: Signori, rimanete fino a quando non avrò riportato la delizia del Bodhisattva. Quindi, avendo reso omaggio con il capo ai piedi del Bodhisattva, Brahmā scomparve dalla sua presenza e nello stesso istante si recò nel reame di Brahmā. Poi il Signore delle creature disse a Subrahmā, figlio di un dio: Va’, o amico! Con voce alta fai udire dal reame di Brahmā fino alla dimora dei Trāyastriṃśa queste parole: Porteremo alla presenza del Tathāgata il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva. Chiunque tra voi desiderasse vederlo, si avvicini velocemente!
Allora Brahmā, Signore delle creature, il quale insieme con ottantaquattromila centinaia di migliaia di niyuta di koti di dei [8] aveva preso con sé il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, e lo aveva riposto in un palazzo di Brahmā esteso per trecento yojana, lo fece circondare da ogni lato da molte centinaia di migliaia di niyuta di koti di divinità e lo fece discendere nel Jambudvīpa. 
In quel momento si tenne una grande adunanza di dei Kamavatchara, i quali desideravano porsi al seguito del Bhagavat. Il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, fu ornato con stoffe divine, ghirlande divine, profumi divini, fiori divini, musiche divine, decorazioni divine, nel momento stesso in cui venne circondato dagli dei rinomati per il loro grande potere.
Il Signore degli dei Śakra, rimanendo sul grande monte Sumeru, da lontano, nel mezzo dell’Oceano, dopo aver portato la mano al viso a mo’ di parasole, guardava con la testa inclinata di lato e strizzando gli occhi, ma non poté vedere nulla. Perché questo? Il fatto è che gli dei Brahmā, noti per il loro grande potere, i Trāyastriṃśa, gli Yama, i Nirmāṇarati e i Paranirmitavaśavartin a loro inferiori, e così come loro, anzi a maggior ragione, Śakra, Signore degli dei, tutti erano turbati.
A quel punto il Bhagavat fece cessare gli accordi della musica divina. Perché questo? Perché udendoli gli uomini del Jambudvīpa sarebbe diventati folli.
Allora i quattro Grandi Re che si erano recati presso Śakra, Signore degli dei, così dissero: Come faremo, Signore degli dei? Non riusciamo a vedere il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva.
Śakra rispose: Cosa farò anch’io, amici, perché nemmeno io riesco a vederlo. Ma tuttavia, o amici, quando sarà portato al cospetto del Bhagavat lo vedremo.
Essi dissero: Ebbene, Signore degli dei, fa’ in modo che presto lo si possa vedere.
E Śakra replicò: Amici, attendete un poco fino a che i figli degli dei, i più eminenti tra tutti, abbiano rallegrato il Bhagavat (con le loro parole).
Quindi, restando da un lato, essi guardavano il Beato.
In quel momento Brahmā, il Signore delle creature, insieme con ottantaquattro centinaia di migliaia di niyuta di koti di divinità, recando con sé il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, lo portò nel luogo in cui si trovava il Tathāgata.
Il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, ha una forma attraente, piacevole, bella a vedersi; è quadrangolare, e poggia su quattro colonne; alla sommità è abbellito da una struttura, di altezza pari a quella di un bambino nato di sei mesi. Al centro di quel livello è approntato un seggio, simile ad uno sgabello delle stesse proporzioni.
Inoltre, il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, possiede una forma ed un colore tali che nulla di simile esiste in questo mondo insieme a quello degli dei, di Brahmā o del demone.
Alla sua vista gli dei furono ricolmi di ammirazione e i loro occhi rimasero abbagliati. Alla presenza del Tathāgata esso brillava, emanava luce e risplendeva. Come ad esempio l’oro fuso da un abile artigiano, portato ad uno stato di completa purezza, è privo di ogni difetto e di ogni contaminazione, nello stesso modo in quel momento risplendeva il Ratnavyūha. Inoltre, o Monaci, nella delizia del Bodhisattva è preparato un seggio che non ha pari per forma e colore nel mondo degli dei, ad eccezione del collo del Bodhisattva, le cui pieghe sono simili a quelle di una conchiglia [9]. E la veste del grande Brahmā, che era stata dispiegata accanto al seggio del Bodhisattva, aveva cessato di risplendere, così come farebbe la pelle di una gazzella nera battuta dal vento e dalla pioggia.
La struttura è in sandalo uraga [10], ed è talmente rivestita da ogni lato da quel sandalo che un solo granello della sua polvere possiede un valore pari a quello di mille universi. Una seconda struttura è costruita, esattamente uguale, all’interno della prima, alla quale non è collegata né unita. E nella seconda se ne trova una terza identica, ed è in quest’ultima struttura di sandalo profumato che il trono è collocato e ben riparato. Il colore del sandalo uraga è simile a quello del più puro lapislazzuli. Inoltre, al di sopra e tutt’intorno alla struttura nascono tutti i tipi di fiori più belli, grazie ai meriti precedenti del Bodhisattva giunti alla perfetta maturazione.
E ancora, il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, di natura solida, indistruttibile, simile al diamante, è delicato al tatto come una veste di Kāchilindi. Inoltre nel Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, si può scorgere con chiarezza tutto ciò che è posto nelle dimore degli dei del Reame del desiderio.
Nella stessa notte in cui il Bodhisattva entrò nel grembo della madre, proprio in quella notte, un loto si innalzò dalle acque inferiori, attraversò la terra e crebbe fino al Reame di Brahmā per una altezza di sessantotto milioni di yojana [11]. Nessuno vide il fiore di loto, tranne il Sublime Maestro di tutti gli esseri [12] e il grande Brahmā, che è a capo di milioni di uomini. E quanto vi è quaggiù di energia, l’essenza, anzi la quintessenza delle sostanze fondamentali dei tre grandi milioni di mondi, tutto questo fu raccolto nel grande loto sotto forma di una goccia di nettare. Il grande Brahmā dopo averla riposta in un bel vaso di lapislazzuli la offrì al Bodhisattva. Questi la accettò e la bevve per amore verso Brahmā. Non esiste alcun essere nel mondo il quale, avendo bevuto quella goccia di elisir, la possa tranquillamente assimilare, con la sola eccezione di un Bodhisattva che sia giunto alla sua ultima rinascita e che abbia interamente percorso tutte le terre dei bodhisattva [13].
Ma grazie alla completa maturazione di quali azioni quella goccia di elisir divenne un’offerta per il Bodhisattva? Perché nel lungo periodo in cui nel passato egli aveva seguito lo stile di vita del bodhisattva [14] aveva donato medicine ai malati; aveva completamente esaudito i desideri di coloro che erano colmi di speranza; coloro che avevano richiesto un rifugio presso di lui non erano stati abbandonati; dopo aver donato i fiori più belli, i frutti migliori, i cibi più gustosi ai Tathāgata, ai chaitya dei Tathāgata, alle comunità degli śrāvaka, ai loro padri e madri, solo allora ne aveva fruito egli stesso. Grazie alla perfetta maturazione dei meriti di queste azioni il grande Brahmā offrì al Bodhisattva quella goccia di nettare.
Inoltre nel tempio si trovano i migliori tra i più eccelsi oggetti di gioco e di piacere, e tutto questo vi si manifesta a seguito della perfetta maturazione delle precedenti azioni del Bodhisattva.
E ancora, nel Ratnavyūha, delizia personale del Bodhisattva, è comparso una assortimento di vesti denominato ornamento di centomila; e non vi è un solo essere tra le moltitudini degli esseri per il quale esso si manifesti, ad eccezione di un Bodhisattva che sia giunto alla sua ultima esistenza.
E non esiste alcuna sublime forma visibile, né suono, né odore, né gusto, né oggetto tattile che non si trovino in quella struttura.
 Ogni sua qualità è talmente perfetta che è costruita all’interno e all’esterno in modo tale da essere piacevole come una veste di Kāchilindi, delicata al tatto. E una volta che la si sia vista, non è più possibile fare alcun confronto con essa.
Questo perfetto compimento del Dharma è l’effetto dell’intenzione espressa dalla precedente aspirazione del Bodhisattva. È nella natura delle cose che il Bodhisattva Mahāsattva nasca nel mondo degli uomini; che in seguito, essendo uscito dal palazzo paterno ed avendo conseguito le qualità perfette e complete di un Buddha, faccia girare la ruota del Dharma. E che nel grembo della madre, nel quale è disceso attraverso il fianco destro, sullo stesso lato si sia manifestato il Ratnavyūha, un tempio di materiali preziosi. Dopo essere disceso dal Tuṣita, il Bodhisattva rimane seduto con le gambe incrociate, poiché il corpo di un Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza non appare come un embrione debole e inerte, ma al contrario si manifesta seduto, dotato di tutti gli organi e con tutte le sue membra recanti i segni del corpo di un Buddha. E così la madre del Bodhisattva, Māyādevī, vide giungere in sogno il più bello dei grandi elefanti.
Mentre il Bodhisattva così sedeva, Śakra, il Signore degli dei, i Quattro Grandi Re, i ventotto capi della schiera degli Yakṣa, colui che ha per nome Guhyakadhipati, dal quale è stata generata la stirpe degli Yakṣa Vajrapāṇi [15], avendo appreso che il Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre gli rimasero sempre e costantemente accanto. Vi erano anche, in qualità di ancelle, quattro dee: Utkhalī, Samutkhalī, Dhajavatī e Prabhāvatī. Avendo saputo che il Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre esse lo seguivano sempre e costantemente. Anche Śakra, il Signore degli dei, poiché aveva appreso che il Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre gli era sempre e costantemente accanto, insieme con cinquecento figli degli dei.
Il corpo del Bodhisattva che era entrato nel seno della madre era come un grande fuoco sulla sommità di una montagna durante una notte oscura e tenebrosa, visibile da una distanza di uno yojana, o addirittura di cinque yojana. Così era la figura perfettamente compiuta del Bodhisattva nel grembo della madre. Luminoso, bello, aggraziato, piacevole a vedersi, seduto nel tempio con le gambe incrociate, risplendeva come oro puro incastonato di lapislazzuli. E la madre del Bodhisattva lo vedeva nel suo grembo. Come dei fulmini balenando da un grande cumulo di nubi producono una forte luce, nello stesso modo il Bodhisattva entrato nel grembo della madre, attraverso la sua maestà, la radiosità, lo splendore, i colori, illuminò interamente il primo tempio di gioielli; e dopo averlo fatto risplendere illuminò il terzo tempio in legno profumato e gioielli [16]; e quindi illuminò l’intero corpo della madre, e successivamente il trono su cui sedeva e tutta la dimora. E dopo aver reso splendente la dimora ed essere uscita al di sopra del palazzo, la grande luce irradiò le regioni dell’est; e nello stesso modo le terre del mezzogiorno, dell’occidente, del nord, e lo zenit e il nadir e tutte le dieci direzioni dello spazio fino alla distanza di un krośa [17] furono illuminate dal Bodhisattva entrato nel seno della madre, attraverso la sua maestà, il suo splendore e il suo colore.
Allora, o Monaci, i Quattro Grandi Re e i ventotto capi della schiera degli Yakṣa con cinquecento Yakṣa giunsero durante il mattino per vedere il Bodhisattva, per rendergli lode, servirlo ed ascoltare il Dharma. Il Bodhisattva, accortosi che essi erano giunti, stese la mano destra e con un dito indicò loro dei seggi. I Guardiani del Mondo e gli altri sedettero quindi sui seggi preparati per loro. Essi videro il Bodhisattva entrato nel grembo della madre con un corpo come d’oro, che muoveva la mano, faceva un cenno, la distendeva. E ricolmi di gioia, di allegria e di benessere resero omaggio al Bodhisattva. Vedendoli seduti, il Bodhisattva impartì loro degli insegnamenti con un sermone sul Dharma; fece sì che lo comprendessero, li esortò e li riempì di gioia. E quando essi provarono il desiderio di ripartire il Bodhisattva, avendo percepito il loro pensiero attraverso la sua sola mente, fece loro cenno di andare stendendo la mano destra; dopo averla distesa, la ritirò senza far del male alla madre.
Sorse allora questo pensiero nei Quattro Grandi Re: Siamo stati congedati dal Bodhisattva. E dopo aver girato per tre volte intorno al Bodhisattva e alla madre presentando loro il lato destro si ritirarono.
Queste furono la causa e le condizioni per cui durante la notte tranquilla il Bodhisattva dopo aver steso la mano destra la ritirò. E dopo averla ritirata restò immobile, mantenendo piena consapevolezza ed attenzione.
Inoltre, quando altri si avvicinarono per vedere il Bodhisattva, chiunque fossero, donne o uomini, ragazzi o fanciulle, innanzitutto il Bodhisattva li ricolmò di gioia, e successivamente la madre fece la stessa cosa.
In questo modo il Bodhisattva, dopo essere entrato nel grembo della madre, riusciva a generare gioia in tutti gli esseri. Non un solo essere, Deva, Nāga o Yakṣa, umano o non umano, poté per primo rivolgere una parola gentile al Bodhisattva; al contrario, fu sempre il Bodhisattva stesso che per primo li rallegrò, e dopo di lui sua madre.
Intanto, trascorsa la mattinata e giunta l’ora di mezzogiorno, Śakra, il Signore degli dei, insieme con i più eccelsi tra i supremi figli degli dei Trāyastriṃśa, si avvicinarono per vedere il Bodhisattva, per rendergli omaggio, per servirlo e per ascoltare il Dharma. Il Bodhisattva, che li aveva visti arrivare da lontano, distese il suo braccio destro color dell’oro, rallegrò Śakra, il Signore degli dei, e gli dei Trāyastriṃśa poi con un dito indicò loro dei seggi. E Śakra, o Monaci, non poté rifiutare l’invito del Bodhisattva; insieme con gli altri figli degli dei sedette sui seggi approntati per loro. Vedendoli seduti, il Bodhisattva impartì loro degli insegnamenti con un sermone sul Dharma; fece sì che lo comprendessero, li esortò e li colmò di gioia. E dallo stesso lato verso cui il Bodhisattva volgeva la mano era rivolta la madre del Bodhisattva. Allora si generò in loro questo pensiero: Il Bodhisattva si intrattiene piacevolmente con noi. Ed ognuno diceva tra sé e sé. È con me che il Bodhisattva parla, è direttamente con me che conversa piacevolmente!
Inoltre nel tempio si vide l’immagine riflessa di Indra e degli dei Trāyastriṃśa. E certamente in nessun luogo si trovava una dimora di un Bodhisattva pari a quella del Bodhisattva entrato nel grembo della madre. E, o Monaci, quando Śakra, Signore degli dei, e i figli degli dei che erano con lui provarono il desiderio di ripartire il Bodhisattva, avendo riconosciuto in profondità il loro pensiero attraverso la sua sola mente, alzata la mano destra la distese. Dopo averla distesa e poi ritirata mantenendo piena consapevolezza ed attenzione, la tenne immobile e non fece del male alla madre.
Sorse allora questo pensiero in Śakra, il Signore degli dei, e negli dei Trāyastriṃśa: Siamo stati congedati dal Bodhisattva. E dopo aver girato per tre volte intorno al Bodhisattva e alla madre presentando loro il lato destro si ritirarono.
Trascorsa l’ora di mezzogiorno e sopraggiunto il pomeriggio, o Monaci, Brahmā, il Signore delle creature, circondato e preceduto da diverse centinaia di migliaia di figli degli dei, recando con sé la divina goccia di elisir, si avvicinò al luogo in cui si trovava il Bodhisattva per vederlo, per rendergli omaggio, per porsi al suo servizio e ascoltare il Dharma.
O Monaci, il Bodhisattva, che aveva saputo che Brahmā, Signore delle creature, si avvicinava con il suo seguito, stese nuovamente la mano destra color dell’oro, li rallegrò con le sue parole e con un dito mostrò loro dei seggi. E, o Monaci, non fu possibile per Brahmā, Signore delle creature, rifiutare l’invito del Bodhisattva. Quindi Brahmā, Signore della creature, sedette insieme con gli altri figli degli dei del Reame di Brahmā sui seggi preparati per loro. Vedendoli seduti, il Bodhisattva impartì loro degli insegnamenti di Dharma, fece sì che lo comprendessero, li esortò e li colmò di gioia. E dal lato verso cui il Bodhisattva volgeva la mano destra, da quella stessa parte era rivolta la madre del Bodhisattva. Allora si generò in ognuno di essi questo pensiero: È con me che il Bodhisattva parla, è me che rallegra con le sue parole!
E quando Brahmā, Signore delle creature, e gli altri figli degli dei del Reame di Brahmā provarono il desiderio di ripartire il Bodhisattva, avendo riconosciuto quale fosse nel profondo il loro pensiero, alzato il braccio destro simile all’oro lo distese; e dopo averlo disteso lo ritirò. Distendendolo in segno di commiato e quindi ritirandolo non fece del male alla madre.
Sorse allora questo pensiero in Brahmā, Signore delle creature, e nei figli degli dei del Reame di Brahmā: Siamo stati congedati dal Bodhisattva. E dopo aver girato per tre volte intorno al Bodhisattva e alla madre presentando loro il lato destro si allontanarono. Il Bodhisattva, mantenendo piena consapevolezza ed attenzione, tenne immobile la sua mano.
Indi, o Monaci, da oriente, da sud, da occidente e da nord, dallo zenit e dal nadir, ovunque dalle dieci direzioni dello spazio molte centinaia di migliaia di Bodhisattva arrivarono per vedere il Bodhisattva, per rendergli omaggio, per porsi al suo servizio, per ascoltare e proclamare il Dharma.
Mentre arrivavano, il Bodhisattva, che aveva fatto scaturire dal suo corpo dei raggi di luce, li trasformò in troni e dopo questa trasformazione fece sedere i Bodhisattva su quei seggi. Vedendoli seduti, li interrogò e fece porre loro delle domande intorno allo sviluppo del Grande Veicolo. E nessuno lo vedeva, ad eccezione dei figli degli dei che condividevano un eguale sorte.
Queste furono la causa e le condizioni per cui durante la notte tranquilla il Bodhisattva fece scaturire delle luci dal suo corpo.
E Māyādevī, o Monaci, per tutto il tempo in cui il Bodhisattva fu nel suo grembo non provò pesantezza nel corpo, ma al contrario leggerezza, benessere, piacere, e non sentì dolori negli organi interni. Non patì le sofferenze causate dalla passione, né quelle dell’avversione o dell’offuscamento. Non generò pensieri di desiderio, di malevolenza o di malvagità.
Non provò né freddo né caldo, né fame né sete, né passioni né oscuramenti, e non vide nulla di simile ad essi. Non percepì alcuna forma sgradevole, né suono, né odore o sensazione tattile. Non fece sogni riprovevoli. Non fu soggetta alla civetteria, né alle furbizie, all’invidia o alle emozioni femminili. Anzi in quel momento la madre del Bodhisattva osservava i cinque precetti fondamentali [18], manteneva un’etica irreprensibile, seguiva fermamente la via delle dieci azioni virtuose [19]. E giammai la madre del Bodhisattva generò un pensiero di desiderio nei confronti di un uomo, così come nessun uomo ne ebbe nei suoi riguardi.
E tutti coloro che nella grande città di Kapila, la migliore delle città, e negli altri paesi abitati – sia che si trattasse di donne o di uomini, di ragazzi o di ragazze – del cui spirito si fosse impossessato un Deva, un Naga, uno Yakṣa, un Gandharva, un Asura, un Garuḍa o un Bhūta [20], non appena ebbero visto la madre del Bodhisattva tornarono in sé e ritrovarono la consapevolezza.
Coloro che non erano esseri umani mutarono prontamente la loro condizione. E tutti gli esseri colpiti da malattie generate dall’unione dell’aria, della bile e del flegma [21], tormentati da dolori agli occhi, alle orecchie, al naso, alla lingua, alle labbra, dal mal di denti o dal mal di gola, da gonfiori del collo o del petto, dalla lebbra, dalla scabbia, dalla consunzione, dalla pazzia, dall’epilessia, dalla febbre, dal mal di stomaco, dalle malattie della pelle ecc., tutti costoro, dopo che la madre del Bodhisattva ebbe disteso la mano destra sul loro capo ritornarono a casa liberi dalle loro malattie. Infine Māyādevī donò agli esseri sofferenti un ciuffo d’erba che aveva strappato dal terreno. Non appena l’ebbero toccato essi furono liberati dai loro mali senza che ne rimanesse traccia. E quando Māyādevī guardava il suo fianco destro ella vedeva allora il Bodhisattva che era entrato nel suo seno, nello stesso modo in cui su uno specchio tondo e terso si vedono i lineamenti del volto. A quella vista, soddisfatta, felice, estasiata, ella sentiva il cuore ricolmo di gioia e di allegria.
E così, o Monaci, grazie alle benedizioni del Bodhisattva entrato nel grembo della madre, sempre e costantemente, notte e giorno, si udivano gli strumenti musicali dei Deva e fiori divini cadevano come pioggia. Gli dei provocavano la pioggia nei momenti più propizi; e ancora nei momenti più favorevoli soffiavano i venti. Nei tempi giusti gli astri e le stagioni compivano i loro cicli. Il regno si ritrovò nell’abbondanza e nel benessere, e privo di ogni disordine. E tutti nella grande città di Kapila, gli Śākya e gli altri, mangiavano, bevevano, gioivano, si divertivano, facevano offerte e compivano azioni meritorie e come in una festa lunga quattro mesi trascorsero gradevolmente la loro vita nella felicità. Quanto al re Śuddhodana, che viveva come un Brahmacārin [22] e aveva messo da un lato gli affari, perfettamente puro come colui che si è ritirato nella foresta per vivere nella rinuncia, egli non si occupava d’altro che di seguire il Dharma.
È così, o Monaci, in possesso di un tale potere sovrannaturale, che il Bodhisattva dimorava nel seno della made.
Allora il Bhagavat disse al Venerabile Ānanda: Tu, o Ānanda, vedi il Ratnavyūha del Bodhisattva, nel quale dimorava il Bodhisattva dopo essere entrato nel grembo della madre? Ānanda rispose: Lo vedo, Bhagavat; lo vedo, Sugata. Il Tathāgata lo mostrò al Venerabile Ānanda, a Śakra, Signore degli dei, ai Quattro Guardiani del Mondo e ad altri dei e uomini, e a quella vista tutti furono soddisfatti, felici, incantati, e il loro cuore fu ricolmo di gioia e di allegria. E Brahmā, il Signore delle creature, nuovamente riportò il Ratnavyūha nel Reame di Brahmā e lì lo depose per costruire un chaitya in suo onore.
A quel punto il Bhagavat si rivolse ancora ai Monaci: È in questo modo che, grazie al Bodhisattva rimasto per dieci mesi nel grembo della madre, trentasei ayuta [23] di dei e di uomini nei Tre Veicoli [24] acquisirono una completa maturazione.
E qui è detto:
23. Quando il Bodhisattva, il primo tra gli esseri, entrò nel grembo di una madre, la terra con le sue foreste fu scossa in sei modi.
24. Una luce color dell’oro si diffuse, i reami inferiori furono purificati; ricolme di gioia, le schiere degli dei dissero: Egli sarà il re del Dharma.
25. Perfettamente seduto nel grande carro adorno di un gran numero di gioielli, è lì che dimorava dopo esservi salito l’eroe, il migliore dei Maestri.
26. Il carro, avvolto nel più soave profumo di sandalo, risplendeva; i tremila mondi ricolmi di gioielli non possiedono la metà del suo valore.
27. Nelle terre delle tremila grandi migliaia di mondi si è innalzato, dopo averle attraversate, il loto di Gunakara che racchiude la goccia di elisir.
28. Il loto splendente per la sua purezza nel settimo giorno si innalzò fino al mondo di Brahmā; Brahmā lo colse e ne estrasse la goccia di elisir per portarla al Bodhisattva.
29. E non c’è nessuno tra gli esseri che avendola bevuta la possa assimilare, tranne il Bodhisattva dalla perfetta condotta.
30. Prodotta dallo splendore dei meriti di innumerevoli kalpa, quella goccia di amṛta è tale per cui quando qualcuno la ingerisce il suo corpo, il suo pensiero e la sua coscienza divengono puri.
31. Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, essendosi presentati per tre volte al cospetto del Bodhisattva per rendere omaggio alla Guida del mondo
32. e avendolo lodato ed onorato, hanno ascoltato il sublime Dharma; dopo aver girato per tre volte intorno a lui rivolgendogli il fianco destro si allontanarono così com’erano giunti.
33. I Bodhisattva, desiderosi di ascoltare il Dharma, arrivarono da ogni angolo del mondo; seduti su seggi risplendenti, si riconobbero
34. l’un l’altro e dopo aver ascoltato il Dharma eccellente del più nobile Veicolo si allontanarono tutti con lo spirito colmo di gioia, recitando una ghirlanda di lodi.
35. E le donne e i bambini che in quel tempo erano sofferenti, posseduti dai Bhūta, con lo spirito confuso, nudi, coperti di polvere,
36. tutti costoro alla vista di Māyā, riprendendo il controllo della loro mente, nuovamente dotati di consapevolezza, di giudizio, di controllo di sé, ritornarono ognuno alla propria dimora.
37. E coloro che a causa dell’unione dei soffi, della bile e del flegma o per i dolori agli occhi o alle orecchie avevano il corpo e la mente sofferenti;
38. coloro che erano colpiti da malattie di tipo e di origine differenti, quando la regina Māyā impose loro la mano sul capo furono liberati dalla febbre.
39. Nello stesso modo dopo che Māyā ebbe preso da terra un ciuffo d’erba e l’ebbe donata ai malati, tutti furono liberati dalla febbre.
40. Ritrovata la salute, senza essere cambiati in alcun modo, essi tornarono alle loro case, poiché il re dei medici, divenuto egli stesso la cura, era entrato nel grembo di una madre.
41. E quando Māyādevī osservava il proprio corpo, ella vedeva il Bodhisattva che dimorava nel suo grembo.
42. Come la luna in cielo circondata dalle stelle, era così che ella vedeva la Guida del mondo, il Bodhisattva adorno di tutti i segni (del Grande Essere).
43. Non esisteva, per lui, alcun attaccamento né avversione né offuscamento che potesse affliggerlo; né amore, né desiderio, né invidia, né malanimo.
44. La fame, la sete, il caldo, il freddo, non disturbavano quello spirito pacificato, gioioso, stabilmente concentrato nella serenità e nella pace.
45. Senza essere toccati, gli strumenti musicali degli dei risuonavano senza sosta; cadeva una pioggia di fiori divini dai più dolci profumi.
46. Gli dei osservavano, così come gli uomini e coloro che tali non sono; essi non si contrastavano e non si facevano del male l’un l’altro.
47. Gli uomini si rallegravano e provavano piacere; facevano dono di cibo e di bevande; emettevano grida di gioia, tanto erano felici e soddisfatti.
48. Tutto il regno era ricolmo di benessere e privo di disordini, poiché gli dei facevano cadere la pioggia nei tempi giusti; in quel tempo crebbero erbe, fiori e piante medicinali.
49. Per sette giorni e sette notti nella dimora del re cadde una pioggia di oggetti preziosi; e quanti un bisognoso ne poteva prendere, tanti gliene furono donati e di essi poté godere.
50. Non vi fu un solo essere che, essendo stato povero o sofferente, non fu reso felice come chi vive nel giardino Nandana, sulla cime del monte Meru.
51. E il re degli Śākya, dedicatosi alle pratiche devozionali, non si occupò più degli affari del regno, impegnandosi soltanto nella pratica del Dharma.
52. Entrato nel boschetto dell’ascesi, egli interrogò Māyādevī: Qual è la natura del benessere che provi nel tuo corpo, tu che porti nel grembo l’Essere Perfetto?

Capitolo intitolato: La discesa nel grembo di una madre, il sesto.


   
Nota dell’Autore

[a] Questa interruzione ad opera di Ānanda è di gran lunga posteriore agli avvenimenti qui narrati. Avvenne mentre il Buddha raccontava la sua vita ai suoi discepoli, nella città di Śrāvasti, per dare un chiarimento in merito alla sua discesa tra gli uomini, circostanza che stupiva gli dei. Ānanda aveva il compito di mandare a memoria i sūtra, di cui il Lalitavistara fa parte, ed è naturale che volesse conoscere bene gli avvenimenti che avrebbe poi dovuto raccontare ai fedeli.


NdT


[1] Viśākhā è uno dei 27 nakṣatra (asterismi, gruppi di stelle – v. cap. III nota 24) del calendario lunisolare indiano. Nella cultura tradizionale indiana non esisteva distinzione tra astronomia e astrologia. Da Viśākhā trae origine il nome della maggiore festività buddhista, il Vesākh, che ricorda la nascita, il Risveglio e il Parinirvāna del Buddha.
[2] V. cap. III nota 24.
[3] Saraca indica, una pianta sacra al dio Śiva, associata alle virtù della fermezza e della castità.
[4] Il Vittorioso, appellativo del dio Indra.
[5] Gli dei del Kāmadhātu, il reame del desiderio.
[6] Traduco – molto approssimativamente – con grande ordine il francese grand arrangement (la puissance du grand arrangement de la contemplation). Nella versione inglese la meditazione viene chiamata the great array, il grande ordine, schieramento, apparato. Si tratta evidentemente di una forma di meditazione profonda, non ulteriormente descritta, dalla quale il Bodhisattva attinge il potere descritto nella narrazione.
[7] Mesi lunari.
[8] Quindi un numero praticamente incalcolabile di divinità. Per non appesantire ulteriormente il testo, tali espressioni saranno spesso tradotte con “un numero incalcolabile”, “un immenso numero”, ed altre simili locuzioni.
[9] Il collo del Buddha presenta tradizionalmente tre pieghe, che costituiscono un elemento molto comune nell’iconografia buddhista e che rimandano al Triplice Gioiello, Buddha, Dharma e Saṅgha. A sua volta la conchiglia bianca è uno degli otto simboli di buon auspicio e rappresenta la proclamazione del Dharma.
[10] Nel testo francese si legge che la struttura (l’etage; la versione inglese traduce con temple) è fatta de l’essence de sandal des Ouragas. Non traduco essence con profumo (del sandalo), il che non sarebbe coerente con il prosieguo della descrizione del Ratnavyūha, bensì direttamente con sandalo, intendendo quindi il legno di tale pianta. Probabilmente con essence si intende la parte più pregiata di un legno già di per sé di grande valore. Anche la versione inglese parla di uraga sandalwood. Quanto al nome, ratna significa gioiello, vyūha è ornamento. Il Ratnavyūha è quindi descritto come una straordinaria triplice struttura architettonica, una sorta di palazzo o di tempio fatto di sandalo, gioielli, pietre preziose, posto nel grembo della regina, e nella quale il Bodhisattva dimora, seduto nella posizione del loto, per i dieci mesi che intercorrono tra l’altrettanto straordinario ‘concepimento’ e la nascita, al riparo da ogni contatto con le ‘impurità’ del corpo materno. Da tale struttura la stessa Māyā non è minimamente disturbata.
Per approfondire l’argomento si possono leggere le pagine dedicate al Ratnavyūha da J. Strong nel suo volume sulle reliquie buddhiste, Relics of the Buddha, in:
https://books.google.it/books?id=xqAB6PKyP98C&pg=PA64&lpg=PA64&dq=ratnavyuha&source=bl&ots=XmT2rQ_fzJ&sig=fr_boFRcdro44XVHLA1vezlH8jE&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiu5_eR4uDWAhWBthoKHZMfByoQ6AEIUDAK#v=onepage&q=ratnavyuha&f=false
[11] Il testo francese sembra dire che 68 milioni di yojana è l’estensione della spaccatura della terra provocata dal fiore di loto, ma l’interpretazione che propongo (supportata dalla traduzione inglese), cioè l’altezza del fiore stesso, mi pare più coerente.
[12] Il Bodhisattva.
[13] Le dieci terre (bhūmi) sono i livelli raggiunti da un bodhisattva dopo la sua entrata nel sentiero della visione (quindi dopo aver già percorso i sentieri dell’accumulazione e della preparazione), fino a divenire un buddha pienamente illuminato. Cfr. Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, pag. 655 e seg.
[14] Una lettura imprescindibile su questo tema è il Bodhicharyāvātara (Una Guida allo Stile di Vita del Bodhisattva) di Śāntideva (VII sec.), un’opera commentata dai più grandi maestri di Dharma, fino all’attuale Dalai Lama.
[15] Colui che impugna il vajra (fulmine-diamante, simbolo dell’indistruttibilità del vero volto della realtà, quindi del Risveglio). È il bodhisattva dell’energia, del potere dell’Illuminazione.
[16] Nella traduzione inglese è descritta nello stesso modo anche la seconda sezione del Ratnavyūha.
[17] Circa due miglia.
[18] Astenersi dall’uccidere, dal mentire, dal rubare, dall’avere una sessualità scorretta, dal fare uso di sostanze intossicanti del corpo e della mente.
[19] V. cap. II, nota 17.
[20] I Bhūta sono spiriti maligni di persone morte violentemente, demoni, vampiri.
[21] Gli elementi (umori) di base della medicina tradizionale indo-tibetana.
[22] Uno studente di religione, che vive con il guru, pratica l’ascesi e la castità. È uno dei quattro aśrama, gli stadi della vita per un hindu: brahmacārin, gṛhasthya (il capofamiglia), vānaprasthya (colui che abbandona i doveri e si ritira in meditazione), saṃnyāsin (colui che rinuncia ad ogni possesso per conseguire la liberazione).
[23] Secondo De Foucaux un ayuta è pari a mille milioni. Secondo le Prime lezioni di grammatica sanscrita di J.M. Tyberg è pari a diecimila (in: https://books.google.it/books?uid=102383522429123406186&hl=it).
[24] I Tre Veicoli (yāna) sono i percorsi proposti dal Buddha per conseguire il Risveglio: il Veicolo degli Uditori (Śrāvakayāna), il Veicolo dei buddha-da-sé (Pratyekabuddhayāna) e il Veicolo dei Bodhisattva (Bodhisattvayāna). 

Il sogno della regina



Capitolo settimo

La nascita

Al momento della nascita del Bodhisattva nel parco del padre si manifestano trentadue segni. – Su richiesta della regina il re la conduce con un grande corteo nel parco di Lumbini. Ella cammina fino ad un albero che si piega e la saluta; la regina si aggrappa ad uno dei suoi rami e nello stesso istante il Bodhisattva esce dal suo fianco destro senza ferirla. – Indra e Brahmā lo accolgono nelle loro braccia. – Egli scende subito a terra e predice ciò che farà. – Fenomeni che accompagnano questi eventi. – Profezia del Buddha sui futuri avversari della sua dottrina. – Nascita di un gran numero di bambini e di schiavi di ambo i sessi destinati al servizio del Bodhisattva. – Morte della regina. Perché ella muore. – Il re rende visita con il figlio a cinquecento Śākya prima di rientrare nel palazzo. – La zia del giovane principe riceve l’incarico di educarlo. – Trentadue nutrici si prendono cura di lui. – Un eremita giunge dall’Himālaya attraverso i cieli per vedere il bambino. – Il re lo accompagna presso il giovane principe. L’eremita gli bacia i piedi, lo prende tra le braccia e improvvisamente si mette a piangere. Il re, inquieto, lo interroga. L’eremita gli risponde che piange perché, essendo vecchio, non vedrà il bambino divenire un Buddha. – Visita degli dei, che predicono al re che suo figlio sarà un Buddha.

Quindi, o Monaci, trascorsi dieci mesi ed essendo giunto il momento della nascita del Bodhisattva, trentadue segni premonitori apparvero nel parco del re Śuddhodana. Quali furono i trentadue segni? Tutti i fiori, dischiusi i loro calici, sbocciarono [1]. Negli stagni fiorirono i loti blu, gialli, rossi e bianchi che avevano schiuso i loro boccioli. Ugualmente fiorirono, essendosi aperte le loro gemme, le giovani piante da fiori e da frutto che erano cresciute dal terreno. Otto alberi preziosi [2] si manifestarono. Ventimila tesori preziosi scaturiti dal suolo rimasero lì visibili. Nelle stanze interne [3] apparvero piantine preziose [4]. Acque calde e fredde, soavemente profumate, iniziarono a scorrere. Cuccioli di leone discesi festosamente nella meravigliosa città di Kapila dai fianchi dell’Himavat, dopo aver girato tre volte intorno ad essa offrendo il fianco destro si arrestarono sulla soglia delle porte senza arrecare danno ad alcun essere. Cinquecento giovani elefanti lì giunti toccarono i piedi del re Śuddhodana con la punta della loro proboscide. I figli degli dei vestiti con le loro fasce furono visti andare e venire nell’appartamento interno del re Śuddhodana. I figli dei Nāga furono scorti sospesi a mezzo busto nella vastità del cielo con gli strumenti per i riti sacrificali. Diecimila figlie degli dei apparvero immobili nel vasto cielo recando nelle mani ventagli di coda di pavone. Diecimila scrigni ricolmi furono visti fare il giro della grande città di Kapilavastu, rivolgendo ad essa il lato destro. Diecimila figlie degli dei furono viste, immobili, con vasi d’oro pieni di acqua profumata sulla loro testa.  Diecimila figlie degli dei furono altresì scorte mentre, immobili, tenevano con sé parasole, stendardi, insegne. Molte centinaia di migliaia di figlie degli dei furono viste immobili e in attesa, recando conchiglie e tamburi appesi al collo. Tutti i venti, placatisi, non soffiavano. Tutti i fiumi e i ruscelli, fermi, non scorrevano. La luna, il sole, i carri celesti, i pianeti, le innumerevoli stelle restarono immobili. Era il periodo della congiunzione dell’asterismo Puṣyā [5]. La dimora del re Śuddhodana era ricoperta da una rete di gioielli. I fuochi non bruciavano. Nelle gallerie, nei palazzi, nelle terrazze, nei porticati, furono viste appese perle e pietre preziose. Apparvero, completamente spalancati, depositi di tessuti bianchi e di altri oggetti preziosi. I versi delle cornacchie, dei gufi, degli avvoltoi, dei lupi e degli sciacalli erano cessati, ed erano stati uditi i suoni più piacevoli. Tutte le attività degli uomini si erano interrotte. I luoghi più alti e più bassi della terra furono livellati. Tutti i crocicchi, le piazze, le strade, i mercati, uniti come il palmo della mano, risplendevano, ricoperti di fiori. Tutte le donne in attesa partorirono felicemente. Tutte le divinità dei boschi di śāl [6], mostratesi tra le foglie fino a metà del corpo, furono viste immobili e rispettosamente inchinate.
Questi furono i trentadue segni precursori che si manifestarono [7].
In quel momento la regina Māyā, avendo percepito grazie al potere e alla magnificenza del Bodhisattva stesso che il momento della nascita era prossimo, durante la prima veglia della notte si recò presso il re Śuddhodana e si rivolse a lui con questi Gāthā:
1. Signore, lasciate che vi esponga il mio pensiero. Da molto tempo è sorta nella mia mente l’immagine di un giardino. Se per voi non è causa di dispiacere, di imbarazzo o di turbamento, vorrei recarmi presto nel luogo in cui si trova il giardino di delizie!
2. Voi qui vi dedicate alle pratiche devozionali e alla meditazione sul Dharma; da parte mia, io porto in grembo un essere puro entrato in me da molto tempo. I śāl, i più belli tra gli alberi, sono ricoperti di fiori sbocciati; è opportuno, o re, che io mi rechi nel giardino di delizie.
3. La più bella delle stagioni, la primavera, è per le donne l’occasione per adornarsi. I canti dei cuculi e dei pavoni risuonano tra i boschi. Puri, brillanti e variegati volteggiano i pollini dei fiori. Ebbene, date l’ordine, senza indugiare.
4. Udite le parole della regina, il grande Re, soddisfatto, con animo colmo di gioia, disse alle persone del suo seguito: Fate preparare i cavalli, gli elefanti, i carri e i soldati; adornate il parco di Lumbini, eccellente nelle sue qualità.
5. Fate approntare ventimila elefanti, i re degli elefanti a sei zanne, simili alle montagne azzurre, del colore delle nubi, addobbati con perle e oro, ricoperti da reti d’oro, con i fianchi ornati di campanelle.
6. Fate preparare ventimila cavalli bianchi come la neve e l’argento, dalle belle criniere intrecciate, con i fianchi coperti d’oro, con reti dalle quali pendono campanelle, leggeri e veloci come il vento, perché siano le cavalcature del re.
7. Fate preparare velocemente schiere di guerrieri coraggiosi, in numero di ventimila, amanti della lotta, armati di spade, di archi, di frecce, di lance, perché proteggano con rispetto Māyā e il suo seguito.
8. Preparate il parco di Lumbini con ornamenti in oro e perle; decorate tutti gli alberi con un gran numero di tessuti preziosi di ogni genere, come il Nandana, il giardino degli dei, abbellito da fiori di ogni sorta.
9. Non appena i servitori ebbero udite queste parole, le cavalcature furono subito approntate e il parco di Lumbini fu adornato.
I servitori dissero:
Vittoria! Vittoria! Lunga vita al Signore degli uomini! Tutto è stato fatto come avete ordinato. Il tempo è giunto, Signore, guardate!
10. Allora il migliore tra i re, con l’animo pieno di gioia, entrato nel più bello tra i palazzi, così parlò alle donne: Coloro tra voi alle quali sono caro e coloro che desiderano compiacermi eseguano i miei ordini adornando la propria persona.
11. Indossate con gioia vesti impregnate dei più dolci profumi, dai colori variegati, morbide e affascinanti; abbellitevi con collane di perle appoggiate sul vostro petto; mostrate tutte, quest’oggi, lo splendore dei vostri ornamenti.
12. Preparate tamburi, liuti, flauti, arpe, tamburelli, centomila strumenti che rapiscono il cuore; rendete più grande la gioia delle figlie degli dei. Fate sì che dopo aver udito la dolcezza di quei suoni gli dei stessi rimangano incantati.
13. Che la regina Māyā sia sola nel più bello dei carri; che né un uomo né un’altra donna vi salgano. Che donne dalle vesti diverse trainino il carro. Che non si faccia intendere in nessun luogo un suono sgradevole o disarmonico.
14. Quando la regina Māyā uscendo dal palazzo giunse sulla soglia, i cavalli, gli elefanti, i carri, i soldati, tutto il gioioso esercito che stava vicino alla porta del re fece udire un grande rumore, simile a quello del mare in tempesta.
15. Centomila campane risuonarono in segno di benedizione; il carro splendente fu ornato dal re in persona; e inoltre quattro alberi preziosi furono ricoperti di foglie e di fiori da migliaia di dei seduti su troni divini.
16. I pavoni, le cicogne e i cigni fecero udire le loro grida di gioia; parasole, insegne, stendardi, furono dispiegati da ogni lato; le compagne degli dei dal cielo osservavano quel carro ricoperto di stoffe divine.
17. Quando Māyā sedette sullo splendido trono esse fecero udire un dolce e divino coro di lodi. La terra dei tremila (mondi) fu violentemente scossa in sei modi. (Gli dei) sventolarono le loro vesti e gettarono i fiori più belli.
18. Quel giorno il più grande degli uomini sarebbe nato a Lumbini. I Quattro Guardiani del Mondo trainarono il carro. Indra in persona, Signore dei Trāyastriṃśa, purificava la strada. Brahmā camminava davanti, allontanando i malvagi [8].
19. Centomila Deva, con le mani giunte, si inchinarono rispettosamente. Il re, con l’animo pieno di soddisfazione, osservava tutto ciò che avveniva. Sorse in lui un pensiero: Colui al quale i Quattro Guardiani del Mondo, Brahmā e tutti gli dei insieme con Indra
20. rendono un così grande onore, certamente sarà un Buddha. Non esiste alcun essere nei tre mondi che possa accogliere tali onori. Altrimenti, i Deva o i Nāga, Śakra, Brahmā o i Guardiani del Mondo gli avrebbero colpito la testa e lo avrebbero privato della vita!
21. Ma costui, che è al di sopra degli dei, riceve tutti gli onori.
Quindi, o Monaci, Māyādevī, scortata da ottantaquattromila carri attaccati ai cavalli, da ottantaquattromila carri trainati da elefanti bardati con ornamenti di ogni tipo, ben protetta da un esercito di ottantaquattromila soldati coraggiosi fino all’eroismo, forti e belli a vedersi, armati di scudi e di corazze, preceduta da sessantamila donne degli Śākya, protetta da quarantamila parenti del re Śuddhodana, nati nelle famiglie del ramo paterno, anziani, giovani e di età matura; circondata da sessantamila persone degli appartamenti interni del re Śuddhodana che cantavano e facevano udire un concerto di voci e strumenti di ogni genere; accompagnata da ottantaquattromila figlie degli dei, da ottantaquattromila figlie dei Nāga, da ottantaquattromila figlie dei Gandharva, da ottantaquattromila figlie dei Kinnara, da ottantaquattromila figlie degli Asura, perfettamente abbigliate e adorne, che cantavano melodie e lodi di ogni sorta; seguita (da questo corteo, la regina) uscì (dal palazzo). Tutto il parco di Lumbini, innaffiato con acqua profumata, si riempì di fiori divini; e tutti gli alberi del più bello dei giardini benché non fosse la giusta stagione fecero dono di foglie e frutti. E il parco fu completamente abbellito dagli dei, proprio come il giardino Miśraka è perfettamente adornato da essi.
Allora Māyādevī, entrata nel parco di Lumbini dopo essere scesa dal suo meraviglioso carro, circondata dalle figlie degli uomini e degli dei, camminava da un albero all’altro, passeggiava da un boschetto all’altro guardando una pianta e poi un’altra, fino a Plakcha [9], il più prezioso tra i grandi alberi preziosi, dai rami robusti, con belle foglie e germogli, tutto ricoperto dai fiori dei Deva e degli uomini, che emanava i profumi più soavi, ai cui rami erano sospesi tessuti di vari colori, splendente per lo scintillio variegato delle più diverse pietre preziose, completamente adorno di ogni sorta di gioielli dalla radice al fusto fino ai rami e alle foglie, con i rami proporzionati e ben distesi, radicato nella terra di un luogo liscio come il palmo della mano e ricoperto da un tappeto di erba verde come la coda dei pavoni e soffice al tatto come seta di Kāchilindi; (lo stesso albero) al quale si sono aggrappate le madri dei precedenti Jina [10], lodato dai canti degli dei, bello, privo di imperfezioni e assolutamente puro, salutato da centinaia di migliaia di dei Śuddhāvāsa dallo spirito pacificato, i quali chinarono i loro capi con le trecce e i diademi che da essi pendevano – fu proprio verso Plakcha che ella avanzò.
Quindi, grazie all’energia della magnificenza del Bodhisattva, l’albero Plakcha si inchinò porgendo il suo saluto. Allora Māyādevī distese il braccio destro simile ad un fulmine apparso in cielo, poi afferrato un ramo di Plakcha diresse lo sguardo verso la vastità del cielo in segno di benedizione, allungò il corpo e rimase immobile [11]. In quel momento sessantamila Apsarā discese dal cielo degli dei Kamavatchara per porsi al suo servizio formarono per lei una scorta d’onore.
Così il Bodhisattva entrato nel grembo di una madre fu accompagnato dalle manifestazioni di una tale potenza sovrannaturale. Al compimento dei dieci mesi egli uscì dal fianco destro della madre, in perfetta coscienza e consapevolezza, senza essere toccato dalle impurità del grembo materno, cosa che non è detta di nessun altro, poiché per gli altri si parla invece di impurità del parto [12].
Nello stesso istante, o Monaci, Śakra, il Signore degli dei, e Brahmā, il Signore dei Saha, stavano di fronte a lui. Entrambi pieni del più profondo rispetto, ricordando e riconoscendo il suo corpo e le sue membra, ricoprirono il Bodhisattva con una divina veste di Kāśi e lo presero tra le loro braccia.
Brahmā, il Signore dei Saha, e i figli degli dei del reame di Brahmā dopo che ebbero prelevato il tempio (Kūṭāgāra) [13] nel quale il Bodhisattva dimorava quando era nel grembo della madre, lo portarono nel mondo di Brahmā per costruire un chaitya e per venerarlo. Quindi il Bodhisattva non fu toccato da alcun essere umano, ma furono delle divinità coloro che per prime lo accolsero.
Subito dopo la sua nascita il Bodhisattva posò i piedi a terra. E non appena il Bodhisattva Mahāsattva la toccò apparve un grande fiore di loto, sbocciato dal terreno. Nanda e Upananda, entrambi re dei Nāga, mostratisi a mezzo busto nella distesa del cielo, fecero scaturire due flussi d’acqua, fredda e calda, e lavarono il Bodhisattva. Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo vennero avanti e molti altri figli degli dei, in numero di diverse centinaia di migliaia, non appena il Bodhisattva era nato, bagnarono il suo corpo con ogni tipo di acque profumate e lo ricoprirono di fiori freschi. Nell’aria apparvero due chamara e un prezioso parasole [14]. Egli, rimanendo sul grande loto, guardò verso le dieci direzioni dello spazio, con lo sguardo del leone, con lo sguardo del Grande Essere. In quel momento, o Monaci, fu generato l’occhio divino del Bodhisattva, nato dalla completa maturazione della radice dei meriti precedenti. Con l’occhio divino che nulla può ostacolare egli vide l’intero universo dei tremila mondi [15], con tutte le città, i villaggi, le province, le capitali, i regni, come pure tutti gli dei e gli uomini. Conobbe perfettamente i pensieri e gli atti di tutti gli esseri; quindi, avendoli compresi, guardò in ogni direzione [e disse]: Esiste un qualsiasi essere simile a me per disciplina, concentrazione, consapevolezza, condotta virtuosa? Il Bodhisattva vide allora che nelle moltitudini dei tremila mondi nessun essere era pari a lui.
A quel punto il Bodhisattva, come un leone, del tutto privo di ansia e di paura, senza alcuna apprensione, ricordando a se stesso la sua buona motivazione e avendo compreso, dopo averli osservati, i pensieri e le azioni di tutti gli esseri, senza essere sorretto da alcuno, rivoltosi verso levante e fatto sette passi, disse: Io sarò colui che è causa di tutte le pratiche che hanno la virtù come loro radice. Mentre camminava, nell’aria sopra di lui, sospesi senza che nessuno li sostenesse, un grande divino parasole bianco e due scacciamosche lo seguivano nei suoi passi. Ovunque il Bodhisattva posasse i piedi, lì sbocciavano fiori di loto. Nello stesso modo, rivolgendosi verso il meridione e compiendo sette passi, disse: Io sarò degno delle offerte degli dei e degli uomini. Rivoltosi poi a occidente e fatti sette passi, si fermò al settimo, come un leone, e pronunciò queste parole di soddisfazione: Nel mondo, io sono l’Essere Supremo; sulla terra, sono il Sublime! Questa è la mia ultima nascita; io metterò fine alla nascita, alla vecchiaia, alla malattia, alla morte! Rivolgendosi a settentrione e fatti sette passi: Io sarò il supremo fra tutti gli esseri! Rivolgendosi verso la regione inferiore e fatti sette passi: Distruggerò il demone e le sue schiere; e in favore degli esseri che dimorano negli inferi, al fine di estinguere il fuoco infernale, farò cadere la pioggia della grande nuvola del Dharma, grazie alla quale essi saranno ricolmati di gioia! Rivolgendosi verso la regione superiore e fatti sette passi, egli guardò in alto: È verso l’alto che tutti gli esseri guarderanno a me!
Non appena queste parole furono pronunciate dal Bodhisattva, nello stesso istante tutti i tremila mondi ne vennero a conoscenza da una voce: Ecco l’essenza della saggezza nata dalla completa maturazione delle azioni del Bodhisattva.
Quando un Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza viene al mondo e quando ottiene le qualità perfette e compiute di un Buddha, è allora che si verificano tali manifestazioni del suo potere sovrannaturale. 
In quello stesso momento, o Monaci, tutti gli esseri provarono sulla pelle brividi di piacere. Nel mondo si sentì un grande terremoto, che provocò spavento e tremore. Gli strumenti musicali degli dei e degli uomini si fecero udire senza essere toccati; e gli alberi di tutti i tremila mondi si ricoprirono di fiori e di frutti, quale che fosse la stagione. Dall’alto del cielo si poté udire il rumore delle nuvole; quindi un dio fece cadere una pioggia leggera dal cielo sgombro di nubi. Venti delicati al contatto e soavemente profumati si misero a soffiare dai reami degli dei trasportando ogni sorta di fiori, di tessuti, di ornamenti, di polveri profumate. Tutti i luoghi dello spazio, liberi dalle tenebre, dalla polvere, dal fumo e dalla nebbia, assunsero un aspetto sereno e luminoso. Dall’alto dei cieli si poterono udire i meravigliosi suoni di Brahmā, invisibili, prolungati. Tutti gli splendori di Candra, di Sūrya, di Indra, di Brahmā e dei Guardiani del Mondo furono eclissati. L’insieme dei tremila universi fu illuminato in ogni sua parte da una luce splendente di centomila colori, estremamente gradevole sulla pelle, che generava benessere nel corpo e nello spirito di ogni essere e superava ogni luce del mondo.
Non appena il Bodhisattva nacque tutti gli esseri provarono un estremo piacere. Tutti furono liberati dalla passione, dall’avversione, dall’ignoranza, dall’orgoglio, dalla tristezza, dalla depressione, dalla paura, dall’invidia e dalla gelosia, e tutte le azioni non virtuose ebbero fine. Le sofferenze dei malati furono alleviate. La fame e la sete di coloro che ne erano tormentati furono placate. Gli esseri ottenebrati e smarriti a causa delle sostanze inebrianti ritrovarono la lucidità. I folli ritrovarono il senno, i ciechi la vista, i sordi l’udito. Coloro le cui membra o alcune di esse erano imperfette ebbero organi privi di difetti. I poveri ottennero ricchezze; i prigionieri furono liberati dalle loro catene; la sofferenza degli esseri gettati nell’Avīcī [16] e negli altri inferni, da qualsiasi causa fosse generata, si alleviò. La misera condizione degli esseri in forma di animali, divorantisi gli uni con gli altri, ebbe fine, insieme con gli altri loro mali. Nello stesso modo furono placate la fame, la sete e tutte le sofferenze degli esseri del regno di Yama.
E quando il Bodhisattva, subito dopo la sua nascita, compì i sette passi, poiché aveva ottenuto, al termine di un incommensurabile periodo di centomila niyuta di koti di kalpa, grazie alle azioni virtuose compiute, una grande energia e una grande forza, per effetto del conseguimento dell’essenza del Dharma, in quello stesso momento i Buddha Bhagavat che dimoravano nelle dieci direzioni dello spazio donarono a quell’angolo di terra la natura del diamante, in modo tale che quel luogo non ne fosse sconvolto [17]. 
Tale era, o Monaci, la grande energia per cui il Bodhisattva appena nato compì sette passi e tutti i luoghi dell’universo furono in quell’istante inondati da una meravigliosa luce. E in quel momento fu udito un forte suono di canti e di danze. Inoltre caddero in quantità, come se piovesse, innumerevoli nubi di fiori, di polveri fragranti, di profumi, di ghirlande, di perle, di ornamenti, di tessuti, e tutti gli esseri furono ricolmi di profonda gioia. Tali furono, in breve, i fenomeni che si manifestarono quando il Bodhisattva, che è molto al di sopra di tutti i mondi, nacque in questo mondo.
Allora il Venerabile Ānanda, alzatosi dal suo seggio, appoggiato un lembo della veste su una spalla [18] e posato il ginocchio destro a terra, si inchinò verso il punto ove si trovava il Bhagavat e con le mani giunte gli disse: Il Beato, il Tathāgata, è causa di meraviglia per tutti gli esseri. Il Bodhisattva possedeva egli stesso incredibili qualità. Ma che dire di più, quando egli ha acquisito le qualità senza eguali di un Buddha perfetto e compiuto?
Ed io, o Beato, prendo rifugio nel Buddha Bhagavat quattro volte, cinque, dieci, cinquanta volte, finanche molte centinaia di migliaia di volte!
Dopo che il Venerabile Ānanda ebbe così parlato, il Beato gli disse: Vi saranno certamente in futuro, Ānanda, molti monaci con corpo, mente, comportamento, coscienza tali da non poter essere immaginati; ignoranti, incapaci, estremamente fieri, orgogliosi, arroganti, dissoluti, dalla mente distratta, ricolmi di bramosia, pieni di dubbi, senza fede, che screditeranno gli Śramaṇa, che avranno una condotta opposta a quella degli Śramaṇa, che non crederanno che la discesa del Bodhisattva nel grembo materno sia perfettamente pura. Riunitisi insieme da una parte diranno l’un l’altro: Ascoltate questa assurdità: come è possibile che un Bodhisattva entrato nel grembo di una madre, mescolatosi con i fluidi impuri [19], abbia ricevuto un simile potere sovrannaturale? E che veramente uscendo dal fianco destro di sua madre non sia stato contaminato dalle impurità del grembo? Come può tutto questo essere possibile? [20]
Ma quegli uomini di tenebra [21] non comprenderanno che il corpo degli esseri che hanno compiuto azioni virtuose non è contaminato dai fluidi impuri. Al contrario, l’entrata di tali esseri nel grembo di una madre e il loro permanere in esso è un fatto sublime, poiché è per compassione nei confronti di tutti gli esseri che un Bodhisattva nasce nel mondo degli uomini: se egli fosse un Deva, non farebbe girare la ruota del Dharma. E se così fosse, o Ānanda, come potrebbero gli esseri non cadere nello sconforto? (Essi direbbero:) Il Bhagavat Tathāgata Arhat è veramente il Buddha completamente perfetto [22], ma noi, che siamo soltanto esseri umani, siamo incapaci di conseguire tali ottenimenti. Ed essi cadrebbero così nello scoraggiamento.
Mai a quegli uomini di tenebra accadrà di pensare: Questo Essere è veramente incomprensibile! Non potrà mai essere giudicato da noi! Anzi, Ānanda, in quel tempo essi non crederanno possibile la manifestazione del potere sovrannaturale del Buddha, e a maggior ragione la manifestazione del potere sovrannaturale del Tathāgata Bodhisattva in quanto Bodhisattva. O Ānanda, quali e quante concezioni erronee genereranno quegli uomini ottenebrati, che respingeranno il Dharma del Buddha, sopraffatti dall’idea del guadagno, degli onori, della fama; quegli uomini vili e rozzi, caduti nel fango, vinti dal desiderio di ricchezza e di gloria!
Ānanda chiese: Ci sarà un tempo, o Beato, nel quale monaci di tal fatta rigetteranno un Sūtra così meraviglioso e parleranno contro di esso?
Il Beato rispose: Simili uomini, che rifiuteranno questo Sūtra perfetto, che lo criticheranno e che anzi genereranno ben altre concezioni biasimevoli senza preoccuparsi dei loro doveri di Śramaṇa, certamente appariranno, o Ānanda.
Ānanda domandò: Quale sarà dunque, o Beato, la rinascita di tali uomini privi di virtù, quale sarà la loro sorte futura?
Il Bhagavat rispose: Sarà quella di coloro che avendo negato la Saggezza suprema del Buddha e dei Buddha passati, futuri e presenti criticano i Buddha Bhagavat; quella sarà la loro rinascita.
Allora il Venerabile Ānanda sentendo la pelle rabbrividire (interrompendo il Buddha) esclamò: Rendo omaggio al Buddha! E aggiunse rivolgendosi al Bodhisattva: Il mio corpo viene meno, o Beato, apprendendo qual è il comportamento di quegli uomini privi di virtù.
Il Beato continuò: Ānanda, poiché il comportamento di quegli esseri è privo di disciplina, essi andranno con coloro che hanno una condotta senza regole e a causa di tale condotta non virtuosa essi rinasceranno nel grande inferno Avīcī. 
Perché questo? Ānanda, i monaci e le monache, i laici e le laiche, chiunque essi siano, che dopo aver udito un tale Sūtra non lo accetteranno, non avranno fede in esso, lo rigetteranno, precipiteranno, dopo la loro morte, nel grande inferno Avīcī. O Ānanda, non si deve misurare il Tathāgata! Perché? Perché il Tathāgata è incommensurabile, profondo, vasto, difficile da comprendere. Ānanda, tutti coloro, chiunque siano, che avendo ascoltato un siffatto Sūtra ne avranno ricavato gioia, piacere e pace, quegli esseri avranno grandi ottenimenti. La loro vita umana sarà fruttuosa ed essi avranno una condotta virtuosa; per loro sarà raccolta l’essenza del Dharma, essi saranno liberati dai tre reami inferiori [23], diverranno figli del Tathāgata, otterranno tutto ciò di cui avranno bisogno. L’aver fede porterà loro molti frutti e la condivisione delle ricchezze del reame; essi, primi tra gli esseri, avranno pace. Per loro saranno spezzate le catene del demone ed essi andranno al di là del deserto del saṃsāra. Sarà loro strappata la freccia della sofferenza ed otterranno un tesoro di grande gioia. Le vie del rifugio sono state da essi genuinamente intraprese. Sono degni di ricevere offerte e meritano di essere protetti.
Perché questo? Perché tra tutti essi hanno fede negli insegnamenti del Tathāgata, i quali vanno in senso contrario rispetto alle convenzioni mondane. Questi esseri, Ānanda, non possiedono una radice della virtù di livello inferiore, ed essi saranno miei amici, legati a me da una sola (ed ultima) rinascita.
Perché questo? Alcuni, Ānanda, sono compiaciuti e deliziati nell’ascoltarmi [ma non nel vedermi 24]; altri, benché compiaciuti e deliziati nel vedermi, tuttavia non lo sono nell’ascoltarmi. Tutti coloro per i quali io posso essere gradevole da vedere e da ascoltare, puoi star certo che essi sono miei amici, legati ad una sola rinascita. Costoro sono osservati dal Tathāgata e destinati ad essere liberati da Lui, presso il quale hanno preso rifugio. Essi possiedono una parte delle stesse qualità del Tathāgata [25], e sono destinati a divenire Upāsaka [26]. O Ānanda, mentre seguivo il cammino del Bodhisattva, a tutti gli esseri, chiunque fossero, che giunti alla mia presenza tormentati dalla paura hanno chiesto protezione, io a costoro ho offerto protezione; a maggior ragione oggi, quando possiedo le qualità perfette e compiute di un Buddha. Ānanda, è necessario impegnarsi nella fede, questo è ciò che il Tathāgata raccomanda. O Ānanda, ciò che è stato fatto dal Tathāgata deve essere fatto da voi. Il pungiglione dell’orgoglio è stato purificato dal Tathāgata. Ānanda, se qualcuno ha ricevuto notizie di un amico, non percorre forse finanche cento yojana per incontrarlo? E dopo essere arrivato, non è forse pieno di gioia? A maggior ragione, coloro che avendo incontrato un amico mai visto in precedenza e avendo preso rifugio presso di me faranno crescere le radici della virtù, o Ānanda, saranno riconosciuti dai Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti. Questi esseri un tempo amici dei Tathāgata, sono nostri amici, questo è il mio pensiero.
Perché questo? In verità, Ānanda, un amico e colui che è caro a questo amico, conquistano il cuore. La persona che è cara all’amico, essa stessa è gradita e cara. Perciò, Ānanda, vi esorto e voglio farvi capire questo: Generate solo la fede e vi condurremo alla presenza dei futuri Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti, dicendo: essi sono anche nostri amici! Ascoltato ciò, essi esaudiranno completamente i vostri desideri.
Così, per esempio, Ānanda, se un uomo avesse un unico figlio e se quest’uomo, dalla parlata gentile e che lo rende rispettato, avesse molti amici, il figlio, dopo la morte del padre, non si troverebbe in povertà, in quanto sarebbe ben accolto dagli amici di suo padre. Nello stesso modo, o Ānanda, tutti coloro che hanno fede in me, che hanno preso rifugio presso di me, io li accolgo come amici. Il Tathāgata ha molti amici e gli amici del Tathāgata che dicono la verità e non mentono io li affido ai futuri Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti. È nella fede che bisogna impegnarsi, è questo che vi raccomando!
Così dunque, dopo la nascita del Bodhisattva, dalla vastità dei cieli da cui erano giunte, centinaia di migliaia di niyuta di koti di Apsarā ricoprirono Māyādevī di fiori, ghirlande, oli, vesti e ornamenti.
A questo proposito è detto:
21. Nobilmente splendenti come oro puro e immacolato, radiose come la luna e il sole, sessantamila divine Apsarā dalle voci armoniose, giunte in quel momento a Lumbini, dissero a Māyādevī: Non preoccuparti; noi siamo felici di essere qui al tuo servizio!
22. Parla, cosa bisogna fare? Di cosa hai bisogno? Siamo pronte a servirti e felici di questo compito. Sii dunque ricolma di grande gioia e non avere alcuna preoccupazione, tu, o Regina, che oggi, tra poco, partorirai il migliore dei medici, il distruttore della vecchiaia e della morte.
23. Questi alberi śāl si sono ricoperti di fiori sbocciati; gli dei, a centinaia di migliaia, stanno accanto a te e si inchinano tendendo le braccia; questa terra e i suoi mari hanno tremato in sei maniere; tu metterai al mondo un figlio rinomato in cielo e in terra, a tutti superiore in questo universo.
24. Meravigliosi raggi di luce, puri, color dell’oro, risplendono e cento piacevoli strumenti risuonano nell’aria senza essere toccati; centomila dei Śuddhāvāsa, immacolati e liberi dalle passioni, si inchinano con spirito gioioso; oggi tu darai alla luce un figlio che sarà il salvatore di tutti i mondi.
25. Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, insieme con altre divinità, con spirito ricolmo di felicità e soddisfazione stanno al tuo fianco, in adorazione, tendendo le braccia; il leone degli uomini, i cui voti sono stati adempiuti, simile ad una montagna d’oro, la guida del mondo, aprendo il fianco della madre ne è uscito, con puro splendore.
26. Śakra e Brahmā accolsero nelle loro mani il Muni; centomila regioni tremarono e puri raggi si diffusero; nei tre domini inferiori [27] gli esseri conseguirono la felicità e non soffrirono più. Centomila Deva gettarono fiori e agitarono le vesti.
27. Dotata di forza e vigore, della stessa natura del diamante, la terra rimase immobile. Un loto di grande bellezza sbocciò in ogni punto in cui la Guida eccellente posò i suoi piedi, abbelliti dal segno di una ruota [28]. Dopo aver fatto sette passi, colui che ha la voce di Brahmā fece udire il nobile dei discorsi: Io sarò il medico per eccellenza, il distruttore della malattia e della morte.
28. Sospesi nel cielo, il più grande degli dei Brahmā e il più grande degli dei Trāyastriṃśa, Śakra, bagnarono la Guida eccellente con pure acque profumate, soavi e rinfrescanti. Ed i due re dei Nāga, Nanda e Upananda, anch’essi sospesi nel cielo, fecero scorrere due correnti di acqua fredda e calda. Centomila dei con acque profumate bagnarono la Guida eccellente.
29. I Guardiani del Mondo rispettosamente premurosi la sostennero con le loro belle mani. L’universo dei tremila mondi fu scosso, e con esso tutto ciò che vi si trova, animato o inanimato.
30. Raggi splendenti scaturirono e i domini inferiori furono purificati; le sofferenze generate dalle afflizioni si estinsero quando nacque nel mondo la Guida eccellente.
31. Gli dei gettarono fiori sulla Guida degli uomini che era appena nata. Quindi, l’Eroe forte e coraggioso fece sette passi.
32. Laddove avanzava posando i piedi sul suolo, dei loti, i più belli tra tutti, si innalzavano dalla terra, adorni di ogni sorta di gioielli.
33. Dopo aver compiuto sette passi [esclamò] facendo udire la voce di Brahmā: Il distruttore della vecchiaia e della morte, il Medico supremo, è apparso.
34. Rivolto fieramente lo sguardo nelle diverse direzioni dello spazio, pronunciò queste parole dal profondo significato: Io sono il primo nell’intero universo; io sono nel mondo la migliore delle Guide.
35-36. Questa è la mia ultima nascita. Così dicendo, la Guida degli uomini sorrise. Colui che era giunto in aiuto verso l’intero universo fu cosparso con le migliori acque profumate dai Guardiani del Mondo e dagli dei insieme con Indra, tutti dotati di menti pure; lo stesso fecero i principi degli Uraga [29] tutti riuniti. Facendo scorrere rivoli di acque profumate, altri Deva lo bagnarono, sospesi nell’aria a centinaia di migliaia.
37. Bagnarono con acque profumate l’Essere sorto-da-sé [30]; sostennero un grande parasole bianco e degli scacciamosche di coda di yak. È in questo modo che, discesi dal cielo, gli dei bagnarono il Supremo tra gli uomini.
38. Un uomo, recatosi in fretta presso il re Śuddhodana gli disse gioiosamente: È in arrivo una grande fortuna, o Re, grazie ad un figlio dotato dei segni del corpo.
39. Un arricchimento della collana di perle delle grandi famiglie. Certamente sarà un re Cakravartin; e, senza avere alcun nemico nel Jambudvīpa, sarà l’unico a detenere il parasole, l’insegna della sovranità.
39a. Un altro uomo, lì giunto, dopo aver abbracciato i piedi del re Śuddhodana, gli disse: O re, una grande fortuna si è prodotta nella famiglia degli Śākya.
39b. I quali, tutti senza eccezione, sono dei Nagna [31] dotati di forza, eguali tra loro, difficili da vincere per i nemici.
40. Un terzo uomo esclamò: O Re, ascoltate questa gioiosa notizia: simili tra loro, con alla loro testa Chandaka [32], ottocento figli di servitori sono nati, insieme con diecimila cavalli, con alla loro testa Kaṇthaka, i migliori dei destrieri, eccellenti, del coloro dell’oro, con belle criniere, e con ventimila principi delle fortezze di frontiera.
41. Poi, avvicinatosi ai piedi del re: Possa tu essere felicemente vittorioso, o Re! Dai l’ordine: dove dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare, o Signore? Tu detieni il potere, noi, nobile Signore, siamo i tuoi servitori, possa tu essere vittorioso! Ventimila elefanti, splendenti sotto reti d’oro,
42. sono giunti velocemente, riempiendo la dimora regale dei loro barriti. Mucche e vitelli pezzati di nero, preceduti da gopā [33], sono nati, in numero di seicento. Ecco, o Signore, un altro arricchimento che si è prodotto nel palazzo regale, dacché è nato colui che è al di sopra degli dei.
43. Essendo nato colui che possiede lo splendore delle azioni virtuose, uomini e dei, a migliaia, gioiosi, avendo visto le sue qualità, dissero: Procedi verso la suprema Saggezza, libero dalla sofferenza, che tu sia presto Vittorioso!
In tal modo, o Monaci, nello stesso istante della nascita del Bodhisattva, vi fu una abbondante distribuzione di doni. Nacquero anche cinquecento figli di nobili famiglie.
Vennero altresì alla luce diecimila bambine con alla loro testa Yaśovatī; ottocento figlie e ottocento figli di servitori, con Chandaka avanti a tutti; diecimila giumente e diecimila purosangue, con Kaṇthaka primo tra tutti. Cinquecento elefantesse e cinquecento elefanti, tutti marchiati sulle proboscidi con eleganti lettere disegnate dal re Śuddhodana, furono donati al giovane principe per il suo divertimento.
Nel luogo che si trova al centro di quattrocentomila koti di terre apparve il fusto di un Aśvattha [34]. E nel continente inferiore nacque per il piacere del Bodhisattva un bosco di alberi di sandalo, tutto questo grazie al potere del Bodhisattva stesso; e in ogni punto della città apparvero cinquecento giardini, anch’essi per la gioia del Bodhisattva. Cinquecento mila tesori, scaturiti dal terreno, aprirono le loro porte. Così tutto ciò che era negli intendimenti del re Śuddhodana si realizzò e fu perfettamente compiuto. A quel punto una domanda sorse nella mente del re Śuddhodana: Quale nome darò al giovane principe? Ed egli pensò: Poiché subito dopo la nascita di questo bambino tutti i miei progetti si sono completamente realizzati, gli darò il nome di Sarvārthasiddha [35]. Quindi il re Śuddhodana, dopo aver reso omaggio al Bodhisattva con grandi manifestazioni di rispetto, disse: Che il giovane principe venga chiamato con il nome di Sarvārthasiddha. È in questo modo che gli venne attribuito il nome.
Il Bodhisattva, dunque, era nato senza che il fianco destro della madre fosse ferito in alcun modo; come avvenuto quando vi era entrato, così fu in seguito. Apparvero dei pozzi con tre serbatoi, ed anche degli stagni di oli profumati. Cinquemila Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva recando oli profumati di divine essenze, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Poi, cinquemila Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva recando unguenti divini, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Quindi, cinquemila Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva recando vasi colmi di acque divine profumate, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
E ancora, cinquemila Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva recando vesti dei figli degli dei, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Cinquemila altre Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva recando ornamenti dei figli degli dei, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Infine, cinquemila Apsarā giunte presso la madre del Bodhisattva con canti e strumenti di musiche divine, le chiesero se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Vi erano anche, nel Jambudvīpa, dei ṛṣi stranieri, in possesso dei cinque poteri superiori, che erano giunti attraverso i cieli e si erano fermati in presenza del re Śuddhodana: Possa il re essere vittorioso e felice! Queste furono le parole da essi pronunciate.
In tal modo, o Monaci, nei sette giorni successivi alla nascita del Bodhisattva, nel parco di Lumbini gli fu reso onore con il suono degli strumenti degli uomini e degli dei; fu circondato dal rispetto, dagli omaggi, dalle offerte. Vennero distribuiti cibi e pietanze delicatamente cucinate. Tutte le schiere degli Śākya che si erano riunite fecero udire grida di gioia, offrirono doni e compirono azioni meritorie. Trentaduemila Brāhmaṇi furono ristorati ogni giorno e fu loro donato tutto ciò di cui avevano bisogno. In quella adunanza di Brāhmaṇi, Śakra, il Signore degli dei, e Brahmā, che avevano assunto le sembianze di due giovani Brāhmaṇi e si erano seduti nei primi posti, fecero entrambi udire questi versi di buon augurio:
44. Poiché le sofferenze dei reami inferiori sono lenite, poiché tutti sono felici, colui che porta la gioia è certamente nato; egli farà dimorare il mondo nella felicità.
45. Poiché a causa delle luci che dissolvono le tenebre il fulgore della luna e quello del sole sono eclissati e non risplendono più, certamente colui che ha lo splendore dei meriti è apparso.
46. Poiché i ciechi vedono e i sordi odono, poiché i folli hanno ritrovato il senno, è apparso nel mondo colui che è degno di venerazione.
47. Poiché le oscurazioni mentali non causano più sofferenza, poiché tutti sono divenuti compassionevoli, senza dubbio egli sarà degno delle offerte di dieci milioni di Brahmā.
48. Poiché gli alberi śāl sono ricoperti di fiori e la terra è liscia, certo egli sarà degno delle offerte del mondo intero e sarà onnisciente.
49. Poiché il mondo è privo di turbamento e il grande loto è apparso, egli, avvolto in un grande splendore, sarà senza alcun dubbio la guida del mondo.
50. Poiché dolci brezze profumate di essenze divine leniscono la sofferenza degli esseri, egli sarà il re dei medici.
51. Poiché anche i cento Deva del reame della forma sono liberati dalle loro passioni e si inchinano con le mani giunte, egli sarà degno di offerte.
52. Poiché gli uomini vedono gli dei e gli dei vedono gli uomini senza che alcuno rechi danno all’altro, egli sarà la guida delle moltitudini di esseri.
53. Poiché i fuochi sono estinti [36] e tutti i corsi d’acqua sono immobili; poiché la terra ha dolcemente tremato, egli sarà colui che conosce la verità.
Sette giorni dopo la nascita del Bodhisattva, o Monaci, per sua madre Māyādevī giunse il momento della morte. Dopo la sua morte, ella rinacque nel cielo dei Trentatré Dei.
Ma, o Monaci, voi potreste credere che Māyādevī sia morta a causa del Bodhisattva, ma non è così che bisogna pensare. Perché? Perché ella era giunta al limite estremo della sua esistenza. Anche le madri dei Bodhisattva del passato sono morte sette giorni dopo la loro nascita. Perché questo? Perché l’abbandono della casa paterna da parte del Bodhisattva, una volta cresciuto e divenuto adulto, avrebbe spezzato il cuore della madre.
Così, o Monaci, si era dunque al settimo giorno dopo che Māyādevī era uscita con un immenso seguito dalla grande città di Kapilavastu per dirigersi verso il luogo del parco di piacere. A quel punto, con un seguito infinitamente più grande, il Bodhisattva entrò nella grande città di Kapilavastu.
Non appena vi entrò, cinquemila urne piene di acqua profumata furono portate innanzi a lui. Nello stesso tempo cinquemila fanciulle camminavano davanti con ventagli di code di pavone nelle mani. Cinquemila ragazze procedevano recando vasi d’oro ricolmi di acque profumate e irroravano la strada. Cinquemila altre giovani camminavano davanti portando veli di ogni sorta. Cinquemila fanciulle avanzavano recando con sé ghirlande di fiori freschi e variegati. Ancora cinquemila fanciulle camminavano davanti indossando ornamenti belli e preziosi e purificando la strada. Altre cinquemila procedevano sorreggendo cuscini cerimoniali. Cinquemila Brāhmaṇi avanzavano facendo udire parole beneauguranti. Ventimila elefanti, bardati con tutti i loro ornamenti, marciavano davanti. Procedevano avanti ventimila cavalli adorni di gioielli d’oro e con tutti i loro finimenti. Ottantamila carri completamente ornati con parasole, stendardi e bandiere dispiegate e abbelliti con reti e campanelle appese, seguivano il Bodhisattva. Quarantamila soldati fieri e coraggiosi, dai corpi ben fatti, difesi da solide armature, marciavano dietro al Bodhisattva. Sospesi nelle distese dei cieli, i figli gloriosi degli dei del Reame del Desiderio e del Reame della Forma, in numero immenso, incommensurabile, a centinaia di migliaia, rendevano omaggio al Bodhisattva e lo seguivano compiendo evoluzioni di ogni sorta. Il carro, il migliore tra tutti, sul quale il Bodhisattva era salito, fu preparato in vari modi dagli dei Kamavatchara [37]. E ventimila Apsarā adorne di ogni tipo di gioielli, indossando collane di perle, lo trainavano. In mezzo ad ogni coppia di Apsarā c’era una fanciulla, e tra ogni coppia di fanciulle si trovava un’Apsarā. Ma le Apsarā non percepivano l’odore poco gradevole delle donne, e le donne, vedendo la bellezza delle Apsarā, non si sentivano sminuite, e questo grazie al potere della gloria del Bodhisattva.
Intanto, o Monaci, nella città di Kapila, la migliore tra le migliori, cinquecento abitazioni furono approntate per cinquecento Śākya, in previsione dell’arrivo del Bodhisattva. Essi, rimanendo ognuno sulla porta della propria casa, a mani giunte, con il corpo inchinato e ricolmi di rispetto, dicevano al Bodhisattva che era entrato in città: O Sarvārthasiddha, entra qui! Dio al di sopra degli dei, entra qui! Puro Essere, entra qui! Tu che generi la felicità e la gioia, entra qui! Tu, la cui gloria è immacolata, entra qui! Tu che vedi tutto, entra qui! Tu, che sei pari a chi è senza pari [38], entra qui! Tu che possiedi lo splendore di impareggiabili qualità, il cui corpo è adorno dei marchi maggiori e dei segni minori, entra qui!  
Per far sì che tutti rimanessero in armonia tra loro, il re Śuddhodana fece entrare il Bodhisattva in tutte le dimore e dopo quattro mesi lo portò nel proprio palazzo. Quel grande palazzo chiamato Nānāratnavyūha [39] fu la dimora nella quale il Bodhisattva fu insediato. In quello stesso luogo i più anziani tra gli Śākya, che si erano riuniti in assemblea, tennero consiglio chiedendosi: Chi è veramente in grado di badare al Bodhisattva, accudirlo, prendersi cura di lui con amore, con dolcezza, con uno spirito ricco di buone qualità, con bontà?
Allora cinquecento donne Śākya dissero, ognuna a proprio favore: Io rimarrò accanto al Bodhisattva per servirlo.
Ma i più anziani tra gli Śākya affermarono: Tutte queste donne, giovani, belle, sbadate, fiere della loro giovinezza e del loro fascino, non sono adatte per servire adeguatamente il Bodhisattva. Mahāprajāpatī Gāutamī, sorella della madre del giovane principe, ecco colei che è in grado di crescerlo con le migliori cure e di essere d’aiuto al re Śuddhodana.
Così, essendo tutti d’accordo, fecero affidamento su Mahāprajāpatī Gāutamī. È in questo modo che ella fu incaricata di educare il giovane principe. Furono altresì scelte trentadue nutrici per servire il Bodhisattva: otto per portarlo in braccio, otto per allattarlo, otto per lavarlo e otto per farlo giocare.
Poi, il re Śuddhodana convocò l’intera assemblea degli Śākya e pose loro questa domanda: Il giovane principe diverrà un re Cakravartin oppure abbandonerà il palazzo per divenire un monaco errante?
A quel tempo sulle pendici dell’Himavat, re delle montagne, un grande Ṛṣi di nome Asita, in possesso dei cinque poteri straordinari, viveva con Naradatta, figlio di sua sorella. Proprio nel momento della nascita del Bodhisattva egli vide i numerosi fenomeni sovrannaturali e nelle distese dei cieli i figli degli dei che acclamavano il nome del Buddha agitando le vesti da una parte all’altra e muovendosi di qua e di là, pieni di gioia. Sorse in lui questo pensiero: Bisogna che io veda con precisione cosa accade. Con il suo occhio divino scrutò attentamente tutto il Jambudvīpa e scorse nella grande città di Kapila, all’interno del palazzo del re Śuddhodana, il giovane principe nato da poco, splendente della luce di cento meriti, onorato da tutti, con il corpo adorno dei trentadue segni del Grande Essere.
Avendolo visto, si rivolse a Naradatta, figlio di un Brāhmaṇo: Sappi, figlio di Brāhmaṇo, che nel Jambudvīpa è apparso un prezioso tesoro. Nella grande città di Kapilavastu, all’interno del palazzo del re, è nato un giovane principe, raggiante della luce di cento meriti, onorato da tutti, adorno dello splendore dei trentadue segni del Grande Essere. Se rimarrà nel palazzo sarà un re Cakravartin a capo di un esercito di quattro armate di soldati, vittorioso, fedele al Dharma, re del Dharma; avrà a sua disposizione la forza e il coraggio dei suoi sudditi e sarà in possesso dei sette tesori: il tesoro della ruota, il tesoro dell’elefante, [il tesoro del cavallo,] il tesoro della gemma Maṇi, il tesoro della moglie, il tesoro del ministro, il tesoro del consigliere [40]. Egli avrà mille figli eroici, coraggiosi, belli e armoniosi, vincitori degli eserciti nemici. Dopo aver sottomesso attraverso le sue leggi e la sua forza, senza usare la violenza né le armi, tutto il cerchio della grande terra che ha per confine l’Oceano, egli eserciterà la regalità con l’autorità della sua onnipotenza. Ma se uscendo dal palazzo andrà errando come un monaco senza dimora, egli sarà allora un Tathāgata Arhat, un Buddha autenticamente perfetto e compiuto; un Buddha perfetto, una guida di cui nessuno al mondo è maestro. Perciò, andiamo entrambi a vederlo.
Avendo così parlato, il grande Ṛṣi Asita insieme con Naradatta, figlio della sorella, levatosi in volo attraverso i cieli e direttosi verso la grande città di Kapilavastu, interruppe lì il suo viaggio magico, entrò a piedi nella grade città di Kapilavastu, si avvicinò al luogo in cui dimorava il re Śuddhodana e si fermò davanti alla porta del palazzo del re. Lì, o Monaci, il Devaṛṣi Asita vide riuniti presso la porta della dimora del re Śuddhodana centinaia di migliaia di esseri viventi. Allora Asita il grande Ṛṣi avvicinatosi alla guardia della porta così disse: Amico, va’ e comunica al re Śuddhodana che un ṛṣi è giunto alla sua porta. Sta bene! Rispose la guardia, conformandosi alla richiesta del grande Ṛṣi Asita; giunta al luogo in cui si trovava il re Śuddhodana, unendo rispettosamente le mani, disse al re: Sappiate, o Re, che un vecchio ṛṣi, anziano, molto anziano, è giunto alla porta e dice così: Desidero incontrare il re. Allora il re Śuddhodana, fatto preparare un seggio per il grande Ṛṣi Asita, disse alla guardia: Si faccia entrare il Ṛṣi!
La guardia, uscita dal palazzo del re, così si rivolse al grande Ṛṣi Asita: Entrate!
Subito il grande Ṛṣi Asita, recatosi laddove si trovava il re Śuddhodana e avvicinatosi, si fermò davanti a lui e disse: Sii vittorioso, grande Re, sii vittorioso e abbi una lunga vita governando in armonia con il Dharma!
Quindi il re Śuddhodana dopo aver reso omaggio al grande Ṛṣi Asita con l’Arghya [41] e con acqua per lavare i piedi, dopo averlo onorato con atti di rispetto e di riguardo, lo invitò a sedere. Avendo visto che era seduto a proprio agio gli si rivolse con deferenza e rispetto: Non ricordo di averti mai visto, Ṛṣi. Qual è lo scopo della tua visita? Di che si tratta?
Udito ciò, il grande Ṛṣi Asita rispose al re Śuddhodana: Ti è nato un figlio, grande Re, ed io desiderando vederlo sono venuto qui.
E il re: Il giovane principe sta dormendo, grande Ṛṣi; aspetta che si svegli.
Il Ṛṣi affermò: Grande Re, Esseri così grandi non dormono a lungo, Esseri così virtuosi sono soliti restare svegli.
In quel momento, o Monaci, il Bodhisattva per bontà nei confronti di Asita fece mostra di essersi risvegliato.
Il re Śuddhodana allora prese dolcemente, con attenzione, il giovane principe con ambo le mani e lo portò di fronte al grande Ṛṣi. Dopo aver osservato il Bodhisattva, avendo constatato che il suo corpo era dotato dei trentadue marchi del Grande Essere, possedeva altresì gli ottanta segni minori ed era superiore a quelli di Śakra, di Brahmā e dei Guardiani del Mondo, che risplendeva più di mille soli, che tutte le sue membra erano proporzionate, Asita così espresse il suo pensiero: In verità, un meraviglioso Essere è apparso nel mondo! Così dicendo, si alzò dal suo seggio, unendo rispettosamente le mani, si prosternò ai piedi del Bodhisattva e dopo aver girato intorno a lui offrendogli il fianco destro lo strinse al petto e restò pensieroso. Guardò nuovamente i trentadue marchi maggiori sul corpo del Bodhisattva. Per il Grande Essere che è dotato di tali segni, vi sono due sole possibilità e nessun’altra. Se rimane nella propria dimora, sarà un re Cakravartin a capo di quattro armate di soldati, vittorioso, fedele al Dharma, re del Dharma; avrà a sua disposizione la forza e il coraggio dei suoi sudditi e sarà in possesso dei sette tesori: il tesoro della ruota, il tesoro dell’elefante, [il tesoro del cavallo,] il tesoro della gemma Maṇi, il tesoro della moglie, il tesoro del ministro, il tesoro del consigliere. Egli avrà mille figli eroici, coraggiosi, belli e armoniosi, vincitori degli eserciti nemici. Dopo aver sottomesso attraverso le sue leggi e la sua forza, senza usare la violenza né le armi, tutto il cerchio della grande terra che ha per confine l’Oceano, egli eserciterà la regalità con l’autorità della sua onnipotenza. Ma se uscendo dal palazzo andrà errando come un monaco senza dimora, egli sarà allora un Tathāgata dal nome noto, un Buddha perfetto e compiuto.
Dopo averlo guardato, (Asita) pianse ed emise un profondo sospiro.
Il re Śuddhodana notò che il grande Ṛṣi Asita piangeva versando copiose lacrime e facendo lunghi sospiri e a quella vista, sentendo un brivido di inquietudine sulla pelle, preoccupato così si rivolse al grande Ṛṣi: Perché piangi, Ṛṣi, e versi lacrime e sospiri profondamente? Il giovane principe corre forse qualche pericolo?
A quelle parole, il grande Ṛṣi Asita così rispose al re Śuddhodana: Grande Re, non è a causa del giovane principe che piango, poiché in effetti egli non corre alcun pericolo. Ma è per me stesso che io piango. Perché? Grande Re! Io sono anziano, vecchio, ricurvo, e il giovane Sarvārthasiddha otterrà senza dubbio la Saggezza suprema, perfetta e compiuta di un Buddha, e dopo averla acquisita farà girare la ruota del Dharma supremo, che non è stata messa in movimento né da uno Śramaṇa né da un Brahmano, né da un Deva né da un demone, né da nessun altro nel mondo per quanto fosse in armonia con il Dharma. Per la salvezza e la felicità del mondo e dei reami divini egli insegnerà il Dharma, che è buono nel suo inizio, buono nel suo mezzo, buono nella sua fine; ecco il Dharma che egli insegnerà: il suo significato eccellente sarà compiutamente spiegato, chiarito, completo, perfettamente puro, fino al massimo grado, alla purezza assoluta. Dopo aver ascoltato gli insegnamenti dalla sua bocca gli esseri legati alle leggi secondo la loro nascita [42] saranno completamente liberati dalla nascita stessa; nello stesso modo saranno completamente liberati dalla vecchiaia, dalla malattia, dai dispiaceri, dai lamenti, dalla sofferenza, dalla debolezza, dai turbamenti, dalle disgrazie. Agli esseri arsi dal fuoco della passione, dell’odio e dell’offuscamento egli donerà la gioia con la pioggia del buon Dharma. Gli esseri imprigionati dalle tenebre delle visioni erronee di ogni tipo, smarriti nel sentiero dell’errore, egli li condurrà sul retto sentiero, sulla via del Nirvāṇa. Gli esseri costretti nella rete e nella prigione dell’esistenza ciclica [43], legati dai ceppi delle afflizioni mentali, egli li libererà dalle loro catene. Per coloro i cui occhi sono del tutto oscurati dai veli delle profonde tenebre dell’ignoranza farà dischiudere l’occhio della saggezza. A coloro che sono tormentati dalla freccia delle emozioni disturbanti, egli estrarrà tale freccia. O grande Re, nello stesso modo in cui il fiore Uḍumbara [44] appare ben di rado nel mondo, così pure, o re, molto raramente, dopo infiniti eoni di tempo, i Buddha Bhagavat si manifestano nel mondo. Senza alcun dubbio, questo giovane principe conseguirà le qualità perfette e compiute di un Buddha, poi, avendole ottenute, farà passare centinaia di migliaia di niyuta di koti di esseri sulla riva che è al di là dell’oceano dell’esistenza ciclica e li farà dimorare nell’immortalità! Quanto a noi, non vedremo questo gioiello che è il Buddha! Ecco perché, grande Re, piango e con spirito prostrato sospiro profondamente; perché non otterrò la liberazione dalla malattia e dalla sofferenza. Così come esso si manifesta, grande Re, come è scritto nei nostri Śāstra, il giovane Sarvārthasiddha non potrà rimanere nel palazzo.
– Perché questo fatto?
– Perché, grande Re, il giovane Sarvārthasiddha reca i trentadue marchi del Grande Essere.
– Quali sono i trentadue segni? 


– Eccoli:
1. Grande Re, il giovane Siddhārtha ha la testa ornata da una protuberanza del cranio [45]. Di tale segno, il primo di quelli del Grande Essere, è dotato il giovane Sarvārthasiddha.
2. I suoi capelli, che ruotano verso destra, sono riccioluti, di un nero profondo e brillante come la coda del pavone o come la polvere kohl [46] dai riflessi variegati. 
3. La sua fronte è larga e unita.
4. Un ciuffo di peli, o Signore, è nato tra le sue sopracciglia, del colore della neve e dell’argento [47].
5. Possiede ciglia simili a quelle di una giovenca.
6. Ha occhi di color nero profondo.
7. Ha quaranta denti lisci.
8. I denti sono privi di interstizi.
9. I denti sono perfettamente bianchi.
10. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha la voce di Brahmā [48].
11. Egli possiede un senso del gusto molto sviluppato.
12. La sua lingua è lunga e sottile.
13. La mascella è come quella del leone.
14. Il braccio è ben arrotondato.
15. Possiede sette rilievi sul corpo [49].
16. Ha spalle larghe.
17. La pelle è fine e del colore dell’oro.
18. Stando in piedi e senza chinarsi le sue braccia arrivano fino alle ginocchia.
19. La parte superiore del corpo è simile a quella del leone.
20. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha il corpo come l’albero Nyagrodha [50].
21. I suoi peli nascono ad uno ad uno.
22. Nella loro estremità superiore si arricciano verso destra.
23. Il pube è nascosto in una guaina.
24. Le cosce sono perfettamente arrotondate.
25. Le gambe sono come quelle dell’ainaya, re delle antilopi.
26. Ha le dita lunghe.
27. I suoi piedi hanno i talloni larghi.
28. Il collo del piede è alto.
29. Le mani e i piedi sono morbidi e delicati.
30. Le dita dei piedi e delle mani sono unite da una membrana (fino alla prima falange).
31. Sotto la pianta dei piedi del giovane Sarvārthasiddha, o Signore, sono comparse due ruote, belle, luminose, brillanti, bianche, con mille raggi, un cerchio ed un mozzo.
32. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha i piedi saldi e ben radicati al suolo.
Il giovane Sarvārthasiddha è in possesso, grande Re, dell’insieme dei trentadue marchi del Grande Essere; e, o Signore, i segni di questo tipo non sono quelli di un Cakravartin; questi segni sono destinati ad un Bodhisattva.
E sul corpo del giovane Sarvārthasiddha, o grande Sovrano, si trovano anche tutti gli ottanta segni minori; essendone in possesso, il giovane Sarvārthasiddha non vorrà rimanere nel palazzo e certamente ne uscirà per condurre la vita di un monaco errante.
Quali sono, o grande Re, gli ottanta segni minori? Eccoli:
1. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Sovrano, ha unghie rotonde.
2. Le sue unghie sono del colore del rame.
3. Esse sono lisce.
4. Le dita sono arrotondate.
5. Sono ben proporzionate.
6. Sono affusolate.
7. Le vene sono invisibili.
8. Le caviglie non sono prominenti.
9. Le articolazioni sono robuste.
10. I piedi sono senza asperità.
11. Il tallone è largo.
12. Le linee delle mani sono lisce.
13. Sono uniformi.
14. Profonde.
15. Diritte.
16. Lunghe.
17. Le sue labbra sono rosse come il frutto Bimba [51].
18. Possiede una voce il cui suono non è mai troppo alto.
19. La sua lingua è morbida, delicata, del colore del rame rosato.
20. La sua voce dolce e melodiosa ha il suono del barrito dell’elefante o del tuono tra le nubi.
21. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha organi sessuali ben sviluppati.
22. Le sue braccia sono lunghe.
23. Egli ha membra splendenti ben vestite.
24. Le sue membra sono morbide.
25. Sono ben sviluppate.
26. Esse non sono soggette a debolezza.
27. Sono regolari.
28. Sono perfette e robuste.
29. Sono ben proporzionate.
30. La rotula del ginocchio è larga, sviluppata e perfettamente compatta.
31. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha membra arrotondate.
32. Perfettamente lisce.
33. Regolari.
34. Possiede un ombelico profondo.
35. Regolare.
36. Il suo portamento è puro.
37. Egli è bello come un bufalo.
38. Diffonde intorno a sé lo splendore di una luce superiore, perfettamente pura, che dissolve le tenebre.
39. L’incedere del giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, è maestoso come quello dell’elefante.
40. Egli possiede l’incedere regale del leone.
41. Possiede l’incedere nobile del bufalo.
42. Possiede l’incedere dell’oca.
43. Egli cammina ruotando verso il lato destro.
44. I suoi fianchi sono arrotondati.
45. I fianchi sono lisci.
46. Sono privi di difetti.
47. Il suo ventre ha la forma di un arco.
48. Il giovane Sarvārthasiddha, o Signore, possiede un corpo privo di tutto ciò che potrebbe alterarne lo splendore e di tutte le macchie che potrebbero deturparlo.
49. Egli possiede denti canini arrotondati.
50. Denti canini taglienti.
51. Denti canini regolari.
52. Possiede il naso prominente.
53. Ha occhi brillanti.
54. Occhi puri.
55. Occhi sorridenti.
56. Occhi allungati.
57. Occhi grandi.
58. Il suo occhio è simile al petalo del loto blu.
59. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, possiede sopracciglia proporzionate.
60. Sopracciglia belle.
61. Sopracciglia unite.
62. Sopracciglia regolari.
63. Sopracciglia nere.
64. Egli possiede guance piene.
65. Guance regolari.
66. Prive di ogni imperfezione.
67. Grazie alla perfezione della sua persona, egli è libero da ogni ingiuria e da ogni biasimo.
68. Possiede sensi perfettamente sviluppati.
69. Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Sovrano, possiede organi perfetti e completi.
70. Il suo viso e la sua fronte sono in perfettamente armonici tra loro.
71. Egli ha la testa ben sviluppata.
72. Possiede capelli neri.
73 I suoi capelli sono folti.
74. Sono bene acconciati.
75. Sono profumati
76. Essi non sono duri.
77. Non sono aggrovigliati.
78. Sono regolari.
79. Sono riccioluti.
80. I capelli del giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, raffigurano le immagini dello Śrīvatsa, dello Svastika, del Nandyāvarta e del Vardhamāna [52].
Questi sono, grande Re, gli ottanta segni minori del giovane Sarvārthasiddha; essendone in possesso, il giovane principe non vorrà rimanere nel palazzo e certamente ne uscirà per condurre la vita di un monaco errante.
A quel punto il re Śuddhodana, avendo ascoltato dalla bocca del grande Ṛṣi Asita la profezia sul giovane principe, soddisfatto, felice, ricolmo di gioia e di allegria, alzatosi dal suo trono e prosternatosi ai piedi del Bodhisattva, recitò questo Gāthā:
54. Tu, che sei venerato da tutti gli dei insieme con Indra, che sei onorato anche dai Ṛṣi, Signore, medico di tutti gli esseri, io pure ti venero!
Quindi, o Monaci, il re Śuddhodana ristorò il grande Ṛṣi Asita e suo nipote Naradatta con i cibi più adatti; dopo avergli donato molte vesti, girò per tre volte intorno a lui offrendogli il fianco destro. Allora il grande Ṛṣi Asita grazie al suo potere sovrannaturale si allontanò attraverso i cieli e si diresse verso il luogo del suo romitaggio. Lì giunto, il grande Ṛṣi Asita così parlò a Naradatta, figlio di un Brāhmaṇo: Naradatta, quando sentirai dire: Un Buddha è apparso nel mondo, dopo esserti recato presso di lui diventa monaco errante sotto la sua guida. Questo ti apporterà meriti, aiuto e felicità per molto tempo!
Così è detto [a]:
55. Dopo aver scorto le moltitudini degli dei schierate nella distesa dei cieli proclamare la gloria del Buddha, Asita, il divino Ṛṣi che dimorava sul monte Hima, fu pieno della più grande gioia. – Che nome è dunque questo Buddha il cui effetto è di generare gioia per tutti gli esseri? Il mio corpo è ricolmo di felicità, e il mio spirito pacificato prova una calma infinita.
56. Sarà costui un Deva oppure un Asura, un Garuḍa oppure un Kinnara? E il nome Buddha, cosa è questo epiteto prima sconosciuto, che porta gioia e piacere?
Con il suo occhio divino il Ṛṣi osservò nelle dieci direzioni dello spazio le montagne, la terra, il mare, e vide cose meravigliose sulle montagne, sulla terra e sul mare.
57. Una luce splendente dai meravigliosi colori rallegrò il corpo, e poiché sulle cime dei monti erano nati delicati rami di corallo, poiché gli alberi erano ricoperti di fiori e pieni di frutti diversi, fu chiaro che nei tre mondi sarebbe presto apparso un gioiello.
58. Poiché la terra risplendeva, tutta livellata e immacolata come il palmo della mano; poiché gli dei con il cuore pieno di gioia agitavano nel cielo le loro vesti; poiché sul mare, dimora del re dei Nāga, galleggiavano tesori meravigliosi, fu chiaro che il gioiello dei Jina, colui che fa scaturire la sorgente del Dharma, era apparso nel Jambudvīpa.
59 Poiché le sofferenze dei reami inferiori erano lenite e gli esseri erano liberi dal dolore e pieni di gioia; poiché le schiere dei Deva che dimorano nelle distese dei cieli, ricolmi di felicità, andavano facendo udire il suono dolce e rassicurante dei canti divini, tutti questi erano i segni che nei tre mondi era apparso un gioiello.
60. Asita osservò il mondo chiamato Jambu con il suo occhio divino e vide nella città di Kapila, la migliore delle città, all’interno del palazzo del re Śuddhodana, colui che era nato recando i segni dello splendore dei meriti, eguale per la sua forza a Nārāyaṇa. A quella vista, con il cuore pieno di felicità, la forza del Ṛṣi dallo spirito gioioso si accrebbe.
61. Affrettatosi velocemente, pieno di stupore nell’animo, e recatosi in compagnia del suo discepolo a Kapila, la migliore delle città, si fermò alla porta del Signore degli uomini. Avendo visto un immenso numero di esseri viventi che si recavano presso il re, il vecchio Ṛṣi disse all’auriga del re: Annuncia subito che un ṛṣi è giunto alla porta!
62. Questi, avendo ascoltato ed essendo subito entrato nel palazzo del re, così gli disse: O Re, è giunto alla porta un asceta, anziano e ricurvo. Per quell’ottimo Ṛṣi sarebbe una gioia entrare nella dimora del Re. Fate sì che egli abbia il permesso, o grande Sovrano; impartitemi l’ordine di farlo entrare.
63. Dopo aver fatto approntare un seggio per lui il re disse: Va’ e permettigli di entrare.
Asita, avendo udito le parole dell’auriga, ne fu colmato di gioia, di piacere e di felicità, come un uomo assetato al pensiero dell’acqua fresca o un affamato dopo aver ricevuto del cibo. Tale fu la gioia del più grande tra i Ṛṣi, nel vedere il più nobile degli esseri.
64. Sii vittorioso, o Re, gli disse gioioso. E dopo avergli così augurato la prosperità, colui che è in pace, colui la cui mente è domata e i sensi acquietati, si sedette. Il re, avvicinatosi al grande Muni, gli disse: Qual è il motivo della tua venuta nella dimora del re degli uomini? Dillo subito, o Muni.
65. Un figlio ti è nato, della più grande bellezza, andato al di là dell’al di là, in possesso di grande splendore e dei trentadue marchi maggiori, forte come Nārāyaṇa. Ciò che io desidero, Signore degli uomini, è vedere tuo figlio Sarvārthasiddha. Ecco il motivo per cui sono venuto, questo e nessun altro.    
66. Ebbene! Tu, con la tua richiesta, sei il benvenuto, ed io sono felice di vederti. Ma il giovane principe sta dormendo; ora mi è impossibile esaudire il tuo desiderio di vederlo. Attendi un poco e lo vedrai, simile ad una luna piena immacolata circondata da una moltitudine di stelle.
67. Quando il migliore degli Aurighi, radioso come la luna piena, si fu risvegliato, il re sollevò colui il cui corpo è come il fuoco, il cui splendore supera quello del sole: Ebbene, Ṛṣi, guarda colui che è onorato dagli dei e dagli uomini, colui che ha l’aspetto dell’oro più raffinato.
Avendo visto i suoi bei piedi, recanti entrambi il segno di una ruota,
68. il grande Ṛṣi, versato negli Śāstra, alzatosi giungendo rispettosamente le mani e accostatolo al petto, lo osservò pensieroso. Guardò l’Essere che, dotato dei marchi maggiori, possiede la forza di Nārāyaṇa; colui che è versato nei Veda e negli Śāstra scosse la testa e ne vide le due sole possibilità:
69 Egli sarà un potente re Cakravartin oppure un Buddha, l’Essere Supremo. Piangendo, con il corpo e lo spirito prostrati, si mise a sospirare profondamente.
Il grande re si inquietò: Perché il Brāhmaṇo piange? Asita scorge senza dubbio qualcosa di inevitabile che riguarda il mio Sarvārthasiddha.     
70. Dimmi la verità! Perché piangi, Ṛṣi? Vedi qualcosa di buono o di cattivo?
Non vi è alcuna sventura né alcuna difficoltà per il tuo Sarvārthasiddha. È per me stesso che io piango, Signore degli uomini! Perché sono vecchio e ricurvo; perché costui sarà un Buddha, onorato dal mondo quando predicherà il Dharma.
71. Ed io non potrò vederlo, con occhi ricolmi di gioia! Ecco il motivo per cui piango. Devi sapere, o Re, che per colui, privo di difetti, il cui corpo reca i trentadue marchi maggiori vi sono due sole possibilità, ogni altra è esclusa: egli sarà un re Cakravartin oppure un Buddha, il più nobile al mondo.
72. Egli non sarà attratto dagli oggetti del desiderio; ma al contrario sarà un Buddha. Avendo ascoltato la profezia del Ṛṣi, il re si alzò al colmo della gioia e della felicità e con le mani giunte porse omaggio ai piedi (del bambino dicendo): Tu, che sei visibilmente onorato dagli dei e lodato dai ṛṣi, che sei dotato di grande forza.
73. Io saluto te, la migliore delle Guide (per le moltitudini degli esseri), onorato da tutte le creature nei tre mondi!  
Allora Asita, felice, disse al figlio della sorella: Ascolta le mie parole! Quando verrai a sapere che nel mondo un Buddha che ha conseguito la Saggezza sta facendo girare la ruota del Dharma, subito diventa monaco sotto la guida di quel Muni, e allora otterrai la liberazione.
74. Poi, dopo aver reso omaggio ai piedi (del bambino) aver girato per tre volte intorno a lui offrendogli il fianco destro, il grande Muni (disse): I meriti che hai conseguito, o re, sono grandi ed abbondanti, poiché hai un tale figlio. Egli sazierà con il Dharma il mondo intero, con gli dei e gli uomini!
Quindi, uscito dalla città di Kapila, il grande Ṛṣi ritornò alla foresta, nel suo eremo [53].
Dunque, o Monaci, subito dopo la nascita del Bodhisattva, Maheśvara, figlio di un dio, chiamati i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika si rivolse loro con queste parole: Costui, o amici, per un infinito numero di eoni si è dedicato alla pratica delle azioni meritorie, del dono, della condotta virtuosa, della pazienza, dello sforzo eroico, della meditazione, della saggezza, degli abili mezzi, del santo Dharma, delle austerità, dell’ascesi, della compassione; è dotato di grande amore, di grande compassione e di grande gioia compartecipe; possiede grazie all’equanimità la suprema saggezza; è premuroso nell’offrire aiuto e felicità a tutti gli esseri; è dotato della solida corazza del retto sforzo; è nato dalla radice delle virtù dei Vittoriosi che lo hanno preceduto; è adorno dei segni di cento meriti; le sue azioni virtuose sono perfettamente compiute con ferma determinazione; è il distruttore delle schiere nemiche, le sue motivazioni sono pure ed immacolate; possiede lo stendardo della suprema saggezza; ha posto fine alla forza del demone; è la Guida delle moltitudini dei tremila mondi, onorato dagli dei e dagli uomini, ha compiuto il grande sacrificio; possiede un infinito numero di meriti accumulati; il suo fine è uscire (dal ciclo delle rinascite), metter fine alla nascita, alla vecchiaia, alla morte; è stato generato da una nascita felice; discende dalla famiglia del re  Ikshvaku; costui, che farà sì che tutti possano conseguire la (suprema) Saggezza, il Bodhisattva Mahāsattva apparso nel mondo degli uomini, tra non molto tempo conseguirà la Saggezza suprema perfetta e compiuta di un Buddha. Rechiamoci quindi a rendergli omaggio, a venerarlo e lodarlo, al fine di recidere la radice dell’orgoglio, della fierezza e dell’arroganza degli altri figli degli dei dominati dalla superbia: anch’essi, vedendoci presentare i nostri omaggi, saluteranno, onoreranno e venereranno il Bodhisattva, il che sarà per loro fonte di merito, di aiuto, fino a che conseguiranno l’immortalità (Amṛta). Sarà allora riconosciuto l’accrescimento della gloria del re Śuddhodana. Dopo aver fatto una veritiera predizione in merito al Bodhisattva, ritorneremo.
Dopodiché Maheśvara, figlio di un dio, preceduto e circondato da dodicimila figli degli dei, avendo diffuso una luce splendente nell’intera città di Kapilavastu, si avvicinò al luogo in cui si trovava la dimora del re Śuddhodana, fece avvertire il re tramite la guardia della porta e, dopo essere stato invitato dal re, entrò nel palazzo reale, rese omaggio con la fronte ai piedi del Bodhisattva e, gettato il lembo del mantello su una spalla, compì diverse centinaia di circumambulazioni offrendo il fianco destro quindi si fermò, appoggiò il Bodhisattva al petto e lodò il re Śuddhodana: Sii felice, grande Re, che tu possa provare una gioia infinita. Perché questo? Perché, grande Re, il corpo del Bodhisattva reca i marchi maggiori e i segni minori; perché il giovane principe supera i mondi degli dei, degli uomini e degli Asura messi insieme, per il suo colorito, la sua gloria e la sua maestà. Senza dubbio alcuno, grande Re, il Bodhisattva conseguirà la Saggezza suprema perfetta e compiuta di un Buddha.
Poi, o Monaci, Maheśvara, figlio di un dio, insieme con i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, avendo compiuto la grande cerimonia dell’adorazione del Bodhisattva ed avendo proferito una veritiera predizione in merito al Bodhisattva ritornò alla propria dimora.
E così è detto:
75. Poiché l’Oceano di qualità era nato, il re degli dei, che l’aveva saputo, disse agli dei pieni di gioia: andiamo a rendere onore al principe dei Muni, a colui del quale è difficile sentir parlare per infiniti eoni.
76. In numero di dodicimila, gli dei perfettamente puri, con il ciuffo di capelli che incorona la loro testa adorno di gioielli preziosi, dall’eccellente portamento, recatisi rapidamente a Kapila, la migliore delle città, restando sulla soglia del Signore degli uomini con il loro bel ciuffo di capelli pendente,
77. dissero alla guardia della porta con la loro dolcissima voce: Entra nel palazzo e avverti il Signore degli uomini.
La guardia, udite queste parole, entrò nel palazzo e con le mani rispettosamente giunte disse al re:
78. Sii sempre vincitore, o Re! Lunga vita a te! Vi sono alla porta degli esseri risplendenti di abbondanti meriti, con il ciuffo dei capelli adorno di gioielli preziosi e con una voce melodiosa. Il loro viso è simile alla luna piena, risplendono come una luna immacolata.
79. Non ho visto alcuna ombra, o Re; non ho udito il rumore dei loro passi; camminando sul terreno non sollevano polvere e le persone intorno non si stancano di guardarli.
80. Il fulgore dei loro corpi è grande e risplende ovunque, la loro voce tocca il cuore e non è come quella degli uomini, quaggiù; è profonda e carezzevole; hanno maniere dolci e belle forme; penso siano schiere di Deva, poiché non sono esseri umani.
81. Recando tra le mani una ghirlanda dei fiori più belli, unguenti e sciarpe di seta, essi osservano rispettosamente. Senza alcun dubbio, o Re, i Deva, dei al di sopra degli altri dei, sono venuti per vedere il giovane principe, per rendergli omaggio.
82. Udite tali parole il re, al colmo della gioia, ordinò: Va’ e invita i Deva ad entrare nel palazzo, poiché un tale potere sovrannaturale non appartiene in alcun modo agli uomini, stando a ciò che dici delle loro qualità e del loro comportamento.
83. Il guardiano della porta, con le mani giunte in segno di rispetto, così si rivolse agli dei: Entrate, Signori, il Re degli uomini vi invita! Essi, gioiosi, estasiati, recando tra le mani le ghirlande più belle, entrarono nel palazzo del re, simile alla dimora degli immortali.
84. Il re, avendo visto i primi tra gli dei entrare nel palazzo, alzatosi e giungendo le mani (disse): Questi seggi dalle gambe ingioiellate sono stati approntati per voi; sedete, Signori, e siate benevolenti!
85. Essi, abbandonati l’orgoglio e la fierezza, sedettero sui troni.
Sappi perché siamo venuti qui, o Re. Ti è nato un figlio, il cui corpo è perfettamente puro grazie a meriti infinitamente grandi; noi desideriamo vedere colui che è nato con piedi sublimi.
86. Noi conosciamo il significato dei marchi maggiori, qual è il destino di coloro che li recano sul corpo ed anche la loro condotta. Per questo, o Signore, tu che sei il migliore dei re, abbandona la tristezza, e vediamo colui il cui corpo è adorno dei segni.
87. Circondato da schiere di donne, al colmo della gioia, il Sovrano degli uomini, avendo sollevato il bambino il cui colorito risplendeva di una luminosità senza pari, si avvicinò agli dei superni, dalla fluente ciocca di capelli che ornava loro il capo. Quando oltrepassò la soglia della porta, i tremila mondi insieme tremarono.
88. Essi, i primi tra gli dei, dopo aver visto i piedi della Guida (del mondo) e le unghie rosate come il rame di colui che possiede lo splendore perfettamente puro di un corpo immacolato, alzatisi prontamente, con la fluente ciocca di capelli, resero omaggio con il capo ai piedi di colui che risplende senza macchia [54].
89. [Così dissero:] Poiché i segni della regalità sono manifesti, poiché lo splendore dei meriti è evidente sul suo capo; poiché egli possiede l’occhio della condotta virtuosa e il ciuffo tra le sopracciglia splendente di una luce senza macchia, senza dubbio egli dopo aver sconfitto il demone conseguirà la suprema Saggezza.
90. Gli dei tributeranno lodi a colui che possiede autentiche qualità, che conosce la vera natura delle cose; a colui che avendo profondamente meditato ha allontanato le oscurazioni mentali e dissolto le tenebre dell’ignoranza; molto presto si manifesterà il Gioiello degli esseri che ha sconfitto la nascita, la vecchiaia e la morte. 
91. L’universo dei tre mondi è in fiamme ed è afflitto dai tre fuochi che hanno quale combustibile gli oggetti dei sensi, le passioni e i desideri. Ma tu, che sei imperturbabile, dopo aver ricoperto con la nube del Dharma i tremila mondi, estinguerai con l’acqua dell’immortalità (Amṛta) le sofferenze generate dalle oscurazioni della mente.
92. Tu, il cui parlare è amorevole e dolce, che sei compassionevole, che hai una voce che risuona piacevolmente come quella di Brahmā e il cui suono va dritto al cuore, che insegni tutti gli aspetti del Dharma nei tremila mondi, presto, o Beato, fa’ udire la possente voce di un Buddha.
93. Le miserabili schiere dei Tīrthika dalle erronee visioni sono annientate, avviluppate nei legami delle passioni del saṃsāra e respinte sulle più lontane vette dell’esistenza. Avendo udito le dottrine della Vacuità fondate sulla causalità, esse sono fuggite come branchi di sciacalli al ruggire del leone [55].   
94. Dopo aver distrutto il velo dell’ignoranza e il denso fumo delle oscurazioni mentali, al fine di illuminare incessantemente la moltitudine degli esseri nati in ogni luogo con l’occhio della consapevolezza, la luce della saggezza e il raggio della comprensione, dissolvi nel mondo le tenebre profonde.     
95. Laddove avviene la nascita di un siffatto puro Essere, abbondanti e perfettamente acquisiti sono i meriti per gli dei e quaggiù per gli uomini. Le dimore inferiori saranno chiuse, e saranno aperti i reami degli dei dal Gioiello degli esseri, perfettamente puro!
96. Quindi, dopo aver cosparso con una pioggia di fiori divini la città di Kapila e aver girato per tre volte intorno offrendo il fianco destro e aver tributato lodi con grande rispetto, esclamando ad alta voce: È il Buddha! È il Buddha sublime! – le schiere degli dei ritornarono in cielo con gesti leggiadri.

Capitolo intitolato: La nascita, il settimo.

 
Nota dell’Autore

[a] Quanto segue è la ripetizione in versi di ciò che è già stato narrato in prosa. Tutto porta a ritenere che questi Gāthā siano estrapolati da una vita del Buddha scritta in versi anteriormente al Lalitavistara.  

NdT
  
[1] Secondo il testo di De Foucaux (ed anche secondo la traduzione francese della versione tibetana del sūtra) i fiori ne s’épanouissaient pas, ovvero si schiudevano ma non sbocciavano. La stessa cosa viene detta nelle righe immediatamente successive a proposito dei loti degli stagni e dei fiori sugli alberi. Seguo qui invece la traduzione inglese, coerente con il seguito del sūtra che descrive i meravigliosi fenomeni che accompagnarono la nascita del Bodhisattva.
[2] La versione inglese traduce con otto alberi di pietre preziose.
[3] Gli appartamenti delle donne nel palazzo del re.
[4] Una annotazione (scherzosa) per soli Liguri: la traduzione inglese recita qui jeweled shoots, germogli di pietre preziose. Ma il termine shoot può anche essere tradotto con getto d’acqua, zampillo. La traduzione francese è invece rameaux, che significa ramoscelli, e non rimanda all’acqua, ma non può – almeno foneticamente – non ricordare il dialettale ramata (d’acqua), ovvero acquazzone. Il che porterebbe ad una (forse erronea, ma simpatica) traduzione sanscrito-italo-genovese: ramata di gemme
[5] V. cap. III nota 24.
[6] Shorea robusta. Una pianta molto importante nell’induismo e nel buddhismo, utilizzata anche nella medicina tradizionale e nella costruzione di abitazioni. Ad un suo ramo si aggrappò Māyādevī al momento del parto.
[7] Se si contano i periodi grammaticali del testo di De Foucaux, i segni premonitori della nascita del Bodhisattva sono soltanto trenta. Alcuni di essi nell’originale sanscrito sono certamente stati descritti in modo tale da raggiungere il numero simbolico di trentadue.
[8] La traduzione inglese parla, più genericamente, di untamed creatures, esseri selvaggi.
[9] Un albero śāl. V. nota 6.
[10] I Vittoriosi, coloro che hanno sconfitto la sofferenza e l’ignoranza. Appellativo dei Buddha e dei maestri jainisti.
[11] Ancora una volta ho in parte seguito la traduzione inglese. Qui infatti entrambe le versioni francesi traducono il sūtra con en faisant un bâillement (De Foucaux) e fit un bâillement. Quindi la regina Māyādevī, aggrappata ad un ramo, lo sguardo al cielo, prima di dare alla luce il Bodhisattva avrebbe… sbadigliato! Cosa francamente improponibile. La versione inglese suggerisce invece un allungamento del corpo verso l’alto, cosa che corrisponde alla tradizionale iconografia buddhista del momento del parto, avvenuto in piedi – come di frequente accade nelle culture tradizionali.
[12] Un passo interessante anche dal punto di vista storico, che mette in luce come il Buddhismo non fosse (non sia?) esente dal considerare in qualche modo “impuro” ciò che riguarda il corpo, in particolare quello femminile. E tutto questo nonostante il fatto che il Buddha non fosse un Deva né il figlio di un Deva, bensì un uomo, sia pure il migliore tra gli esseri.
[13] De Foucaux usa il termine palais, e pone tra parentesi kūṭāgāra, un vocabolo pali che indica una costruzione sacra temporanea. Si riferisce evidentemente al Ratnavyūha di cui si è parlato nel capitolo VI.
[14] Scacciamosche fatto con i peli della coda dello yak, il bue tibetano. È un simbolo di regalità. Il parasole (chatra) è uno degli otto simboli di buon auspicio e rappresenta la protezione dalla sofferenza.
[15] Il testo recita trois mille grands milliers de mondes, alla lettera tremila grandi migliaia di mondi; è il trichiliocosmo, di cui si parlerà nei capitoli successivi.
[16] Il più basso degli inferni. Avīcī significa assenza di onde, quindi ristagno, morte. Oppure assenza di cessazione della sofferenza.
[17] Dall’energia dei sette passi del Bodhisattva.
[18] La sinistra, in quanto la veste monastica buddhista lascia scoperta la spalla destra.
[19] Il testo francese è ancora più forte: mêlé à un amas d’excréments.
[20] La versione francese definisce sans dignité la nascita del Bodhisattva da una madre umana. Privilegiando quindi il punto di vista etico. La versione inglese, preferibile perché più sottile, traduce con nonsense, sottolineando l’aspetto logico-formale.
[21] Il senso è certamente quello di uomini in preda alle oscurazioni mentali. La versione inglese li definisce fools. La traduzione letterale pare qui ancor più significativa.
[22] Qui si intende la concezione secondo cui il Buddha è un dio, il che comporta la sua oggettivazione-alienazione, il farne un altro-da-sé, un idolo.
[23] La rinascita come animali, spiriti famelici o esseri infernali.
[24] Seguendo la traduzione inglese, qui va sottinteso “ma non nel vedermi”, il che rende più chiaro il seguito dell’insegnamento del Tathāgata.
[25] Qui la versione inglese riporta le stesse qualità del Tathāgata, ma in questo caso la traduzione di De Foucaux pare più appropriata, in quanto si parla subito dopo di devoti laici.
[26] I laici che hanno preso rifugio nei Tre Tesori e hanno pronunciato i cinque voti dei laici: non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non mentire, non assumere sostante intossicanti. Al femminile: Upāsikā.
[27] Vedi nota 23.
[28] Una Ruota del Dharma sui piedi e sulle mani è il primo dei trentadue marchi maggiori del corpo di un Buddha. Nella versione inglese la natura di diamante viene attribuita non alla terra ma ai fiori di loto che sbocciano.
[29] Probabilmente si intendono nuovamente i mitologici Nāga, i serpenti, o esseri metà uomo metà serpente. Nella mitologia indiana il termine indica anche gli elefanti. Sono così chiamate anche le popolazioni dell’Assam.
[30] Nella versione francese, l’être existant par lui-même, può permanere una certa ambiguità, ovvero se l’appellativo si riferisca alla nascita del Bodhisattva o ai sette passi da lui compiuti immediatamente dopo la nascita; la versione inglese, self-arisen body, sembra invece riferirsi solo ai suoi miracolosi passi (to arise: levarsi, alzarsi, ma anche sorgere in senso figurato). La traduzione italiana con il verbo sorgere consente di mantenere il fascino dell’ambiguità.
[31] Il significato del termine Nagna, che non compare né nella versione inglese né nella traduzione francese dal tibetano, non è affatto chiaro. Nel Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee in https://books.google.it/books è tradotto con nudo. Nel Dictionary of Vedanta, ancora in: https://books.google.it/books, il termine è invece collegato ai rituali vedici.
[32] Lo si trova anche come Channa, Chanda, Khanda, Kandaka…
[33] Pastori. Al femminile gopī, figure importantissime nel culto di Kṛṣṇa.
[34] Il ficus religiosa, l’albero della vita, la pianta più sacra in India, le cui radici si trovano in cielo, nell’essenza divina. Era oggetto di venerazione in quanto dimora di un dio, ma anche adorato di per se stesso. Seduto sotto un aśvattha il Buddha giungerà al Risveglio. È evidentemente un simbolo dell’axis mundi, come il frassino e la quercia dei popoli nord-europei, l’albero della vita nell’Eden biblico ecc.
[35] Sarvam, interezza, totalità. Artha, obiettivo. Siddhi, felice ottenimento. Il nome con cui il Buddha è conosciuto, Siddhārtha, è in effetti “contenuto” in Sarvārthasiddha.
[36] L’immagine dell’estinzione dei fuochi richiama il significato originario del termine Nirvāṇa, che indica l’estinzione del fuoco – ovvero della sofferenza – causata dalla mancanza di combustibile.
[37] Il Reame del Desiderio.
[38] La versione inglese recita: senza eguali tra coloro che sono eguali, ma il senso è evidentemente lo stesso.
[39] Il termine, che richiama il nome del tempio nel quale il Bodhisattva dimorava nel grembo della madre, il Ratnavyūha, è tradotto da De Foucaux come arrangement des divers joyaux e Display of Gems nella versione inglese. Quindi, una struttura composta di gioielli.
[40] Il testo francese riporta qui solo sei dei sette tesori del re Cakravartin, non nominando il tesoro del cavallo. La gemma è chiamata Maṇi, termine che indica una pietra preziosa o una perla che soddisfa ogni desiderio. Sui sette tesori si veda il capitolo III.
[41] Il termine Arghya deriva da argha, onore. Indica l’acqua profumata con fiori, riso, grano, semi di senape, che viene offerta agli dei durante le cerimonie o anche ad ospiti particolarmente importanti, che con essa si lavano le mani.
[42] Probabile riferimento al sistema delle cosiddette “caste”.
[43] Il saṃsāra.
[44] Il fiore di un tipo di ficus che… non produce fiori. È una metafora usata per indicare un evento estremamente raro.
[45] Gli elenchi dei marchi maggiori e minori sono riportati in diversi testi, sia del Canone pāli sia extracanonici, con alcune varianti. La protuberanza sul capo è detta in sanscrito uṣṇīṣa. Nell’iconografia buddhista birmana è rappresentata come una fiamma, infatti è il simbolo della fiamma dell’Illuminazione. Cfr. il già citato Dizionario del Buddhismo di Ph. Cornu, alla voce buddha, pag. 76 e segg.
[46] Si tratta del famoso kajal, una polvere composta principalmente di galena, malachite, antimonio e grasso animale usata per il trucco e per la protezione degli occhi dalle infezioni.
[47] In sanscrito ūrṇā. Rappresenta il terzo occhio, la visione spirituale.
[48] Molto melodiosa.
[49] Ai piedi, alle mani, alle clavicole e alla nuca.
[50] Il baniano, ficus benghalensis.
[51] Si veda il cap. III, nota 27.
[52] Lo Śrīvatsa, il nodo senza fine, è uno degli otto simboli di buon auspicio e rappresenta la longevità. Lo Svastika, dalla ben nota forma a croce uncinata, è in origine un emblema solare di buon auspicio. Il Nandyāvarta indica una ruota destrogira, altro segno di gioia e buona sorte. Vardhamāna significa, come aggettivo, prospero, felice, favorevole. È anche il secondo nome di Mahāvīra (599–527 a.C. circa), il fondatore del Giainismo.
[53] Il bellissimo episodio di Asita richiama il passo evangelico di Simeone, al quale lo Spirito Santo aveva rivelato che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo. Ed infatti egli incontra Gesù mentre viene condotto al Tempio e gli dice: Ora, Signore, lascia andare il tuo servo in pace, secondo la tua parola. Si veda Luca 2, 25-32.
[54] I Gāthā da 89 a 95 riportano probabilmente – e la traduzione inglese ne è una conferma – le parole che i Deva rivolgono al Bodhisattva. I verbi sono infatti coniugati al tempo presente, e nei Gāthā 91 e 92 è usata la seconda persona singolare, toi…qui es, qui as, qui fais… Seguo pertanto la traccia offerta dalla già citata versione inglese, che rende il testo più leggibile e comprensibile.
[55] Nel Gāthā 93 i verbi anziché al futuro o all’imperativo sono coniugati al presente o al passato prossimo, come se le azioni che i Deva chiedono al Bodhisattva di compiere fossero già avvenute; ma qui preferisco tradurre il Gāthā così com’è. Forse ciò che per lo sguardo umano è un futuribile per l’occhio dei Deva è già noto, in quanto i tre tempi costituiscono in realtà un eterno presente...
Gli insegnamenti sulla vacuità e sulla causalità citati nel Gāthā sono quelli su Śūnyatā, la non-sostanzialità dei fenomeni, e su Pratītyasamutpāda, la produzione condizionata. Ovvero il cuore stesso del Dharma del Buddha.

I sette passi del Bodhisattva



Capitolo ottavo

Presentazione al tempio degli dei

Ottantamila giovinette sono donate al Bodhisattva per accompagnarlo e per servirlo. – I più anziani tra gli Śākya consigliano al re di condurre il bambino al tempio degli dei. – Grandi preparativi a tale proposito. – Mentre la zia del giovane principe lo adorna, egli le chiede dove verrà condotto e, avendolo appreso, sorride. – Si stupisce che lo si conduca al tempio degli dei quando tutti questi, alla sua nascita, lo hanno riconosciuto come il dio degli dei. – Il carro del Bodhisattva è trainato da centomila dei; e nel momento in cui posa il piede nel tempio tutte le statue si alzano e gli rendono omaggio.

Inoltre, o Monaci, nella notte in cui nacque il Bodhisattva, proprio in quella stessa notte, nacquero ventimila figlie nelle famiglie dei Nāigama [1], degli Kṣatriya, dei Brāhmaṇa e dei capifamiglia Mahāsāla [2]; tutte vennero offerte in dono dai loro padri e dalle loro madri al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero. Ventimila fanciulle furono donate dal re Śuddhodana al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero. Ventimila fanciulle furono donate dagli amici, dai consiglieri, dai parenti paterni e materni al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero. Ventimila fanciulle furono donate dall’assemblea dei ministri al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero. A quel punto, o Monaci, gli Śākya guidati dai più anziani tra loro, uomini e donne, riunitisi e recatisi presso il re Śuddhodana, gli rivolsero queste parole: O Re, è necessario che sappiate che il giovane principe deve essere condotto al tempio degli dei [3].
Il re rispose: Ebbene, che vi si conduca il giovane principe! Pertanto, per coloro che assisteranno, che la città sia addobbata nelle strade, nei crocicchi, nelle piazze, nelle vie per le quali passano i carri. Vengano allontanati tutti coloro che non sono di buon augurio: gli orbi, i gobbi, i sordi, i ciechi, i muti; tutti coloro che sono deformi o sfigurati o le cui membra sono imperfette dovranno essere tenuti in disparte. Si facciano udire suoni beneauguranti; si suonino le campane in segno di buon auspicio; si decorino con cura le porte della migliore delle città; si facciano udire gli accordi degli strumenti più melodiosi; tutti i capi delle fortezze si devono riunire; e si riuniscano anche i capi dei mercanti, i maggiorenti, le guardie delle porte e il seguito dei servitori; si aggioghino i carri delle giovinette; si portino vasi pieni fino all’orlo; si riuniscano i Brāhmaṇi abili nel recitare le preghiere e si decorino i templi degli dei!
Tutto, o Monaci, fu perciò fatto così come era stato detto.
Allora il re Śuddhodana, entrato nel suo palazzo, si rivolse con queste parole a Mahāprajāpatī Gāutamī: Si prepari il giovane principe; sarà condotto al tempio degli dei!
Dopo aver risposto: Sta bene! Mahāprajāpatī Gāutamī preparò il giovane principe. Ma questi, mentre veniva preparato, con il volto sorridente, senza minimamente aggrottare le sopracciglia, con una voce dolcissima, disse alla sorella della madre: Madre, dove verrò condotto? Ella rispose: Al tempio degli dei, figlio mio. Allora il giovane principe sorrise e con il volto allegro rivolse alla zia questi Gāthā:
1. Quando sono nato, i tremila mondi hanno tremato; Śakra, Brahmā, gli Asura, i Mahoraga, Candra, Sūrya, come pure Vaiśravaṇa e Kumāra [4], mi hanno reso omaggio chinando il capo ai miei piedi.
2. O madre, quale altro dio, di fronte al quale oggi mi conduci, si distingue per essere superiore a me? Io sono il dio al di sopra degli dei, superiore a tutti gli dei. Nessun dio è simile a me, come potrebbe essercene uno superiore?
3. O madre, adeguandomi alle consuetudini mondane, vi andrò. Dopo aver visto le mie manifestazioni sovrannaturali, la folla estatica mi ricoprirà di onori e del massimo rispetto. Gli dei e gli uomini concordemente esclameranno: egli solo è dio.
Quindi, o Monaci, tra lodi e benedizioni di ogni sorta, le strade, le piazze, i crocicchi, le porte, i mercati, furono ricoperti di innumerevoli ornamenti; il re Śuddhodana – dopo aver addobbato all’interno del palazzo il carro del giovane principe, circondato e preceduto dai Brāhmaṇi, dai capi dei mercanti, dai maggiorenti, dai ministri, dai principi delle fortezze, dai guardiani delle porte, dalle persone del seguito, dagli amici e dai parenti; nella strada inondata dalle fragranze degli incensi, coperta da un tappeto di fiori, animata da una confusione di cavalli, di elefanti, di carri, di soldati a piedi; con parasole, insegne, stendardi dispiegati, al suono di strumenti di ogni tipo – [il re] si mise in cammino, avendo con sé il giovane principe. Centinaia di migliaia di figli degli dei e di Apsarā, sparpagliati nelle distese celesti, fecero cadere una pioggia di fiori e fecero risuonare strumenti musicali.
In tal modo il re Śuddhodana con uno sfarzo regale, con un cerimoniale regale, con un seguito regale, recando con sé il giovane principe lo accompagnò al tempio degli dei.
Non appena il Bodhisattva posò la pianta del piede destro nel tempio degli dei, le immagini inanimate di dei quali Śiva, Skanda, Nārāyaṇa, Kuvera [5], Candra, Sūrya, Vaiśravaṇa, Śakra, Brahmā, i Guardiani del Mondo ed altri ancora, sollevatesi tutte dal loro posto caddero ai piedi del Bodhisattva.
In quel momento dei e uomini, a centinaia di migliaia, emisero grida di ammirazione e di gioia e fecero cadere una pioggia di vesti. La grande città di Kapilavastu, tra tutte le più grande, tremò in sei modi diversi; cadde una pioggia di fiori divini; centinaia di migliaia di strumenti risuonarono senza essere toccati e tutti i Deva le cui immagini si trovavano nel tempio, ognuno di essi manifestandosi nella sua persona, pronunciarono questi Gāthā:
4. Il Meru, re delle montagne, il più grande dei monti, non potrebbe mai inchinarsi davanti ad un grano di senape; l’Oceano, dimora dei Nāga, non potrebbe mai inchinarsi davanti all’ (acqua raccolta nell’) impronta di una vacca; la luna e il sole, che generano la luce, non potrebbero inchinarsi di fronte ad una lucciola; in qual modo colui che proviene da una famiglia che possiede saggezza e meriti ed è ricolmo di qualità [6] potrebbe inchinarsi di fronte agli dei?
5. Simili ad un grano di senape, all’acqua nell’orma di una vacca o ad una lucciola, così sarebbero nei tremila (mondi) gli dei e gli uomini, chiunque essi siano, che volessero persistere nel loro orgoglio. Simile al Meru, all’Oceano, alla luna, al sole, così è nel mondo il supremo Svayambhū [7]. Il mondo intero, avendogli reso omaggio, ottiene quale ricompensa lo Svarga e la liberazione finale (Nirvṛiti) [8].
Nel momento stesso in cui, o Monaci, si assisteva all’ingresso del Bodhisattva nel tempio degli dei, le menti di trentadue centinaia di migliaia di figli degli dei assunsero la determinazione di conseguire la Saggezza suprema, perfetta e compiuta. Ecco, o Monaci, la causa ed ecco l’effetto dell’equanimità del Bodhisattva allorquando fu condotto al tempio degli dei [9].

Capitolo intitolato: Presentazione al tempio degli dei, l’ottavo.

 
NdT

[1] I mercanti.
[2] I grandi proprietari di terreni o di beni in genere.
[3] Si rilegga a questo proposito, anche se in tutt’altro contesto, la vicenda della presentazione al tempio di Gesù, in Luca, 2-22.
[4] Ragazzo, adolescente. È uno dei nomi di Skanda (chiamato Murugan nell’India del Sud), dio della guerra, figlio di Agni o Agni stesso in una delle sue forme. Da Kumāra deriva il nome di Capo Comorin, l’estrema punta meridionale dell’India.
[5] Noto anche come Kubera, è uno spirito della terra delle antiche tradizioni indiane ed è considerato come il Signore delle ricchezze.
[6] Per famiglia va probabilmente intesa la famiglia dei Buddha.  
[7] Alla lettera: esistente in sé, innato. Svayambhūnath è il nome di uno dei due principali stūpa del Nepal.
[8] Svarga è il cielo di Indra (svar è la luce del cielo), la natura di un dio dopo la morte. Nirvṛiti è sinonimo di Nirvāṇa, e indica la completa liberazione dall’esistenza ciclica condizionata.
[9] Il termine francese indifférent, utilizzato da De Foucaux per descrivere l’attitudine mentale del Bodhisattva nei confronti del suo ingresso al tempio, non deve essere tradotto con indifferente, indifferenza, bensì con equanimità, uno dei quattro incommensurabili, che non è indifferenza apatica, neutralità, bensì amorevole imparzialità, rinuncia agli attaccamenti e alle avversioni. 





Capitolo nono

Gli ornamenti

Il re su consiglio di cinquecento Brahmani fa fabbricare cinquecento tipi di ornamenti da cinquecento Śākya. Questi chiedono di farli indossare essi stessi alla persona del giovane Bodhisattva. Ma gli ornamenti non appena posati su di lui diventano simili ad un pezzo di carbone sull’oro.

Nel frattempo, o Monaci, un Brāhmaṇo chiamato Udāyana, Purōhita [1] del re, padre di Udayin, recatosi presso il re con cinquecento Brāhmaṇi al tempo dell’asterismo Hasta, che precede Citrā [2], così gli parlò: Dovete sapere, o re, che devono essere fabbricati degli ornamenti per il giovane principe. Il re gli rispose: Bene! Molto bene! Che vengano fabbricati. Allora il re Śuddhodana fece preparare da cinquecento Śākya cinquecento ornamenti, quali: ornamenti per le mani, per i piedi, per il capo, per il collo, anelli con un sigillo, orecchini, bracciali (per la parte alta del braccio), cinture, tessuti in oro, reti di campanelle, reti di perle, calzature adorne di pietre preziose Maṇi, fasce con vari gioielli, braccialetti d’oro, collane, diademi. Quando furono fatti, al tempo dell’asterismo Pushya, i Brāhmaṇi, che si erano recati presso il re Śuddhodana, gli dissero: Ebbene, o Re, che il giovane principe venga preparato!
Il re rispose: Il giovane principe è sufficientemente adornato e onorato da voi. Io pure ho fatto fabbricare ornamenti per il giovane principe.
Essi replicarono: Che il giovane principe indossi sul suo corpo i nostri ornamenti per sette giorni e sette notti; allora i nostri sforzi non saranno privi di effetto.
In quel momento, giunta al termine la notte e levatosi il sole, il Bodhisattva entrò nel giardino chiamato Vimalavyūha. Lì Mahāprajāpatī Gāutamī strinse il giovane principe al petto; e ottantamila donne, avvicinatesi al Bodhisattva, guardarono il suo viso. Anche diecimila fanciulle lì giunte guardarono il suo viso. Cinquemila Brāhmaṇi arrivati anch’essi davanti al Bodhisattva guardarono il suo volto. Allora gli ornamenti che il felice re degli Śākya aveva fatto preparare furono fatti indossare al Bodhisattva. Ma non erano nemmeno stati ancora indossati che, a causa dello splendore del corpo del Bodhisattva, essi furono oscurati, non brillarono più, smisero di luccicare. Così come un mucchio di carbone [3] sparso accanto all’oro estratto dal fiume Jambu non brilla, non risplende, non luccica, nello stesso modo quegli ornamenti, a contatto con lo splendore del corpo del Bodhisattva non brillavano, non risplendevano, non luccicavano.
Allora la dea del giardino chiamata Vimala, manifestatasi nella sua maestosa figura e fattasi avanti, si rivolse al re Śuddhodana e alla grande moltitudine degli Śākya con questi versi:
1. Se tutta la terra insieme con i tremila (mondi), con le città e i villaggi, forse colmata e ricoperta di oro brillante e puro, essa sarebbe eclissata da una sola particella dell’oro del Jambu, poiché l’altro oro non brillerebbe più, privato del suo splendore. Ma se tutta questa terra fosse simile all’oro del Jambu,
2. nell’istante in cui la Guida del mondo, ricolmo di modestia e regalità, lasciasse uscire un raggio dai suoi pori, essa non brillerebbe, non risplenderebbe, non scintillerebbe; non potrebbe farlo, a causa dello splendore irradiato dal Sugata, il protettore (del mondo); sarebbe come carbone. Colui il cui corpo è assolutamente privo di contaminazioni, perfettamente adorno, in possesso di cento qualità, ha ornamenti che non risplendono. Le luci della luna e del sole, le stelle, ed anche il fulgore della gemma Maṇi,
3. lo splendore di Śakra e di Brahmā, non brillano di fronte alla suprema regalità di colui il cui corpo reca i marchi che sono il frutto delle sue precedenti azioni meritorie. Che bisogno ha di ornamenti, volgari fabbricazioni di altri uomini? Si portino via quegli ornamenti; non recate disturbo a colui che reca saggezza a coloro che saggi non sono; non ha bisogno di ornamenti artificiali, lui che genera la nobile consapevolezza. Quegli ornamenti da servitori, donateli! Cercatene altri veramente puri e senza difetti.
4. Chandaka, che è nato nel palazzo reale nello stesso momento del figlio del re, ne sarebbe convenientemente ornato.
Gli Śākya, stupiti, ebbero il cuore colmo di grande gioia: La prosperità del figlio della stirpe Śākya sarà immensa e duratura! (Tale fu il loro pensiero.)
Quindi, dopo aver così parlato e cosparso di fiori il Bodhisattva, la dea scomparve in quello stesso luogo.

Capitolo intitolato: Gli ornamenti, il nono.

 
 NdT


[1] Sacerdote di famiglia.
[2] Per la precisione, segnalo che la versione inglese situa l’evento nel periodo dell’asterismo Citrā. Siamo comunque tra agosto e ottobre.
[3] Il testo francese parla qui di un amas d’encre, un mucchio di inchiostro (inchiostro solido, necessariamente). Seguo invece, per i motivi più volte addotti, la traduzione inglese, a lump of coal, un pezzo, o un mucchio, di carbone