LALITAVISTARA
La storia
tradizionale
della vita
del Buddha Śākyamuni
tradotto
dal sanscrito
da
Philippe
édouard de Foucaux
Traduzione dal
francese di m. Mauro Tonko
OṂ
Lode a Māyādevī
Che salì al cielo
dei Trentatré Deva per l’insostenibile gioia della nascita
Lode a Siddhārtha
Che della madre inseguì l’assenza nel fitto
della foresta
Lode al Buddha
Che ne ritrovò la
presenza nella vacuità del Sé
Lode a
Prajnāpāramitā
Che non conosce
mancanza né presenza
Prego Marpa
Lotsāva il Traduttore
Affinché accordi
la sua benedizione alle pietre della torre
Che mi accingo con
tracotanza a costruire
Dedico questo
lavoro
A tutti i Maestri
mai riconosciuti
Affinché
quest’opera senza inizio né fine
Sia di beneficio a
tutti gli esseri
(m. Mauro Tonko)
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Prajnaparamita |
Introduzione
(di
P.E. de Foucaux)
I
Il Lalitavistara,
di cui questa è una traduzione nuova e completa (1), condotta sul
testo sanscrito stampato a Calcutta nella Bibliotheca
Indica (2), è tra i libri
buddhisti uno di quelli che per primi sono stati conosciuti dagli studiosi
europei. Fin dal 1807 il maggiore Knox aveva portato dal Nepal a Calcutta un
manoscritto di questo libro di cui parla Colebrooke in una Memoria sulla setta Jaina (3), nella quale gli attribuisce
il nome di Lalita Purāṇa (4).
Uno dei primi problemi che si presentano
in merito al Lalitavistara riguarda
la data della sua composizione.
Secondo Rhys Davids “il Lalita Vistara è un libro sanscrito, un
poema, di datazione e autorevolezza sconosciute, composto probabilmente in
Nepal da qualche buddhista vissuto tra i seicento e i mille anni dopo la morte
del Buddha. Come documento sul Buddhismo delle origini ha quasi lo stesso valore
di un poema del medio evo per gli eventi del Vangelo. La domanda
sull’autorevolezza del Lalita Vistara
è così importante, ci si rivolge così spesso a questo libro come se fosse
decisivo per i problemi del Buddhismo delle origini, che ogni lettore di testi
su questo soggetto farà bene a precisare e a ricordare ciò che si sa intorno a
tale datazione” (5).
Non sembra che Rhys Davids abbia esaminato
con attenzione il testo sanscrito del Lalitavistara,
poiché vi avrebbe visto che questo libro, che egli definisce un poema, contiene
trecento pagine in prosa e tutt’al più duecento pagine in versi in metri
estremamente diversificati. Avrebbe anche rilevato che la prosa è scritta in un
Sanscrito generalmente corretto, mentre le parti in versi appartengono a un dialetto
particolare nel quale abbondano forme insolite prese in prestito talvolta dalla
lingua dei Veda e più spesso dal Pāli e dal Prākṛita; da cui si può concludere
che la prosa e i versi non sono né dello stesso autore né dello stesso periodo.
È utile rilevare qui che nel Mahāvastu, una delle opere più
importanti della raccolta dei testi buddhisti del Nord (6), le forme insolite dei Gāthā appaiono
assai spesso nella prosa (7). Aggiungiamo che
Sénart ci ha fatto conoscere la scoperta, nel Punjab, di un manoscritto su
corteccia di betulla contenente un trattato di aritmetica redatto in quello
stesso dialetto, il che confermerebbe la sua opinione secondo cui il dialetto
dei Gāthā fu una autentica lingua letteraria (8).
Per non omettere alcuna delucidazione su
ciò che si sa del dialetto dei Gāthā, prendo a prestito da Rájendralálamittra
l’interessante passaggio che precede la sua traduzione inglese del Lalitavistara, p. 39:
“Si può ipotizzare, il che sembra la cosa
più verosimile, che la prosa e la poesia siano i prodotti di due diversi
periodi; ma allora si presenterebbe questo problema: In che modo sono state
legate l’una all’altra? Chi avrebbe indotto gli autori delle parti in prosa ad
inserire nelle loro opere le produzioni non corrette arrivate dall’altra sponda
dell’Indo? Solo la veridicità e l’autenticità di quelle narrazioni avrebbero
potuto indurre alla loro adozione. Ma come supporre verosimilmente che la
storia più autentica dello Śākya, nei trecento anni successivi alla sua morte,
potesse trovarsi solo in contrade lontane centinaia di miglia dal luogo della
sua nascita e dalle terre della sua predicazione? I grandi Sūtra, si pensa,
sono stati redatti all’incirca nel periodo del terzo concilio (309 a.C.), epoca
nella quale non è per nulla verosimile che i saggi dell’India centrale si siano
recati nel Kashmir alla ricerca di insegnamenti che potevano essere trovati a
casa loro.
“L’ipotesi più ragionevole sembra essere
che i Gāthā siano opera di bardi, contemporanei o successori immediati dello Śākya,
che raccontavano davanti al popolo riunito di Magadha le parole e le gesta del
loro grande maestro, nei versi di una lingua facile e popolare e che, nel corso
del tempo, vennero perciò considerati come le fonti più autentiche di tutte le
informazioni relative al fondatore del Buddhismo. La grande considerazione che
si ha in India, e in particolare negli scritti buddhisti, per le ballate e le
improvvisazioni dei bardi, favorisce questa ipotesi; e la circostanza per cui
le parti in poesia sono generalmente introdotte per rinforzare il racconto in
prosa con le parole: ‘E qui si dice’, apporta una forte presunzione di
verosimiglianza.
“Secondo il Mahāvaṃsa, le scritture buddhiste venivano recitate, un capitolo
dopo l’altro, così com’erano compilate dai Thera (anziani) della prima
Assemblea. Questo sarebbe stato difficilmente possibile se i Sūtra non fossero
stati in versi, e noi sappiamo, nel capitolo 37 della stessa opera, che essi
erano in versi, anzi sotto forma di Gāthā.
“Il dotto professor Max Müller (9) e il dr. A. Weber (10) hanno adottato questa modalità
nell’esaminare l’origine del dialetto dei Gāthā… John Muir propone il suo
parere con un poco di esitazione dicendo: ‘Le particolarità del dialetto dei Gāthā
sono così anomale che è molto difficile spiegarle. In ogni caso, è chiaro che
se non era una lingua parlata, quel dialetto era quantomeno un linguaggio
scritto in un periodo remoto...’(11).
“Il professor Benfey, pur adottando il mio
punto di vista, suggerisce una piccola modifica. Egli afferma: ‘Le idee di Babu
Bājendralāla sull’origine dei Gāthā si dimostrano valide in molti modi; esse
esigono soltanto una piccola modifica, la sostituzione di credenti ispirati –
come erano la maggior parte dei buddhisti più antichi – usciti dalle classi
inferiori della popolazione, al posto di bardi professionisti’ (12).
“Se Benfey avesse usato il termine aggiunta al posto di sostituzione, non
ci sarebbe stato nulla da eccepire. Che alcuni dei più ferventi discepoli dello
Śākya, che continuarono la sua opera e diffusero la sua religione dopo il
Nirvāna, abbiano ricordato i suoi insegnamenti in prosa o in versi è naturale
supporlo; e che si debbano loro alcuni Gāthā non può essere negato con
certezza; ma da ciò che si sa dei primi maestri del Buddhismo è difficile
inferire che essi appartenessero alle classi inferiori della popolazione e
fossero così, in genere, abbastanza ignoranti per non essere capaci di scrivere
in sanscrito in un modo sufficientemente corretto. La maggior parte di loro
erano Brahmani o Kṣatriya, tutti ricordati per la loro cultura, la loro saggezza
e la loro capacità. È del tutto naturale supporre che gli scrittori buddhisti
dell’epoca successiva facessero citazioni di parole e di testi di quei maestri
e non di quelli che provenivano dalle classi inferiori della popolazione, i
quali, sebbene costituissero la parte più numerosa della comunità, ricoprivano
raramente un ruolo decisivo negli insegnamenti della dottrina buddhista e la
loro autorità non poteva essere invocata con qualche possibilità per conferire
autenticità alle narrazioni degli scrittori più recenti. Benché fossero state
abolite le differenze di casta per tutto ciò che concerneva la religione e
all’interno della comunità monastica, gli scritti dei buddhisti del Nepal non
fanno dubitare che, dal punto di vista delle distinzioni sociali, la casta
mantenne tra loro, in linea di massima, quasi la stessa forza e resistenza che
aveva tra i seguaci del Brahmanesimo durante il periodo induista; e frequenti
sono i richiami ai Brahmani buddhisti che per la maggior parte erano persone
importanti. Anche ai nostri giorni non mancano esempi di dissidenti dell’Induismo
che si definiscono ‘Brahmani cristiani’. Non sarebbe quindi ragionevole
attribuire le imperfezioni dei Gāthā all’ignoranza delle classi inferiori. Tali
imperfezioni, inoltre, non sono evidentemente dovute all’ignoranza, ma alle
espressioni familiari, agli arcaismi e ad altre cause che mostrano le
particolarità del linguaggio dell’epoca in cui i Gāthā furono scritti. Il
carattere familiare del linguaggio dei bardi e dei rapsodi popolari è d’altro
canto molto ben conosciuto in Europa come in India.
“Le loro ballate e narrazioni, spesso
improvvisate, non potevano raggiungere una grande purezza di dizione e il loro
successo dipendeva in gran parte dalla loro semplicità familiare. Un vasto uditorio
composto da persone di classi e livelli diversi non poteva sostenere più di
tanto l’influenza di un linguaggio raffinato ed elevato. Una sola volgarità o
una parola familiare in molti casi faceva più effetto del discorso di un
purista. Tutto questo è particolarmente capito in India. I nostri cantori di Gāthā
o rapsodi non sono degli ignoranti; possono scrivere correttamente in
sanscrito, ma le loro ballate e i loro versi di elogio sono pieni di termini
volgari e familiari presi a prestito dalla lingua comune e più se ne servono
più riescono a farsi applaudire da un pubblico numeroso.
“Non c’è alcun motivo di dubitare che i
precursori dei nostri cantori di Gāthā e dei nostri Bhāt [c] avessero ben compreso questo metodo e lo
avessero seguito con cura. Gli scritti dei Kuladjña bengalesi [d] provano in modo evidente che questo è
stato il sistema nel corso di mille anni e che anche prima si è dovuto trattare
del medesimo sistema. Il gusto della gente per questa forma popolare di
linguaggio è così spiccato che anche oggi la recitazione del Mahābhārata e del
Rāmāyana non può attirare un pubblico numeroso a meno che non si mescolino alla
narrazione originale delle espressioni comuni che le conferiscano un carattere
locale. Quando i testi originali, al mattino, sono letti e spiegati in semplice
prosa, in occasione di cerimonie chiamate Kathakatha, l’uditorio è ridotto a
poche persone, di rado più di una dozzina; ma quando, nel pomeriggio, gli
stessi racconti sono arricchiti da un Kathaka con tutta l’abilità di uno
spirito esperto che conosce bene la lingua comune, tutti i villaggi si
raccolgono intorno a lui e gustano con avidità ogni parola che esce dalle sua
labbra. L’istituzione dei Bhāt è antica quanto la civiltà Indo-Ariana; se ne
trova qualche traccia nei Veda e in tutte le riunioni e le feste religiose o
pseudo-religiose: matrimoni, Śrāddha [e] e assemblee
solenni; per i Bhāt, l’usanza è sempre stata quella di recitare lunghi brani in
versi in onore dell’ospite, dei suoi avi, della sua casta e del suo paese.
“Nelle riunioni e nelle assemblee
religiose l’oggetto della lode è, per forza di cose, il fondatore della
religione come pure ciò che è oggetto del culto; ma ovunque il linguaggio è per
quanto possibile semplice, popolare e familiare. Oggi si preferisce
generalmente la lingua comune del posto, ma, invariabilmente, vengono aggiunti
dei versi in sanscrito i quali possiedono molte caratteristiche dei Gāthā
buddhisti.
“Non c’è motivo di dubitare che durante i
tre grandi concili le sedute si aprissero e si chiudessero con la recitazione
di versi di lode. Il Mahāvaṃsa, come
si è visto in precedenza, menziona chiaramente la recitazione dei Gāthā, e il
titolo di maestro era certificato facendogli recitare alcuni Gāthā. Deve essere
accaduta la stessa cosa durante tutte le riunioni e le assemblee, e di
conseguenza mi pare che la conclusione che se ne deve trarre è che l’insieme
dei Gāthā è dovuto ai rapsodi o ai bardi di professione e probabilmente anche
ad alcuni maestri religiosi”.
Poiché abbiamo parlato del Mahāvastu è utile segnalare qui che
Eugène Burnouf lo definisce come “fornito di un grande valore e di una
incontestabile antichità”. Ora, se secondo la testimonianza degli storici
cinesi (13) questo libro è
per la setta Mahāsaṅghika ciò che l’Abhiniskramaṇa
Sūtra è per quella Dharmagupta e il Lalitavistara per quella Sarvāstivāda,
ne consegue che questi testi esistevano contemporaneamente in un’epoca che deve
essere quella in cui i discepoli del Buddha si divisero in sette, ovvero
intorno al II secolo dopo la morte di Śākyamuni, in quanto, secondo l’autore
del Mahāvaṃsa, durante il secolo
successivo alla sua morte si era verificata una sola scissione (14).
Quanto detto concorda con la tradizione
cinese, la quale ci insegna che una traduzione in cinese del Lalitavistara fu eseguita nel 65 d.C.;
il che riporta necessariamente l’esistenza di quest’opera al secolo precedente
la nostra era e gli assegna una antichità di almeno duemila anni. È il
risultato a cui, attraverso altre considerazioni, ero già pervenuto
nell’introduzione al Rgya-tcher-rol-pa [f], p. XVI e seguenti.
Wassilief è della stessa opinione:
“Sebbene – egli afferma – il Lalitavistara
sia messo nel novero dei Sūtra del Mahāyāna, è evidente che la sua origine
risale ai primi inizi delle leggende” (15).
Consultiamo ora, in merito alla datazione
del Lalitavistara, A. Weber, di cui
nessuno può contestare l’autorità in materia.
“Il punto principale è stabilire una
cronologia relativa e un ordine di successione tra le diverse scritture
buddhiste, compito che Eugène Burnouf, le cui ricerche costituiscono il nostro
unico riferimento, ha portato a termine con grande intelligenza e con
accettabili conclusioni. In primo luogo, parlando dei Sūtra, ovvero le parole
del Buddha stesso, Burnouf li divide in Sūtra semplici e Sūtra chiamati
Mahāvaipulya Sūtra o Sūtra Mahāyāna, affermando che questi ultimi sono i più
moderni per la lingua, la forma e la dottrina. Per ciò che concerne
quest’ultimo punto, ha senza dubbio ragione, perché in primo luogo nei Mahāvaipulya
Sūtra il Buddha appare quasi esclusivamente circondato da dei e da Bodhisattva,
personaggi specifici della mitologia buddhista, mentre invece nei Sūtra
semplici sono gli esseri umani che compongono la maggior parte della sua
cerchia, e gli dei si trovano soltanto accanto a loro.
“In secondo luogo, i Sūtra semplici non
recano tracce di quegli insegnamenti che non sono propri di tutti i Buddhisti,
ma appartengono soltanto ai Buddhisti del Nord, come per esempio il culto di
Amitābha, di Mañjuśrī, di Avalokiteśvara, dell’Ādibuddha [g] e dei Dhyāni Buddha (16), e inoltre non si trovano in essi
incantesimi e formule magiche presenti in abbondanza soltanto nei Mahāvaipulya
Sūtra. Ma che la circostanza per cui la lingua di questi lunghi brani in
poesia, frequentemente inseriti nei Mahāvaipulya Sūtra in una forma molto
alterata, una mescolanza di Sanscrito, Pāli e Prākṛita (ciò che non avviene per
la parte in prosa (17)) sia presa come
prova della posteriorità dei Sūtra Mahāyāna, questo, fino ad oggi, non pare
affatto certo. I brani in versi si armonizzano veramente in maniera così
completa, per forma e sostanza, con il testo in prosa da poter essere
considerati come un semplice ampliamento o una correzione (18)? Oppure non si distinguono piuttosto
proprio su questi punti, in modo tale da poterli vedere come dei frammenti di
tradizioni più antiche, esattamente come gli analoghi brani così spesso
presenti nei Brāhmaṇa [h]? In quest’ultimo caso, noi dovremmo
piuttosto considerarli come una prova secondo cui le leggende buddhiste non
erano in origine redatte in Sanscrito, ma nei dialetti popolari.
“Secondo il racconto del viaggiatore
cinese Faxian, che compì un pellegrinaggio dalla Cina all’India negli anni dal
399 al 414 d.C., sembra risultare che i Sūtra Mahāyāna in quel periodo fossero
già diffusi, poiché Faxian menziona alcuni degli insegnamenti specifici di quei
Sūtra in quanto estesamente studiati” (19).
Da ciò che si è detto si può desumere per
prima cosa che poiché i Sūtra Mahāyāna nei primi secoli della nostra era erano
stati diffusi e ampiamente studiati, non dovevano più costituire una novità
nell’India di quel periodo; inoltre, che siccome le parti in versi di quei
testi erano redatte in un particolare dialetto simile al linguaggio comune
dell’epoca, esse sono più antiche delle parti in prosa.
È quindi possibile, senza il timore di
commettere un grosso errore, far risalire la composizione dei Sūtra Mahāyāna ai
secoli precedenti la nostra era, prima dell’epoca in cui fu redatta la versione
definitiva del Mahābhārata. Ciò che
conferisce a questa ipotesi una notevole verosimiglianza è il fatto che il nome
di Kṛṣṇa come divinità non compare nei Sūtra Mahāyāna, mentre vi si trova il
nome di Viṣṇu (e il suo sinonimo Nārāyaṇa) di cui Kṛṣṇa è l’incarnazione.
Il Mahābhārata è la glorificazione di Kṛṣṇa.
Nulla impedisce quindi di pensare che i Brahmani, i quali vedevano con
inquietudine la crescente influenza del Buddhismo sulle genti e sui re,
credettero di trovare un efficace mezzo per combattere tale influenza contrapponendole,
per neutralizzarla, quella di un’altra religione.
Il culto di Kṛṣṇa, nuovo per quell’epoca,
sarebbe sembrato soddisfare quelle condizioni e per questo essi avrebbero
raccolto nel Mahābhārata, il grande
poema in onore di Kṛṣṇa, le vecchie leggende del Brahmanesimo, una parte delle
quali era già stata adottata dai Buddhisti, modificandole in modo tale da
armonizzarle con la dottrina che diffondevano (20).
Ciò che va a sostegno della tesi secondo
cui il Mahābhārata ha assunto la sua
forma definitiva nel momento in cui il Buddhismo era più fiorente è il fatto
che nella Bhagavadgītā, che
all’interno del Mahābhārata espone la
quintessenza della dottrina kṛṣṇaita, il Brahmanesimo presenti ai suoi fedeli
la liberazione finale come molto più facile da raggiungere di quanto non lo sia
per i Buddhisti. È in questo modo che esso, per bocca di Kṛṣṇa stesso, la
promette a chiunque sia un fervente adoratore del dio: “O figlio di Pṛthā,
coloro che prendono rifugio in Me, anche se sono di bassa nascita – donne,
vaiśya o śūdra – possono raggiungere la destinazione suprema” (21) [i].
Questo śloka della Bhagavadgītā, già notevole dal punto di vista dei Vaiśya
(agricoltori o commercianti) e degli Śūdra (domestici), lo è ancora di più per
ciò che riguarda le donne, alle quali promette una liberazione finale
immediata, mentre il Buddhismo la rimanda a quando avranno meritato di
rinascere nello stato di essere umano di sesso maschile, dopo una lunga serie di
esistenze ricche di opere buone.
I Brahmani, predicando questa dottrina,
nello stesso tempo in cui attiravano a sé le classi inferiori, sembrano aver
contato anche sull’influenza delle donne per diffondere il culto di Kṛṣṇa, la
cui sensualità doveva piacere alla fervida immaginazione degli Hindu.
Note
dell’Autore
(1) La prima
traduzione francese del Lalitavistara,
con qualche taglio, è stata fatta da chi scrive queste righe sulla versione
tibetana del testo che si trova nel Kanjur
[a]. È stata pubblicata, con il
testo tibetano, presso l’Imprimerie Nationale in 2 vol. in-4°, Parigi 1847-1848.
(2) The Lalita vistara or memoirs of the early
life of Sákya Siñha, edito da Rájendralálamittra, 1 vol. in-8°, 1877. La traduzione
inglese che completerà quest’opera è a tutt’oggi stampata a metà.
(3) Asiatic Researches, t. IX, e Miscellaneous Essays, di H.T.
Colebrooke, vol. II p. 199.
(4) Una analisi del Lalitavistara, a cura di R. Lenz, è
stata inserita nel 1836 nel Bulletin
scientifique di San Pietroburgo.
Salomon
Lefman ha pubblicato a Berlino la traduzione tedesca dei primi cinque capitoli
del Lalitavistara con abbondanti note
che occupano i tre quarti del suo volume. Lefman aveva annunciato un’edizione
critica del testo sanscrito del Lalitavistara
per il 1877. Siamo veramente dispiaciuti di non aver potuto utilizzare questa
nuova edizione, della quale non è ancora apparsa nessuna parte.
(5) The Hibbert,
1881, p. 197 e seguenti.
(6) Il Mahāvastu [b], testo sanscrito pubblicato per la prima volta con una
introduzione e un commentario da E. Sénart (Collezione di opere orientali
pubblicate dalla Société Asiatique), T. I, 1882.
(7) Alcuni esempi a
caso: P. 41, II. 6, 7 e 10. – P. 128, I. 9 – p. 193, I. 16 e 17 – p. 229, I. 12
ecc.
(8) Journal Asiatique, febbraio-marzo 1883,
p. 256.
(9) Chips, I, p. 297
e seguenti.
(10) Indische Studien,
III, p. 139-140.
(11) Sanskrit texts,
II, p. 126.
(12) Göttingen
Gelehrte Anziegen, for 1861, p. 134.
(13) Sam. Beal, Romantic Legend of Sákya, p. 5.
(14) Loto della Legge, trad. di Eug. Burnouf,
p. 356.
(15) Le Bouddisme, ses dogmes, son histoire et sa
littérature, trad. dal russo di G.A. La Comme, p. 176 – V. anche, a p. 31 e
119, alcuni dettagli sull’origine dei Sūtra Mahāyāna.
(16) Nessuna di queste
figure compare nel Lalitavistara, nel
quale non si trovano nemmeno incantesimi né formule magiche.
(17) Abbiamo visto, p.
II n. 3, che queste forme alterate si trovano nella prosa del Mahāvastu.
(18) Ciò che prova bene
che i Gāthā, ovvero i brani in versi, non sono né ampliamenti né correzioni è
il fatto che nei capitoli da VI a XVI del Lalitavistara
i Gāthā sono così legati alla narrazione che non li si potrebbe eliminare senza
omettere una parte degli eventi più importanti della vita di Śākyamuni. I Gāthā
costituiscono quindi la parte principale,
poiché narrano avvenimenti non presenti nei brani in prosa, i quali sono stati
scritti solo per collegare tra loro i racconti che contengono i Gāthā.
(19) The history of Indian Literature, di
Albrecht Weber, p. 298 e seguenti.
(20) Si veda la
leggenda del colombo e del falco, secondo i Brahmani e i Buddhisti, in: Le Mahābhārata; 0nze épisodes de ce poème
traduits par P.E. Foucaux; Introd. p. XXXI e p. 231 e seguenti. La Storia
di Nala si trova nella diciottesima sezione del Gandavyūha dei Buddhisti del Nord. – Si veda l’Introduzione
dell’edizione sanscrita del Lalitavistara
di Rājendra, p. 9 – Si veda anche il Dasarathajātaka,
being the Buddhist story of king Rāma, di B. Fansboll. Bisogna qui
osservare, a proposito di quest’ultima leggenda, che alla fine della sua
eccellente memoria sul Rāmāyana inserita in The
Indian Antiquary, t. I, A. Weber considera il Dasarathajātaka come la prima versione della storia di Rāma e Sītā,
il che proverebbe che alcuni elementi sono stati presi in prestito dal fondo
comune delle leggende indiane, sia da parte dei Brahmani che dei Buddhisti, gli
uni e gli altri preoccupati di far prevalere i loro sistemi, collegando ad essi
tutte le tradizioni del passato, senza preoccupazioni sulla loro origine.
(21) Bhagavadgītā, IX, 32. Questo stesso
śloka è ripetuto nel Mahābhārata,
edizione di Calcutta, t. IV, p. 295, sl. 363. Fa parte dell’Anugītā, che è stata tradotta in
inglese, in calce alla Bhagavadgītā,
in The sacred books of the East, da
Kāshināth, t. VIII, p. 255.
NdT
[a] Il canone tibetano.
[b] Grande Storia, testo del I sec. a.C.
[c] Membri di una
casta di cantori. Si veda: https://www.merriam-webster.com/dictionary/bhat
[d] Il termine si
riferisce forse a Kaula (o Kula: famiglia, lignaggio), antiche
scuole tantriche śivaite. Si veda: https://it.wikipedia.org/wiki/Kaula.
[e] Riti
supplementari alle cerimonie funebri, o anche per liete occasioni (da śraddhā, fede).
[f] La versione
tibetana del Lalitavistara.
[g] Il Buddha
“primordiale”, all’origine di tutti i lignaggi. Quanto ai Dhyāni Buddha, si
tratta di una espressione divulgativa per indicare i 5 Buddha “prototipi” delle
famiglie dei Vittoriosi, Jinakula:
Vairocana (che siede al centro del mandala), Vajrasattva-Akṣobhya (est),
Ratnasambhava (sud), Amithābha (ovest), Amoghasiddhi (nord). Sono nozioni
presenti all’interno del Buddhismo tantrico, il Vajrayāna.
[h] Composizioni
sacerdotali aggiunte in epoche successive ad ognuno dei quattro Veda.
[i] La citazione di Bhagavadgītā, IX, 32 è stata tratta
dalla versione dell’opera edita in lingua italiana dalle Edizioni Bhaktivedanta,
1981, pag. 408. Cfr. La Bhagavadgītā
“così com’è”, con testo sanscrito originale, translitterazione in
caratteri romani, traduzione letterale, traduzione letteraria e spiegazioni di
Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupāda, fondatore
dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Kṛṣṇa. Il “figlio di Pṛthā” a cui Kṛṣṇa si rivolge
è Arjuna. Il termine Vaiśya indica il
terzo varṇa (le c.d. caste), ovvero
gli allevatori, i commercianti, i coltivatori. Śūdra indica il quarto varṇa,
i servitori.
II
C’è in questo periodo, in Inghilterra, una
scuola di orientalisti, della quale cui E.C. Childers è stato uno dei maggiori
esponenti, che non ammette che il Buddhismo ortodosso possa trovarsi in luoghi
diversi rispetto ai testi conservati a Ceylon. Ma stando a quello che dice
Olcott (1) anche a Ceylon
bisogna saper scegliere, poiché vi sono laggiù, tra i monaci, due opinioni ben
distinte sulla natura del Nirvāṇa (la liberazione finale): una che afferma il
completo annichilimento dell’anima, l’altra che sostiene che essa sopravvive
dopo la distruzione del corpo.
Io sostengo quest’ultimo parere, e proprio
a seguito di una discussione su questo tema in una nota apposta alla fine del
suo dizionario Pāli-Inglese a proposito della nostra divergenza di opinioni sul
modo di definire il Nirvāṇa dei Buddhisti – che egli considera un totale
annientamento, mentre io non ammetto questa tesi – E.C. Childers afferma:
“Devo dire che le argomentazioni di
Foucaux non smuovono minimamente la mia fiducia nel mio punto di vista. Già
dall’inizio si può vedere quanto la discussione tra noi abbia pochi punti di
raffronto, quando F[oucaux] cita contro di me
il Lalitavistara, che egli definisce
un testo canonico! Nondimeno, il passaggio citato può conciliarsi con il
Buddhismo ortodosso ed io sono disposto ad accettarlo. Ma quando F[oucaux] dice: ‘E siccome
per arrivare al Nirvāṇa bisogna sbarazzarsi da ogni composto, il paragone della
lucerna che si spegne ci dimostra solo la scomparsa di un composto e non
l’annichilimento della mente’, è chiaro che egli accetta l’opinione che la
mente non sia un composto. Mi permetto quindi di rinviarlo all’articolo Saṃkhāra del mio dizionario [b]; vi troverà che la mente è il più importante
dei Saṃkhāra (composti), il che darà una risposta completa alla sua
argomentazione”.
Ebbene, dopo aver letto con la massima
attenzione l’articolo Saṃkhāra del
dizionario Pāli, invece di essere convinto giungo proprio alla conclusione
opposta a quella che E. Childers sperava, semplicemente perché avrei dovuto
dire l’anima (2) invece che la mente (3). Ecco perché:
“Le tradizioni buddhiste del Nord e del
Sud concordano nel dirci che il Buddha e dopo di lui i buddhisti di tutti i
tempi sono stati certi che le anime non
hanno avuto inizio (4).
“Ne consegue che le anime, non essendo il
prodotto di nessuna causa, non fanno parte dei composti in quanto, è lo stesso
Childers a dirlo (p. 453, col. 2, del suo dizionario): i composti sono tutto ciò che è il prodotto di una causa.
“C’è quindi una netta differenza tra anima
e mente. La mente è il risultato dell’unione dell’anima con gli organi del
corpo, mentre l’anima può essere ricondotta ad uno stato assoluto, cosa che in
effetti accade tutte le volte che, secondo il dogma della trasmigrazione, essa
passa da un corpo in un altro e durante lo stato intermedio in cui non è nel
corpo cha ha appena abbandonato e non è ancora in quello a cui darà vita.
“Siccome Childers non ammette l’autorità
dei testi del Nord, sebbene essi concordino con quelli del Sud, prenderò a
prestito dal suo dizionario Pāli (p. 58, col. 1) la definizione degli esseri
del mondo senza forma, i quali, assumendo un corpo, hanno prodotto il mondo
della trasmigrazione. Questi esseri, secondo lui, non hanno corpo e sono puri sfavillii (fulgori) dotati di intelligenza.
Dotati di intelligenza, è vero, ma contaminati dall’ignoranza, ovvero dalla
concezione secondo cui si considera permanente ciò che è transitorio. Ora,
siccome l’onniscienza che conduce al Nirvāṇa è esattamente il contrario di
questa ignoranza, per quale motivo l’anima, con l’aiuto dell’onniscienza, non
entrerebbe in un mondo senza forma nel quale l’onniscienza continuerebbe ad
esistere, liberata per sempre dall’ignoranza che trattiene gli esseri nella
ruota della trasmigrazione?”
Avevo scritto ciò che è stato appena letto
considerando il dogma della trasmigrazione così come lo insegnano i Brahmani, i
Buddhisti del Nord dell’India, quelli della Cina e del Tibet, ai quali si può
aggiungere la maggior parte dei Buddhisti di Ceylon, del Siam e della Birmania.
Si vedrà tra poco che se si ammette come unica vera dottrina dello Śākya ciò
che con il nome di Karma insegnano
alcuni testi di Ceylon, il mio ragionamento, basato sulla differenza tra anima
e mente, mancherebbe di una solida base, poiché avremmo davanti solo una
successione di astrazioni che producono alternativamente una serie di corpi e
di anime del tutto indipendenti gli uni dalle altre. Se questa è la vera
dottrina dello Śākya si può credere che essa dovrebbe avere poco successo
presso il popolino che non ha mai amato molto le astrazioni e che senza dubbio
preferirebbe il sistema generalmente adottato, se, tuttavia, ci si degnasse di
fargli conoscere l’altro.
A questo punto è necessario citare i
seguenti passi, presi a prestito da Rhys Davids (5):
“Non è mai stata trovata in alcun punto
dei Pitaka Pāli [c] nessuna menzione
e nemmeno un riferimento alla trasmigrazione delle anime (6), che si suppone comunemente trattarsi di
un elemento fondamentale del Buddhismo. Di conseguenza, non esito affatto a
sostenere che Gotama [d] non insegnasse la
trasmigrazione delle anime. Ciò che insegnò sarebbe molto meglio espresso in
sintesi, volendo conservare la parola trasmigrazione, con trasmigrazione di un carattere. Ma sarebbe più corretto eliminare
del tutto il termine trasmigrazione quando si parlerà del Buddhismo e dire che
il suo insegnamento è la dottrina del Karma.
“Gotama sosteneva che dopo la morte di
ogni essere, umano o no, non sopravvive nulla, se non il Karma, ovvero il
risultato delle sue opere in pensiero e azione.
“Ogni individuo, umano o divino, è stato
l’ultimo erede e l’ultimo risultato del Karma di una lunga serie di individui
del passato, une serie così lunga che il suo inizio è al di là della
possibilità di calcolarlo e la sua fine coinciderà (7) con la fine del mondo;
ne dovrebbe conseguire che ogni generazione è il risultato esatto, inevitabile
e naturale della generazione precedente, essendo quest’ultima il risultato di
una ancora precedente e così via, nel corso di un passato davvero senza
limiti”.
Questo modo di definire la trasmigrazione
è così diverso da quelle generalmente accettato che credo sia utile tradurre a
questo punto ciò che dice Th. Goldstücker, il quale è stato uno dei primi in
Europa a farcela conoscere (8):
“Secondo i Brahmani e la maggior parte dei
Buddhisti è sempre la stessa anima che, dopo la sua prima nascita, ritorna
nelle sue nascite successive, fino al momento in cui è completamente liberata
dalla trasmigrazione. Ma presso i Buddhisti del Sud si è radicata anche
un’altra concezione. Nelle loro credenze, la successione delle esistenze di un
essere è anche una successione di anime e ognuna di queste, pur essendo il
risultato di quella che l’ha preceduta, non è affatto identica ad essa, così
che il corpo muore e l’anima insieme ad esso, non lasciando dietro di sé che le
buone e le cattive azioni compiute durante la vita. Il risultato di tali azioni
diventa allora il seme di una nuova vita, la cui anima è di conseguenza il
prodotto necessario dell’anima della vita precedente (9). Così tutte le anime che si succedono
devono impegnarsi nella soluzione dello stesso problema che ebbe inizio quando
il loro primo avo entrò in questo mondo; ma nessuna nascita successiva è vivificata
dalla stessa anima (10).
Questo dogma è chiarito nelle loro opere
con diversi paragoni. Per esempio, essi dicono, una lucerna è accesa da
un’altra; la luce dell’ultima non è identica a quella della prima, ma nondimeno
senza l’una l’altra non può essere prodotta. O ancora: un albero produce un
frutto; dal frutto nasce un altro albero, e così via. Il primo albero e
l’ultimo non sono lo stesso albero, benché il frutto sia la causa necessaria
dell’ultimo (11)”.
Questi paragoni nei quali spicca, se li si
applica all’anima, la confusione tra fisico e morale, non possono soddisfare
una mente abituata a rigorose deduzioni; poiché il passaggio da una luce ad
un’altra e da un albero ad un altro è sempre prodotto da un legame fisico,
mentre quando si tratta dell’ingresso di un elemento immateriale come l’anima
in uno materiale come il corpo è impossibile che non vi sia un istante in cui
l’anima non si trovi né nel corpo che ha appena lasciato né in quello che sta
per animare. In tal modo anche nel paragone del seme, che sulle prime sembra
più corretto perché un seme è completamente separato dall’albero, il suo essere
materia va a contrapporsi al ragionamento. Nato da un albero, il seme darà
origine ad un albero della stessa specie che, a sua volta, produrrà un seme del
tutto simile, mentre l’anima prodotta dal Karma, cioè da una entità astratta,
sarà indipendente e guiderà il corpo a suo piacimento.
Sostenendo, come si è visto, che nel Nirvāṇa
l’anima sopravviva al corpo, parlavo dal punto di vista della trasmigrazione
così come è generalmente intesa dai Buddhisti del Nord ed anche dalla maggior
parte dei Buddhisti del Sud.
Intavolare qui un dibattito per determinare
quale fosse il pensiero di Śākyamuni su ciò che Rhys Davids propone di definire
la trasmigrazione di un carattere,
occuperebbe più tempo e spazio di quanto ne abbiamo a disposizione; ma era
necessario richiamare l’attenzione dei lettori francesi su questo modo di
considerare la trasmigrazione, un modo che senza dubbio costituirà una novità
per la maggior parte di essi.
Dicendo che i testi buddhisti del Nord non
costituivano una autorità certa per lo studio del Buddhismo delle origini, si
portava a testimonianza, tra l’altro, il fatto che il Dhammapada [f], uno dei testi
considerati come assolutamente necessari per comprendere bene il pensiero di
Gotama, non si trovasse né nei testi sanscriti del Nepal né in quelli tibetani
del Kanjur. Non si muoverà più questo rimprovero ai testi del Nord dopo che
W.W. Rockhill ha trovato nella collezione tibetana una raccolta di massime che
pur avendo un altro nome è l’esatta riproduzione del Dhammapada (12).
Questa scoperta, che certo non sarà
l’unica, prova che è necessario esaminare con attenzione tutti i testi del
Kanjur per confrontarli con quelli di Ceylon, per capire bene in che cosa la
scuola del Nord differisce da quella del Sud. L’autentico insegnamento di Śākyamuni
dovrà trovarsi, come ha giustamente detto Eugène Burnouf, là dove le tradizioni
del Sud e del Nord saranno completamente concordi tra loro.
Pubblicando una nuova traduzione francese
del Lalitavistara, condotta questa
volta sul testo originale sanscrito, non faccio alcuna fatica a riconoscere che
l’interpretazione di più di un passaggio non mi soddisfa. Devo tuttavia
avvertire colui che leggerà la mia traduzione tenendo sotto gli occhi il testo
stampato della Bibliotheca indica,
affinché prima di criticare questa traduzione voglia attendere la pubblicazione
del secondo volume, nel quale troverà un gran numero di varianti ricavate da un
ottimo manoscritto della Société Asiatique e da altri due manoscritti che
appartengono alla Bibliothéque Nationale. Leggendo quelle varianti vedrà quale
aiuto possa portare nella critica dei testi originali il loro confronto con
traduzioni molto accurate come quelle comprese nella raccolta tibetana.
Se questa nuova traduzione del Lalitavistara può oggi comparire è
grazie al suo inserimento negli Annali del Musée Guimet, poiché altrimenti la
sua pubblicazione sarebbe stata ritardata per molto tempo. Spero che sarà
accolta con favore in un momento in cui in India, in Inghilterra, in Russia, in
Germania, in America e in Francia il Buddhismo attira l’attenzione di tutti
coloro che si interessano allo studio delle religioni [g].
Parigi,
20 dicembre 1883
Note
dell’Autore
(1) Le
Bouddhisme sous forme de cathéchisme, di H.S. Olcott, trad. francese, p.
20, in-12, Parigi, 1883 [a].
(2) Nel suo dizionario Pāli, alla voce Attā, Childers spiega il termine con: Self, body, person, individuality: “il
sé, il corpo, la persona, l’individualità”.
(3) Idem, alla voce Mano: The mind, the
intellect, the thoughts, the heart: “la mente, l’intelletto, i pensieri, il
cuore”.
(4) Idem, p. 31, col. 1, le parole Anamatagge sañsare sono esplicite:
“Nelle esistenze senza numero che non hanno avuto inizio”, secondo Rogers, e
secondo Turnour: “Senza inizio e senza fine”.
(5) Hibbert
Lectures, On the origin and growth of religion, p. 91. E in: Buddhism, p. 100 e seg. Si veda anche Buddhist birth stories, dello stesso
autore, t. 1, p. 25.
(6) Come armonizzare questa affermazione con
il seguente passaggio del Manual of
Buddhism di Spencer Hardy, p. 397: “Anche nei testi storici, nei racconti,
nella conversazione, la concezione comune della trasmigrazione si presenta
costantemente. Incontriamo innumerevoli passaggi come questo: ‘Queste persone,
con l’aiuto del Buddha, entrarono (dopo la loro morte) nel mondo celeste’. Alla
fine dell’Apannaka Jātaka il Buddha stesso dice: ‘Coloro che un tempo erano il
mercante poco saggio e i suoi compagni, oggi sono Devadatta e i suoi discepoli
ed io ero allora il mercante saggio’. La conclusione di tutti i Jātaka è una
affermazione simile a questa.
Nel
volume appena pubblicato di Rhys Davids, Buddhist
birth stories, che contiene la traduzione della prima parte del testo dei
Jātaka, si vede in effetti che alla fine di ogni racconto il Buddha fa la stessa
affermazione.
È un
modo implicito, se non esplicito, di parlare della trasmigrazione.
(7) A meno che il Nirvāṇa non interrompa la
serie delle esistenze, cosa che qui Rhys Davids non dice.
(8) Chambers
Encyclopœdia, alla voce Trasmigrazione. Riprodotto nei Literary Remains of
Th. Goldstücker, t. I, p. 205 e
seg. Si veda anche Koeppen, Die Religion
des Budda, p. 300. Mons. Bigandet, nel suo bel libro: The life of Gaudama, Rangoon 1866, p. 21, in nota, ci aveva altresì
fatto conoscere questa dottrina, che definisce startling, “strana, stupefacente”, la quale, aggiunge, è
generalmente sconosciuta alla gente. Si veda anche: Buddhist controversy held at Pantura, Ceylon, 1873, p. 16-18.
(9) Questo è il contrario di ciò che
insegnano le Upaniṣad brahmaniche: “L’anima non è prodotta da un’altra e
nessun’altra è prodotta da quella. Senza nascita, eterna e senza decadimento,
essa non è mai uccisa ancorché il corpo sia ucciso. Se colui che uccide dice:
Io uccido, se colui che è ucciso dice: Io sono ucciso, entrambi non conoscono
la verità”. Katha Upaniṣad, p. 105,
trad. inglese nella Bibliotheca indica;
Bhagavadgītā, II, 19 [e].
(10) Se è questo l’autentico
insegnamento del Buddha (benché ci sia consentito di dubitarne, visto che Mons.
Bigandet ci avvisa che in Birmania esso è generalmente ignorato dalla gente e
che Olcott ci dice che a Ceylon un certo numero di monaci non lo accettano),
rimane da spiegare chiaramente in che modo l’anima arrivata per ultima possa
espiare gli errori e ricevere le ricompense dei milioni di anime che l’hanno
preceduta e alle quali essa è completamente
estranea.
(11) Si veda nel Manual of Buddhism di Spence Hardy, p. 397-398, qualche altro
paragone dello stesso genere. L’autore del manuale fa quindi questa
riflessione: Le difficoltà relative a questo particolare dogma consistono nel
fatto che esso è generalmente respinto.
Anche i monaci lo hanno talvolta negato; ma quando sono stati loro mostrati i
passaggi in cui è insegnato nei loro testi sacri, sono stati costretti a
riconoscere che era uno dei dogmi della loro religione.
(12) Udānavarga: A collection of
Verses from the Buddhist Canon. Being the northern Buddhist version of
Dhammapada. Translated from the Tibetan by Woodville Rockhill. In-8,
London, Trübner (1883). V. anche: Texts
from the Buddhist Canon commonly known as Dhammapada, traslated from the
Chinese by Samuel Beal. In-8, London, Trübner, 1878.
NdT
[a]In versione italiana: H.S. Olcott, Catechismo
buddhistico, Ed. Reprint. Si veda anche:
http://zenvadoligure.blogspot.it/2015/09/il-catechismo-del-buddha.html.
http://zenvadoligure.blogspot.it/2015/09/il-catechismo-del-buddha.html.
[b] Termine Pāli (in sanscrito saṃskāra), che qui indica le cose
composte.
[c] Il termine Pitaka (canestro) indica le raccolte dei testi del Canone
buddhista.
[d] Nome con cui si designa tradizionalmente
il Buddha nei testi Pāli. In sanscrito: Gautama.
[e] Cfr. la traduzione di P.
Filippani-Ronconi in: Upaniṣad antiche e medie, Ed. Boringhieri,
pag. 500: “18. Questo Veggente non nasce
e non muore mai, non ha origine da alcuna cosa e mai non fu; increato,
costante, eterno, questo Antico non viene ucciso allorché il corpo viene
ucciso. 19. Allorché l’uccisore si immagina di uccidere e colui che viene
ucciso si immagina di venire ucciso, entrambi non sanno: quegli non uccide,
questi non viene ucciso”.
[f] I
versi del Dharma (in sanscrito Dharmapāda).
Cfr. http://zenvadoligure.blogspot.it/search/label/Dhammapada.
[g] Si veda una nota personale a questa
II parte dell’Introduzione nel post:
http://zenvadoligure.blogspot.it/2017/05/esiste-non-esiste-ne-esiste-ne-non.html
http://zenvadoligure.blogspot.it/2017/05/esiste-non-esiste-ne-esiste-ne-non.html
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Immagine del Buddha a Sarnath |
LALITAVISTARA
ovvero
Descrizione dettagliata dei giochi
Capitolo primo
L’oggetto del discorso
Invocazione. – Ānanda
riferisce come trovandosi nella città di Śrāvasti insieme col Buddha, in
compagnia di dodicimila monaci e trentaduemila Bodhisattva, abbia udito il
Buddha raccontare gli eventi che costituiscono l’oggetto del Lalitavistara;
come il Bhagavat per bontà verso gli dei e il mondo abbia acconsentito ad
esaudire le preghiere degli dei, che gli avevano richiesto di insegnar loro la
Legge già esposta in passato dai Buddha precedenti.
Om! Omaggio a tutti i Buddha e
Bodhisattva, ai venerabili Śrāvaka e Pratyekabuddha [1], che dimorano nei
dieci punti dello spazio delle regioni del mondo senza fine, illimitato!
Così ho udito: una volta il Bhagavat [2] si trovava a Śrāvasti, nel Jetavana, il
giardino di piacere di Anāthapiṇḍada, circondato da una grande assemblea di
monaci, in numero di dodicimila, quali il Venerabile [3] Ājñātakauṇḍinya, il Venerabile Aśvajit,
il Venerabile Bāṣpa, il Venerabile Mahānāman, il Venerabile Bhadrika, il
Venerabile Yaśodēva, il Venerabile Vimala, il Venerabile Subāhu, il Venerabile
Pūrṇa, il Venerabile Gavāṃpati, il Venerabile Kāśyapa di Uruvilvā, il
Venerabile Kāśyapa di Nadī, il Venerabile Mahākātyāyana, il Venerabile Kapphina,
il Venerabile Kauṇḍinya, il Venerabile Tchunandana, il Venerabile Pūrṇa
Maitrāyaṇīputra, il Venerabile Aniruddha, il Venerabile Nandika, il Venerabile Kaṣphila,
il Venerabile Subhūti, il Venerabile Revata, il Venerabile Khadiravanika, il
Venerabile Amōgarāja, il Venerabile Mahā Paramika, il Venerabile Vakkula, il
Venerabile Nanda, il Venerabile Rāhula, il Venerabile Svāgata, il Venerabile
Ānanda.
Ugualmente, oltre ai dodicimila monaci con
costoro alla loro testa, egli si trovava con trentaduemila Bodhisattva, tutti
vincolati ad una sola nascita, avendo essi generato tutta la perfezione dei
Bodhisattva, manifestato tutta la saggezza superiore dei Bodhisattva, acquisito
tutta l’energia dei Bodhisattva, ottenuto tutta la scienza magica dei
Bodhisattva, realizzato il completo compimento delle preghiere dei Bodhisattva,
percorso fino alla meta la via dei Bodhisattva, ottenuto il pieno controllo di sé
attraverso la contemplazione propria dei Bodhisattva, ottenuto il completo
dominio di sé dei Bodhisattva, realizzato pienamente la pazienza dei
Bodhisattva, popolato per intero le Terre dei Bodhisattva; costoro erano il
Bodhisattva Mahāsattva Maitreya, il Bodhisattva Mahāsattva Dharaṇīsvararāja, il
Bodhisattva Mahāsattva Siṁhakētu, il Bodhisattva Mahāsattva Siddhārthamati, il
Bodhisattva Mahāsattva Praśānthacharitamati, il Bodhisattva Mahāsattva
Pratisamvimprāpta, il Bodhisattva Mahāsattva Nityōyukta, il Bodhisattva
Mahāsattva Mahākaruṇachandri e altri alla loro testa fino a trentaduemila.
In quel tempo il Bhagavat si trovava nella
grande città di Śrāvasti, e lì dimorava onorato, rispettato, riverito, ricolmo
di offerte della quadruplice assemblea, dei re, dei figli del re, degli Kṣatriya
[3], dei Brāhmaṇi, dei funzionari, degli
abitanti della città e della campagna, dei Tīrthika, degli Śramaṇa, dei Brāhmaṇi,
dei Characa, dei Parivrajaka [5]. Il Bhagavat
aveva con sé cibi preparati con cura, gustosi e abbondanti, abiti monastici,
letti per il riposo, medicinali e utensili necessari; pur possedendo una
eccellente reputazione e degli ottimi beni, il Bhagavat era distaccato da
tutto, come il loto sul quale l’acqua scivola via. E la buona novella della sua
fama si diffondeva nel mondo.
Arhat [6], Buddha perfetto
e realizzato, dotato di saggezza e di perfetta condotta, Sugata [7], primo tra coloro che conoscono il mondo,
il Grande Essere che è il cocchiere di coloro che devono essere disciplinati,
il precettore degli dei e degli uomini, il Buddha Bhagavat che possiede i
cinque occhi, è apparso. Dopo aver profondamente conosciuto egli stesso questo
e l’altro mondo con gli dei e i demoni, con Brahmā, con gli Śramaṇa, i Brāhmaṇi
e le altre creature, con gli dei e gli uomini, dopo averli compresi, dopo
averli preparati, egli ha preso dimora ed ha insegnato il Dharma, che al suo
inizio, al suo centro, alla sua fine è la legge della virtù, dall’eccellente
significato, dalle belle espressioni, priva di confusioni, compiuta,
autenticamente chiara, del tutto immacolata, perennemente pura; tale è il
Dharma che egli ha insegnato.
In quel tempo il Bhagavat entrò nella
meditazione chiamata Buddhālankāravyūha (disposizione degli ornamenti del
Buddha) e non appena vi si immerse dalla sommità del capo, dalla protuberanza
che lo incorona, uscì il raggio chiamato Pūrva-buddha-anupasmrity-asanga-ājñana-ālōka-alankāra
(ornamenti luminosi della saggezza priva di passione che richiama il ricordo
dei Buddha precedenti). Il raggio, quando illuminò tutte le dimore degli dei Śuddhāvāsa,
incoraggiò gli innumerevoli figli degli dei con Maheśvara, figlio di un dio,
alla loro testa. Poi i raggi di luce del Tathāgata [8] fecero sì che si
udissero questi Gāthā di incoraggiamento:
1.
Unitevi a colui che genera la buona luce che distrugge le tenebre, che ha una
bella luce, un meraviglioso splendore, puro e senza macchia; che ha il corpo
completamente pacificato, la mente pura e in pace, al Muni Śākya Siṁha [9];
2.
l’oceano di saggezza, puro, dalla grande forza, signore del Dharma, onnisciente,
maestro dei Muni, dio al di sopra degli dei, degno degli omaggi degli uomini e
degli dei, che dimora di per sé nel Dharma ed esercita il controllo;
3.
coloro che sono divenuti signori della propria mente difficile da soggiogare,
che hanno la mente completamente liberata dalle trappole del demone, la cui
vista e udito non sono quaggiù privi di scopo, che vanno verso la sponda
tranquilla della liberazione, si affidino a lui.
4. A
colui che si è manifestato nel Dharma senza eguale, che dissolve le tenebre,
che insegna la buona regola, al Buddha che compie azioni pacifiche,
dall’intelligenza incommensurabile; avvicinatevi tutti con devozione!
5. è il re dei medici, il dispensatore
dell’amṛta [10] che guarisce; è
l’eroe degli oratori, il distruttore delle schiere dei malvagi, l’amico del
Dharma, colui che ne conosce profondamente il significato autentico; è la guida
che indica la Via suprema.
Non appena essi furono toccati dai raggi
luminosi della saggezza priva di passioni che genera il ricordo dei Buddha
precedenti, non appena furono esortati da quei Gāthā, i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika,
essendo usciti perfettamente calmi dalla meditazione, grazie al potere del
Buddha rammentarono i Buddha Bhagavat di tutti i Kalpa [11], incommensurabili, al di là di ogni
calcolo e di ogni enumerazione.
E ugualmente ricordarono tutte le
assemblee per la purificazione dei Campi dei Buddha e tutti gli insegnamenti
del Dharma.
Tuttavia, nel corso della notte
tranquilla, il figlio di un dio Śuddhāvāsakāyika, chiamato Iśvara, e con lui quello
chiamato Maheśvara, come pure Nandana, Chandana, Mahita, Praśānta, Vinitēçvara
e altri numerosi figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, di una bellezza al di là
della più grande bellezza [12], dopo aver
illuminato il Jetavana intero di uno splendore divino ed essersi recati nel
luogo in cui si trovava il Bhagavat e aver reso omaggio ai suoi piedi con il
capo, si misero da un lato. E rimanendo discosti gli dei Śuddhāvāsakāyika
dissero al Bhagavat: C’è, o Bhagavat, una parte della Legge chiamata
Lalitavistara, compimento dei Sūtra, una raccolta molto sviluppata che espone
la radice della virtù dei Bodhisattva, che narra dettagliatamente la discesa
dal divino cielo di Tuṣita [13] e la permanenza
nel seno della madre; che mostra il potere della terra nella quale avviene una
nascita superiore; la perfetta eccellenza delle qualità del comportamento
dell’infante Bodhisattva; la perfezione in ogni arte del mondo e in ogni
azione: la scrittura, il calcolo, la postura delle dita unite in preghiera, l’aritmetica,
l’uso della spada, il tiro con l’arco, il pugilato, la lotta; la superiorità su
tutti gli esseri; che mostra il godimento degli oggetti dei sensi negli
appartamenti delle donne; che celebra l’acquisizione del frutto perfettamente
maturato e l’etica di un Bodhisattva, i diversi giochi di un Bodhisattva, la
distruzione di tutte le congreghe dei demoni; l’energia di un Tathāgata, le sue
intrepidità [14], le diciotto condizioni
non mescolate [15], l’insegnamento
della Legge incommensurabile di un Buddha (questo Sūtra) esposta dai Tathāgata
del passato, i Bhagavat Padmōttara, Dharmakētu, Dipaṃkara, Gunāketu, Mahākara, Ṛṣidēva,
Śrītējas, Satyaketu, Vajrasañhata, Sarvābhibhū, Hemavarṇa, Abhyuśagami, Pravāṭasāgara,
Puśpakētu, Vararūpa, Sulōśana, Ṛṣigupta, Unnata, Puśpita, Urṇātējas, Puśkala,
Suraṣmi, Mañgala, Sudarṣana, Mahāsiṁhatējas, Sthitabuddhidatta, Vaṣantagandhin,
Satyadharmavipulakīrti, Tiṣya, Puṣya, Lōkasundara, Vistīrṇabhēda, Ratnakirti,
Ugratējas, Brahmatējas, Sughōṣa, Supuṣpa, Sumanōjñaghōṣa, Suchēṣtarūpa,
Prahasitanētra, Gunarāci, Mēghasvara, Sundaravarṇa, Āyustējas, Salīlagajagāmi,
Lōkābhilāchita, Jitaśatru Sampūjita, Vipacyi, Cikhin, Viśvabhū, Krakuś’anda e
Kanakamuni; questo Sūtra, che è stato un tempo insegnato da Kāshyapa Tathāgata
Arhat Buddha perfetto e realizzato, che il Bhagavat voglia oggi riportarlo
nuovamente alla luce, per aiutare un gran numero di uomini, per la felicità di
un gran numero di uomini, per compassione nei confronti del mondo, a favore di
una grande moltitudine di uomini, per la felicità degli dei e degli uomini, per
la completa esposizione del grande Veicolo [16], per la
sottomissione di tutti gli oppositori, per la glorificazione di tutti i
Bodhisattva, per l’assoggettamento di tutti i demoni, a favore di tutti i
grandi uomini che dimorano nel Veicolo dei Bodhisattva [17], alfine di generare lo sforzo eroico e l’energia,
di far sì che la buona Legge venga seguita, di prevenire l’interruzione della
famiglia dei Tre Gioielli [18], di mostrare
l’operato di un Buddha. Così essi parlarono, e il Bhagavat acconsentì con il
suo silenzio, avendo generato compassione nei confronti di quei figli degli dei
come pure per tutto il mondo con gli dei.
Quindi i figli degli dei, avendo compreso
dal silenzio del Bhagavat che egli aveva acconsentito, compiaciuti, estasiati,
trasportati dalla felicità, pieni di gioia, dopo aver reso omaggio ai piedi del
Bhagavat con il capo, avendo girato intorno a lui per tre volte offrendogli il
fianco destro [19] e avendolo
cosparso delle divine polveri di sandalo, di aloe e di fiori di māndārava [20], scomparvero in quello stesso luogo.
Al termine della notte il Bhagavat,
recatosi nel luogo in cui si trovata il boschetto di bambù, sedette sul seggio
preparato per lui, circondato dalla folla dei Bodhisattva e dalle assemblee
degli Śrāvaka, e dopo essersi seduto si rivolse ai monaci.
Così, o Monaci, durante la notte serena il
figlio di un dio Śuddhāvāsakāyika, chiamato Iśvara, e con lui Maheśvara,
Nandana, Sunandana, Chandana, Mahita, Praçānta, Vinitēçvara e altri numerosi
figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, come già detto, scomparvero in questo stesso
luogo.
Allora i Bodhisattva e i Mahā-Śrāvaka
inchinatisi con le mani giunte, di lato al Bhagavat, così gli parlarono:
Che il Bhagavat voglia insegnarci quella
parte del Dharma chiamata Lalitavistara. Ciò sarà di beneficio per numerose
creature, per la felicità di innumerevoli esseri, per la compassione per il
mondo, per il bene di una grande quantità di creature, per il conforto degli
dei e degli uomini e dei Bodhisattva Mahāsattva del presente e del futuro.
Il Bhagavat acconsentì con il silenzio,
mosso da compassione per i Bodhisattva Mahāsattva, per i Mahā-Śrāvaka, per gli
dei, gli uomini, gli Asura [21] e il mondo
intero.
Così è detto:
6.
Durante la notte, o Monaci, mentre sedevo nella pace e privo del turbamento
delle passioni, dopo essere giunti da piacevoli dimore [22], con la mente concentrata su un solo punto e
perfettamente raccolti,
7. i
figli degli dei sono venuti qui, dotati di un grande potere sovrannaturale, risplendenti
di un fulgore senza macchia, dai bei colori che generano gioia. Dopo aver
illuminato del loro splendore il bosco chiamato Jeta, si sono avvicinati con
gioia alla mia presenza.
8.
Maheśvara, Chandana, Iśa e Nanda, Praśāntacitta, Mahita, Sunanda, come anche il
figlio di un dio Śanta, con molte dozzine di milioni di dei,
9. i
quali, dopo aver reso omaggio ai miei piedi ed aver girato intorno a me
offrendomi il fianco destro, dopo essersi avvicinati sono rimasti accanto a me;
poi, dopo che ebbero fatto anjali [23] a
mani giunte, colmi di rispetto, mi hanno presentato una richiesta dicendo:
10. “Muni,
questo Sūtra perfetto, ricolmo di tutto ciò che distrugge le passioni, questo
grande Nidāna [24] che è stato
insegnato da tutti i Tathāgata in soccorso di tutti i mondi del passato,
11.
che il Muni lo insegni nuovamente oggi, con il desiderio di conquistare a sé la
grande assemblea dei Bodhisattva, esponendo il supremo Grande Veicolo che
distrugge le contraddizioni e il demone”.
12. Egli
accolse la preghiera della moltitudine degli dei e acconsentì in silenzio. E
tutti, felici, pieni di gioia, estasiati, gettarono fiori, ricolmi di
compiacimento.
13.
Per questo, o Monaci, ascoltate dalla mia bocca [25]
questo grande insegnamento, questo Sūtra perfetto che è stato insegnato da
tutti i Tathāgata per recare aiuto a tutti i mondi del passato.
Capitolo primo, intitolato: Nidāna,
l’oggetto dell’insegnamento
NdT
[1] Rispettivamente: uditori (che ottengono la liberazione
nell’udire gli insegnamenti del Buddha) e buddha-da-sé
(o realizzatori solitari).
[2] Il Signore, colui che possiede bhaga, potere spirituale, o in genere
grande dignità.
[3] Si è scelto di
tradurre con Venerabile il termine
sanscrito āyuṣmant (pali: āyasmā), mentre il testo francese
mantiene la translitterazione āyouchmat.
Per i nomi dei monaci sono state utilizzate le translitterazioni reperite in: Sutra
del Loto (trad. di L. Meazza), Ed. Rizzoli, Ph. Cornu Dizionario
del Buddhismo, Ed. B. Mondadori o nel testo che si va traducendo.
[4] Il secondo varṇa, i guerrieri.
[5] Rispettivamente:
seguaci di altre scuole, asceti, brahmani, studiosi itineranti, monaci erranti.
[6] Il Vincitore del nemico, colui che ha
sconfitto le passioni (in pāli: arahant).
[7] Il Bene andato, fino alla completa
liberazione.
[8] Colui che è andato nella talità, la
realtà così com’è, la realtà assoluta, la grande Illuminazione.
[9] Il leone, simbolo
di sovranità.
[10] Il nettare
dell’immortalità, a-mṛta, non-morte. È il termine da cui origina
il greco ambrosia.
[11] Periodi di tempo
inimmaginabili, incalcolabili.
[12] Per la traduzione
di questo periodo cfr. la versione dal tibetano in: Lalitavistara - Vie et doctrine
du Bouddha tibétain (trad. di Pauthier e Brunet - 1866), Ed. Sand,
pag.24.
[13] Dimora di colui
che sarebbe divenuto il Buddha prima di nascere sulla terra per un’ultima
volta. Attuale dimora di Maitreya, il Buddha futuro.
[14] In numero di
quattro. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 81.
[15] Ovvero le diciotto qualità speciali, non mescolate,
senza oscuramento. Id., pag. 80.
[16] Il Mahāyāna.
[17] Il Bodhisattvayāna.
[18] O Tre Tesori
(sanscrito: Triratna, pali: tiratana): Buddha, Dharma e Saṅgha, il
Buddha, la dottrina e la comunità dei praticanti.
[19] In sanscrito pradakṣṇā, circumambulazione in senso
orario, seguendo cioè il movimento del sole.
[20] L’albero di corallo (Erythrina Indica), uno dei fiori
del paradiso, di colore rosso scarlatto e con foglie a gruppi di tre che
simboleggiano la Trimūrti.
[21] Alla lettera non-dei. Classe di esseri intermedi tra
uomini e dei, quindi semidei, titani.
[22] Nel testo vihara, dimore, i monasteri buddhisti.
[23] In sanscrito offerta divina, gesto di saluto e
omaggio a mani giunte davanti al petto, tipico dell’Induismo e del Buddhismo.
[24] In sanscrito causa, origine, occasione, ragione. Es.
I dodici nidāna (anelli, legami) della
produzione condizionata, la successione di cause ed effetti concatenati. Qui nidāna indica l’oggetto
dell’insegnamento.
[25] Come già detto
nel sommario iniziale del capitolo, chi espone il Sūtra è Ānanda, uno dei
principali discepoli del Buddha nonché suo cugino. Essendo dotato di una
eccezionale memoria durante il Concilio di Rājagṛha fu invitato ad esporre
tutti gli insegnamenti del Buddha. Infatti i Sūtra iniziano con l’espressione “così ho udito”.
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Sravasti |
Capitolo secondo
L’Esortazione
Inizio del racconto.
– Il Buddha parla della sua permanenza nel cielo degli dei Tuṣita, laddove i
suoi meriti lo avevano portato al livello supremo. Onori che gli venivano resi
da milioni di Buddha, dagli dei e dagli esseri celesti. Con la motivazione di
pervenire alla Saggezza suprema, egli si prepara a discendere dal cielo degli
dei e a nascere tra gli uomini [a].
Qual è, o Monaci, tra tutti,
l’insegnamento del Dharma chiamato l’eccellente Lalitavistara, il supremo e
perfetto tra i Sūtra?
O Monaci, il Bodhisattva dimorava in quel
tempo nel meraviglioso cielo di Tuṣita; [colà è] adorato da coloro che sono
adorati, avendo conseguito il supremo potere, [è] lodato, glorificato, ricolmo di
elogi, celebrato da centomila dei, avendo realizzato la sua ricerca, essendo
sommamente innalzato dalle sue aspirazioni, avendo ottenuto la saggezza che penetra
tutta la Legge dei Buddha; possiede l’occhio grande e perfettamente puro del
Dharma; ha acquisito la consapevolezza, l’intelligenza, la prudenza e la
conoscenza estesa vivificata dalla gioia; ha conseguito la perfezione del dono,
dell’etica, della pazienza, dell’energia, della concentrazione e della saggezza
[1], della grande conoscenza dei mezzi e del
supremo passaggio all’altra sponda; abile e dotato della perfetta conoscenza
della via di Brahmā, della grande mansuetudine, della grande compassione, della
grande gioia, della grande equanimità; effettivamente giunto attraverso una
superiore conoscenza alla saggezza priva di oscurazioni e di passioni; ha
acquisito la perfetta consapevolezza, la perfetta rinuncia, le basi del potere
sovrannaturale, la perfezione dei sensi, l’energia, tutti i gradi della suprema
intelligenza e l’autentica Via; è giunto all’autentico compimento di tutti gli
insegnamenti della suprema saggezza; il suo corpo presenta i marchi maggiori e
i segni minori, prodotti dall’accumulazione di meriti incommensurabili [2]; segue da lungo tempo la corretta Via; agisce
in conformità alla sua parola, manifesta con chiarezza la parola e l’azione
autentiche; possiede una mente retta, priva di inganni ed astuzie a cui nulla
può essere di ostacolo; ha messo da parte tutto ciò che è orgoglio, fierezza,
invidia, timore e torpore; ha generato una mente equanime nei confronti di
tutti gli esseri; ha reso onore con il rispetto ad incommensurabili centinaia
di milioni di Buddha; è stato visto in viso da molte centinaia di milioni di
Bodhisattva ed ha l’aspetto di coloro che lo guardano; è rallegrato dalle lodi
di Śakra [3], di Brahmā, di
Maheśvara, dei guardiani del mondo [4], dei Nāga, degli
Yakṣa, dei Gandharva, degli Asura, dei Garuḍa, dei Kinnara, dei Mahōraga e dei
Rākṣasa [5]; possedendo la
perfetta consapevolezza di ogni parola il suo insegnamento è immediatamente
compreso senza alcun impedimento [6]; vaso di perfetta
consapevolezza, possiede il ricordo di tutti gli insegnamenti di tutti i Buddha;
ha ottenuto le infinite e illimitate formule magiche; grande guida dei
viaggiatori del vascello del Dharma, realizzato grazie alla perfetta consapevolezza;
[possiede] grazie alla Via
compiutamente percorsa il totale
distacco, le basi del potere sovrannaturale, il perfetto risveglio, l’energia
eroica, tutti i livelli della suprema intelligenza; possiede la saggezza
trascendente, la legge preziosa della conoscenza dei mezzi, tutti i
meriti, la determinazione che fa andare
al di là delle quattro correnti; ha vinto il demone e gli oppositori; ha
soggiogato tutti gli avversari; rimane saldo di fronte alla lotta; ha distrutto
la moltitudine nociva delle corruzioni naturali; è armato del fulmine-diamante [6bis] della suprema saggezza; nato con la
motivazione superiore che è il grande fusto della compassione generato dalla
radice della suprema saggezza; è stato consacrato con l’acqua profonda della
virtù eroica; possiede l’orecchio di colui che è abile nei mezzi [7]; possiede tutti i gradi della suprema intelligenza,
le vie sottili della meditazione, le fibre della contemplazione; è nato dal
lago senza impurità di un gran numero di qualità; possiede l’aspetto vasto e
puro di una luna libera dal passaggio delle nubi dell’orgoglio e
dell’arroganza; ha il profumo della buona condotta, della rivelazione e della serenità che si diffonde
senza ostacoli nelle dieci direzioni dello spazio; decano della scienza nel
mondo; non imbevuto degli otto dharma mondani [8]; fiore di loto
dei grandi uomini; diffonde il dolce profumo dei meriti e dell’accumulazione
della conoscenza; possiede l’occhio così perfetto e puro che il loto dai cento
petali si dischiude ai raggi del sole della saggezza e della conoscenza; è spinto
dallo slancio supremo dei quattro fondamenti del potere soprannaturale;
possiede i denti e le unghie acuminate delle quattro Nobili Verità; ha i denti
risaltanti delle quattro dimore di Brahmā; ha il capo rivolto alle quattro
direzioni; possiede il corpo progressivamente perfezionato dalla comprensione
dei dodici anelli della produzione condizionata [9]; avendo
perfettamente e completamente soddisfatto le ventisette condizioni dei rami
della suprema intelligenza, con le quali ha fatto una treccia, possiede la
capigliatura della conoscenza e della saggezza. Ha dischiuso le tre porte della
completa liberazione; ha l’occhio perfetto e puro del discernimento e della
pace interiore; dimora nelle grotte e nelle caverne della montagna della
meditazione, della completa liberazione, della contemplazione e dell’acquisizione
del distacco; ha il corpo ben sviluppato dalla pratica delle Quattro Nobili
Verità; possiede l’energia generata dall’esercizio dei dieci poteri e delle
quattro intrepidità; è libero dall’orrore e dalla paura della vita e della
morte; possiede un coraggio che non si piega; domatore dei Tirthya [10], schiere numerose di lepri e gazzelle; fa
udire il potente ruggito del leone, la voce che fa riconoscere colui che è al
di là del Sé; leone degli uomini; con il raggio luminoso della saggezza uscito
dalla sfera della suprema contemplazione e della perfetta liberazione rende
priva di fulgore la luce dei Tīrthika, schiere che emettono versi scintillanti;
distrugge l’oscurità del velo delle tenebre e dell’accecamento dell’ignoranza;
arde di energia e di virtù eroica; tra gli dei e gli uomini risplende per il
fulgore dei meriti; sole dei grandi uomini; ha messo in fuga la quindicina nera
e perfettamente realizzato la quindicina luminosa [11]; conquista i
cuori ed è piacevole a vedersi; possiede la vista che nulla può oscurare; ben
armato dalle schiere delle costellazioni di centomila dei; possiede il cerchio
della contemplazione, della suprema liberazione e della conoscenza; a causa
della felicità della suprema intelligenza emette raggi come la luna; fa dischiudere
i fiori di loto degli dei e degli uomini saggi; è la luna dei grandi uomini; si
è recato nel Dvīpa [12] delle quattro
assemblee; in possesso dei sette rami preziosi dell’intelligenza suprema, usa
egualmente la sua mente per tutti gli esseri; nulla può arrestare il suo
pensiero; ha praticato le ascesi e i voti della via delle azioni meritorie, con
l’intendimento di conseguirne ogni risultato in modo abbondante e completo; fa
girare il tesoro della ruota preziosa di un re della Legge, che nulla può
fermare; nato in una famiglia della stirpe dei re Cakravartin [13]; ricolmo di tutti i tesori del Dharma
profondo e difficile da penetrare e del sorgere dipendente; non sazio di rivelazione, non oltrepassa mai
il limite di una virtù e di una saggezza abbondanti, perfette, infinite; ha
l’occhio come il calice di un grande loto; possiede la mente eguale alla terra,
all’acqua, al fuoco e all’aria; una mente incrollabile, forte e stabile come il
monte Meru; ha abbandonato passione e collera; ha un’intelligenza perfetta,
senza eguale, ampia e priva di impurità come il vasto cielo; un pensiero
superiore assolutamente puro; ha conseguito la perfezione del dono [14] e prima ancora ha pienamente realizzato la pratica dello
Yoga; ha perfettamente compiuto il proprio dovere; è adorno degli ornamenti
della verità; ha profondamente ricercato tutte le radici della virtù; indossa
le vesti che dovevano essere indossate; ha reso manifesta la radice della
virtù; durante sette incommensurabili Kalpa [15] ha conseguito
tutte le radici della virtù; ha fatto i doni delle sette specie [16]; ha praticato con cura le buone opere
meritorie che devono compiere coloro che hanno cinque scopi; ha ben agito nelle
tre modalità del corpo, nelle quattro modalità della parola, nelle tre modalità
della mente; ha perfettamente seguito la via delle dieci azioni virtuose [17]; ha praticato uno Yoga perfetto dai
quaranta rami; ha ottenuto la completa perfetta liberazione dai quaranta rami;
ha praticato rettamente la superiore benevolenza che ha quaranta rami; è
entrato nel Dharma dopo centomila koti [18] di Buddha; ha
offerto doni a cinquantacinquemila centinaia di niyuta [19] di koti di Buddha; ha reso servizio a
trecentocinquanta centinaia di decine di milioni di Pratyekabuddha; ha
incamminato nella via dello Svarga [20] e della
liberazione un numero infinito, incommensurabile, di esseri; ha generato la
motivazione di rivestirsi della qualità perfetta e compiuta di un Buddha; dopo
aver trasmigrato da qui, lui che dimora in questo meraviglioso cielo di Tuṣita
con il nome di Śvetaketu, il migliore tra i figli degli dei, onorato da tutte
le schiere divine – dopo aver trasmigrato da qui ed essere nato nel mondo, egli
si ricoprirà ben presto della qualità perfetta e compiuta di un Buddha. Mentre
siede è stabilmente e confortevolmente assiso
[21]
nel grande carro celeste posato su trentaduemila terre, adorno di terrazze, di
porticati, di archi, di oeils-de-boeuf, di fresche stanze, di padiglioni e di
palazzi; sopra il quale è dispiegata una tenda con grandi ombrelli e stendardi al
vento, bandiere e tralicci con campanelle preziose; cosparso di un tappeto di
fiori di māndārava e
di mahā māndārava; animato dai canti di centomila niyuta di koti di Apsarā [22]; abbellito da piante di atimukta,
champaka, pāṭalā, kovidāra, muchalinda, mahā muchalinda, aśoka, nyagrodha,
tinduka, asana, karṇikāra, keṣara, sāla e ratna-vṛkṣa [23]; (nel palazzo) protetto da reti d’oro,
adorno di grandi vasi ricolmi, dove il terreno è stato reso più bello da un lavoro di
livellamento, nel quale si trovano fiori di jyōti, di mallika e di sumanā [24]; posto (in quel palazzo) in modo tale da
poter essere visto in viso dagli occhi di centomila niyuta di koti di dei; (nel
palazzo) che risuona dei canti della Legge copiosa che distrugge tutte le
corruzioni generate dall’impeto, dal desiderio e dalla sensualità; in quel
palazzo dorato da cui sono escluse la collera, l’ira, l’orgoglio, il vanto e
l’arroganza; (nel palazzo) che genera la gioia, la serenità e la perfetta consapevolezza
prodotta dall’accontentamento; mentre egli è colà, stabilmente e
confortevolmente seduto, durante il grande sermone sul Dharma, e risuonano gli
accordi di ottantaquattromila strumenti, per effetto dell’accumulazione dei
meriti del Bodhisattva scaturiscono queste stanze di esortazione.
1.
Ricorda, tesoro di meriti abbondanti, la consapevolezza, il discernimento e la
via, tu che generi la luce di una conoscenza infinita; tu che hai una forza
senza eguale, una immensa energia, (ricorda) la profezia di Dipaṃkara [25].
2.
Ricorda, mente perfetta e senza macchia, libera dalla triplice oscurazione, tu
che hai cancellato il peccato dell’orgoglio, che hai un pensiero buono, puro e
senza macchia, (ricorda) quale fu in altro tempo la tua pratica del dono.
3.
Ricorda, tu che discendi da una famiglia degna di onore, la tua calma, la tua
fedeltà ai voti, la tua pazienza e la tua saggezza; l’energia eroica e la
contemplazione che hai praticato per centinaia di milioni di Kalpa.
4.
Ricorda, ricorda, tu la cui fama è senza confini, le centinaia di milioni di
Buddha cui hai reso onore! Compassionevole verso chiunque, il tempo è giunto,
non lasciarlo sfuggire!
5. Trasmigra,
trasmigra, tu che conosci la legge della trasmigrazione, distruttore della
vecchiaia e della morte, tu che sei privo di passioni! Ti guardano, numerosi,
gli dei, gli Asura, i Nāga, gli Yakṣa e i Gandharva.
6. Sebbene
tu abbia goduto della felicità per mille Kalpa, non te ne puoi saziare, come
l’acqua del mare non può soddisfare la sete. Sii gentile, tu che sei ricolmo di
saggezza, soddisfa le creature da così tanto tempo tormentate dalla sete.
7.
Non sei forse tu, che godi di una fama senza macchia, a gioire del Dharma e a
non rallegrarti del desiderio? Tu che hai l’occhio immacolato, abbi compassione
di questo mondo insieme con quello degli dei!
8.
Nemmeno gli dei a centinaia di migliaia avendo ascoltato il Dharma ne saranno
saziati. E volgiti anche a coloro che sono senza requie e dimorano nella vie
del male.
9. E
ancora, tu che possiedi l’occhio senza macchia, tu osservi i Buddha nelle dieci
direzioni dello spazio; tu comprendi il Dharma, e perciò questa Legge, la
migliore fra tutte, condividila con il mondo!
10. Il
cielo di Tuṣita splende della gloria dei tuoi meriti, o glorioso! Spirito
compassionevole, diffondi dunque su Jambudvīpa la pioggia del nettare
dell’immortalità.
11.
Gli innumerevoli dei che dopo aver trasceso il regno del desiderio sono ora nel
regno della forma gioiscono grandemente dicendo: Possa io ottenere la suprema
conoscenza, scopo dei miei voti!
12.
Le opere del demone [26] sono state da te
distrutte; i miserevoli Tīrthika sono stati da te sconfitti; cosicché la
saggezza si è posata sul palmo della tua mano. Il tempo è giunto, non lasciarlo
sfuggire!
13.
Tu, o eroe, hai disteso una nube sul mondo riarso dal fuoco della corruzione; diffondi
la pioggia dell’amṛta, dissolvi la corruzione degli dei e degli uomini.
14. Tu
che sei abile nella conoscenza dei rimedi, che possiedi il medicinale della
verità, attraverso l’utilizzo dei rimedi della triplice liberazione insedia
prontamente nella felicità del Nirvāṇa gli esseri da così tanto tempo malati.
15.
Quando non sentono il ruggito del leone le schiere degli sciacalli urlano senza
timore. Fa’ loro intendere il ruggito di leone del Buddha, terrorizza i Tīrthika ostili,
simili a sciacalli!
16.
Tu che tieni nella mano la lampada della saggezza, che possiedi la forza
generata dall’eroismo; tu che a Dharaṇimaṇḍa hai colpito con forza la terra con il
palmo eccellente della mano [27], sconfiggi il demone!
17. I quattro
guardiani del mondo che ti donarono le ciotole [28], e Śakra e Brahmā, che ti accoglieranno alla tua nascita (sulla terra), e altri a
centinaia di migliaia, guardano a te.
18. Volgi lo
sguardo, o glorioso, ai figli generati da famiglie degne di onore, e rimanendo
accanto a loro, o mente eccelsa, mostrerai la condotta di un Bodhisattva.
19. Laddove
dimora il fortunato Bodhisattva, così come il più prezioso gioiello è riposto
in uno scrigno idoneo, tu che sei il più prezioso dei tesori, o intelligenza
senza oscurazioni, diffondi su Jambu Dvīpa la
pioggia (dell’amṛta).
20. Così,
scaturite dagli accordi musicali, queste stanze variegate esortano colui che ha
un cuore compassionevole attraverso queste parole: Il tempo è giunto, non
lasciarlo sfuggire!
Così è detto nel Lalitavistara, nel capitolo
dell’esortazione, il secondo.
NdT
[a] I sunti che
precedono i capitoli non fanno probabilmente parte del testo originario del sūtra, e infatti non si trovano né nella
versione inglese né nella traduzione francese dal tibetano. Nel testo di De
Foucaux che si va traducendo sono posti nell’indice alla fine del volume, ma si
è voluto qui inserirli all’inizio di ogni capitolo per facilitare la
comprensione dell’argomento in esso trattato.
[1] Sono le sei pāramitā, le perfezioni o virtù trascendenti: dāna, śīla, kṣānti, vīrya, dhyāna (in alcuni
casi si trova samādhi), prajñā.
[2] Si tratta dei
trentadue marchi maggiori e degli ottanta segni minori del corpo di un Buddha. Nelle
tradizioni buddhiste si nominano anche i diciotto dharma speciali dei Buddha
(sei qualità del corpo e del comportamento, sei qualità di penetrazione, tre
qualità di attività, tre qualità di saggezza), i dieci poteri del Tathāgata, le
quattro intrepidità, le trentadue qualità di liberazione, le quattro perfette
intelligenza specifiche, i tre modi o aspetti, i trentanove modi o aspetti
straordinari di un Buddha. Cfr. Dizionario del Buddhismo alla voce buddha, pag. 78 e seguenti.
[3] Forte, potente. Epiteto divino, riferito in particolare a Indra.
[4] I Lokapāla, custodi delle regioni del
mondo, dei punti cardinali.
[5] Figure mitiche
dell’Induismo e del Buddhismo. Rispettivamente: serpenti (o elefanti); spiriti
agresti; musici degli dei; semidei; figure con corpo umano, becco e ali di
uccello; centauri; figure metà uomo e metà serpente; spiriti demoniaci.
[6] Ho seguito qui la
traduzione inglese del testo, in quanto più lineare e comprensibile.
[6bis] Il vajra (tibetano rdo-rje), diamante e/o
fulmine, importante simbolo nel Mahāyāna e nel Vajrāyana, rappresenta
l’indistruttibilità del Risveglio e della vacuità e la chiarezza della mente
illuminata.
[7] I mezzi abili, gli espedienti salvifici (upāya)
che sono a disposizione dei Buddha per aiutare gli esseri ad uscire dalla
sofferenza.
[8] Speranza del
guadagno e timore della perdita; speranza del piacere e timore della
sofferenza; speranza della fama e timore della caduta; speranza della lode e
timore del biasimo.
[9] Pratītyasamutpāda (in pāli: paṭiccasamuppāda), il sorgere dipendente, l’insieme dei
meccanismi di interazione su cui si reggono i fenomeni nelle loro relazioni
causali. Cfr. Dizionario del Buddhismo alla voce interdipendenza, pag. 266 e seguenti.
[10] Probabilmente si
tratta dei Tīrthika, nominati poco
più avanti. È un termine sanscrito usato dai buddhisti indiani e tibetani in
riferimento ai fautori di sistemi religiosi loro avversari. In tibetano (mu-stegs-pa) significa sostenitori dei punti di vista estremi,
cioè gli eternalisti e i nichilisti.
[11] Riferimento alle
fasi lunari.
[12] Alla lettera
significa isola, ma vale anche come continente. Secondo i Purāṇa il mondo era composto da sette Dvīpa, con Jambu Dvīpa, l’India, in posizione centrale.
[13] I Sovrani della Ruota, monarchi
universali.
[14] Si veda la nota
[1].
[15] Un giorno di Brahmā,
pari a quattromila trecentoventi milioni di anni umani, la durata di un
universo.
[16] Probabilmente si
tratta dell’offerta in sette rami (saptāṅgapūja) ai maestri o alla
divinità: prosternazioni, offerta di ciò che si è posseduto, confessione delle
azioni negative, gioia delle azioni benefiche, richiesta degli insegnamenti,
supplica perché continuino a rimanere in favore degli esseri sofferenti, dedica
di tutti i meriti.
[17] Sono le
precedenti: azioni del corpo (salvare vite, donare, mantenere la castità),
della parola (dire la verità, pacificare le discordie, parlare con gentilezza,
recitare mantra), della mente (gioire del benessere altrui, essere benevolo,
adottare punti di vista corretti). Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 171.
[18] Unità di misura
pari a dieci milioni.
[19] Unità di misura
pari, a seconda delle fonti, a centomila o a un milione.
[20] Il cielo di
Indra.
[21] Traduco in questo
modo assis à l’aise, con un voluto
riferimento alle qualità che secondo Patañjali devono possedere le āsana (posture) dello Yoga, ovvero
essere sthira-sukham, stabili e comode. Si veda I.K. Taimni, La
scienza dello Yoga – Commento agli yogasūtra di Patañjali, Ed. Ubaldini,
pag. 232.
[22] Essenza dell’acqua, seducenti ninfe
celesti danzanti del cielo di Indra, si mostrano spesso come uccelli acquatici.
Raccolgono i guerrieri morti in battaglia, come le Valchirie.
[23] Per identificare
le piante citate si possono utilmente consultare i seguenti siti Internet:
http://ayurvedicmedicinalplants.in/content/history-ayurveda
https://venetiaansell.wordpress.com/
http://iu.ff.cuni.cz/pandanus/.
[24] Rispettivamente:
alcanna, mango e gelsomino.
[25] Secondo il Sanghata Sūtra, un testo del buddhismo
Mahāyāna, molte vite prima dell'illuminazione Śākyamuni incontrò il Buddha del
passato Dipaṃkara, che gli predisse che egli sarebbe a sua volta diventato un
Buddha. Si veda qui la traduzione in italiano del sūtra:
http://padmasambhavagururinpoche.com/wp-content/uploads/2014/01/sanghasutraitaliano.pdf
[26] Probabile
riferimento a Māra, termine che indica sia il demone tentatore, dio del regno
del desiderio, sia l’insieme delle tendenze che distolgono il praticante dalla
Via della liberazione. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 377.
[27] Bhūmisparśamudrā, il gesto del toccare la terra con cui un
Buddha chiama la Terra a testimoniare il conseguimento del Risveglio.
[28] Dopo il Risveglio si presentarono al Buddha i quattro guardiani del mondo, caturmahārāja, divinità che risiedono alla base del monte Meru a guardia dei punti cardinali. Essi gli offrirono cibi prelibati in preziose ciotole. Il Risvegliato prodigiosamente unì le quattro ciotole e le offerte in un’unica ciotola e in un unico cibo, indicando così che la Via verso la liberazione era una sola, per gli uomini e per gli dei.
[28] Dopo il Risveglio si presentarono al Buddha i quattro guardiani del mondo, caturmahārāja, divinità che risiedono alla base del monte Meru a guardia dei punti cardinali. Essi gli offrirono cibi prelibati in preziose ciotole. Il Risvegliato prodigiosamente unì le quattro ciotole e le offerte in un’unica ciotola e in un unico cibo, indicando così che la Via verso la liberazione era una sola, per gli uomini e per gli dei.
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Il Cielo Tusita |
Capitolo terzo
La perfetta purezza della stirpe
Il Bodhisattva, consapevole
che il tempo del Dharma era giunto, istruisce gli dei del cielo Tuṣita. – I
figli degli dei, avendo saputo che dopo dodici anni il Bodhisattva sarebbe
entrato nel grembo di una madre, si recano in India, con l’aspetto di Brāhmaṇi,
per consultare i Veda. Essi vi trovano che il Bodhisattva sarà dotato alla
nascita di trentadue segni e sarà necessariamente un re o un Buddha. –
Attributi della regalità. I sette tesori straordinari. Avendo appreso queste
notizie, un gran numero di eremiti ascendono ai cieli fino al regno del fuoco e
ne sono consumati. – Prima di discendere dal cielo il Bodhisattva si sottopone
ai quattro grandi esami per sapere dove dovrà nascere. – I figli degli dei
vagliano allora sedici famiglie reali dell’India, ma scoprono che tutte hanno
dei difetti; interrogano il Bodhisattva, il quale elenca i segni dai quali si
riconoscerà la famiglia prescelta. – La famiglia degli Śākya soddisfa tutte le
condizioni.
Allora, o Monaci, il Bodhisattva, consapevole
che il tempo del Dharma era giunto, era uscito dal grande carro celeste e,
fermatosi nel luogo in cui sorgeva il grande palazzo Dharmōchaya [1], insegnava il Dharma agli dei Tuṣita. Poi
il Bodhisattva dopo essere entrato nel palazzo sedette sul trono chiamato il
Dharma Sublime.
Intanto anche tutti i figli degli dei che
condividono la buona sorte del Bodhisattva e dimorano nel suo stesso Veicolo [2] entrarono nel palazzo. Giunti dalle dieci
direzioni dello spazio, i Bodhisattva che seguono lo stesso stile di vita del
Bodhisattva e i figli degli dei, entrati nel palazzo mentre si ritiravano le
schiere di Apsarā e gli dei di rango inferiore e formando una assemblea unita
in un unico pensiero di profondo raccoglimento, in numero di sessantottomila
koti di persone sedettero, così come si conviene, ognuno sul proprio seggio.
In quel momento, o Monaci, fu detto: tra
dodici anni il Bodhisattva entrerà nel grembo di una madre.
Intanto i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika,
che si erano recati nella terra di Jambu e avevano dissimulato la loro divina
bellezza sotto l’abito dei Brāhmaṇi, sfogliavano i Veda e i Brāhmaṇa. Quale che
sia l’aspetto di colui che entrerà nel grembo di una madre, egli sarà dotato
dei trentadue segni del grande essere [3]. Colui che li
possiede avrà davanti a sé nella vita due sole possibilità, non tre [4].
Se rimarrà nella propria dimora diverrà un
re Cakravartin, capo vittorioso di un esercito composto da quattro armate, in
unità col Dharma, re del Dharma, possessore dei sette tesori [5]: il tesoro della ruota, il tesoro
dell’elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro della moglie, il tesoro della
gemma, il tesoro del ministro e, settimo, il tesoro del consigliere.
In che modo il re Cakravartin è in possesso del
tesoro della ruota?
Al re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto
la consacrazione regale, che ha lavato il proprio capo il quindicesimo giorno
della luna, dedicato alle pratiche devozionali [6], che ha osservato
il digiuno e si è recato sulle terrazze del palazzo accompagnato dal seguito
delle proprie donne, il tesoro della ruota divina appare verso oriente con
mille raggi, una circonferenza e un centro, tutto d’oro, non fabbricato da
alcun artigiano, alto come sette alberi tāla [7].
Il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto
la consacrazione regale, avendo visto nella sua interezza la preziosa ruota
divina, così riflette: ho appreso che al re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto
la consacrazione regale, che ha lavato il proprio capo il quindicesimo giorno
della luna, dedicato alle pratiche devozionali, che ha osservato il digiuno e
si è recato sulle terrazze del palazzo accompagnato dalle donne della propria
casa, il tesoro della ruota divina appare verso oriente, ed è per questo che
egli sarà un re Cakravartin. Poiché la preziosa ruota divina è apparsa a me, so
che sono un autentico re Cakravartin. Possa io quindi comprendere il divino
tesoro della ruota! Poi, dopo aver gettato il mantello sulla spalla e posato a
terra il ginocchio destro, che il re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la
consacrazione regale, faccia girare con la mano destra la ruota divina dicendo:
o venerabile e divino tesoro della ruota, gira in armonia con il Dharma, e non
in opposizione al Dharma!
Intanto la ruota divina, messa in moto dal
re Kṣatriya la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, avanza facendo
sorgere delle apparizioni nel cielo d’oriente. Il re Cakravartin vien dietro
con il suo possente esercito composto di quattro armate; e in tutti i luoghi
della terra in cui la ruota divina si ferma, il re Kṣatriya si ferma con il suo
esercito. E tutti i sovrani dell’oriente, tenendo una coppa d’argento piena di
polvere d’oro o una coppa d’oro piena di polvere d’argento, si alzano davanti
al re Cakravartin dicendo: Signore, qui siete il benvenuto. Signore, degnatevi
di avvicinarvi. Signore, dimorate qui, in questo regno che cresce, che è
felice, prospero, piacevole, con molti abitanti, fittamente popolato; è una
vostra conquista, Signore, vi appartiene.
Dopo che gli sono state rivolte queste
parole, il re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, così
risponde ai re locali: Fate sì che ognuno dei vostri regni agisca in conformità
con il Dharma e non contro il Dharma. Non uccidete esseri viventi; non prendete
nulla che non vi sia stato offerto; fate sì che il desiderio non vi faccia
commettere adulterio; non mentite; di modo che la mia conquista non generi
nulla in opposizione al Dharma e che voi non siate indulgenti verso coloro che
agiscono contro il Dharma.
Dopo averli così esortati, il re Kṣatriya,
la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, dimora come conquistatore
delle terre orientali e, avendole sottomesse, entra nell’oceano orientale;
entratovi, lo attraversa, quindi avanza nel cielo fino alle regioni
meridionali, tra manifestazioni sovrannaturali. Il re Cakravartin continua ad
avanzare, seguito dal suo possente esercito di quattro armate, e nello stesso
modo sottomette la regione del sud. E poi, come quella del sud, quelle di
ponente e del nord; dopo la completa conquista del nord, entra nell’oceano
settentrionale, lo attraversa e passando nel cielo grazie a trasformazioni
sovrannaturali ritorna alla sua capitale e si ferma al di sopra degli appartamenti
femminili, senza essere affatto stanco.
È in questo modo che il re Kṣatriya, la
cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, possiede il tesoro della ruota.
In che modo il re Cakravartin, la cui
fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro dell’elefante?
Il possesso del tesoro dell’elefante per il
re Cakravartin, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato
come già si è detto. Esso è tutto bianco, ben saldo su sette membra; la sommità
della testa è adorna d’oro, ha uno stendardo d’oro, è coperto da un manto d’oro
e avvolto da una rete d’oro; possiede una forza sovrannaturale; attraversa i
cieli e conosce bene la legge delle trasformazioni. Perciò questo re degli
elefanti si chiama Bodhi (Saggezza).
Quando il re Kṣatriya, la cui fronte ha
ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio di sperimentare il tesoro
dell’elefante gli sale sul dorso all’alba, attraversa in ogni parte la grande
terra circondata e delimitata dall’oceano e dopo essere ritornato alla capitale
riassume con gioia il proprio ruolo.
È in questo modo che il re Cakravartin, la
cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro
dell’elefante.
In che modo il re Cakravartin, la cui
fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro del
cavallo?
Il possesso del tesoro del cavallo per il
re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come
già si è detto. Esso è grigio con la testa nera e la criniera intrecciata; è docile
quando viene montato, ha uno stendardo d’oro, un manto d’oro ed è avvolto da
una rete d’oro; possiede poteri sovrannaturali; attraversa i cieli e conosce la
legge delle trasformazioni. Perciò questo re dei cavalli si chiama Balōhaka (Velocità
delle nubi).
Quando il re Kṣatriya, la cui fronte ha
ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio di provare il tesoro del
cavallo, lo monta all’alba, attraversa in ogni parte la grande terra circondata
e delimitata dall’oceano; poi, dopo essere ritornato alla capitale riassume con
gioia il proprio ruolo.
È in questo modo che il re Cakravartin è
in possesso del tesoro del cavallo.
In qual modo il re Cakravartin possiede il
tesoro della gemma?
Il possesso del tesoro della gemma per il
re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come
già si è detto. Essa è pura, completamente blu, con le otto sfaccettature del
lapislazzuli, fatta per costituire un bell’ornamento. Per il fulgore del tesoro
della gemma, tutto il padiglione delle donne è ricolmo di luce. E quando il re
Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, sente il desiderio
di provare il tesoro della gemma, a mezzanotte, immerso nelle tenebre, dopo
aver attaccato il tesoro della gemma sulla cima di uno stendardo esce per
osservare la bella terra del parco regale. A causa dello sfavillio della gemma
l’intero esercito composto da quattro armate è illuminato fino alla distanza di
uno yojana [8]. Gli uomini che
si trovano nel raggio del tesoro della gemma, illuminati dalla sua luce, si
vedono gli uni con gli altri, si riconoscono tra loro e si dicono
vicendevolmente: Amici, alzatevi, date inizio alle attività, mettete in mostra
le vostre merci; vediamo bene che il sole si è ormai levato.
È così che il re Kṣatriya, la cui fronte
ha ricevuto la consacrazione regale, possiede il tesoro della gemma.
In qual modo il re Cakravartin, la cui
fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro della
moglie?
Il possesso del tesoro della moglie per il
re Kṣatriya, la cui fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è generato come
già si è detto. Ella è una donna onorevole, nata da stirpe Kṣatriya; non troppo
alta né troppo piccola, non troppo formosa né troppo magra; non troppo chiara
né troppo scura; molto bella, gentile, piacevole a vedersi, con un bel colorito
e perfettamente proporzionata. La sua pelle emana una profumo di sandalo; la
sua bocca esala il profumo del loto blu. È dolce al tocco come un abito di
Kāchilindi. Quando il clima è freddo le sue membra sono calde al tatto, quando
fa caldo esse sono fresche. All’infuori che per il re Cakravartin, ella non
prova desiderio per un altro uomo né con il pensiero né, a maggior ragione, con
il corpo.
È così che il re Cakravartin possiede il
tesoro della moglie.
In qual modo il re Cakravartin, la cui
fronte ha ricevuto la consacrazione regale, è in possesso del tesoro del
ministro?
Per il re Kṣatriya, la cui fronte ha
ricevuto la consacrazione regale, il possesso del tesoro del ministro è
generato come già si è detto. Costui è sapiente, illuminato, prudente. Possiede
una vista divina, e con essa vede fino alla distanza di uno yojana i tesori
nascosti che hanno un proprietario e quelli che non ne hanno, e con questi
(ultimi) adempie ai propri doveri per il bene del re Cakravartin.
È così che il re Cakravartin possiede il
tesoro del ministro.
In qual modo il re Cakravartin è in
possesso del tesoro del consigliere militare?
Per il re Cakravartin il possesso del
tesoro del consigliere militare è generato come già si è detto. Egli è saggio,
illuminato, prudente; e non appena il re manifesta il proprio pensiero egli
appronta un esercito così come deve essere fatto.
È così che il re Cakravartin possiede il
tesoro del consigliere militare.
È così che egli possiede i sette tesori; e
con i mille figli che ha generato, eroici, coraggiosi, di grande bellezza,
vincitori degli eserciti nemici, egli dimora nella grande terra circondata
dall’oceano, da lui ben governata in armonia con il Dharma, senza fare uso di
punizioni né della forza.
Se invece il Bodhisattva esce dalla sua
dimora e va errando come un monaco, senza un luogo dove posare il capo [9], diverrà un Buddha; e dopo aver rigettato
i desideri nati dalle passioni sarà, senza che alcuno gli sia di guida, il
maestro degli dei e degli uomini.
Intanto, i figli degli dei che si erano
recati nella terra di Jambu esortavano i Pratyekabuddha con queste parole:
Venerabili, preparate il campo del Buddha [10]; tra dodici anni
il Bodhisattva entrerà nel grembo di una madre.
In quello stesso tempo, o Monaci, nella
grande città di Rājagṛha [11], sul monte Gōlangulaparivartana, viveva un Pratyekabuddha
chiamato Mātaṇga. Avendo udito tale novella, egli restò immobile come fango su
una roccia. Poi si innalzò in cielo fino all’altezza di sette alberi tāla ed
essendo entrato nella regione del fuoco, come una fiaccola ormai estinta entrò
nel Nirvāna definitivo. La sua bile, il flegma, i muscoli, i nervi, le ossa, la
carne e il sangue, tutto scomparve, completamente consumato dal fuoco; solo le
pure reliquie ricaddero a terra, e sono ancora oggi riconoscibili le orme del Ṛṣi
[12].
In quello stesso
tempo, o Monaci, nei dintorni di Vārāṇasī (Benares), nel Mrīgadāva, [13] a
Ṛṣipatana, cinquecento Pratyekabuddha che vi dimoravano, avendo udito tale
novella, si innalzarono nei cieli fino all’altezza di sette alberi tāla ed
avendo raggiunto la regione del fuoco, come fiaccole ormai estinte entrarono
nel Nirvāna definitivo. La loro bile, il flegma, i muscoli, i nervi, le ossa,
la carne e il sangue, tutto scomparve, completamente consumato dal fuoco; solo
le pure reliquie ricaddero a terra. E poiché i Ṛṣi erano così ricaduti, da
allora quel luogo è chiamato Ṛṣipatana; inoltre da quel giorno le gazzelle
vivono ancora colà in assoluta sicurezza, e per questo è anche detto Mrīgadāva.
Intanto, o
Monaci, mentre dimorava nel cielo divino di Tuṣita il Bodhisattva praticò
quattro grandi contemplazioni. Quali sono, queste quattro? La contemplazione
del tempo, dei continenti, dei paesi, delle famiglie [14].
Per quale
motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione del tempo?
(Perché) un Bodhisattva non entra nel grembo di una madre all’inizio
dell’evoluzione del mondo, quando gli esseri senzienti non sono ancora apparsi.
Ma quando il mondo si è interamente manifestato e sono comparse la vecchiaia,
la malattia e la morte, allora il Bodhisattva entra nel grembo di una madre.
Per quale
motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione dei continenti?
(Perché) i Bodhisattva non nascono in un continente di barbari; non nascono nel
Pūrvavideha, nè nell’Aparagodānīya né
nell’Uttarakuru, ma nascono certamente nel Jambudvīpa [15].
Per quale
motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione dei paesi?
(Perché) i Bodhisattva non vengono alla luce nei paesi dei barbari, nei quali
vivono popoli di uomini in preda alle oscurazioni mentali, ignoranti; incapaci
di parlare come i caproni e di distinguere i buoni dai cattivi insegnamenti; i
Bodhisattva nascono invece nel paese di mezzo.
Per quale
motivo, o Monaci, il Bodhisattva praticava la contemplazione delle famiglie?
(Perché) i Bodhisattva non nascono in una famiglia indegna, in quella di un caṇḍāla
[16], di un musico, di un carraio o di un servitore. Essi vengono alla luce
certamente in due sole famiglie, quella dei Brāhmaṇi e quella degli Kṣatriya.
Quando la famiglia dei Brāhmaṇi è rispettata, essi nascono in questa; quando è
la famiglia Kṣatriya ad essere rispettata, nascono al suo interno. Oggi, o
Monaci, la famiglia degli Kṣatriya è degna di rispetto, per cui i Bodhisattva è
lì che nascono. Sostenendosi sulla forza di questo ragionamento il Bodhisattva
mentre dimorava nel cielo divino di Tuṣita praticava le quattro grandi
contemplazioni; quando ebbe terminato rimase in silenzio.
Allora i figli
degli dei e i Bodhisattva si domandarono l’un l’altro: In quale eccelsa
famiglia nascerà il Bodhisattva? Nel grembo di quale madre entrerà?
Alcuni dissero:
La famiglia Vaideha, nel Magadha, che ha prosperato ed ha visto accrescere il
proprio benessere, è quella più idonea affinché il Bodhisattva vi entri e
dimori nel grembo di una madre.
Altri risposero: Non è adatta. Per quale
motivo? Perché non è pura da parte di madre né di padre; è comparsa nel mondo a
causa di piccoli meriti, e non per effetto di abbondanti meriti; è incivile,
incostante, instabile; vive in un territorio sabbioso dove non vi sono né giardini
nè laghi né stagni; la sua città è posta su pareti rocciose, come una città di
barbari. Quindi non va bene.
Alcuni altri dissero: La famiglia Kōśala,
che possiede un numeroso seguito, molti carri e grandi ricchezze, ecco quella
che è adatta affinché il Bodhisattva vi
entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri ancora replicarono: Nemmeno questa è
adatta, perché la famiglia Kōśala proviene dalla stirpe dei Mātaṇga [17]. Non
è pura da parte di madre né di padre, e favorisce le persone di basso livello.
Non è una famiglia di alto rango, in possesso di beni, di diamanti e di
innumerevoli tesori di ogni tipo; quindi non va bene.
Alcuni dissero: La famiglia del re Vatsa,
che ha accresciuto le proprie ricchezze, è la migliore affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri
controbatterono: Non è adatta nemmeno questa, perché la famiglia del re Vatsa è
volgare, violenta, non risplende di alcuna nobiltà. Ha le sue origini presso
genti straniere, non è cresciuta grazie ai meriti delle azioni del padre e
della madre; il re parla costantemente di guerra. Nemmeno questa è adatta.
Alcuni
affermarono: La grande città di Vaiśālī [18], ricca
ed estesa, felice per la sua prosperità, deliziosa, animata da abitanti che vi dimorano
in gran numero, abbellita da terrazze, porticati, colonne, oeils-de-boeuf, sale
estive, padiglioni, palazzi; addobbata ovunque con ghirlande di fiori dei suoi
giardini e dei suoi boschetti, simile alla città dove vivono gli dei: è proprio
quella più appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di
una madre.
Altri
replicarono: Non è adatta, perché le persone non parlano tra loro in maniera
conveniente; non viene onorato il Dharma; non vi sono rispettati né gli uomini
di rango superiore, né gli adulti né gli anziani né i capi. Ognuno pensa in
cuor suo: Io sono re! E così pensando, nessuno accetta la propria condizione di
discepolo né l’autorità del Dharma. Quindi nemmeno questa è idonea.
Qualcuno disse:
Nella città di Ujjain, la famiglia Pradyōta, che possiede un potente esercito e
grandi carri, che ha sconfitto il nemico schierato per la battaglia, è la più
appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Altri
controbatterono: Non è adatta nemmeno questa, perché gli abitanti sono
violenti, avventati, crudeli, impetuosi, irascibili e non si curano delle
conseguenze delle loro azioni. Non è conveniente che il Bodhisattva vi entri e
vi dimori nel grembo di una madre.
Alcuni
proposero: La città di Matura [19] è ricca,
vasta, fiorente e abitata in ogni sua parte da una numerosa popolazione; il
palazzo del re Subāhu, capo di un valoroso esercito, è adatto affinché il
Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Ma altri
risposero: Non va bene neanche questa, perché il re è nato in una famiglia
nella quale le false visioni si trasmettono da una generazione all’altra e
regna su genti simili a barbari. Non è conveniente che un Bodhisattva giunto
alla sua ultima rinascita faccia parte di una famiglia che ha false visioni.
Quindi neanche questa va bene.
Qualcuno disse:
Nella città di Hastināpur vive la famiglia di un re che discende dalla stirpe
dei Pāṇḍava, potenti eroi di grande bellezza, vincitori degli eserciti nemici;
è una famiglia adatta affinché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di
una madre.
E altri
obiettarono: Non è adatta, perché coloro che sono nati nella famiglia dei Pāṇḍava
hanno creato molta confusione nella loro genealogia: Yudhiṣṭhira è detto figlio
di Dharma, Bhīmasēna figlio di Vāyu, Arjuna figlio di Indra, i gemelli Nakula e
Sahadeva figli degli dei Aśvin [20]. Si
tratta quindi di una famiglia di cui non è bene che il Bodhisattva entri a far
parte dimorando nel grembo di una madre.
Alcuni proposero:
La città di Mithilā, nella quale prosperano il benessere e la gioia, una terra
abitata dal re Sumitra, che possiede elefanti, cavalli, grandi eserciti, e oro
in abbondanza, argento, perle, diamanti, lapislazzuli, conchiglie, cristalli,
coralli, oro nativo, beni ed attrezzi di ogni tipo; temibile a causa della sua
invincibile armata di re e di consiglieri militari, vincitore dei nemici,
circondato da amici, in armonia con il Dharma – è questa la famiglia più
appropriata perché il Bodhisattva vi entri e dimori nel grembo di una madre.
Ed altri
replicarono: Non è appropriata, perché il re Sumitra, che invero possiede tali
qualità, è così anziano che non è in grado di generare un figlio; inoltre ha
già molti figli, quindi non è una famiglia idonea a che il Bodhisattva vi entri
e dimori nel grembo di una madre.
In questo modo i
Bodhisattva e gli dei dopo aver passato in rassegna le più eccelse tra le
maggiori famiglie regali che dimoravano nei sedici grandi regni di Jambudvīpa,
videro infine che tutte, quali che fossero, avevano dei difetti.
Mentre essi
riflettevano, il figlio di un dio chiamato Jñānakētudhvaja, irremovibile nella
ricerca del Risveglio e fermamente stabilito nel Grande Veicolo, così si
rivolse alla vasta assemblea dei Bodhisattva e degli dei: Venite, amici.
Rechiamoci presso il Bodhisattva in persona e chiediamogli in quale eccellente
famiglia, dotata di ogni sorta di qualità, colui che è giunto alla sua ultima
esistenza sarà generato.
Ben detto! Ben
detto! dissero. E tutti, con le mani rispettosamente giunte, recatisi presso il
Bodhisattva, lo interrogarono: O Sublime! [21] In quale eccellente famiglia, dotata di ogni sorta di qualità, colui che
è giunto alla sua ultima esistenza sarà generato?
Rivolgendosi
alla grande assemblea di Bodhisattva e di dei il Bodhisattva disse: Amici, la
famiglia nella quale il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza rinascerà
è dotata di sessantaquattro qualità. Quali sono le sessantaquattro qualità?
Eccole: la famiglia è molto nota; non punisce coloro che non sono malvagi;
appartiene ad una classe elevata, ad un nobile lignaggio; si è realizzata
grazie ai Grandi Esseri del passato; si è realizzata grazie ai Nobili Grandi
Esseri; si è realizzata grazie ai Grandi Esseri che si sono distinti; si è
realizzata grazie ai Grandi Esseri famosi per il loro grande potere. In questa
famiglia vi sono molte donne e molti uomini; essa non conosce paure, non è
umiliata né prostrata; non è ambiziosa; ha purezza di costumi; possiede la
saggezza; è tenuta in alta considerazione dai suoi consiglieri; si dedica ad
utili attività; fruisce con gioia dei propri beni; coltiva amicizie durevoli;
risparmia la vita degli esseri rinati in forma animale; questa famiglia è
riconoscente, non agisce secondo i propri desideri; non agisce sulla base del
piacere, dell’ignoranza o della paura; essa è senza timore ed è irreprensibile;
non dimora nell’ignoranza; elargisce abbondanti offerte; è incline all’azione,
all’abnegazione, al dono; tiene in alta considerazione le azioni risolute.
Possiede stabilmente una grande energia, la forma superiore dell’energia
eroica; essa onora i Ṛṣi, le divinità, i chaitya [22], gli antenati; non è schiava delle inimicizie; il suo nome è conosciuto
nelle dieci direzioni dello spazio; possiede un grande seguito che non può
essere diviso, un seguito che nulla può sorpassare; è la migliore delle
famiglie, la più rispettata; ha ottenuto la suprema autorevolezza che spetta ad
una famiglia; è nota per la grandezza del suo potere; è rispettosa del padre e
della madre; rende onore agli Śramaṇa e ai Brāhmaṇi. Possiede grandi quantità
di cereali e di oggetti preziosi; è proprietaria di abbondanti ricchezze, di
oro, diamanti, perle, lapislazzuli, cristalli, corallo, oro nativo, argento,
beni ed attrezzi di ogni tipo; possiede molti elefanti, cavalli, cammelli, buoi
e montoni; ha un gran numero di operai e di schiavi di ambo i sessi; è una
famiglia insuperabile: tutte le sue azioni hanno avuto buon esito; è nata dalla
stirpe dei re Cakravartin; questa famiglia è il frutto delle radici piantate in
un passato virtuoso. È stata generata da una stirpe di Bodhisattva; è una
famiglia libera da tutte le impurità che provengono dalla nascita in tutti i
mondi degli dei, dei demoni e di Brahmā, nella comunità degli Śramaṇa e dei
Brāhmaṇi.
Così, o amici,
la famiglia nella quale nasce un Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza è
dotata dei sessantaquattro segni [23].
O amici, la
donna nel cui grembo discende il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza
possiede trentadue qualità. Quali sono le trentadue qualità? Eccole.
Il Bodhisattva
giunto alla sua ultima esistenza discende nel grembo di una donna conosciuta da
tutti e nota per le sue qualità; ella non trascura alcun dovere; appartiene ad
un lignaggio perfetto, ad una famiglia perfetta; è di grande bellezza; possiede
un nome eccellente e una figura di perfette proporzioni; non ha ancora avuto
figli; ha purezza di costumi; possiede grande abnegazione, un viso sorridente,
è generosa nell’accoglienza; è saggia, sottomessa, priva di timore, ha grande
esperienza; è colta, schietta, spontanea; non conosce invidia, gelosia,
leggerezza e infedeltà; non è troppo loquace; è paziente, forte, modesta, riservata;
non è passionale, non prova né avversione né turbamenti; non ha i difetti
tipici delle donne; è devota al marito e possiede ogni tipo di buone qualità.
È nel grembo di
una donna siffatta che il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza dovrà
discendere. O amici, la donna nel cui grembo il Bodhisattva giunto alla sua
ultima esistenza possiede questi trentadue tipi di qualità. Inoltre, o amici,
il Bodhisattva non discende nel grembo di una madre durante la quindicina
oscura, ma in quella luminosa, il quindicesimo giorno, il giorno della luna
piena, durante la congiunzione con Puṣya [24]. In quel
giorno il Bodhisattva giunto alla sua ultima esistenza entra nel grembo di una
madre dedita alle pratiche religiose.
I Bodhisattva e
i figli degli dei che nel frattempo avevano appreso dal Bodhisattva in cosa
consistesse la purezza perfetta della famiglia e della madre, pensarono: quale
può essere la sola famiglia dotata delle qualità indicate dal Sublime? E dopo
aver riflettuto ed aver dimorato nello stato meditativo dissero tra loro: La
città degli Śākya è prospera, grande, felice, ricca, deliziosa; è abitata
ovunque da una numerosa popolazione. Il re Śuddhodana è di stirpe pura da parte
di madre come da parte di padre; ha una moglie pura, e il suo agire è puro; è
perfetto e molto saggio; risplende per i suoi meriti; è nato in una famiglia
illustre, che ha origine da una stirpe di re Cakravartin; possiede ricchezze,
tesori e beni incommensurabili di ogni specie; crede nel karma e non ha visioni
erronee. In tutto il territorio degli Śākya è l’unico re che sia onorato e
rispettato dai capi dei mercanti, dai ministri, dai consiglieri e da tutti
coloro che compongono il suo seguito. È aggraziato e di bell’aspetto; non
troppo anziano né troppo giovane; il suo corpo è dotato di ogni buona qualità.
Conosce i cerimoniali, conosce la verità, conosce il mondo e i segni. Re del
Dharma, governa secondo il Dharma. La grande città di Kapilavastu [25] è la dimora di esseri che generano la radice della virtù; tutti coloro
che vi sono nati condividono una parte delle qualità del loro re. La sposa del
re Śuddhodana è Māyādevī, figlia del re Śākya Suprabuddha; ella è giovane, nel
fiore degli anni, di perfetta bellezza. Non ha ancora avuto figli, né maschi né
femmine. È bella come un raffinato dipinto, simile ad una dea riccamente
adorna, priva di difetti e sincera. Mai aspra né scostante. Mai distratta,
sempre impeccabile. La sua voce è come quella del cuculo [26], non è mai ciarliera, dice parole dolci e piacevoli; ha veramente
abbandonato la collera, l’orgoglio, l’arroganza, la passione, la violenza; non
prova invidia, parla al momento giusto; pratica il dono in modo perfetto; è
virtuosa, felice del suo sposo e a lui devota; non rivolge mai il suo pensiero
ad altri uomini. Il suo viso, il naso, le orecchie, tutto è ben proporzionato; i
suoi capelli hanno il bel colore delle api nere. Ha una fronte alta, e belle
sopracciglia mai aggrottate. Il suo viso è sorridente, ed ella parla in maniera
appropriata, le sue parole sono dolci e misurate. Accoglie con grazia, è
corretta, schietta, spontanea, franca, modesta e riservata; mai rude né
superficiale, non pronuncia parole ingiuriose o insensate. Non è preda di
passioni, di avversione né di turbamenti; è dolce e paziente. I suoi piedi, le
mani, gli occhi sono ben curati, mani e piedi delicati. Ella è dolce al tatto
come una veste di Kāchilindi. Come una foglia novella del loto blu il suo
sguardo è perfettamente puro. Il suo naso, dalla bella forma, ha un gradevole
colorito. Le braccia sono forti e si incurvano come un arcobaleno; le sue
membra sono ben sviluppate e di forma perfetta in ogni loro parte. Le labbra
sono rosse come il frutto Bimba [27]: ella
affascina chi la guarda. Il suo collo è perfettamente simmetrico, adorno di
splendide collane; i denti sono puri come fiori di gelsomino. Le spalle sono
proporzionate e le sue braccia vi si uniscono con grazia; il ventre ha la
curvatura di un arco, i fianchi sono perfetti, l’ombelico profondo, le anche
dolcemente sviluppate, sode e tornite. È forte come il diamante, tutto il suo
corpo è senza eguale. Le cosce ben proporzionate sono come la proboscide di un
elefante, le gambe simili a quella di un’antilope Ēnaya. Le palme delle mani e
le piante dei piedi somigliano ad una lacca rosea. Ella è piacevole alla vista
per tutti gli esseri; i suoi occhi sono privi di difetti. Incanta il cuore e
gli occhi, è tra le donne come una perla che si distingue per la perfezione
della sua bellezza. Nessuna le è pari; e poiché il suo corpo pare il frutto di
una illusione, le è stato attribuito il significativo nome di Māyā [28]. Esperta in ogni arte, simile ad una Apsarā nel Nandana [29], ella dimora negli appartamenti delle donne del grande re Śuddhodana. È
in lei che si trovano riunite tutte le qualità necessarie per divenire la madre
del Bodhisattva.
Questo significa
perfetta purezza della famiglia, così come è descritta dal Bodhisattva, e si
manifesta proprio nella famiglia degli Śākya.
E qui così è
detto:
1. Nel palazzo Dharmōchaya l’Essere Puro siede sul
trono del Sublime Dharma. Il Ṛṣi è circondato dagli dei che condividono la sua
buona sorte e dai Bodhisattva dalla grande reputazione.
2. Mentre Egli era colà seduto, sorse un pensiero:
Qual è la famiglia di perfetta purezza e saggezza, idonea quindi perché il
Bodhisattva vi possa nascere? E dove sono una madre e un padre con qualità
ugualmente pure?
3. E ancora, osservando attentamente il continente
Jambu: qual è un grande Kṣatriya di stirpe regale? Poi, vedendo che tutti
avevano difetti, hanno trovato che solo la famiglia degli Śākya ne era
priva.
4. Śuddhodana, nato in una famiglia di re,
appartiene ad una stirpe di uomini superiori, ad un lignaggio di perfetta
purezza; la sua famiglia è felice e prospera senza generare conflitti, è onorata
da coloro che sono virtuosi e rispetta il Dharma.
5. Nella città di Kapila anche gli altri esseri
hanno menti rette e pure. Abbellito da parchi, giardini e vihāra [30], il luogo natio del Bodhisattva risplende nella città di Kapila.
6. Tutti coloro che vi rivestono un ruolo di grande
rilevanza possiedono la forza di due o tre elefanti. Eccellono nel tiro con
l’arco, e tuttavia non colpiscono altri esseri nemmeno per proteggere la
propria vita.
7. L’incantevole moglie di Śuddhodana è la prima tra
mille, poiché ha raggiunto la perfezione. Ella rapisce il cuore, come fosse
frutto di magia, ed il suo nome è proprio Māyādevī.
8. La sua bellezza è perfetta come quella di una
giovane figlia degli dei; il suo corpo è di perfette proporzioni, le sue membra
sono prive di ogni difetto.
9. Nessun dio o essere umano può saziarsi della
vista di Māyā. Ella non è travolta dall’attaccamento né offuscata
dall’avversione; è amorevole, dolce, giusta e si esprime con bontà.
10. Modesta e casta, ella segue il Dharma. Non
conosce orgoglio, presunzione, superficialità; è schietta e spontanea; prova
gioia nella rinuncia, ed ha pensieri di benevolenza.
11. Conosce le leggi del karma, ha abbandonato la
menzogna e dimora costantemente nella verità; corpo e mente sono perfettamente
controllati. Degli innumerevoli difetti delle donne così diffusi su tutta la
terra in lei non vi è traccia.
12. Nei mondi degli dei, dei Gandharva e degli
uomini non vi è donna pari a lei. Come vi può essere chi le sia superiore? Ecco
ciò che è opportuno per divenire madre del grande Ṛṣi.
13. Nel corso di cinquecento rinascite, senza alcuna
eccezione, è stata madre del Bodhisattva e ovunque Śuddhodana ne è stato il
padre. Ella possiede quindi tutte le qualità grazie alle quali può esserne la
madre.
14. Come un asceta ella dimora impassibile nelle
austerità e praticandole è costantemente in armonia con il Dharma. Con il
consenso del re, ha ottenuto la grazia di rinunciare al desiderio per trentadue
mesi.
15. Ovunque si trovi, in piedi, seduta, distesa sul
suo giaciglio, la sua postura risplende, illuminata dal fulgore delle sue
azioni virtuose.
16. Non esiste un dio, un Asura o un uomo che possa
guardarla generando pensieri di desiderio. Gli esseri che seguono i sentieri
virtuosi e sono dotati delle qualità più nobili, tutti vedono in lei una madre
o una figlia.
17. A seguito delle azioni virtuose di Māyādevī, la
grande famiglia del re fiorisce. Egli non invade le terre dei re vicini, e
pertanto la sua fama e la sua gloria si accrescono.
18. Così come Māyā è summum vas [31], ugualmente il Venerabile risplende sovrano. Si potranno così vedere due
esseri dotati delle supreme qualità: il figlio e sua madre Māyā.
19. Infatti in tutto il Jambudvīpa non vi è donna
degna di portare nel grembo il più nobile degli uomini, tranne la regina dalle
qualità senza eguali e dalla forza di mille elefanti.
20. è
in questo modo che i magnanimi figli degli dei, insieme con i Bodhisattva che
hanno realizzato la grande saggezza, lodano Māyā, che possiede ogni buona
qualità e che è degna di essere la madre del figlio della stirpe Śākya.
Capitolo
intitolato: La perfetta purezza della stirpe, il terzo.
NdT
[1] Alla lettera, il centro del Dharma.
[2] Il Bodhisattvayāna, che è il Grande Veicolo (Mahāyāna) per eccellenza.
[3] I trentadue marchi maggiori del corpo di un Budda: ad es. piedi e
mani contrassegnati da una ruota, dita affusolate, peli diritti, pelle dorata,
spalle larghe, occhi blu… Cfr. il Dizionario del Buddhismo, pag. 79.
[4] Diverrà o un re o un Buddha.
[5] Un re Cakravartin (il sovrano della
ruota, monarca universale) è dotato di sette tesori (in sanscrito sapta rājāyaratna), emblemi particolari
dalle straordinarie qualità.
[6] Posadha, o uposatha,
giorni del mese lunare dedicati al digiuno o, nel buddhismo, a incontri
particolari dei monaci, alla recitazione dei voti e alla pratica della
confessione.
[7] Un tipo di palma.
[8] Unità di misura pari ad una
distanza che varia, a seconda dei testi, da 6 a 16 km.
[9] Traduco con un voluto riferimento
evangelico (Luca 9, 58: Le volpi hanno delle
tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove
posare il capo) il francese sans
asile, senza rifugio. Nella tradizione del Buddhismo Zen moderno, il
maestro Kodo Sawaki (1880-1965) era chiamato Yadonashi, il senza dimora.
[10] Buddhakṣetra, i regni creati dai Buddha per accogliervi gli esseri
senzienti e facilitare la loro liberazione. Cfr. il Dizionario del Buddhismo,
pag. 92.
[11] Capitale del regno del Magadha,
nell’India centrale. Vi si svolse il primo concilio. Nei dintorni si trova il
Picco dell’Avvoltoio, dove il Buddha diede il secondo giro della Ruota del
Dharma e rilasciò gli insegnamenti della Prajnāpāramitā.
[12] Termine sanscrito (leggasi: rishi) che indica il veggente, un modello ideale per coloro
che seguono la via spirituale.
[13] Il Parco delle Gazzelle (o dei
Daini) di Sārnāth, nel quale il Buddha tenne il sermone sulle Quattro
Nobili Verità, poco dopo il Risveglio.
[14] Tempo, continente, paese,
famiglia, in cui sarebbe nato.
[15] I continenti che si trovano
rispettivamente ad est, ovest, nord e sud del monte Meru (o Sumeru), il monte
d’oro che costituisce l’axis mundi e
su cui precipita la Gaṅgā celeste, per poi dividersi nei quattro fiumi
terrestri.
[16] I paria, o dalit, alla lettera
oppressi, ma più noti come
intoccabili, fuori-casta. Gandhi li chiamava Harijan, figli di Dio.
[17] Fuori-casta.
[18] Capitale del Licchavi, una delle prime repubbliche dell’antica
India (VI secolo a.C.).
[19] O Muttra, a sud
di Nuova Delhi, sul fiume Yamuna.
[20] I fratelli Pāṇḍava sono i protagonisti del maggior poema
epico indiano, il Mahābhārata. Sono
figli di Pāṇḍu e delle sue mogli Kuntī (i primi tre) e Mādrī (gli altri due).
Essi sono altresì considerati figli degli dei citati nel testo (Dharma,
personificazione della Legge cosmica, di ciò che sostiene l’universo – Vāyu,
dio del vento – Indra, primo tra gli dei – gli Aśvin, divinità gemelle
identificate con Castore e Polluce). Una sorta di “doppia paternità”, quindi,
che porta ad una genealogia non bene identificabile.
[21] Traduco con O Sublime il testo
francese Excellent Pourucha, che mantiene
non tradotto il termine sanscrito Puruṣa,
uomo, maschio, o anche genere umano.
Si tratta di una figura cosmogonica, il principio creativo, il maschio
primordiale che racchiude in sé l’universo e rappresenta la totalità. Il che
non va ovviamente inteso nel senso che il Buddha sia un dio creatore!
La versione inglese traduce con Sublime Being (si veda: https://aryanthought.files.wordpress.com/2014/05/lalitavistara-sutra.pdf).
[22] Sale dedicate al culto, scavate direttamente nella roccia.
[23] Seguendo la traduzione francese del testo tibetano di Pauthie e Brunet
nonché la traduzione inglese sopra citata, ho collegato il periodo in tutti i mondi degli dei, dei demoni…
con il precedente, dove si parla delle impurità della nascita, anziché, come fa
De Foucaux, con il successivo.
[24] Un asterismo – ovvero un gruppo di stelle, una costellazione o una parte
di essa – particolarmente importante nel sistema astrologico indiano. Nel sito http://planet.racine.ra.it/
si legge che Pushya, il Fiore, raffigurato da una luna crescente
sulla punta di una freccia, è la residenza della divinità vedica Brihaspati, il
Signore della Preghiera, maestro
degli dei.
[25] Oggi una città del Nepal, con 27mila abitanti.
[26] L’uccello qui citato è il kōkila,
il koel comune (Eudynamys scolopaceus), un cuculo tipico dell’Asia meridionale.
[27] Il frutto del vitigno tropicale Coccinia grandis, noto come
zucca edera o baby anguria.
[28] Māyā, in sanscrito illusione, potere miracoloso di
generare ciò che è in contrasto con la norma (da cui magia), è anche il
nome della dea (devi) che ne è la personificazione.
[29] Il giardino del dio Indra.
[30] In origine abitazioni e luoghi messi a disposizione del Buddha e della
comunità per i ritiri della stagione delle piogge, poi, per estensione, i
monasteri buddhisti. La regione indiana del Bihār trae il suo nome dal termine vihāra.
[31] De Foucaux riporta l’espressione vase convenable (dove vase
è vaso, ovviamente nel senso di grembo, seno, ventre), che traduco con il
latino summum vas per richiamare volutamente le Litanie Lauretane
dedicate alla Vergine Maria, una figura archetipica della Madre non così
lontana da quella di Māyādevī.
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La Ruota del Dharma |
Capitolo quarto
Luminose porte del Dharma
Dopo
aver identificato la famiglia nella quale nascerà, il Bodhisattva continua ad
insegnare il Dharma agli dei. – Un incommensurabile numero di Bodhisattva
giunti dalle dieci direzioni dello spazio e divenuti visibili agli dei grazie
alla benedizione del Bodhisattva. – Le centootto porte del Dharma insegnate ai
figli degli dei dal Bodhisattva. Frutti che molti di essi ricavano dagli
insegnamenti. – Ultime raccomandazioni del Bodhisattva agli dei. Egli li esorta
a seguirle per giungere insieme con lui alla liberazione finale.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva dopo aver
esaminato attentamente quale fosse la famiglia nella quale sarebbe nato sedette
nel grande palazzo chiamato Uccadvhvaja, nel regno di Tuṣita, esteso per
sessantaquattro yojana, e lì insegnò il Dharma agli dei Tuṣita. Il Bodhisattva
salì nel grande palazzo dopodiché invitò tutti gli dei Tuṣitakāyika: Riunitevi
tutti, e ascolterete dalla bocca del Bodhisattva, quale ultimo insegnamento da
ricordare, ciò che è chiamato Śhyutyākāraprayōga (La cerimonia della discesa).
Così egli parlò, ed avendo udito le sue parole tutti i figli degli dei Tuṣitakāyika
e un gran numero di Apsarā si riunirono nel palazzo.
Da quel luogo il Bodhisattva impartì la
benedizione sugli elementi del vasto mondo, composto dai quattro continenti, fino
al suo estremo confine.
Il mondo ne risultò così bello, così
gradevole a vedersi, così adorno, così delizioso, che tutti gli dei Kāmavachara
e i figli degli dei Rūpavachara guardando le proprie dimore ebbero
l’impressione di trovarsi in un campo di cremazione.
Il Bodhisattva sedette su un trono
completamente adorno grazie alla compiuta maturazione dei suoi meriti: il trono
era incastonato di molte pietre preziose, ornato da una composizione di
innumerevoli fiori, impregnato di profumi celestiali e delle più pure essenze,
adorno di fragranti fiori divini dei più diversi colori, scintillante dello
splendore di tante migliaia di gioielli, ricoperto da intrecci guarniti di
pietre preziose e risonanti per le numerose campanelle che li decorano, facendo
udire il suono di diverse centinaia di migliaia di campane preziose, ricoperto
da centinaia di migliaia di reti preziose, riparato da molte centinaia di
migliaia di pregiati parasole, ricoperto da centinaia di migliaia di frange e
di tele di seta, lodato da ogni parte dai canti e dai suoni di innumerevoli
Apsarā, lodato per centinaia di migliaia di buone qualità, custodito da schiere
di Guardiani del mondo; onorato da innumerevoli Brahmā, sostenuto da
incalcolabili Bodhisattva, oggetto di pensieri senza fine da parte di molte
centinaia di migliaia di niyuta di koti di Buddha nelle dieci direzioni dello
spazio; generato dalla perfetta maturazione dei meriti trascendenti accumulati
durante infiniti niyuta di koti di Kalpa.
In tal modo, o Monaci, il Bodhisattva assiso
sul trono dotato di cotante qualità si rivolse a quella grande assemblea di
dei: Guardate, amici, il corpo del Bodhisattva compiutamente adorno dei segni
di cento meriti. Guardate a levante, a ponente, al nord, in basso, in alto, in
ogni dove, nelle dieci direzioni dello spazio – guardate i Bodhisattva, in
numero tale da andare al di là di ogni calcolo, i quali, nel cielo di Tuṣita,
prossimi alla loro ultima esistenza, circondati da schiere di dei, quale
manifestazione della discesa da Tuṣita, insegnano con chiarezza la porta del
Dharma [1].
Tutta l’assemblea degli dei grazie alla
benedizione del Bodhisattva poté vedere i Bodhisattva e avendoli visti,
rivoltasi verso il Bodhisattva e avendolo salutato giungendo le mani, lo adorò
mediante la prosternazione delle cinque membra [2]
e pronunciò rispettosamente queste parole: Meraviglioso! La benedizione del
Bodhisattva è inafferrabile per il pensiero, poiché non appena abbiamo rivolto
lo sguardo abbiamo visto i Bodhisattva!
Ed egli rivolgendosi nuovamente alla
grande assemblea degli dei disse loro: Perciò dunque, amici, ascoltate, quale
manifestazione della discesa (da Tuṣita) che delizia le divinità, l’insegnamento
delle porte luminose del Dharma, che i Bodhisattva rilasciano agli dei; esso è
composto da centootto porte [3],
ed è sempre spiegato dai Bodhisattva all’assemblea degli dei al tempo della
discesa. Quali sono le centootto porte? Sono queste:
1. La fede, amici, è una porta luminosa
del Dharma; essa conduce ad una motivazione incrollabile.
2. La serenità è una porta luminosa del
Dharma; essa conduce la mente offuscata ad uno stato di calma.
3. Ciò che genera la gioia è una porta
luminosa del Dharma; esso porta alla perfezione (del corpo).
4. L’accontentamento è una porta luminosa
del Dharma; esso genera la purezza della mente.
5. Il controllo del corpo [4] è una porta
luminosa del Dharma; esso conduce alla purificazione delle tre azioni non
virtuose del corpo.
6. Il controllo della parola è una porta
luminosa del Dharma; esso porta al completo abbandono delle quattro azioni non
virtuose della parola.
7.Il controllo della mente è una porta
luminosa del Dharma; esso porta al completo abbandono delle tre azioni non
virtuose della mente [5].
8. Il ricordo del Buddha è una porta
luminosa del Dharma; esso genera la pura percezione del Buddha.
9. Il ricordo del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; esso genera la pura comprensione del Dharma.
10. Il ricordo della Comunità dei
praticanti [6] è
una porta luminosa del Dharma; esso porta a non trasgredire le regole.
11. Il ricordo della rinuncia è una porta
luminosa del Dharma; esso conduce al completo abbandono di ogni fenomeno
composto [7].
12. Il ricordo della condotta virtuosa è
una porta luminosa del Dharma; esso conduce al perfetto compimento delle aspirazioni.
13. Il ricordo delle divinità è una porta
luminosa del Dharma; esso genera la stabilità della mente.
14. La gentilezza è una porta luminosa del
Dharma; essa porta al di là dei meriti generati dalle azioni virtuose
provenienti dai fenomeni composti.
15. La compassione è una porta luminosa
del Dharma; essa genera la non-violenza.
16. La gioia è una porta luminosa del
Dharma; essa porta alla scomparsa di ogni dispiacere.
17. L’equanimità è una porta luminosa del
Dharma; essa conduce al disprezzo nei confronti del desiderio.
18. La meditazione sull’impermanenza è una
porta luminosa del Dharma; essa porta a superare l’attaccamento verso gli
oggetti del desiderio, abbiano essi o meno una forma.
19. La meditazione sulla sofferenza è una
porta luminosa del Dharma; essa conduce alla soppressione delle erronee
motivazioni.
20. La meditazione sul non-Sé è una porta
luminosa del Dharma; essa porta a superare l’attaccamento alla falsa nozione
del Sé.
21. La meditazione sulla pace è una porta
luminosa del Dharma; essa genera l’estinzione della fiamma della passione.
22. L’umiltà è una porta luminosa del
Dharma; essa porta alla pace interiore.
23. La modestia è una porta luminosa del
Dharma; essa porta alla pace interiore.
24. La verità è una porta luminosa del
Dharma; essa conduce a non ingannare né gli dei né gli uomini.
25. L’autenticità è una porta luminosa del
Dharma; essa conduce a non ingannare se stessi.
26. La pratica del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; essa porta a prendere rifugio nel Dharma.
27. La presa di rifugio nei Tre Gioielli è
una porta luminosa del Dharma; essa porta all’abbandono delle vie errate.
28. La riconoscenza è una porta luminosa
del Dharma; essa porta a non distruggere la radice delle azioni virtuose.
29. La conoscenza degli effetti delle
azioni è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’apprezzamento degli
altri.
30. La conoscenza di sé è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce a non lodare se stessi.
31. La conoscenza degli esseri senzienti è
una porta luminosa del Dharma; essa porta a non biasimare gli altri.
32. La conoscenza del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; essa genera lo zelo verso il Dharma e ciò che dal Dharma
deriva.
33. La conoscenza del tempo è una porta
luminosa del Dharma; essa genera la corretta visione di ciò che è veramente
importante.
34. L’abbandono dell’orgoglio è una porta
luminosa del Dharma; esso conduce alla perfetta conoscenza.
35. Il pensiero privo di avversione è una
porta luminosa del Dharma; esso porta ad aver cura di sé e degli altri.
36. L’abbandono della collera è una porta
luminosa del Dharma; esso permette di essere liberi dal rimpianto.
37. Il rispetto è una porta luminosa del
Dharma; esso conduce ad una totale assenza di dubbio.
38. La discriminazione di ciò che non è
virtuoso è una porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono delle scelte
fondate sul desiderio.
39. L’assenza di malvagità è una porta
luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono delle scelte fondate sulla
malvagità.
40. L’assenza di agitazione mentale è una
porta luminosa del Dharma; essa porta alla scomparsa di ogni forma di
ignoranza.
41. La ricerca del significato del Dharma è
una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla presa di rifugio nel
significato del Dharma.
42. Il desiderio del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; esso porta ad ottenere la luce del Dharma.
43. L’indagine su ciò che è stato rivelato
è una porta luminosa del Dharma; essa conduce fin dall’inizio ad uno studio
attento del Dharma.
44. La corretta pratica è una porta
luminosa del Dharma; essa genera la corretta comprensione.
45. La completa conoscenza di nome-e-forma
[8] è
una porta luminosa del Dharma; essa conduce al superamento di ogni
attaccamento.
46. La corretta visione delle cause è una
porta luminosa del Dharma; essa genera la definitiva liberazione attraverso la
conoscenza.
47. L’abbandono del veleno dell’avversione
è una porta luminosa del Dharma; esso genera una mente non giudicante.
48. La conoscenza concreta degli aggregati
[9] è
una porta luminosa del Dharma; essa produce la perfetta conoscenza della natura
della sofferenza.
49. L’uguaglianza degli elementi è una
porta luminosa del Dharma; essa conduce all’abbandono di tutto ciò che è
causato.
50. Il ritrarsi dagli organi dei sensi [10] è
una porta luminosa del Dharma; esso genera la comprensione della Via.
51. La pazienza verso ciò che non è nato è
una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla realizzazione della cessazione
delle nascite.
52. L’attenzione rivolta al corpo è una
porta luminosa del Dharma; essa porta a distaccarsi dal corpo.
53. L’attenzione rivolta alle sensazioni è
una porta luminosa del Dharma; essa porta alla cessazione delle sensazioni [11].
54. L’attenzione rivolta alla mente è una
porta luminosa del Dharma; essa genera la comprensione di ciò che nella mente è
illusorio.
55. L’attenzione rivolta agli oggetti
mentali è una porta luminosa del Dharma; essa genera la saggezza priva di
oscurazioni.
56. I quattro abbandoni completi sono una
porta luminosa del Dharma; essi conducono all’abbandono di ogni qualità non
virtuosa e al compimento di ogni qualità virtuosa.
57. I quattro fondamenti dei poteri
miracolosi sono una porta luminosa del Dharma; essi generano la leggerezza del
corpo e della mente.
58. La facoltà della fede è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce a non dipendere dalla guida degli altri.
59. La facoltà dell’energia è una porta
luminosa del Dharma; essa genera una profonda saggezza.
60. La facoltà dell’attenzione è una porta
luminosa del Dharma; essa genera la produzione di azioni virtuose.
61. La facoltà del raccoglimento è una
porta luminosa del Dharma; essa porta alla completa liberazione della mente.
62. La facoltà della saggezza è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce alla superiore conoscenza discriminante.
63. La forza della fede [12]
è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a trascendere la forza del demone
[13].
64. La forza dell’energia è una porta
luminosa del Dharma; essa permette di non regredire.
65. La forza dell’attenzione è una porta
luminosa del Dharma; essa porta a non distrarsi dalla verità.
66. La forza del raccoglimento è una porta
luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono di ogni incertezza.
67. La forza della saggezza è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce all’assenza di illusioni.
68. L’attenzione, che è uno dei sette
fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa genera la
comprensione del Dharma così come esso è.
69. L’esame profondo della dottrina, che è
uno dei sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; esso
conduce al compimento di tutti gli insegnamenti.
70. La perseveranza, che è uno dei sette
fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa genera la
suprema intelligenza.
71. La gioia, che è uno dei sette fattori
dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa produce il perfetto
assorbimento meditativo.
72. La padronanza di sé, che è uno dei
sette fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa conduce
al compimento delle proprie azioni.
73. Il raccoglimento, che è uno dei sette
fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; esso genera il
riconoscimento dell’uguaglianza di tutti i fenomeni.
74. L’equanimità, che è uno dei sette
fattori dell’Illuminazione, è una porta luminosa del Dharma; essa produce
l’avversione nei confronti di ogni rinascita.
75. Il retto punto di vista è una porta
luminosa del Dharma; esso non permette di trasgredire le regole.
76. Il retto pensiero è una porta luminosa
del Dharma; esso genera l’abbandono di ogni incertezza, dubbio, indecisione.
77. La retta parola è una porta luminosa
del Dharma; essa conduce a comprendere che ogni sillaba, ogni parola, ogni
discorso sono simili ad un’eco [14].
78. La retta azione è una porta luminosa
del Dharma; essa evita la maturazione degli effetti delle azioni negative.
79. I retti mezzi di esistenza sono una
porta luminosa del Dharma; essi generano la cessazione di ogni desiderio.
80. Il retto sforzo è una porta luminosa
del Dharma; esso conduce all’approdo sull’altra sponda.
81. La retta attenzione è una porta
luminosa del Dharma; essa libera dagli oscuramenti che la ostacolano.
82. La retta meditazione profonda è una porta
luminosa del Dharma; essa produce il perfetto raccoglimento di una mente
imperturbabile.
83. Il pensiero della suprema saggezza [15]
è una porta luminosa del Dharma; esso genera la continuità del lignaggio dei
Tre Gioielli.
84. La motivazione è una porta luminosa
del Dharma; essa conduce a non desiderare di seguire il Piccolo Veicolo [16].
85. La motivazione di ordine superiore è
una porta luminosa del Dharma; essa genera la chiara visione del Buddhadharma.
86. L’impegno è una porta luminosa del
Dharma; esso conduce alla perfetta realizzazione di tutte le azioni virtuose.
87. La perfezione della generosità è una
porta luminosa del Dharma; essa genera la completa purezza dei marchi maggiori,
dei segni minori e delle Terre dei Buddha – e la perfetta maturazione di ogni
essere avido [17].
88. La perfezione dell’etica è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce al superamento di ogni turbamento e di ogni
via erronea, e alla completa maturazione degli esseri che compiono azioni
malvagie.
89. La perfezione della pazienza è una
porta luminosa del Dharma; essa conduce al completo abbandono della malvagità,
della malizia, dell’avversione, dell’orgoglio e della superbia, nonché alla
completa maturazione degli esseri con motivazioni negative.
90. La perfezione dell’energia [18] è
una porta luminosa del Dharma; essa genera le radici di ogni azione virtuosa e
la perfetta maturazione degli esseri che cedono alla pigrizia.
91. La perfezione della concentrazione [19] è
una porta luminosa del Dharma; essa genera ogni forma di conoscenza superiore e
porta alla totale maturazione gli esseri la cui mente è soggetta alla
distrazione.
92. La perfezione della saggezza è una
porta luminosa del Dharma; essa genera l’abbandono dell’ignoranza,
dell’oscuramento mentale, delle tenebre e delle false apparenze, nonché la
completa maturazione degli esseri che hanno visioni erronee.
93. L’abilità dei mezzi [20]
è una porta luminosa del Dharma; essa conduce al corretto insegnamento della
Via in accordo con le necessità e le capacità degli esseri senzienti e alla
pratica di tutti gli insegnamenti del Buddha.
94. I quattro soggetti d’unione [21]
sono una porta luminosa del Dharma; essi conducono a riunire insieme gli esseri
senzienti e, dopo l’ottenimento della perfetta comprensione, alla chiara
visione di tutti gli insegnamenti.
95. La completa maturazione degli esseri
senzienti è una porta luminosa del Dharma; essa conduce a non limitarsi alla
propria felicità e genera una condizione priva di sofferenza.
96. La comprensione del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce all’abbandono di tutte le afflizioni degli
esseri senzienti.
97. L’accumulazione dei meriti è una porta
luminosa del Dharma; essa genera il sostentamento di tutti gli esseri.
98. L’accumulazione della saggezza è una
porta luminosa del Dharma; essa conduce all’acquisizione dei dieci poteri [22].
99. L’accumulazione della calma è una
porta luminosa del Dharma; essa porta al conseguimento della concentrazione di
un Tathāgata.
100. L’accumulazione della visione interiore
è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’acquisizione dell’occhio
della saggezza.
101. L’entrata nella consapevolezza
luminosa e discriminante è una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’ottenimento
dell’occhio del Dharma.
102. L’entrata in ciò che è affidabile è
una porta luminosa del Dharma; essa conduce all’ottenimento dell’occhio del Buddha.
103. L’acquisizione delle formule magiche [23] è
una porta luminosa del Dharma; essa genera il ricordo di tutti gli insegnamenti
del Buddha.
104. L’acquisizione dello zelo è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce a far gioire tutti gli esseri offrendo loro
insegnamenti.
105. L’accettazione del Dharma è una porta
luminosa del Dharma; essa conduce ad armonizzarsi con tutti gli aspetti del
Buddhadharma.
106. L’accettazione del Dharma non ancora
sorto è una porta luminosa del Dharma; essa conduce ad ottenere il compimento
di tutte le profezie.
107. La terra da cui non si ritorna [in
questo mondo] è una porta luminosa del Dharma; essa porta al perfetto
compimento di tutti i Dharma del Buddha.
108a. La saggezza
dell’evoluzione da una terra all’altra è una porta luminosa del Dharma; essa
genera l’ottenimento dell’onniscienza.
109b. La terra
dell’emancipazione è una porta luminosa del Dharma; essa conduce alla discesa
nel grembo di una madre, alla nascita, all’ingresso nel mondo, alla pratica
dell’ascetismo, al cammino verso il luogo del Risveglio, alla sconfitta del
demone, alla messa in movimento della Ruota del Dharma e alla manifestazione
del Parinirvāna, la perfetta Liberazione.
Ecco, o amici, l’elenco delle centootto
porte del Dharma [24]
che
vengono infallibilmente insegnate dal Bodhisattva all’assemblea degli dei quando
è giunto il tempo della sua discesa dal cielo Tuṣita.
Inoltre, o Monaci, mentre il capitolo
sulle porte del Dharma veniva insegnato nell’assemblea degli dei
ottantaquattromila figli degli dei generarono la mente della suprema saggezza;
trentaduemila figli degli dei che avevano in precedenza compiuto azioni pure
acquisirono l’accettazione dei Dharma non ancora generati; trentasei milioni di
figli degli dei ottennero la purezza dell’occhio del Dharma, privo di
afflizioni e di oscurazioni; e tutta la dimora di Tuṣita fu cosparsa di fiori
divini fino all’altezza del ginocchio.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva, con
grande gioia dell’assemblea degli dei, pronunciò in quel tempo questi Gāthā:
1.
Nel momento in cui la Guida, il Leone degli uomini, discende dal cielo di Tuṣita,
così egli parla agli dei: Abbandonate ogni accecamento!
2.
O beati, tutte le gioie divine concepite dalla mente, quali che siano,
sopraggiungono a causa delle azioni virtuose. Imparate a riconoscere i frutti
delle azioni virtuose.
3.
Perciò siate riconoscenti; non ricadete nuovamente laddove si trovano erronee
visioni, infelicità e sofferenza, perché avete qui esaurito i meriti accumulati
delle azioni virtuose compiute in passato.
4.
Applicatevi nella pratica del Dharma che avete ascoltato dalla mia bocca avendo
generato rispetto, e otterrete una felicità stabile, senza fine.
5.
I desideri sono tutti impermanenti, mutevoli, non duraturi; simili ad un sogno,
ad un effetto di magia, ad un miraggio; privi di stabilità come un lampo o una
bolla sull’acqua!
6.
E non crediate di provare sazietà per il piacere generato dalle qualità degli
oggetti del desiderio: è come se beveste acqua salata. I saggi, gli uomini
virtuosi al di sopra del mondo e privi di passioni, costoro giungono alla
soddisfazione.
7.
La compagnia delle Apsarā, il conversare con esse, i luoghi dove si sta tutti
insieme, dove ci si ritrova seguendo il proprio desiderio, tutto ciò è come un
balletto; e in questa compagnia non vi sono amici né sodali né vera unione,
8.
tranne che per colui che compie azioni virtuose; egli attira gli altri verso di
sé, essi si mettono alla sua sequela, e allora tutti sono in armonia e generano
pensieri di gentilezza gli uni verso gli altri.
9.
Si segua la pratica del Dharma; coloro che praticano correttamente non sono
preda della sofferenza. Si riporti la mente al Buddha, al Dharma e al Saṅgha, e
all’attenzione.
10.
Rallegratevi nello studio, nella disciplina e nella generosità; praticate la
pazienza e lo sforzo eroico. Il dolore è impermanente ed è privo di un sé.
Investigate con attenzione questi fenomeni a partire dalla loro origine.
11.
La loro esistenza è prodotta da cause e condizioni, non originano da se stessi,
sono vacuità. Tutto ciò che vedete in me in quanto potere sovrannaturale,
saggezza e onniscienza,
12.
tutto questo è prodotto da azioni meritorie: l’etica, lo studio, la
consapevolezza. Istruite voi stessi attraverso la mia etica, il mio studio, la
mia consapevolezza;
13.
attraverso la generosità, il dominio di sé, il controllo dei sensi, avendo
presenti gli altri, per essere loro di aiuto, per compassione nei loro
confronti. Non è con le parole, i discorsi o le emissioni sonore che gli
insegnamenti virtuosi possono essere acquisiti.
14.
Cominciate subito a praticare e così come parlate, nello stesso modo agite. Non
perdete l’opportunità per seguire gli altri; fate da voi stessi il giusto
sforzo con energia.
15.
Poiché ogni persona, dopo aver agito, non riceve alcun dono; tuttavia, senza
aver agito non si ottiene nulla. Ricordate la sofferenza che in altri tempi,
nella ruota delle rinascite, voi stessi avete provato per lungo tempo.
16.
L’assenza di sofferenza che risulta dalla liberazione definitiva non è
conseguita attraverso una pratica erronea. Per questo, dopo aver trovato del
tempo, un maestro spirituale [25],
una dimora idonea
17.
e un perfetto insegnamento del Dharma, pacificate gli attaccamenti che derivano
dalle afflizioni. Liberatevi dall’orgoglio, dalla presunzione e dall’arroganza,
e impegnatevi nella ricerca della Via per eccellenza, costantemente attenti
all’onestà e alla gentilezza,
18.
privi di malvagità, interamente dediti al cammino verso il Nirvāṇa; distruggete
con il lume della saggezza le tenebre impure dell’ignoranza.
19.
Squarciate con la folgore della saggezza la rete degli errori a cui segue il
pentimento. Per quale motivo dovrei parlare ancora del Dharma ricolmo di
benefici?
20.
Non rimanete laddove vi è trasgressione del Dharma; quando la Saggezza suprema
sarà da me conseguita e farà cadere la pioggia del Dharma che conduce
all’immortalità,
21.
di nuovo e ancora, avendo purificato la mente, venite e ascoltate l’autentico
Dharma.
Capitolo intitolato: Luminose porte
del Dharma, il quarto.
NdT
[1] Già nei
capitoli precedenti, De Foucaux usa sempre loi,
alla lettera: legge, per tradurre
quello che nel testo sanscrito è certamente Dharma (pali: Dhamma, tibetano chos,
cinese: fa, giapponese: hō). Ritengo però preferibile non
tradurre con Legge, anche se con
l’iniziale maiuscola, e proporre il termine sanscrito così com’è, tranne in
alcuni casi per evitare eccessive ripetizioni. Qui Dharma indica comunque sempre l’insegnamento del Buddha e la Via
per conseguire il Risveglio. In realtà i significati del termine sono
molteplici. Si veda per questo Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, alla voce:
dharma, pag. 157 e segg.
[2] I cinque
punti di contatto del corpo con il terreno (ginocchia, mani e fronte)
simboleggiano l’offerta dei cinque aggregati impuri (gli skandha, che costituiscono tutti i fenomeni composti. Nell’uomo
sono: corpo, sensazioni, percezioni, formazioni karmiche, coscienza) e la loro
purificazione. Cfr. Dizionario del Buddhismo, pag. 411.
[3] Numero
simbolico che si presta a diverse interpretazioni (è multiplo di 3 e di 4: 33
x 4 = 108). Il rosario buddhista (mala)
è composto da 108 grani.
[4] Il testo
francese riporta ai punti 5, 6 e 7 il termine répression, che traduco con controllo
proprio per evitare una visione coercitiva nei confronti di corpo, parola e
mente che non appartiene alla tradizione buddhista.
[5] Le azioni non virtuose di corpo, parola e
mente (De Foucaux parla di péchés,
non traducibile con peccati in
un’ottica buddhista) sono rispettivamente: uccidere, rubare, avere una
sessualità scorretta – mentire, calunniare, proferire parole che feriscono,
compiacersi in chiacchiere – invidiare, provare malevolenza, avere punti di
vista erronei).
[6] Buddha,
Dharma e Saṅgha, i Tre Gioielli, o Tre Tesori, oggetto della Presa di Rifugio.
[7] Con fenomeno composto (nel testo francese agrégat) viene tradotto da de Foucaux il
termine sanscrito upādhi (che indica piuttosto
un sostrato, un terreno, una base,
come il corpo lo è per la mente).
[8] Nāma-Rūpa, nome-e-forma, mente-e-corpo,
il quarto dei 12 anelli della produzione condizionata. Nāma è anche il nome collettivo con cui si designa l’insieme dei
quattro skanda del mentale – vedi
nota 2.
[9] Aggregati (nel testo francese supports) traduce il sanscrito skanda, come generalmente avviene nella
maggior parte dei testi sul buddhismo. Skanda
designa un gruppo, un assemblaggio di parti.
[10] Negli Yogasūtra di Patañjali si parla di pratyāhāra (il quinto degli otto rami
dello Yoga classico), ovvero del ritrarsi della mente dagli oggetti dei sensi,
il che porta al completo controllo sui sensi stessi. Cfr. I.K. Taimni, La
scienza dello Yoga – Commento agli yogasūtra di Patañjali, Ed.
Ubaldini, pag. 246 e segg.
[11] A partire
dal n. 52, e fino al n. 82, l’elenco descrive i trentasette ausiliari dell’Illuminazione, ovvero i fattori
necessari per conseguire l’Illuminazione. Essi sono: le quattro attenzioni
ravvicinate (52-55), i quattro
abbandoni completi (56), i quattro
fondamenti dei poteri miracolosi (o quattro membra miracolose - 57), le cinque facoltà o poteri (58-62), le cinque forze o capacità (63-67), i sette rami dell’Illuminazione (68-74) e
l’ottuplice sentiero (75-82) esposto
dal Buddha nella Quarta Nobile Verità.
Per quanto
concerne il n. 55, entrambe le versioni francesi riportano (come oggetto della mémoire, dell’attenzione), il termine loi,
che è evidentemente la traduzione di Dharma
= Legge, ovvero insegnamento del
Buddha (si veda la nota 1). Ma dharma
in sanscrito ha molti significati, tra cui fenomeni,
oggetti fisici e mentali, ciò che è prodotto da una causa ed è conoscibile. In
questo caso viene spesso usato con l’iniziale minuscola e al plurale, i dharma. La versione inglese riporta
infatti la traduzione phenomena, i
fenomeni. Per tali motivi ho scelto la traduzione oggetti mentali, anziché Dharma, insegnamenti, che non sarebbe coerente
con il contesto. Cfr. Dizionario del Buddhismo, alla voce trentasette ausiliari dell’Illuminazione,
pag. 695 e segg.
[12] Sono le
cinque facoltà precedenti (da 58 a 62), sviluppate in modo tale da
neutralizzare gli ostacoli che impediscono la piena comprensione delle Quattro Nobili Verità.
[13] Māra,
dalla radice mṛi, morte. Il Maligno, il dio del Regno del
desiderio. È colui che tentò il Buddha, proponendogli il conseguimento di
obiettivi mondani.
[14] Seguo qui
la traduzione inglese del testo. La versione francese recita invece: La retta parola…conduce a comprendere
l’uguaglianza di ogni sillaba, di ogni discorso, di ogni via della parola o dell’eco.
Il significato può avvicinarsi a quello della versione inglese, se si intende
che la natura ultima di ogni parola e in generale di ogni suono è la vacuità.
[15] La
versione inglese traduce con the mind of
awakening, la mente del Risveglio,
in sanscrito Bodhicitta.
[16] La
tradizione Hīnayāna, contrapposta qui a quella Mahāyāna.
[17] Dal n. 87
al n. 92 l’elenco riporta le sei pāramitā,
le perfezioni, le virtù trascendenti
praticate dai Bodhisattva (dāna, śila, kṣānti,
vīrya, dhyāna, prajñā).
[18] Detta
anche impegno o sforzo entusiastico, perseveranza. In sanscrito è vīrya, dalla cui radice derivano il
termine latino vir e l’italiano
virilità, virile.
[19] La
perfezione della concentrazione è detta dhyāna-pāramitā
o anche samādhi-pāramitā. Dal
sanscrito dhyāna (genericamente:
meditazione, concentrazione) deriva il termine cinese ch’an(na) e
successivamente il giapponese zen(na).
[20] Upāyakauśalapāramitā, la perfezione nell’abilità dei mezzi, la
capacità del Bodhisattva di guidare gli esseri verso la liberazione utilizzando
tutti i metodi (upāya) a
disposizione.
[21] Catuḥsaṃgrahavastu, le quattro attrattive per radunare i discepoli:
la generosità, le parole gradevoli, gli insegnamenti calibrati sulle necessità
del discepolo, una condotta conforme al Dharma. Cfr. Dizionario del Buddhismo,
pag. 482.
[22] Daśabala, i dieci poteri dei Buddha, ovvero conoscere: ciò che è o non è
fondato, i risultati del karma, le aspirazioni degli esseri, i loro
temperamenti, le loro capacità intellettive, tutte le vie, le concentrazioni
meditative, le esistenze anteriori, la morte e la rinascita degli esseri, come
si consegue l’estinzione delle oscurazioni. Cfr. Dizionario del Buddhismo,
pag. 81.
[23] Dhāranī, invocazioni alla recitazione
delle quali sono attribuiti poteri magici. Alla lettera, sostenitori (di idee, visioni ecc. nella mente del meditante).
[24] Sia nelle
versioni francesi sia in quella inglese il testo parla ripetutamente di
centootto porte del Dharma. Ma in
tutte le traduzioni l’elenco riporta 109 punti. Nella versione di De Foucaux
gli ultimi due punti sono contrassegnati in apice dalle lettere a e b, come se
si trattasse in realtà (è una possibile spiegazione) di una unica porta del Dharma sotto due aspetti
diversi, essendo la Terra del Risveglio quella che conclude l’evoluzione da una
Terra all’altra.
È inoltre
da dire, rifacendosi al significato del mala
buddhista (v. nota 3), che i grani di cui è composto sono sì 108, ma ad essi si
aggiunge in genere un grano più grande che rappresenta uno stupa, un reliquiario, simbolo della realizzazione della vacuità.
Cfr. http://www.buddhism.it/insegnamenti/articoli/significato-simbolico-mala/.
[25] De Foucaux
riporta ami, la versione
tibetano-francese docteur, quella
inglese spiritual guide. Data
l’importanza che nel buddhismo e nella spiritualità indiana in genere è
attribuita alla figura del guru (lama in tibetano), scelgo qui la
traduzione maestro spirituale.
Capitolo quinto
La messa in movimento [1]
Vedendo
partire il Bodhisattva gli dei abbracciano i suoi piedi piangendo. – Egli li
consola dicendo che dopo di lui il Bodhisattva Maitreya insegnerà loro il
Dharma. – Conferisce a Maitreya il supremo potere e gli annuncia che sarà il
suo successore come Buddha. – Il Bodhisattva chiede sotto quale aspetto debba
entrare nel grembo di una madre. – Gli vengono proposti molti aspetti di
divinità e di esseri sovrannaturali; un dio afferma che il Veda prescrive
l’aspetto di un elefante, quindi egli lo adotta. – Otto segni appaiono nel
parco del re degli Śākya. – La regina chiede al re il permesso di dedicarsi a
pratiche ascetiche e lo prega di fare abbondanti offerte. Il re ordina di fare
tutto ciò che ella desidera. – Gli dei e i Bodhisattva si avvicinano da ogni
parte per accompagnare il Bodhisattva. – Splendore che illumina tutti i mondi
nel momento in cui il Bodhisattva comincia ad allontanarsi dal cielo Tuṣita. –
Tremore della terra. – Nessun essere prova paura né sofferenza. – Milioni di
dei sostengono il carro del Bodhisattva.
Quindi, o Monaci, il Bodhisattva dopo che
ebbe perfettamente istruito la grande assemblea degli dei con il sermone sul
Dharma, dopo che lo ebbe fatto loro comprendere perfettamente, dopo che li ebbe
esortati, rallegrati e resi pazienti, così si rivolse a quella benedetta
assemblea di divinità: O amici, io mi recherò nel Jambudvīpa. Un tempo, quando
praticavo la via del Bodhisattva, ho attirato a me gli esseri senzienti
mediante i quattro soggetti d’unione: la pratica del dono, le parole gentili, il
compimento dello scopo ultimo, la conformità dello scopo ultimo [2]. Amici, non
sarebbe per me appropriato e costituirebbe una mancanza di riconoscenza nei
loro confronti se non realizzassi la Saggezza perfetta e compiuta di un Buddha.
Tuttavia i figli degli dei Tuṣitakāyika
abbracciando i piedi del Bodhisattva e piangendo così parlarono: O Nobile
Essere, se non rimarrai qui il cielo di Tuṣita non risplenderà più.
Allora il Bodhisattva rispose alla vasta
assemblea degli dei: Costui, il Bodhisattva Maitreya, vi insegnerà il Dharma.
Quindi il Bodhisattva dopo aver tolto la corona dal proprio capo la posò sulla
testa del Bodhisattva Maitreya dicendo: Nobile Essere, sarai tu colui che dopo
di me realizzerà la Saggezza perfetta e compiuta di un Buddha.
Ma, o Monaci, dopo che il Bodhisattva ebbe
consacrato il Bodhisattva Maitreya nel meraviglioso cielo di Tuṣita, si rivolse
ancora alla grande assemblea degli dei: Sotto quale aspetto, Amici, entrerò nel
grembo di una madre?
Allora alcuni risposero: In forma umana.
Altri dissero: Con l’aspetto di Śakra. E altri ancora: Con la forma di Brahmā.
– Con l’aspetto di un grande re. – Con l’aspetto di Vaiśravaṇa. – Con l’aspetto
di Rāhu. – Con la forma di un Gandharva. – Con quella di un Kinnara. – Con quella
di un Mahoraga. – Con l’aspetto di Maheśvara. – Con la forma di Candra. – Con
quella di Sūrya. – Con l’aspetto di un Garuḍa [3].
Allora uno dei figli degli dei del regno
di Brahmā, chiamato Ugratejā, che era stato un Ṛṣi nella sua precedente rinascita
e che dopo essere trasmigrato non si si era mai allontanato dal cammino verso
la perfetta e compiuta Saggezza, così parlò: Come è detto nei Brāhmaṇa, nei
Mantra, nei Veda e negli Śāstra, è noto sotto quale aspetto il Bodhisattva
debba entrare nel grembo di una madre. Quale è tale aspetto? Con le grandi
membra del più bell’elefante a sei zanne, coperto da una rete d’oro, molto
piacevole, con la testa rossa e le tempie umide [4],
dalle forme belle e ben proporzionate. Venendo a conoscenza di ciò, un brāhmaṇa
esperto nel significato dei Veda e degli Śāstra predirà che il nascituro
possiederà i trentadue marchi maggiori (del corpo di un Buddha).
Dunque, o Monaci, avendo meditato sul
momento della sua nascita, mentre si trovava nel meraviglioso cielo di Tuṣita
il Bodhisattva fece manifestare otto segni nella pura dimora del re Śuddhodana.
Quali sono gli otto segni? Nella dimora del re non vi furono più malerbe,
tronchi di alberi morti, piante spinose, pietrisco, sabbia, rifiuti; essa
divenne ben irrigata in ogni luogo, purificata da ogni sporcizia, senza vortici
di terra, anfratti oscuri, polvere; senza più mosche, vespe, zanzare, farfalle,
serpenti velenosi; ricoperta di fiori, ben livellata come il palmo della mano.
Questo fu il primo segno premonitore.
Stormi di uccelli che vivono su Himavat [5], il re delle
montagne – patragupta, pappagalli, ghiandaie, kokila, cigni, aironi, pavoni,
oche, kuṇāla, kalabiṅka [6],
fagiani e molti altri dalle ali variopinte, dal canto dolce e gradevole –,
discesi nella pura dimora del re Śuddhodana, si posarono [7] sulle terrazze,
sulle balaustre, sugli archi, sugli oeils-de-boeuf, sulle gallerie, sui tetti
del palazzo; e pieni di gioia svolazzarono e testimoniarono la loro felicità,
ognuno con il proprio canto. Questo fu il secondo segno premonitore.
Tutti gli alberi presenti nei giardini,
nei parchi e nei boschetti del re Śuddhodana, benché fiorissero e fruttificassero
in stagioni diverse, contemporaneamente si ricoprirono di fiori sbocciati.
Questo fu il terzo segno premonitore.
Tutti quanti gli stagni, la cui acqua era
a disposizione del re Śuddhodana, si riempirono di fiori di loto dai mille
petali, grandi come la ruota di un carro. Questo fu il quarto segno premonitore.
E tutti i generi di vivande che si
trovavano nella pura dimora del re Śuddhodana – burro chiarificato [8], olio, miele,
succo di canna, zucchero – benché usati in abbondanza non si esaurirono. Questo
fu il quinto segno premonitore.
E tutti i grandi tamburi, quelli in
terracotta e quelli in bronzo, i liuti, le arpe, i flauti, le tiorbe [9], i cimbali, tutti
gli strumenti musicali nessuno escluso, che si trovavano nei grandi
appartamenti delle donne, emisero di per se stessi, senza essere toccati, un
suono dolce e melodioso. Tale fu il sesto segno premonitore.
Tutti gli scrigni che erano custoditi
nella pura e meravigliosa dimora del re Śuddhodana e che contenevano oro,
argento, diamanti, perle, lapislazzuli, madreperla, cristalli, corallo ed ogni
tipo di tesori, tutti senza eccezione, apertisi, apparirono puri, splendenti e
completamente ricolmi. Questo fu il settimo segno premonitore.
La dimora del re fu illuminata da ogni
lato da una luce assolutamente pura, che oscurava lo splendore del sole e della
luna e generava benessere nel corpo e nella mente. Questo fu l’ottavo segno
premonitore.
Intanto Māyādevī aveva fatto un bagno,
aveva massaggiato il corpo con unguenti, aveva ricoperto le braccia con vari
ornamenti e indossato gli abiti festivi più belli e raffinati; ricolma di
soddisfazione, di gioia, di felicità, circondata e preceduta da diecimila
donne, si era avvicinata al re Śuddhodana assiso nel centro della sala dei
concerti e si era seduta alla sua destra su un trono adorno di una rete
preziosa, con il volto sorridente e non accigliato e si rivolse al re
Śuddhodana con questi versi:
1.
Ascoltatemi, grande Signore, protettore del mondo; concedetemi la grazia che io
oggi vi chiedo. Ascoltate dalla mia voce il mio intendimento, che è motivo di
gioia per il mio animo; gioite ed abbiate il cuore colmo di soddisfazione.
2.
Mi dedicherò, o Signore, a pratiche di austerità, al digiuno e alle
prosternazioni con gli otto punti del corpo, motivata dalla compassione verso
il mondo. Evitando di recare sofferenza agli esseri senzienti, con motivazioni
costantemente pure, cosicché mentre farò del bene a me stessa altrettanto farò
per gli altri.
3.
Avendo io abbandonato ogni spirito di ottenimento [10] e
messo da parte l’orgoglio e la concupiscenza, o Re, non seguirò più,
sbagliando, i desideri. Dimorando nella verità, senza malvagità né durezza, non
pronuncerò mai alcuna parola non virtuosa.
4.
Avendo abbandonato la malevolenza, la cattiveria, l’avversione, il turbamento e
l’orgoglio, lontana da ogni brama, contenta della mia sorte, agendo con
purezza, senza menzogna, senza invidia, camminerò nel sentiero delle dieci
azioni virtuose [11].
5.
O Signore degli uomini, non fate di me un oggetto di desiderio, determinata
come io sono a seguire una via di austerità. Nulla in voi, o Re, sia non meritorio;
permettetemi di seguire per lungo tempo i precetti di una condotta virtuosa e
di praticare il digiuno.
6.
O Signore degli uomini, ciò che io desidero è questo: dopo essere prontamente
entrata nelle stanze più elevate del palazzo dei cigni, costantemente
circondata dalle donne del mio seguito, riposare piacevolmente su un giaciglio
cosparso di fiori, gradevole e profumato.
7.
Non vi saranno eunuchi né giovani, e nessuna donna di aspetto volgare comparirà
alla mia presenza; non vi saranno né immagini né suoni né odori per me
sgradevoli, ma possa io percepire solo suoni dolci e melodiosi.
8.
Coloro che sono stati imprigionati e messi ai ceppi vengano liberati; tutti
coloro che sono sprovvisti di beni vengano resi ricchi. Durante tutta la
settimana, per dare gioia agli uomini, donate vesti, cibo, bevande, carri
aggiogati e bei cavalli.
9.
Cessino le dispute e le liti, non vengano dette parole dure, ma ci si rivolga
gli uni verso gli altri con spirito benevolente, con pensieri d’amore e
compassione. In tutta la città, gli uomini, le donne e i bambini gioiscano
insieme come gli dei nel Nandana [12].
10.
Nessuno, grandi o piccoli, riceva punizioni per ordine del re, né sofferenze né
minacce né percosse; guardate a tutte le creature, o Re, come ad un vostro
figlio unico, con spirito sereno, con pensieri di amore e di dolcezza.
11.
Il re, avendo ascoltato queste parole così gradevoli, disse: Che tutto questo
si compia esattamente come lo desideri. Ciò che hai deciso nel tuo spirito, la
grazia che mi chiedi io te la concedo.
12.
E il più grande dei re impartì l’ordine al proprio seguito: Sulla sommità del
palazzo più bello approntate una decorazione con un gran numero di fiori
bellissimi, profumi ed effluvi di qualità superiore, con ombrelli e bandierine,
abbellita da un filare di alberi tāla [13].
13.
Che ventimila uomini coraggiosi nel combattere e variamente armati con frecce,
lance, giavellotti e spade si dispongano nel luogo in cui si ode il verso dei
cigni e lì facciano buona guardia, affinché la regina non abbia nulla da
temere.
14.
E che la regina, circondata da donne come una figlia degli dei, dopo aver fatto
un bagno ed essere stata massaggiata con unguenti, con il corpo rivestito dagli
abiti più belli, al suono di migliaia di strumenti divini che rallegrano il
cuore, dopo essere salita [a
palazzo],
sieda come una figlia degli dei sul letto che reca gioia allo spirito, dai
piedi tempestati di vari e preziosi gioielli e completamente cosparso di fiori
variegati.
15.
E che ella riposi sul suo giaciglio, dopo aver deposto il suo diadema di pietre
preziose, come una figlia degli dei che si sia recata nel Miśraka [14].
Intanto, o Monaci, i quattro grandi re,
Śakra signore degli dei, Suyāma figlio di un dio, Santuṣita, Sunirmita,
Paranirmitavaśavartin, Sārthavāha figlio di Māra, Brahmā signore delle
creature, il Purōhita [15]
Brahmōttara, il Purōhita Subrahmā, Prabhāvyuha e Abhāsvara [16],
Maheśvara-Śuddhāvāsakāyika, Niṣṭhāgata, Akaniṣṭha [17] e molte centinaia di migliaia di divinità si erano
riunite e così parlarono tra loro: O amici, non sarebbe degno di noi e
mancheremmo di riconoscenza se lasciassimo solo il Bodhisattva. Chi tra di noi ha
il coraggio di rimanere accanto al Bodhisattva, costantemente e
incessantemente, quando scenderà (sulla terra), crescerà nel grembo (della
madre) e nascerà; quando nel corso della giovinezza si dedicherà ai
divertimenti tipici di quell’età, si recherà negli appartamenti delle donne e
osserverà i loro giochi; quando uscirà nel mondo, praticherà l’ascesi, si
avvicinerà al Bodhimaṇḍa [18],
vincerà il demone, conseguirà la Saggezza suprema e perfetta di un Buddha, farà
girare la Ruota del Dharma, fino a che entrerà nel Maha Parinirvāna – con la
motivazione di essergli d’aiuto, con una mente amorevole, benevolente,
compassionevole, empatica, pacificata? E in quel momento essi pronunciarono
questi versi:
16. Chi tra voi saprà restare vicino
all’essere dalle perfette sembianze con uno spirito costantemente ricolmo di
amore? Chi desidera incrementare lo
splendore dei propri meriti, la propria energia e la propria reputazione?
17. Colui il cui desiderio, nella città
degli dei Tridaśa [19],
è di gioire costantemente dei piaceri divini con le più belle Apsarā, stia accanto
all’Essere dal viso simile ad una luna immacolata;
18. E colui che desidera altresì essere
felice nella città degli dei, nel Miśraka, il più bello e più piacevole dei giardini,
nel quale abbondano i doni degli dei, pieno di fiori, cosparso di polvere d’oro,
costui rimanga vicino all’Essere dallo splendore senza impurità.
19. E anche colui che aspira a gioire
della compagnia delle dee in un carro meraviglioso, nel Nandana ricolmo di
foglie e fiori di māndārava, resti accanto al grande Essere.
20. Oppure, se desidera regnare sugli dei
Yāmya o essere il signore degli dei Tuṣita ed essere degno di onori da parte
del mondo intero, stia vicino a colui la cui gloria è infinita.
21. Colui che desidera godere di qualsiasi
bene la sua mente possa immaginare nella città degli dei Nirmitta o nel reame
degli dei Vaśavartin, costui si unisca all’Essere che possiede le più nobili
qualità.
22. è
il signore di Māra il demone, il suo spirito è immacolato; è giunto molto al di
là di ogni conoscenza; ha l’assoluto dominio sul desiderio, ha oltrepassato
ogni potere. Colui che possiede una corretta motivazione resti con colui che
viene in aiuto.
23. E ancora, colui il cui intendimento è
andare al di là del Reame del Desiderio [20]
e risiedere nella città di Brahmā, si unisca oggi stesso al grande Essere che
possiede lo splendore dei quattro incommensurabili [21].
24. Inoltre, chi tra gli uomini ha come obiettivo
il grande e meraviglioso potere di un re Cakravartin, resti accanto a colui che
è una miniera di gioielli, che dà sicurezza e felicità e possiede abbondanti
meriti.
25. E anche chi è un Signore della terra,
figlio della più nobile stirpe, in possesso di una grande quantità di ricchezze
e di un numeroso seguito, vincitore delle schiere dei suoi nemici, vada insieme
con colui che viene in aiuto.
26. (Colui che desidera) la bellezza, i
piaceri, il potere, la gloria e la fama, la forza e le nobili qualità, gli
insegnamenti degni di essere ricordati dopo che siano stati compresi, si ponga
al seguito del Saggio che ha la voce di Brahmā.
27. Colui che desidera la realizzazione
dei desideri divini ed umani ed ogni felicità nel Trimundio, la felicità nella
contemplazione, la felicità nella solitudine, si ponga al servizio del Signore
del Dharma.
28. Chi desidera rinunciare sia alla
passione sia all’errore ed abbandonare le afflizioni mentali [22]
si metta prontamente al seguito di colui il cui spirito è calmo, tranquillo,
perfettamente pacificato, e la cui mente è domata.
29. Che si sia un discepolo oppure no,
come i Pratyekajina [23],
per ottenere la perfetta conoscenza dell’Onnisciente e far udire con i dieci
poteri il ruggito del leone [24]
ci si rechi presso il Saggio che è un Oceano di qualità.
30. Chi desidera distruggere la via
erronea e percorrere la retta Via dagli otto sentieri che conduce
all’immortalità, resti accanto a colui che grazie alla pratica del Nobile
Ottuplice Sentiero mette fine al ciclo delle rinascite.
31. Colui che desidera onorare il Sugata,
ascoltare il Dharma del Compassionevole e conseguire altresì le qualità che
sono retaggio dell’assemblea dei fedeli, si ponga al seguito dell’Oceano di
qualità.
32. (Colui che desidera) la distruzione
della nascita, della vecchiaia e della morte e la liberazione dalla catena
delle rinascite, stia accanto al Puro Essere simile al vasto cielo
perfettamente limpido.
33. Colui che aspira ad essere desiderato,
a conquistare gli animi, ad essere amato da tutti, ad ottenere ogni qualità
fisica e spirituale e vuole liberare se stesso e gli altri, si rechi presso il
Saggio piacevole a vedersi.
34. Il saggio che desidera la moralità, la
contemplazione e la saggezza [25]
per conseguire la completa liberazione, si accosti senza indugio al Re dei medici,
che è profondo, difficile da trovare, difficile da incontrare [26].
35. Queste e molte altre qualità generano
la felicità degli esseri e la loro liberazione finale: ci si ponga quindi al
seguito del Saggio che le possiede tutte, il quale, per conseguirle, ha portato
a compimento i propri voti.
Dopo aver
ascoltato questi versi, centoottantaquattromila divinità Cātur-Mahā-Rājika,
centomila dei Trāyastriṃśa, centomila Yāma, centomila Tuṣita, centomila
Nirmānarati, centomila dei Paranirmitavaśavartin, sessantamila dei Mārakāyika
nati in tale condizione per l’effetto dei loro meriti anteriori,
sessantottomila Brahmākāyika e molte centinaia di migliaia di altre divinità,
compresi gli dei Akaniśta, si trovarono riuniti insieme. E anche molte
centinaia di migliaia di figli degli dei, a levante, a mezzogiorno, a ponente,
a settentrione, si riunirono insieme. E i più alti in grado tra loro
indirizzarono questi Gāthā alla grande assemblea di divinità:
36. Ascoltate bene queste parole, o
Signori degli dei, e come in esse si esprima in questo momento la nostra
determinazione. Dopo aver abbandonato la ricchezza e i piaceri legati ai
desideri e la suprema gioia della contemplazione, uniamoci al sublime e puro Essere.
37. Dal momento in cui discenderà nel
grembo di una madre e fino a quando vi dimorerà, rendiamo omaggi di ogni sorta
al Grande Essere, che di tali omaggi è degno; proteggendo colui che è ben
protetto dai suoi meriti, colui al quale nessun danno può essere causato da una
mente ostile.
38. Con canti e concerti dai suoni armoniosi,
celebrando le perfezioni e le qualità dell’Oceano di qualità, rendiamo felici
gli dei e gli uomini; ascoltandoli, le creature genereranno la mente di
Saggezza.
39. Ricolmeremo di fiori la dimora del re,
odorosa dei dolci effluvi dell’aloe nera; in modo che dei e uomini, avendo
percepito tali profumi, siano liberi dalle febbri, felici e privi di malattie.
40. Con i petali di māndārava, pārijāta, candra,
sucandra e sthala, freschi e brillanti, ricopriremo di fiori la città di Kapila
[27],
per onorare colui che è generato per i meriti delle sue azioni [28].
41. Fino a quando rimarrà nel grembo della
madre, senza essere contaminato dai tre veleni [29],
fino a quando colui che pone fine alla vecchiaia e alla morte non sarà nato,
fino ad allora rimarremo uniti con spirito amorevole e renderemo omaggio a
colui che possiede la suprema Saggezza.
42. Meriti abbondanti e perfettamente
acquisiti saranno quelli degli dei e degli uomini che vedranno l’Essere puro e
bagnato di acqua profumata compiere sette passi [29bis] ed
essere accolto dalle mani di Śakra e di Brahmā.
43. Fino a che compirà azioni mondane e
dimorerà negli appartamenti delle donne, e poi, quando uscirà dal palazzo
avendo completamente abbandonato la sua dignità regale, per tutto questo tempo
noi, con animo benevolente saremo insieme con colui che distrugge le afflizioni
del desiderio.
44. Fino a quando non sarà giunto al
Bodhimaṇḍa; fino al momento in cui, dopo aver fatto un cuscino di erba [30],
non avrà conseguito la suprema Saggezza avendo definitivamente sconfitto il
demone; fino a quando non sarà stato pregato da centinaia di migliaia di Brahmā
di far girare la ruota (del Dharma), noi renderemo devotamente omaggio al Sugata.
45. Fino al momento in cui, avendo
conseguito il Risveglio, egli non avrà educato centinaia di milioni di esseri
dei tremila mondi alla disciplina che conduce allo stato senza morte e non sarà
giunto al termine del Sentiero del Nirvāṇa la cui natura è pace, fino ad allora
nessuno di noi lascerà il Ṛṣi Glorioso!
Tuttavia, o
Monaci, nella mente delle figlie degli dei del reame del desiderio che avevano
visto il corpo perfetto del Bodhisattva sorse un pensiero: Quale sarà mai la
giovane donna che porterà (nel suo grembo) questo Puro Essere, il più Nobile
tra tutti? In preda alla curiosità, esse, con i loro corpi divini che incantano
i cuori, dopo aver preso quanto di più bello vi era tra gli incensieri, i
fiori, le ghirlande, gli unguenti, le lampade, le polveri profumate e gli
abiti, sostenute dalle benedizioni generate dalla maturazione dei loro meriti, lasciata
in quel momento la dimora degli dei, si recarono a Kapila, la più bella tra le
più grandi città, adorna di centomila giardini, nella dimora ricca di cigni del
re Śuddhodana, un grande palazzo simile a quello del Signore degli dei; lì
esse, indossando vesti ondeggianti, adorne dello splendore privo di macchia dei
loro meriti, con le braccia abbellite da ornamenti divini, indicando la regina
Māyādevī distesa sul suo giaciglio, rivolsero le une alle altre questi versi,
rimanendo sospese nel cielo:
46. Delle Apsarā che dimorano nella città
degli immortali e che videro la bellezza del Bodhisattva che rapisce il cuore,
questo fu il pensiero: Quale donna sarà la madre del Bodhisattva?
47. Con le mani piene di fiori e di
ghirlande, esse si appressarono alla dimora del Signore degli uomini, in preda
ad un dubbio. Recando fiori ed unguenti, avendo rispettosamente salutato con le
mani unite;
48. avvolte in vesti fluttuanti, con le
loro incantevoli forme, dopo aver porto il saluto con la mano destra e aver
osservato la regina Māyā che riposava sul suo giaciglio, dissero: Guardate bene
questa bellezza umana!
49. Noi qui dicevamo soddisfatte: è la nostra bellezza di Apsarā ciò che
più incanta i cuori, ma osservando la moglie del Signore degli uomini guardate
come scompaiono i nostri corpi divini!
50. Dotata di ogni qualità, ella è
assolutamente degna di essere la madre del più nobile tra gli uomini. Come una
pietra preziosa è posta in un bel vaso, così la regina è il vaso del dio tra
gli dei! [31]
51. Dal palmo delle mani e dalla pianta
dei piedi fino al capo, il suo corpo che rapisce il cuore supera il corpo di un
dio; gli occhi non si saziano di guardarla, poiché rallegra sempre più la mente
e l’anima!
52. Il suo bel viso e il suo corpo
brillano come la luna in cielo. E lo splendore che si diffonde dal corpo di lui
(il Bodhisattva) è come il sole senza nubi, come la luna limpida [32].
53. Come l’oro puro nella massa d’oro
nativo, così risplende la bellezza della regina. I suoi capelli, dai cui
riccioli si diffonde un dolce profumo, sono simili alla grande ape nera. I suoi
occhi sono come petali di loto; i suoi denti puri come le stelle in cielo.
54. Il suo addome è ricurvo come un arco,
i suoi fianchi ampi e torniti, e le giunture aggraziate; le cosce e i polpacci
sono simili alla proboscide dell’elefante, le ginocchia ben proporzionate.
55. Le palme delle mani e le piante dei
piedi sono lisce e rosse: è evidente che ella è una figlia degli dei e non
altro. Dopo aver così osservato la regina in tanti modi, gettato dei fiori,
girato intorno a lei per tre volte porgendole il fianco destro e lodato la
gloriosa madre del Vittorioso, esse ritornarono subito alla città degli dei.
56. Quindi i guardiani delle quattro
direzioni dello spazio, Śakra, Suyāma, Nirmitta, le schiere degli dei,
Kumbhānda, Rākṣasa, Asura, Mahoraga, Kinnara, dissero:
57. Rimanete davanti al più nobile degli
uomini; fate la guardia e proteggete il più eccelso tra gli uomini. Non
accusate alcun essere di avervi recato offesa; non fate nulla che possa nuocere
agli uomini.
58. Là, nella sublime dimora dove si trova
Māyādevī, tutti voi, insieme con le persone del suo seguito, avendo a portata
di mano archi, frecce, lance e spade, sospesi nel vasto cielo, osservate con
attenzione.
59. Consapevoli del momento della discesa
(del Bodhisattva dal cielo Tuṣita), i figli degli dei giunti al cospetto di
Māyā, felici, recando fiori e unguenti e salutandola con le mani unite,
dissero:
60. Discendi! Discendi, Signore degli
uomini! O Sublime, leone dei Maestri, oggi è giunto il momento per la tua
nobile Persona! Avendo tu generato compassione per il mondo intero, ascolta la
nostra preghiera per il dono del Dharma.
Quindi, o Monaci,
al momento della discesa del Bodhisattva, dalla regione dell’est molte
centinaia di migliaia di Bodhisattva, tutti vincolati ad una sola rinascita,
che dimoravano nel sublime cielo di Tuṣita, si recarono nel luogo in cui si
trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio. Nello stesso modo da ognuna delle
dieci direzioni dello spazio molte centinaia di migliaia di Bodhisattva, tutti
vincolati ad una sola rinascita, che dimoravano nel sublime cielo di Tuṣita, si
recarono nel luogo in cui si trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio.
Dalle dimore degli dei Cāturmahārājakāyika ottantaquattromila centinaia di
migliaia di Apsarā, come pure fecero altrettante migliaia di Apsarā dalle
dimore degli dei Trayastrinca, Yama, Tuṣita, Nirmāṇarati e Paranirmitavaśavartin,
con canti e suoni di strumenti di ogni tipo si recarono nel luogo in cui si
trovava il Bodhisattva per rendergli omaggio.
Intanto il
Bodhisattva, seduto sul trono Śrīgarbha [33]
generato dai suoi meriti, di fronte a tutti gli dei e i Nāga nel palazzo a più
piani, accompagnato dai Bodhisattva, dagli dei, dai Nāga, dagli Yakṣa a
centinaia di milioni, dai quali era circondato e preceduto, cominciò ad
allontanarsi dalla dimora di Tuṣita.
E, o Monaci,
mentre il Bodhisattva si allontanava emanò dal suo corpo una luminosità tale
per cui quel grande universo fu completamente pervaso da uno splendore maggiore
della luce divina, meraviglioso, diffuso in ogni luogo, come prima di allora
non era mai avvenuto. Anche là nelle dimore del mondo in cui si trovano i
peccatori, avviluppati dalle tenebre del male, immersi nelle oscurazioni; e i
due astri, il sole e la luna, con la loro grande energia e il loro
straordinario potere, lodati per la loro forza, cessarono di illuminare e non
emanarono luce a causa di quella luce, non generarono colori a causa di quei
colori, più non risplendettero a causa di quello splendore; e nei luoghi in cui
gli esseri che vi sono nati non vedono nemmeno le loro stesse braccia distese,
anche là, in quel momento, apparve una grande e maestosa luce. E quegli esseri,
immersi nella luce, si videro perfettamente l’un l’altro, e si riconobbero e
così dissero: Qui esistono allora altri esseri!
Nello stesso
istante nelle innumerevoli migliaia di regioni dell’universo si manifestarono
sei fenomeni e diciotto grandi segni. Esse furono scosse, fortemente scosse, fortemente
scosse per ogni dove; tremarono, tremarono fortemente, tremarono fortemente per
ogni dove; vibrarono, vibrarono fortemente, vibrarono fortemente per ogni dove;
risuonarono, risuonarono fortemente, risuonarono fortemente per ogni dove;
rimbombarono, rimbombarono fortemente, rimbombarono fortemente per ogni dove;
all’estremità si abbassarono, al centro si sollevarono; al centro si
abbassarono, all’estremità si sollevarono; a levante si abbassarono, a ponente
si sollevarono; a ponente si abbassarono, a levante si sollevarono; a sud si
abbassarono, a nord si sollevarono; a nord si abbassarono, a sud si
sollevarono. In quell’istante si udirono grida di gioia, di piacere, di
felicità, di allegria, di ringraziamento, piacevoli da udirsi, degne di lode,
senza pari, melodiose, che fugavano ogni timore. In quel momento nessun essere
patì alcun male, né timore, né spavento, né paura. Né allora fu più visibile lo
splendore del sole e della luna, né di Śakra, di Brahmā o dei guardiani del
mondo. Tutti gli esseri infernali o nati come animali o nel mondo di Yama
furono in quel momento liberi dalla sofferenza e ricolmi di felicità. Nessun
essere fu tormentato dall’attaccamento, dall’avversione, dalle oscurazioni,
dall’invidia o da gelosia, orgoglio, ipocrisia, collera, malvagità, rimpianto;
tutti gli esseri in quell’istante generarono pensieri di benevolenza e
generosità, e provarono gli uni verso gli altri l’amore di un padre e di una
madre.
Senza essere
toccati, cento milioni di strumenti divini ed umani fecero udire le loro
incantevoli melodie. Centinaia di milioni di divinità sollevarono il grande
carro divino con le mani, le spalle e le teste. Centomila Apsarā, dirigendo
musiche corali e rimanendo dietro, davanti, a destra e a sinistra, lodarono il
Bodhisattva con i loro canti.
61. A te, che possiedi infiniti meriti; a
te, innalzato dalla virtù praticata per un così lungo tempo; a te, purificato
dalla disciplina del Dharma, viene oggi offerto una grande omaggio.
62. In passato, per molte decine di
milioni di kalpa, sono stati da te offerti in dono amati figli, mogli, tesori;
della pratica del dono, ecco qui il frutto, grazie al quale tutti questi fiori
sono sparsi ovunque come una pioggia.
63. Dopo aver pesato la tua stessa carne,
o Sublime, l’hai donata per compassione ad un uccello che aveva fame e sete [34].
Della pratica della generosità ecco qui il frutto, grazie al quale il regno dei
Preta [35]
ottiene cibo e bevande.
64. Poiché in passato per molte decine di
milioni di kalpa hai praticato l’etica senza mai infrangere i tuoi voti, il
frutto delle tue pratiche virtuose è la purificazione delle inquietudini e
delle visioni erronee.
65. In passato, per molte decine di milioni
di kalpa, hai meditato sulla pazienza, fondamento della suprema Saggezza; il
frutto della pratica della pazienza è che gli dei e gli uomini sono ricolmi di
pensieri di benevolenza.
66. In passato, per molte decine di
milioni di kalpa, hai meditato sull’impegno entusiastico che nulla può
superare; il frutto di questa pratica è che il tuo corpo risplende come il
monte Meru.
67. In passato, per molte decine di
milioni di kalpa, ti sei dedicato alla contemplazione che distrugge le
afflizioni; il frutto della pratica della contemplazione è che gli esseri non
sono più tormentati dalle passioni.
68. In passato, per molte decine di
milioni di kalpa, hai meditato sulla saggezza che distrugge le oscurazioni; il
frutto della pratica della saggezza è la luce che risplende senza pari [36].
69. Rivestito della corazza della pace
interiore che distrugge le afflizioni, tu che sei disceso mosso dalla
compassione verso tutti gli esseri, tu che hai conseguito la gioia suprema, la
pazienza, la purezza, o Sugata, omaggio a te!
70. Innalzato dallo splendore della luce
della fiaccola della saggezza, tu che illumini tutto ciò che è errore,
oscuramento e illusione, tu che sei divenuto l’occhio dei tremila mondi, tu che
indichi la Via, o Muni [37],
omaggio a te!
71. Abile nella conoscenza dei fondamenti
del supremo potere, tu che vedi la verità, che hai compreso il significato
profondo del Dharma, dopo essere andato al di là e aver condotto al di là gli
altri esseri [38],
tu che sei libero dai legami, o Sugata, omaggio a te.
72. Abile in ogni conoscenza e nell’uso
dei mezzi [39],
tu mostri la trasformazione dell’esistenza di colui che non sarà più soggetto
ad essa; agisci in completa armonia con le leggi dell’universo, ma in alcun
modo sei attaccato ad esso [40].
73. Vederti ed ascoltarti arrecherà grandi,
inimmaginabili meriti a coloro cui questo dono sarà concesso; a maggior
ragione, dopo aver udito dalla tua bocca l’essenza del Dharma e aver avuto fede
in esso, ne nascerà una grande gioia!
74. L’intero paradiso di Tuṣita si è
oscurato, il sole si è levato nel Jambudvīpa e risveglierà dal sonno delle
afflizioni centinaia di migliaia di esseri, in numero tale che la mente non
riuscirà a contarli.
75. La grande e prospera città sarà oggi
gremita da centinaia di migliaia di divinità. Nella dimora del re le Apsarā con
i loro strumenti faranno ascoltare un gradevole concerto.
76. La moglie le cui azioni sono virtuose,
di suprema bellezza, è pervasa dallo splendore dei suoi meriti; il di lei
figlio perfetto è colui che nei tre mondi risplende per la sua regalità.
77. Nella migliore delle città non vi
saranno più dispute né liti tra gli uomini causate dalla cupidigia o
dall’avversione; tutti, divenuti rispettosi grazie alla nobiltà del più eccelso
tra gli uomini, genereranno una mente compassionevole.
78. La famiglia del re, che trae origine
dalla stirpe dei re Cakravartin, cresce. La fiorente città di Kapila sarà
ricolma di tesori di oggetti preziosi.
79. Per gli Yakṣa, i Rākṣasa, i Kumbhānda,
le schiere degli dei e dei Dānava [41]
con tutto il seguito di Indra, pronti a proteggere il più eccelso tra gli
uomini, la liberazione giungerà presto.
80. Dopo aver lodato la guida che ha
acquisito grandi meriti, dimorando nell’amore e nel rispetto, tutti noi saremo
presto come te, o Eccelso tra gli uomini, perfettamente maturi per la suprema
Saggezza.
Capitolo
quinto, intitolato: la messa in movimento.
NdT
[1] Della
Ruota del Dharma.
[2] Si tratta
delle quattro attrattive per radunare i
discepoli: la generosità, le parole gradevoli, gli insegnamenti calibrati
sulle necessità del discepolo, la condotta conforme al Dharma. Cfr. Ph. Cornu, Dizionario
del Buddhismo, pag. 482.
[3] Divinità
ed esseri sovrannaturali del pantheon indiano. Candra (leggasi ciandra,
termine maschile in lingua sanscrita), è la luna, Sūrya il sole.
[4] Tra l’occhio
e l’orecchio l’elefante possiede una ghiandola sudorifera provvista di un
sistema muscolare che gli permette di espellere particolari secrezioni, le
quali giocano un ruolo determinante nella ricerca del partner e nella
formazione delle coppie. Cfr. http://www.mille-animali.com/animali/mammiferi/elefante.php.
[5] Personificazione
dell’Himālaya, padre di Pārvati e di Gaṅgā.
[6] I termini
sanscriti non tradotti nel testo indicano rispettivamente i tordi, i cuculi, le
beccacce e un uccello simile al passero (kalabiṅka
o kalaviṅka) dal canto melodioso,
spesso presente nei miti buddhisti anche al di fuori dell’India.
[7] Come già
nei passi dei capitoli precedenti nei quali si trovano lunghi elenchi
descrittivi, anche qui i verbi sono spesso tradotti con tempi diversi: ad es.
il Bodhisattva “fit apparaȋtre”
gli otto segni e la dimora del re “fut
sans herbe”, ma poi “tel est
le premier signe”, e gli uccelli “se posent
sur les terrasses”, e poi ancora “tel
fut le second signe”. Si è allora preferito utilizzare costantemente
le forme del passato, per rendere uniforme la narrazione.
[8] Il ghī (dal sanscrito ghṛta):
è il burro bollito e schiumato, simbolo di fertilità, come l’acqua
evaporata che ricade sulla terra. È spesso presente nei cerimoniali e nella
medicina tradizionale indiana.
[9] Un grande
liuto basso.
[10] Nel testo
francese si legge “esprit bien éloigné du
vol”, ma non è pensabile che Māyādevī, futura madre del Buddha e moglie di
un sovrano, potesse rivolgere la mente al furto, sia pure per poi
allontanarsene! Per questo si è tradotto con abbandonato ogni spirito di ottenimento. Nella tradizione Zen si parla
di pratica mushotoku, ovvero senza
spirito di profitto, senza desiderio di conseguimento di vantaggi materiali né
spirituali.
[11] V. cap. II
nota 17.
[12] Nome di un
giardino nel paradiso di Indra.
[13] V. cap.
III nota 7.
[14] Un
giardino nel paradiso di Indra.
[15] Il sacerdote
di famiglia o cappellano domestico.
[16] Termine
collettivo che designa gli Splendenti,
divinità minori che presiedono all’illuminazione spirituale. Cfr. M. e J.
Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 3.
[17] Classi di
divinità, di esseri superiori.
[18] Il luogo del Risveglio.
[19] Gruppo di trentatré divinità vediche.
[20] Il Kāmadhātu. Nel saṃsāra, il ciclo delle esistenze
condizionate, si distinguono sei “destini”, le sei possibili condizioni di
rinascita (esseri infernali, spiriti avidi, animali, uomini, semidei e dei),
distribuiti in tre “regni”: il Regno del Desiderio (i primi cinque destini più
sei cieli degli dei del desiderio); il Regno della Forma Pura, Rūpadhātu
(diciassette cieli abitati dagli dei); il Regno Senza Forma, Arūpadhātu
(quattro livelli superiori di dei).
[21] Ovvero i quattro illimitati: equanimità, benevolenza, compassione,
gioia compartecipe. Cfr. Dizionario
del Buddhismo, pag. 485.
[22] Il francese péché è stato reso con errore e non con peccato,
trovandoci in un contesto buddhista. E corruption naturelle è
stato tradotto, sulla scia della versione inglese, con afflizioni mentali.
Infatti nel Buddhismo si parla di due categorie di oscuramenti, quello
delle passioni e quello cognitivo. Cfr. Dizionario
del Buddhismo, pag. 437.
[23] Pratyekajina (conquistatore solitario) o Pratyekabuddha
(Buddha-da-sé, realizzatore solitario) è colui che in una vita precedente ha
incontrato il Buddha ma non ne ha praticato fino in fondo gli insegnamenti. Per
questo, giunto alla sua ultima esistenza, si ritira per praticare da solo, come
solitario è il corno del rinoceronte. Cfr. Dizionario
del Buddhismo, pag. 473. Si veda il Khaggavisana Sutta (Il Sūtra
del corno di rinoceronte) in: http://www.canonepali.net/snp-1-3-khaggavisana-sutta-il-corno-del-rinoceronte/.
[24] Per i dieci poteri v. cap. IV nota 22. L’espressione ruggito
del leone indica il corretto insegnamento del Dharma. Si veda il Cūlasīhanada
Sutta (Il Sūtra del ruggito del leone) in: http://www.canonepali.net/mn-11-culasihanada-sutta-il-ruggito-del-leone/.
[25] I tre addestramenti in cui sono raggruppati gli otto rami
dell’Ottuplice Sentiero. Cfr. Dizionario
del Buddhismo, pag. 488.
[26] La versione inglese attribuisce espressamente gli ultimi tre attributi
alla liberazione anziché al Bodhisattva (pag. 38-39 del testo; pag. 52-53 del
file PDF). In effetti le tre qualità sono spesso citate in relazione al Dharma,
che è profondo, difficile da incontrare e da comprendere. Ma in lingua francese
médecin è il medico (medicina è médicament o remède)
e quindi, stando alla lettera della versione di De Foucaux, non sarebbe
corretto (anche se molto significativo) tradurre roi des médecins con Dharma,
inteso come Rimedio Supremo. Si rammenti comunque che Buddha, Dharma e
Saṅgha sono considerati come aspetti di un’unica realtà.
[27] Kapilavastu, capitale del regno degli Śākya, oggi in Nepal.
[28] Compiute nelle esistenze precedenti.
[29] Le tre passioni principali: ignoranza, avversione e attaccamento.
[29bis] Si veda il post http://zenvadoligure.blogspot.it/2017/05/i-passi-miracolosi-del-buddha-e-della.html
[30] Si tratta dell’erba kuśa, la più sacra, che veniva utilizzata durante
i riti vedici. Si riteneva avesse il potere di dissipare gli stati d’ira. Su
uno strato di erba kuśa erano usi sedere gli yogi durante le pratiche
meditative. È detto nella Bhagavad Gītā
6, 11: In un luogo puro egli [lo yogi]
deve prepararsi un seggio né troppo alto né troppo basso. Questo deve essere
fatto a strati di erba kuśa, con sopra una pelle di daino ricoperta da una
stoffa.
[31] Cfr. cap. III nota 31.
[32] De Foucaux precisa tra parentesi che lo splendore del Sole e della
Luna è in questo caso una qualità del corpo del Bodhisattva, mentre – forse più
coerentemente – la versione inglese lo elenca tra le qualità della regina
Māyādevī.
[33] Il termine garbha (qui preceduto dal prefisso onorifico Śrī,
ovvero ciò che è oggetto di venerazione, dei, uomini o cose) indica grembo,
matrice.
[34] è qui ricordata la
vicenda del re Sibi (narrata nel Mahābhārata e nel Laṅkāvatārasūtra), futuro
Bodhisattva, il quale per compassione tagliò e donò pezzi del proprio corpo,
pesandoli su una bilancia, per salvare un piccione che stava per essere
divorato da un falco. I piatti della bilancia si pareggiarono solo quando il re
salì su di essa con tutto il corpo, facendo dono della propria vita. Cfr. E.W.
Burlingame, Parabole buddhiste,
Ed. Laterza, pag. 224.
[35] Spiriti famelici, una delle sei classi di esseri del saṃsāra.
[36] Le pratiche descritte nei versi da 63 a 68 sono, ancora una volta, le
sei pāramitā, le perfezioni.
[37] Muni, veggente, sapiente, ma anche colui che ha fatto il voto
del silenzio. Il Buddha è Śākyamuni, il Saggio degli Śākya nonché il Silenzioso
degli Śākya, e il Buddhismo è infatti detto la Via del Silenzio. Cfr. il
Dizionario dell’Induismo alla
pag. 286.
[38] Gate gate pāragate pārasaṃgate bodhi svāhā (Andato, andato,
andato al di là, completamente andato al di là, Risveglio! Svāhā!) è il mantra
conclusivo del Prajñāpāramitāhṛdayasūtra,
il Sūtra del Cuore della Perfezione della Saggezza.
[39] Upāya, gli abili mezzi. V. cap. II nota 7.
[40] “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece
non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”.
Giovanni, 15,19. Ed
anche: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. Giovanni
17,13.
[41] Potenze celesti avversarie dei Deva, come gli Asura.
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Kokila, il cuculo |
Capitolo sesto
La discesa nel grembo di una madre
Il Bodhisattva
discende nel grembo della madre con l’aspetto di un giovane elefante bianco.
Entra dal fianco destro della madre mentre ella dorme e vede in sogno ciò che
sta accadendo. – La regina poi si alza e, ricolma di un benessere sconosciuto,
si reca in un bosco vicino, dal quale fa chiamare il re. Questi, volendo
entrare nel bosco, sente il proprio corpo così pesante da non poter camminare.
– Spiegazione del sogno della regina da parte dei Brāhmaṇa, che gli
preannunciano che avrà un figlio che diventerà un re o un Buddha. – Gioia del
re. – Gli dei offrono le loro dimore affinché la regina vi possa rimanere senza
essere disturbata. – Il re fa costruire un palazzo appositamente per lei. –
Stupore di alcuni figli degli dei vedendo il Bodhisattva entrare nel grembo di
una donna. – Interruzione del racconto da parte di Ānanda per spiegare il
fatto. – Descrizione del Ratnavyūha del Bodhisattva. – Le sue attività nel
periodo in cui si trova nel grembo della madre.
Quindi, o Monaci, passata la stagione
fredda, nel mese di Viśākhā (aprile-maggio), quando era ritornata in cielo la
costellazione Viśākhā [1],
proprio
all’inizio della primavera, la stagione più bella, con gli alberi più belli ricoperti
di foglie, adorna dei fiori più belli, non fredda né calda, senza nebbie né
polvere, con il suolo ricoperto da un tappeto verde, folto e morbido, il
Signore dei tre mondi, riverito da tutti, consapevole che il tempo era giunto,
nel quindicesimo giorno della luna, allora nel suo pieno fulgore, nel periodo
della congiunzione con Puṣyā [2],
essendo il Bodhisattva disceso dal paradiso di Tuṣita, pienamente memore e consapevole, entrò nel
grembo della madre, in quel tempo da lei dedicato al digiuno, attraverso il suo
fianco destro, sotto l’aspetto di un piccolo elefante bianco a sei zanne, con
la testa del colore della cocciniglia, le zanne splendenti come oro, tutte le
membra e gli organi senza alcuna imperfezione. Dopo essere entrato, si appoggiò
a destra, e mai lo fece a sinistra. Māyādevī, dolcemente addormentata sul suo
giaciglio, ebbe in sogno questa visione:
1.
Un elefante bianco come la neve e l’argento, con sei zanne, belle zampe, una
proboscide superba, la testa tutta rossa, è entrato nel mio grembo; il più bello
degli elefanti, dall’andatura armoniosa, dalle membra del corpo forti come il
diamante.
2.
E giammai una tale felicità è stata da me immaginata, provata o goduta; al
punto che, in uno stato di piacere per il corpo e di gioia per lo spirito, sono
stata totalmente assorbita nella contemplazione.
Quindi Māyādevī, indossati abiti e
ornamenti, con il corpo e lo spirito in uno stato di benessere, piena di gioia,
di allegria e di felicità, alzatasi dal suo talamo, circondata e preceduta da
una schiera di ancelle, discesa dall’alto del più bello tra i palazzi, si recò
nel luogo in cui si trovava un boschetto di aśoka [3].
Seduta nel bosco di aśoka, inviò un messaggio al re Śuddhodana con queste
parole: Che il re venga; la regina desidera vederlo.
Il re Śuddhodana udite queste parole ne
ebbe il cuore pieno di gioia e sollevatosi dal suo meraviglioso trono,
circondato e preceduto dai consiglieri, dagli abitanti della città, dal suo
seguito e dai suoi famigliari, si diresse verso il sito del bosco di aśoka ma,
lì giunto, non poté entrarvi, sentendo il suo corpo completamente appesantito.
Fermatosi sul limitare del bosco, dopo aver riflettuto per qualche istante,
recitò questo Gāthā:
3.
Non ricordo di aver mai sentito il mio corpo così pesante come oggi, nemmeno
quando mi sono trovato nel mezzo di una battaglia di valorosi. Non riesco
addirittura ad entrare nel luogo dove si trova la mia stessa famiglia; cosa mi
accade dunque, e a chi potrò chiederlo?
Allora i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika,
rimanendo in cielo e manifestando solo metà del loro corpo rivolsero al re Śuddhodana
questi versi:
4.
Maestà, il Bodhisattva, il grande Essere, in possesso delle qualità dell’ascesi
e della disciplina, degno degli onori dei tremila mondi, amorevole e
compassionevole, benedetto dalla virtù e dalla saggezza, dopo essere disceso
dal cielo di Tuṣita, è entrato, quale figlio tuo, nel grembo di Māyā.
5.
Giunte le mani e chinato il capo, il re entrò (nel bosco), con grande rispetto;
dopo aver guardato Māyā, abbandonando l’orgoglio e l’arroganza, disse: Cosa
posso fare per voi? Di che si tratta? Parlate!
6.
La regina rispose: Simile alla neve e all’argento, più splendente del sole e
della luna, il più bello degli elefanti, con le zampe ben proporzionate, con
sei zanne, nobile, con le membra forti come il diamante, meraviglioso, è
entrato nel mio grembo. Ascoltate il mio racconto!
7.
Ho visto in un sogno affatto oscuro, lucido, un insieme di tremila mondi e di
milioni di dei che lodavano la mia persona mentre ero addormentata. In me non
c’erano più né avversione né collera né turbamento; ed ho provato le gioia della
contemplazione, con la mente pacificata.
8.
è bene, Maestà, che facciate
subito venire qui dei Brāhmaṇa, capaci di spiegare i Veda e i sogni, e che
conoscano le leggi dell’astrologia, poiché essi mi diranno se questo sogno è
per me veritiero e se accadrà qualcosa di gioioso per me o di spiacevole per la
nostra famiglia.
9.
Dopo aver ascoltato queste parole il re fece istantaneamente giungere dei
Brāhmaṇa versati nei Veda e nella lettura dei testi sacri. Quando fu alla
presenza dei Brāhmaṇa, Māyā disse: Ascoltate il racconto di ciò che ho visto in
sogno.
10.
I Brāhmaṇa risposero: Raccontate, o Regina, ciò che avete visto in sogno. Dopo
averlo ascoltato, sapremo (ciò che significa).
11.
La regina disse: Simile alla neve e all’argento, più splendente del sole e
della luna, il più bello degli elefanti, con le zampe ben proporzionate, con
sei zanne, nobile, con le membra forti come il diamante, meraviglioso, è
entrato nel mio grembo; spiegatemi il significato di tutto questo!
12.
Avendo ascoltato queste parole i Brāhmaṇa così parlarono: Proverete una grande
felicità, non accadrà nulla di spiacevole alla famiglia. Nascerà un figlio con
il corpo fornito dei grandi segni, nobile discendente di una famiglia di re, un
Cakravartin, un grande Essere.
13.
Se dopo aver abbandonato gli affetti, la regalità e il palazzo andrà errando
come un monaco, libero dagli attaccamenti, compassionevole verso tutti gli
esseri, egli sarà un Buddha, degno degli onori dei tre mondi, e sazierà tutti
gli uomini con il nettare meraviglioso dell’Amṛta.
14.
Infine, dopo aver fatto queste favorevoli profezie, avuti in dono nel palazzo
del re cibi ed abiti, i Brāhmaṇa si allontanarono.
Quindi, o Monaci, udita la risposta dei Brāhmaṇa
conoscitori dei segni e dei presagi, versati nell’astrologia e
nell’interpretazione dei sogni, il re Śuddhodana, al colmo della contentezza, della
felicità e della gioia, in preda all’estasi, dopo aver ricoperto i Brāhmaṇa di
abbondanti doni in cibi ben cucinati, gradevoli, delicati e saporiti e molti
abiti, li congedò.
Nello stesso tempo, alle quattro porte
della grande città di Kapilavastu, in tutti i crocicchi e le piazze, fece
distribuire offerte: cibo a chi desiderava cibo, bevande a chi desiderava
bevande, abiti a chi desiderava abiti, carri a chi desiderava carri; e poi
profumi, ghirlande, unguenti, polveri profumate, letti, ripari, mezzi di
sussistenza a chiunque, finché ne desiderasse, al fine di rendere omaggio al
Bodhisattva.
Poi, o Monaci, nella mente del re
Śuddhodana sorse un pensiero: in quale dimora Māyādevī potrà vivere a suo agio
e senza essere disturbata?
Ed in quell’istante i quattro Grandi Re,
avvicinatisi al re Śuddhodana, così parlarono: Non ti preoccupare, o Re; riposa
senza inquietudini, perché noi prepareremo la dimora del Bodhisattva.
E Śakra, il Signore degli dei, accostatosi
al re Śuddhodana, disse:
15.
La dimora dei quattro Grandi Re Guardiani (del mondo) è povera; quella degli
dei Trāyastriṃśa è superiore. Io dono al Bodhisattva un palazzo pari al
Vijayanta [4].
Suyāma figlio di un dio, accostatosi al re
Śuddhodana, disse così:
16.
Dopo aver visto la mia dimora dieci milioni di Śakra sono rimasti pieni di
ammirazione; la felice dimora di Suyāma, io la dono al Bodhisattva.
Allora Santuṣita, figlio di un dio, accostatosi
al re Śuddhodana, così parlò:
17.
Io dono al Bodhisattva il delizioso palazzo nel quale il Glorioso ha
precedentemente dimorato presso gli dei Tuṣita.
Quindi Sunirmita, figlio di un dio, accostatosi
al re Śuddhodana, così disse:
18.
Io presenterò al Bodhisattva, in segno di omaggio, una dimora felice, un sogno divenuto
realtà, composta di gioielli preziosi.
Allora Paranirmitta Vaśavartin, figlio di
un dio, avvicinatosi al re Śuddhodana, così disse:
19.
Tutte queste dimore, senza eccezione, che si trovano nel Reame del Desiderio,
per quanto belle sono completamente eclissate dallo splendore del mio palazzo.
20.
E questa felice dimora, composta di gioielli preziosi e splendidi, io la offro,
o Re, per rendere omaggio al Bodhisattva, e ve lo condurrò.
21.
Il grande palazzo che io offrirò e dove la regina dimorerà è ricolmo di fiori
divini, profumato di essenze divine.
Avvenne così, o Monaci, che tutti i grandi
dei Kamavatchara [5]
per
rendere omaggio al Bodhisattva offrirono nella migliore delle città, Kapila, le
dimore di ognuno di essi. Ma il re Śuddhodana fece costruire un palazzo che
andava al di là di ogni costruzione umana, senza però uguagliare quelle degli
dei. In ognuna di esse il Bodhisattva, grazie al potere della meditazione detta
‘il grande ordine’[6],
fece apparire Māyādevī. Per tutto il tempo in cui il Bodhisattva rimase nel
grembo della madre, egli restò seduto con le gambe incrociate, sul lato destro
del corpo di lei. E tutti quei Signori degli dei dicevano, ognuno tra sé e sé:
È proprio nel mio palazzo che la madre del Bodhisattva vive, e non altrove!
E qui è detto:
22.
Mentre egli era immerso nella meditazione detta ‘il grande ordine’ e dopo che fenomeni
incomprensibili si furono manifestati grazie al potere sovrannaturale, tutti
gli dei videro raggiunto il loro scopo, e così pure il desiderio del re fu
esaudito.
Sorse allora tra alcuni figli degli dei
che facevano parte di quella assemblea divina un pensiero: poiché tutti i figli
dei Quattro Re Guardiani, senza alcuna eccezione, si allontanano con disgusto
dai corpi umani in quanto emanano un cattivo odore, a maggior ragione lo fanno
gli altri dei, di rango più elevato, quali i Trāyastriṃśa, o gli Yama o i Tuṣita.
In qual modo dunque il Bodhisattva, che è al di là di tutti i mondi, che è puro
e privo di odori sgradevoli, che è la perla degli esseri, disceso dalla divina
dimora Santuṣita, rimane in un corpo umano dallo sgradevole odore per dieci
mesi [7],
nel grembo di una madre?
In quel momento, grazie al potere del
Buddha [a],
Ānanda così parlò al Bhagavat: è
stupefacente, Bhagavat, quanto il sesso femminile sia soggetto al biasimo, così
come è detto dal Tathāgata, e quanto sia turbato dalla passione. Ma questo,
Bhagavat, è ancora più stupefacente: come in effetti una volta il Bhagavat, che
è al di là di tutti i mondi, quando era un Bodhisattva, essendo disceso dalla
divina dimora di Tuṣita in un corpo umano dallo sgradevole odore, sia rimasto
sempre sul lato destro del grembo della madre dopo esservi penetrato. Non
riesco a dire come sia avvenuto, così come raccontato dal Bhagavat.
Il Bhagavat disse: Ānanda, vuoi vedere il
Ratnavyūha del Bodhisattva, di cui il Bodhisattva si compiacque quando era nel
grembo della madre?
Ānanda rispose: è il momento, Bhagavat! È il momento, Sugata! Che il
Tathāgata ci mostri il diletto del Bodhisattva, e dopo averlo visto ne avremo
una grande gioia.
Il Bhagavat fece un cenno, al quale
Brahmā, Signore dei Saha, con sessantottomila Brahmā discesi da quel Reame,
comparve al suo cospetto; quindi, dopo aver reso omaggio ai suoi piedi con il
capo ed aver girato intorno al Bhagavat per tre volte rivolgendogli il fianco
destro con le mani giunte e restando a capo chino, gli si fermò accanto.
Avendolo riconosciuto, il Bhagavat così si
rivolse a Brahmā Sahāmpati, il Signore delle creature: è stato preso in consegna da te il gioiello di cui mi
compiacevo quando ero Bodhisattva, nei dieci mesi durante i quali mi trovavo
nel grembo di mia madre?
Brahmā rispose: Proprio così, o Bhagavat!
Proprio così, o Sugata!
Il Beato chiese: Dove è ora, Brahmā?
Mostralo.
Brahmā rispose: Si trova nel reame di
Brahmā.
E il Bhagavat ingiunse: Ebbene, Brahmā,
mostra il gioiello del Bodhisattva, che per dieci mesi è stato con lui. Si
vedrà in qual modo è stato fabbricato.
Brahmā, Signore delle creature, così disse
allora agli dei Brahmā: Signori, rimanete fino a quando non avrò riportato la
delizia del Bodhisattva. Quindi, avendo reso omaggio con il capo ai piedi del
Bodhisattva, Brahmā scomparve dalla sua presenza e nello stesso istante si recò
nel reame di Brahmā. Poi il Signore delle creature disse a Subrahmā, figlio di
un dio: Va’, o amico! Con voce alta fai udire dal reame di Brahmā fino alla
dimora dei Trāyastriṃśa queste parole: Porteremo alla presenza del Tathāgata il
Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva. Chiunque tra voi desiderasse vederlo, si
avvicini velocemente!
Allora Brahmā, Signore delle creature, il
quale insieme con ottantaquattromila centinaia di migliaia di niyuta di koti di
dei [8] aveva
preso con sé il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, e lo aveva riposto in un
palazzo di Brahmā esteso per trecento yojana, lo fece circondare da ogni lato
da molte centinaia di migliaia di niyuta di koti di divinità e lo fece
discendere nel Jambudvīpa.
In quel momento si tenne una grande
adunanza di dei Kamavatchara, i quali desideravano porsi al seguito del
Bhagavat. Il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, fu ornato con stoffe divine,
ghirlande divine, profumi divini, fiori divini, musiche divine, decorazioni
divine, nel momento stesso in cui venne circondato dagli dei rinomati per il loro
grande potere.
Il Signore degli dei Śakra, rimanendo sul
grande monte Sumeru, da lontano, nel mezzo dell’Oceano, dopo aver portato la
mano al viso a mo’ di parasole, guardava con la testa inclinata di lato e
strizzando gli occhi, ma non poté vedere nulla. Perché questo? Il fatto è che
gli dei Brahmā, noti per il loro grande potere, i Trāyastriṃśa, gli Yama, i
Nirmāṇarati e i Paranirmitavaśavartin a loro inferiori, e così come loro, anzi
a maggior ragione, Śakra, Signore degli dei, tutti erano turbati.
A quel punto il Bhagavat fece cessare gli
accordi della musica divina. Perché questo? Perché udendoli gli uomini del
Jambudvīpa sarebbe diventati folli.
Allora i quattro Grandi Re che si erano
recati presso Śakra, Signore degli dei, così dissero: Come faremo, Signore
degli dei? Non riusciamo a vedere il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva.
Śakra rispose: Cosa farò anch’io, amici,
perché nemmeno io riesco a vederlo. Ma tuttavia, o amici, quando sarà portato
al cospetto del Bhagavat lo vedremo.
Essi dissero: Ebbene, Signore degli dei,
fa’ in modo che presto lo si possa vedere.
E Śakra replicò: Amici, attendete un poco
fino a che i figli degli dei, i più eminenti tra tutti, abbiano rallegrato il
Bhagavat (con le loro parole).
Quindi, restando da un lato, essi
guardavano il Beato.
In quel momento Brahmā, il Signore delle
creature, insieme con ottantaquattro centinaia di migliaia di niyuta di koti di
divinità, recando con sé il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, lo portò nel
luogo in cui si trovava il Tathāgata.
Il Ratnavyūha, delizia del Bodhisattva, ha
una forma attraente, piacevole, bella a vedersi; è quadrangolare, e poggia su
quattro colonne; alla sommità è abbellito da una struttura, di altezza pari a
quella di un bambino nato di sei mesi. Al centro di quel livello è approntato
un seggio, simile ad uno sgabello delle stesse proporzioni.
Inoltre, il Ratnavyūha, delizia del
Bodhisattva, possiede una forma ed un colore tali che nulla di simile esiste in
questo mondo insieme a quello degli dei, di Brahmā o del demone.
Alla sua vista gli dei furono ricolmi di
ammirazione e i loro occhi rimasero abbagliati. Alla presenza del Tathāgata
esso brillava, emanava luce e risplendeva. Come ad esempio l’oro fuso da un
abile artigiano, portato ad uno stato di completa purezza, è privo di ogni
difetto e di ogni contaminazione, nello stesso modo in quel momento risplendeva
il Ratnavyūha. Inoltre, o Monaci, nella delizia del Bodhisattva è preparato un
seggio che non ha pari per forma e colore nel mondo degli dei, ad eccezione del
collo del Bodhisattva, le cui pieghe sono simili a quelle di una conchiglia [9]. E la veste del
grande Brahmā, che era stata dispiegata accanto al seggio del Bodhisattva, aveva
cessato di risplendere, così come farebbe la pelle di una gazzella nera battuta
dal vento e dalla pioggia.
La struttura è in sandalo uraga [10],
ed è talmente rivestita da ogni lato da quel sandalo che un solo granello della
sua polvere possiede un valore pari a quello di mille universi. Una seconda
struttura è costruita, esattamente uguale, all’interno della prima, alla quale
non è collegata né unita. E nella seconda se ne trova una terza identica, ed è
in quest’ultima struttura di sandalo profumato che il trono è collocato e ben
riparato. Il colore del sandalo uraga è simile a quello del più puro
lapislazzuli. Inoltre, al di sopra e tutt’intorno alla struttura nascono tutti
i tipi di fiori più belli, grazie ai meriti precedenti del Bodhisattva giunti
alla perfetta maturazione.
E ancora, il Ratnavyūha, delizia del
Bodhisattva, di natura solida, indistruttibile, simile al diamante, è delicato
al tatto come una veste di Kāchilindi. Inoltre nel Ratnavyūha, delizia del
Bodhisattva, si può scorgere con chiarezza tutto ciò che è posto nelle dimore
degli dei del Reame del desiderio.
Nella stessa notte in cui il Bodhisattva
entrò nel grembo della madre, proprio in quella notte, un loto si innalzò dalle
acque inferiori, attraversò la terra e crebbe fino al Reame di Brahmā per una
altezza di sessantotto milioni di yojana [11].
Nessuno vide il fiore di loto, tranne il Sublime Maestro di tutti gli esseri [12]
e il grande Brahmā, che è a capo di milioni di uomini. E quanto vi è quaggiù di
energia, l’essenza, anzi la quintessenza delle sostanze fondamentali dei tre
grandi milioni di mondi, tutto questo fu raccolto nel grande loto sotto forma
di una goccia di nettare. Il grande Brahmā dopo averla riposta in un bel vaso
di lapislazzuli la offrì al Bodhisattva. Questi la accettò e la bevve per amore
verso Brahmā. Non esiste alcun essere nel mondo il quale, avendo bevuto quella
goccia di elisir, la possa tranquillamente assimilare, con la sola eccezione di
un Bodhisattva che sia giunto alla sua ultima rinascita e che abbia interamente
percorso tutte le terre dei bodhisattva [13].
Ma grazie alla completa maturazione di
quali azioni quella goccia di elisir divenne un’offerta per il Bodhisattva?
Perché nel lungo periodo in cui nel passato egli aveva seguito lo stile di vita
del bodhisattva [14] aveva
donato medicine ai malati; aveva completamente esaudito i desideri di coloro
che erano colmi di speranza; coloro che avevano richiesto un rifugio presso di
lui non erano stati abbandonati; dopo aver donato i fiori più belli, i frutti
migliori, i cibi più gustosi ai Tathāgata, ai chaitya dei Tathāgata, alle
comunità degli śrāvaka, ai loro padri e madri, solo allora ne aveva fruito egli
stesso. Grazie alla perfetta maturazione dei meriti di queste azioni il grande
Brahmā offrì al Bodhisattva quella goccia di nettare.
Inoltre nel tempio si trovano i migliori
tra i più eccelsi oggetti di gioco e di piacere, e tutto questo vi si manifesta
a seguito della perfetta maturazione delle precedenti azioni del Bodhisattva.
E ancora, nel Ratnavyūha, delizia personale
del Bodhisattva, è comparso una assortimento di vesti denominato ornamento di
centomila; e non vi è un solo essere tra le moltitudini degli esseri per il
quale esso si manifesti, ad eccezione di un Bodhisattva che sia giunto alla sua
ultima esistenza.
E non esiste alcuna sublime forma visibile,
né suono, né odore, né gusto, né oggetto tattile che non si trovino in quella
struttura.
Ogni sua qualità è talmente perfetta che è
costruita all’interno e all’esterno in modo tale da essere piacevole come una
veste di Kāchilindi, delicata al tatto. E una volta che la si sia vista, non è
più possibile fare alcun confronto con essa.
Questo perfetto compimento del Dharma è
l’effetto dell’intenzione espressa dalla precedente aspirazione del
Bodhisattva. È nella natura delle cose che il Bodhisattva Mahāsattva nasca nel
mondo degli uomini; che in seguito, essendo uscito dal palazzo paterno ed
avendo conseguito le qualità perfette e complete di un Buddha, faccia girare la
ruota del Dharma. E che nel grembo della madre, nel quale è disceso attraverso
il fianco destro, sullo stesso lato si sia manifestato il Ratnavyūha, un tempio
di materiali preziosi. Dopo essere disceso dal Tuṣita, il Bodhisattva rimane
seduto con le gambe incrociate, poiché il corpo di un Bodhisattva giunto alla
sua ultima esistenza non appare come un embrione debole e inerte, ma al
contrario si manifesta seduto, dotato di tutti gli organi e con tutte le sue
membra recanti i segni del corpo di un Buddha. E così la madre del Bodhisattva,
Māyādevī, vide giungere in sogno il più bello dei grandi elefanti.
Mentre il Bodhisattva così sedeva, Śakra,
il Signore degli dei, i Quattro Grandi Re, i ventotto capi della schiera degli
Yakṣa, colui che ha per nome Guhyakadhipati, dal quale è stata generata la
stirpe degli Yakṣa Vajrapāṇi [15],
avendo appreso che il Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre gli
rimasero sempre e costantemente accanto. Vi erano anche, in qualità di ancelle,
quattro dee: Utkhalī, Samutkhalī, Dhajavatī e Prabhāvatī. Avendo saputo che il
Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre esse lo seguivano sempre e
costantemente. Anche Śakra, il Signore degli dei, poiché aveva appreso che il
Bodhisattva era entrato nel grembo di una madre gli era sempre e costantemente
accanto, insieme con cinquecento figli degli dei.
Il corpo del Bodhisattva che era entrato
nel seno della madre era come un grande fuoco sulla sommità di una montagna
durante una notte oscura e tenebrosa, visibile da una distanza di uno yojana, o
addirittura di cinque yojana. Così era la figura perfettamente compiuta del
Bodhisattva nel grembo della madre. Luminoso, bello, aggraziato, piacevole a
vedersi, seduto nel tempio con le gambe incrociate, risplendeva come oro puro
incastonato di lapislazzuli. E la madre del Bodhisattva lo vedeva nel suo
grembo. Come dei fulmini balenando da un grande cumulo di nubi producono una
forte luce, nello stesso modo il Bodhisattva entrato nel grembo della madre, attraverso
la sua maestà, la radiosità, lo splendore, i colori, illuminò interamente il
primo tempio di gioielli; e dopo averlo fatto risplendere illuminò il terzo
tempio in legno profumato e gioielli [16];
e quindi illuminò l’intero corpo della madre, e successivamente il trono su cui
sedeva e tutta la dimora. E dopo aver reso splendente la dimora ed essere
uscita al di sopra del palazzo, la grande luce irradiò le regioni dell’est; e
nello stesso modo le terre del mezzogiorno, dell’occidente, del nord, e lo
zenit e il nadir e tutte le dieci direzioni dello spazio fino alla distanza di
un krośa [17]
furono illuminate dal Bodhisattva entrato nel seno della madre, attraverso la
sua maestà, il suo splendore e il suo colore.
Allora, o Monaci, i Quattro Grandi Re e i
ventotto capi della schiera degli Yakṣa con cinquecento Yakṣa giunsero durante
il mattino per vedere il Bodhisattva, per rendergli lode, servirlo ed ascoltare
il Dharma. Il Bodhisattva, accortosi che essi erano giunti, stese la mano
destra e con un dito indicò loro dei seggi. I Guardiani del Mondo e gli altri
sedettero quindi sui seggi preparati per loro. Essi videro il Bodhisattva
entrato nel grembo della madre con un corpo come d’oro, che muoveva la mano,
faceva un cenno, la distendeva. E ricolmi di gioia, di allegria e di benessere
resero omaggio al Bodhisattva. Vedendoli seduti, il Bodhisattva impartì loro
degli insegnamenti con un sermone sul Dharma; fece sì che lo comprendessero, li
esortò e li riempì di gioia. E quando essi provarono il desiderio di ripartire
il Bodhisattva, avendo percepito il loro pensiero attraverso la sua sola mente,
fece loro cenno di andare stendendo la mano destra; dopo averla distesa, la
ritirò senza far del male alla madre.
Sorse allora questo pensiero nei Quattro
Grandi Re: Siamo stati congedati dal Bodhisattva. E dopo aver girato per tre
volte intorno al Bodhisattva e alla madre presentando loro il lato destro si
ritirarono.
Queste furono la causa e le condizioni per
cui durante la notte tranquilla il Bodhisattva dopo aver steso la mano destra
la ritirò. E dopo averla ritirata restò immobile, mantenendo piena
consapevolezza ed attenzione.
Inoltre, quando altri si avvicinarono per
vedere il Bodhisattva, chiunque fossero, donne o uomini, ragazzi o fanciulle,
innanzitutto il Bodhisattva li ricolmò di gioia, e successivamente la madre
fece la stessa cosa.
In questo modo il Bodhisattva, dopo essere
entrato nel grembo della madre, riusciva a generare gioia in tutti gli esseri.
Non un solo essere, Deva, Nāga o Yakṣa, umano o non umano, poté per primo rivolgere
una parola gentile al Bodhisattva; al contrario, fu sempre il Bodhisattva
stesso che per primo li rallegrò, e dopo di lui sua madre.
Intanto, trascorsa la mattinata e giunta
l’ora di mezzogiorno, Śakra, il Signore degli dei, insieme con i più eccelsi
tra i supremi figli degli dei Trāyastriṃśa, si avvicinarono per vedere il
Bodhisattva, per rendergli omaggio, per servirlo e per ascoltare il Dharma. Il
Bodhisattva, che li aveva visti arrivare da lontano, distese il suo braccio
destro color dell’oro, rallegrò Śakra, il Signore degli dei, e gli dei Trāyastriṃśa
poi con un dito indicò loro dei seggi. E Śakra, o Monaci, non poté rifiutare
l’invito del Bodhisattva; insieme con gli altri figli degli dei sedette sui
seggi approntati per loro. Vedendoli seduti, il Bodhisattva impartì loro degli
insegnamenti con un sermone sul Dharma; fece sì che lo comprendessero, li
esortò e li colmò di gioia. E dallo stesso lato verso cui il Bodhisattva
volgeva la mano era rivolta la madre del Bodhisattva. Allora si generò in loro
questo pensiero: Il Bodhisattva si intrattiene piacevolmente con noi. Ed ognuno
diceva tra sé e sé. È con me che il Bodhisattva parla, è direttamente con me
che conversa piacevolmente!
Inoltre nel tempio si vide l’immagine
riflessa di Indra e degli dei Trāyastriṃśa. E certamente in nessun luogo si
trovava una dimora di un Bodhisattva pari a quella del Bodhisattva entrato nel
grembo della madre. E, o Monaci, quando Śakra, Signore degli dei, e i figli
degli dei che erano con lui provarono il desiderio di ripartire il Bodhisattva,
avendo riconosciuto in profondità il loro pensiero attraverso la sua sola
mente, alzata la mano destra la distese. Dopo averla distesa e poi ritirata mantenendo
piena consapevolezza ed attenzione, la tenne immobile e non fece del male alla
madre.
Sorse allora questo pensiero in Śakra, il
Signore degli dei, e negli dei Trāyastriṃśa: Siamo stati congedati dal
Bodhisattva. E dopo aver girato per tre volte intorno al Bodhisattva e alla
madre presentando loro il lato destro si ritirarono.
Trascorsa l’ora di mezzogiorno e
sopraggiunto il pomeriggio, o Monaci, Brahmā, il Signore delle creature,
circondato e preceduto da diverse centinaia di migliaia di figli degli dei, recando
con sé la divina goccia di elisir, si avvicinò al luogo in cui si trovava il
Bodhisattva per vederlo, per rendergli omaggio, per porsi al suo servizio e
ascoltare il Dharma.
O Monaci, il Bodhisattva, che aveva saputo
che Brahmā, Signore delle creature, si avvicinava con il suo seguito, stese
nuovamente la mano destra color dell’oro, li rallegrò con le sue parole e con
un dito mostrò loro dei seggi. E, o Monaci, non fu possibile per Brahmā,
Signore delle creature, rifiutare l’invito del Bodhisattva. Quindi Brahmā,
Signore della creature, sedette insieme con gli altri figli degli dei del Reame
di Brahmā sui seggi preparati per loro. Vedendoli seduti, il Bodhisattva
impartì loro degli insegnamenti di Dharma, fece sì che lo comprendessero, li
esortò e li colmò di gioia. E dal lato verso cui il Bodhisattva volgeva la mano
destra, da quella stessa parte era rivolta la madre del Bodhisattva. Allora si
generò in ognuno di essi questo pensiero: È con me che il Bodhisattva parla, è
me che rallegra con le sue parole!
E quando Brahmā, Signore delle creature, e
gli altri figli degli dei del Reame di Brahmā provarono il desiderio di
ripartire il Bodhisattva, avendo riconosciuto quale fosse nel profondo il loro
pensiero, alzato il braccio destro simile all’oro lo distese; e dopo averlo
disteso lo ritirò. Distendendolo in segno di commiato e quindi ritirandolo non
fece del male alla madre.
Sorse allora questo pensiero in Brahmā,
Signore delle creature, e nei figli degli dei del Reame di Brahmā: Siamo stati
congedati dal Bodhisattva. E dopo aver girato per tre volte intorno al
Bodhisattva e alla madre presentando loro il lato destro si allontanarono. Il
Bodhisattva, mantenendo piena consapevolezza ed attenzione, tenne immobile la
sua mano.
Indi, o Monaci, da oriente, da sud, da
occidente e da nord, dallo zenit e dal nadir, ovunque dalle dieci direzioni
dello spazio molte centinaia di migliaia di Bodhisattva arrivarono per vedere
il Bodhisattva, per rendergli omaggio, per porsi al suo servizio, per ascoltare
e proclamare il Dharma.
Mentre arrivavano, il Bodhisattva, che
aveva fatto scaturire dal suo corpo dei raggi di luce, li trasformò in troni e
dopo questa trasformazione fece sedere i Bodhisattva su quei seggi. Vedendoli
seduti, li interrogò e fece porre loro delle domande intorno allo sviluppo del
Grande Veicolo. E nessuno lo vedeva, ad eccezione dei figli degli dei che
condividevano un eguale sorte.
Queste furono la causa e le condizioni per
cui durante la notte tranquilla il Bodhisattva fece scaturire delle luci dal
suo corpo.
E Māyādevī, o Monaci, per tutto il tempo
in cui il Bodhisattva fu nel suo grembo non provò pesantezza nel corpo, ma al
contrario leggerezza, benessere, piacere, e non sentì dolori negli organi
interni. Non patì le sofferenze causate dalla passione, né quelle
dell’avversione o dell’offuscamento. Non generò pensieri di desiderio, di
malevolenza o di malvagità.
Non provò né freddo né caldo, né fame né
sete, né passioni né oscuramenti, e non vide nulla di simile ad essi. Non
percepì alcuna forma sgradevole, né suono, né odore o sensazione tattile. Non
fece sogni riprovevoli. Non fu soggetta alla civetteria, né alle furbizie,
all’invidia o alle emozioni femminili. Anzi in quel momento la madre del
Bodhisattva osservava i cinque precetti fondamentali [18],
manteneva un’etica irreprensibile, seguiva fermamente la via delle dieci azioni
virtuose [19].
E giammai la madre del Bodhisattva generò un pensiero di desiderio nei
confronti di un uomo, così come nessun uomo ne ebbe nei suoi riguardi.
E tutti coloro che nella grande città di
Kapila, la migliore delle città, e negli altri paesi abitati – sia che si
trattasse di donne o di uomini, di ragazzi o di ragazze – del cui spirito si
fosse impossessato un Deva, un Naga, uno Yakṣa, un Gandharva, un Asura, un Garuḍa
o un Bhūta [20],
non appena ebbero visto la madre del Bodhisattva tornarono in sé e ritrovarono
la consapevolezza.
Coloro che non erano esseri umani mutarono
prontamente la loro condizione. E tutti gli esseri colpiti da malattie generate
dall’unione dell’aria, della bile e del flegma [21],
tormentati da dolori agli occhi, alle orecchie, al naso, alla lingua, alle
labbra, dal mal di denti o dal mal di gola, da gonfiori del collo o del petto,
dalla lebbra, dalla scabbia, dalla consunzione, dalla pazzia, dall’epilessia,
dalla febbre, dal mal di stomaco, dalle malattie della pelle ecc., tutti
costoro, dopo che la madre del Bodhisattva ebbe disteso la mano destra sul loro
capo ritornarono a casa liberi dalle loro malattie. Infine Māyādevī donò agli
esseri sofferenti un ciuffo d’erba che aveva strappato dal terreno. Non appena
l’ebbero toccato essi furono liberati dai loro mali senza che ne rimanesse
traccia. E quando Māyādevī guardava il suo fianco destro ella vedeva allora il
Bodhisattva che era entrato nel suo seno, nello stesso modo in cui su uno
specchio tondo e terso si vedono i lineamenti del volto. A quella vista,
soddisfatta, felice, estasiata, ella sentiva il cuore ricolmo di gioia e di
allegria.
E così, o Monaci, grazie alle benedizioni
del Bodhisattva entrato nel grembo della madre, sempre e costantemente, notte e
giorno, si udivano gli strumenti musicali dei Deva e fiori divini cadevano come
pioggia. Gli dei provocavano la pioggia nei momenti più propizi; e ancora nei
momenti più favorevoli soffiavano i venti. Nei tempi giusti gli astri e le
stagioni compivano i loro cicli. Il regno si ritrovò nell’abbondanza e nel
benessere, e privo di ogni disordine. E tutti nella grande città di Kapila, gli
Śākya e gli altri, mangiavano, bevevano, gioivano, si divertivano, facevano
offerte e compivano azioni meritorie e come in una festa lunga quattro mesi
trascorsero gradevolmente la loro vita nella felicità. Quanto al re Śuddhodana,
che viveva come un Brahmacārin [22]
e aveva messo da un lato gli affari, perfettamente puro come colui che si è
ritirato nella foresta per vivere nella rinuncia, egli non si occupava d’altro
che di seguire il Dharma.
È così, o Monaci, in possesso di un tale
potere sovrannaturale, che il Bodhisattva dimorava nel seno della made.
Allora il Bhagavat disse al Venerabile
Ānanda: Tu, o Ānanda, vedi il Ratnavyūha del Bodhisattva, nel quale dimorava il
Bodhisattva dopo essere entrato nel grembo della madre? Ānanda rispose: Lo
vedo, Bhagavat; lo vedo, Sugata. Il Tathāgata lo mostrò al Venerabile Ānanda, a
Śakra, Signore degli dei, ai Quattro Guardiani del Mondo e ad altri dei e
uomini, e a quella vista tutti furono soddisfatti, felici, incantati, e il loro
cuore fu ricolmo di gioia e di allegria. E Brahmā, il Signore delle creature,
nuovamente riportò il Ratnavyūha nel Reame di Brahmā e lì lo depose per
costruire un chaitya in suo onore.
A quel punto il Bhagavat si rivolse ancora
ai Monaci: È in questo modo che, grazie al Bodhisattva rimasto per dieci mesi
nel grembo della madre, trentasei ayuta [23]
di dei e di uomini nei Tre Veicoli [24]
acquisirono
una completa maturazione.
E qui è detto:
23.
Quando il Bodhisattva, il primo tra gli esseri, entrò nel grembo di una madre,
la terra con le sue foreste fu scossa in sei modi.
24.
Una luce color dell’oro si diffuse, i reami inferiori furono purificati;
ricolme di gioia, le schiere degli dei dissero: Egli sarà il re del Dharma.
25.
Perfettamente seduto nel grande carro adorno di un gran numero di gioielli, è
lì che dimorava dopo esservi salito l’eroe, il migliore dei Maestri.
26.
Il carro, avvolto nel più soave profumo di sandalo, risplendeva; i tremila
mondi ricolmi di gioielli non possiedono la metà del suo valore.
27.
Nelle terre delle tremila grandi migliaia di mondi si è innalzato, dopo averle
attraversate, il loto di Gunakara che racchiude la goccia di elisir.
28.
Il loto splendente per la sua purezza nel settimo giorno si innalzò fino al
mondo di Brahmā; Brahmā lo colse e ne estrasse la goccia di elisir per portarla
al Bodhisattva.
29.
E non c’è nessuno tra gli esseri che avendola bevuta la possa assimilare,
tranne il Bodhisattva dalla perfetta condotta.
30.
Prodotta dallo splendore dei meriti di innumerevoli kalpa, quella goccia di amṛta
è tale per cui quando qualcuno la ingerisce il suo corpo, il suo pensiero e la
sua coscienza divengono puri.
31.
Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, essendosi presentati per tre volte al
cospetto del Bodhisattva per rendere omaggio alla Guida del mondo
32.
e avendolo lodato ed onorato, hanno ascoltato il sublime Dharma; dopo aver
girato per tre volte intorno a lui rivolgendogli il fianco destro si allontanarono
così com’erano giunti.
33.
I Bodhisattva, desiderosi di ascoltare il Dharma, arrivarono da ogni angolo del
mondo; seduti su seggi risplendenti, si riconobbero
34.
l’un l’altro e dopo aver ascoltato il Dharma eccellente del più nobile Veicolo
si allontanarono tutti con lo spirito colmo di gioia, recitando una ghirlanda
di lodi.
35.
E le donne e i bambini che in quel tempo erano sofferenti, posseduti dai Bhūta,
con lo spirito confuso, nudi, coperti di polvere,
36.
tutti costoro alla vista di Māyā, riprendendo il controllo della loro mente,
nuovamente dotati di consapevolezza, di giudizio, di controllo di sé,
ritornarono ognuno alla propria dimora.
37.
E coloro che a causa dell’unione dei soffi, della bile e del flegma o per i
dolori agli occhi o alle orecchie avevano il corpo e la mente sofferenti;
38.
coloro che erano colpiti da malattie di tipo e di origine differenti, quando la
regina Māyā impose loro la mano sul capo furono liberati dalla febbre.
39.
Nello stesso modo dopo che Māyā ebbe preso da terra un ciuffo d’erba e l’ebbe
donata ai malati, tutti furono liberati dalla febbre.
40.
Ritrovata la salute, senza essere cambiati in alcun modo, essi tornarono alle
loro case, poiché il re dei medici, divenuto egli stesso la cura, era entrato
nel grembo di una madre.
41.
E quando Māyādevī osservava il proprio corpo, ella vedeva il Bodhisattva che
dimorava nel suo grembo.
42.
Come la luna in cielo circondata dalle stelle, era così che ella vedeva la
Guida del mondo, il Bodhisattva adorno di tutti i segni (del Grande Essere).
43.
Non esisteva, per lui, alcun attaccamento né avversione né offuscamento che potesse
affliggerlo; né amore, né desiderio, né invidia, né malanimo.
44.
La fame, la sete, il caldo, il freddo, non disturbavano quello spirito
pacificato, gioioso, stabilmente concentrato nella serenità e nella pace.
45.
Senza essere toccati, gli strumenti musicali degli dei risuonavano senza sosta;
cadeva una pioggia di fiori divini dai più dolci profumi.
46.
Gli dei osservavano, così come gli uomini e coloro che tali non sono; essi non
si contrastavano e non si facevano del male l’un l’altro.
47.
Gli uomini si rallegravano e provavano piacere; facevano dono di cibo e di bevande;
emettevano grida di gioia, tanto erano felici e soddisfatti.
48.
Tutto il regno era ricolmo di benessere e privo di disordini, poiché gli dei
facevano cadere la pioggia nei tempi giusti; in quel tempo crebbero erbe, fiori
e piante medicinali.
49.
Per sette giorni e sette notti nella dimora del re cadde una pioggia di oggetti
preziosi; e quanti un bisognoso ne poteva prendere, tanti gliene furono donati
e di essi poté godere.
50.
Non vi fu un solo essere che, essendo stato povero o sofferente, non fu reso
felice come chi vive nel giardino Nandana, sulla cime del monte Meru.
51.
E il re degli Śākya, dedicatosi alle pratiche devozionali, non si occupò più
degli affari del regno, impegnandosi soltanto nella pratica del Dharma.
52.
Entrato nel boschetto dell’ascesi, egli interrogò Māyādevī: Qual è la natura
del benessere che provi nel tuo corpo, tu che porti nel grembo l’Essere
Perfetto?
Capitolo intitolato: La discesa nel
grembo di una madre, il sesto.
Nota dell’Autore
[a] Questa interruzione ad opera di
Ānanda è di gran lunga posteriore agli avvenimenti qui narrati. Avvenne mentre
il Buddha raccontava la sua vita ai suoi discepoli, nella città di Śrāvasti, per
dare un chiarimento in merito alla sua discesa tra gli uomini, circostanza che
stupiva gli dei. Ānanda aveva il compito di mandare a memoria i sūtra, di cui
il Lalitavistara fa parte, ed è naturale che volesse conoscere bene gli
avvenimenti che avrebbe poi dovuto raccontare ai fedeli.
NdT
[1] Viśākhā è uno dei 27 nakṣatra (asterismi, gruppi di stelle –
v. cap. III nota 24) del calendario lunisolare indiano. Nella cultura
tradizionale indiana non esisteva distinzione tra astronomia e astrologia. Da Viśākhā
trae origine il nome della maggiore festività buddhista, il Vesākh, che ricorda la nascita, il
Risveglio e il Parinirvāna del Buddha.
[2] V. cap.
III nota 24.
[3] Saraca indica, una pianta sacra al dio
Śiva, associata alle virtù della fermezza e della castità.
[4] Il Vittorioso, appellativo del dio Indra.
[5] Gli dei
del Kāmadhātu, il reame del
desiderio.
[6] Traduco – molto approssimativamente – con grande ordine il francese grand
arrangement (la puissance du grand
arrangement de la contemplation). Nella versione inglese la
meditazione viene chiamata the great
array, il grande ordine, schieramento, apparato. Si tratta evidentemente di
una forma di meditazione profonda, non ulteriormente descritta, dalla quale il
Bodhisattva attinge il potere descritto nella narrazione.
[7] Mesi
lunari.
[8] Quindi un
numero praticamente incalcolabile di divinità. Per non appesantire
ulteriormente il testo, tali espressioni saranno spesso tradotte con “un numero
incalcolabile”, “un immenso numero”, ed altre simili locuzioni.
[9] Il collo
del Buddha presenta tradizionalmente tre pieghe, che costituiscono un elemento molto
comune nell’iconografia buddhista e che rimandano al Triplice Gioiello, Buddha,
Dharma e Saṅgha. A sua volta la conchiglia bianca è uno degli otto simboli di
buon auspicio e rappresenta la proclamazione del Dharma.
[10] Nel testo
francese si legge che la struttura (l’etage;
la versione inglese traduce con temple)
è fatta de l’essence de sandal des
Ouragas. Non traduco essence con profumo (del sandalo), il che non
sarebbe coerente con il prosieguo della descrizione del Ratnavyūha, bensì
direttamente con sandalo, intendendo
quindi il legno di tale pianta. Probabilmente con essence si intende la parte più pregiata di un legno già di per sé
di grande valore. Anche la versione inglese parla di uraga sandalwood. Quanto
al nome, ratna significa gioiello, vyūha è ornamento. Il
Ratnavyūha è quindi descritto come una straordinaria triplice struttura
architettonica, una sorta di palazzo o di tempio fatto di sandalo, gioielli,
pietre preziose, posto nel grembo della regina, e nella quale il Bodhisattva
dimora, seduto nella posizione del loto, per i dieci mesi che intercorrono tra
l’altrettanto straordinario ‘concepimento’ e la nascita, al riparo da ogni
contatto con le ‘impurità’ del corpo materno. Da tale struttura la stessa Māyā
non è minimamente disturbata.
Per
approfondire l’argomento si possono leggere le pagine dedicate al Ratnavyūha da
J. Strong nel suo volume sulle reliquie buddhiste, Relics of the Buddha, in:
https://books.google.it/books?id=xqAB6PKyP98C&pg=PA64&lpg=PA64&dq=ratnavyuha&source=bl&ots=XmT2rQ_fzJ&sig=fr_boFRcdro44XVHLA1vezlH8jE&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiu5_eR4uDWAhWBthoKHZMfByoQ6AEIUDAK#v=onepage&q=ratnavyuha&f=false
[11] Il testo
francese sembra dire che 68 milioni di yojana
è l’estensione della spaccatura della terra provocata dal fiore di loto, ma
l’interpretazione che propongo (supportata dalla traduzione inglese), cioè
l’altezza del fiore stesso, mi pare più coerente.
[12] Il
Bodhisattva.
[13] Le dieci
terre (bhūmi) sono i livelli
raggiunti da un bodhisattva dopo la sua entrata nel sentiero della visione
(quindi dopo aver già percorso i sentieri dell’accumulazione e della
preparazione), fino a divenire un buddha pienamente illuminato. Cfr. Ph. Cornu,
Dizionario
del Buddhismo, pag. 655 e seg.
[14] Una
lettura imprescindibile su questo tema è il Bodhicharyāvātara (Una Guida allo Stile di Vita del Bodhisattva)
di Śāntideva (VII sec.), un’opera commentata dai più grandi maestri di Dharma,
fino all’attuale Dalai Lama.
[15] Colui che impugna il vajra (fulmine-diamante,
simbolo dell’indistruttibilità del vero volto della realtà, quindi del
Risveglio). È il bodhisattva dell’energia, del potere dell’Illuminazione.
[16] Nella
traduzione inglese è descritta nello stesso modo anche la seconda sezione del
Ratnavyūha.
[17] Circa due
miglia.
[18] Astenersi
dall’uccidere, dal mentire, dal rubare, dall’avere una sessualità scorretta,
dal fare uso di sostanze intossicanti del corpo e della mente.
[19] V. cap.
II, nota 17.
[20] I Bhūta sono spiriti maligni di persone
morte violentemente, demoni, vampiri.
[21] Gli
elementi (umori) di base della medicina tradizionale indo-tibetana.
[22] Uno
studente di religione, che vive con il guru,
pratica l’ascesi e la castità. È uno dei quattro aśrama, gli stadi della vita per un hindu: brahmacārin, gṛhasthya
(il capofamiglia), vānaprasthya
(colui che abbandona i doveri e si ritira in meditazione), saṃnyāsin (colui che rinuncia ad ogni possesso per conseguire la
liberazione).
[23] Secondo De
Foucaux un ayuta è pari a mille
milioni. Secondo le Prime lezioni di grammatica sanscrita di J.M. Tyberg è pari a
diecimila (in: https://books.google.it/books?uid=102383522429123406186&hl=it).
[24] I Tre
Veicoli (yāna) sono i percorsi proposti dal Buddha per conseguire il Risveglio:
il Veicolo degli Uditori (Śrāvakayāna), il Veicolo dei buddha-da-sé
(Pratyekabuddhayāna) e il Veicolo dei Bodhisattva (Bodhisattvayāna).
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Il sogno della regina |
Capitolo settimo
La nascita
Al momento della
nascita del Bodhisattva nel parco del padre si manifestano trentadue segni. –
Su richiesta della regina il re la conduce con un grande corteo nel parco di
Lumbini. Ella cammina fino ad un albero che si piega e la saluta; la regina si
aggrappa ad uno dei suoi rami e nello stesso istante il Bodhisattva esce dal
suo fianco destro senza ferirla. – Indra e Brahmā lo accolgono nelle loro
braccia. – Egli scende subito a terra e predice ciò che farà. – Fenomeni che accompagnano
questi eventi. – Profezia del Buddha sui futuri avversari della sua dottrina. –
Nascita di un gran numero di bambini e di schiavi di ambo i sessi destinati al
servizio del Bodhisattva. – Morte della regina. Perché ella muore. – Il re rende
visita con il figlio a cinquecento Śākya prima di rientrare nel palazzo. – La
zia del giovane principe riceve l’incarico di educarlo. – Trentadue nutrici si
prendono cura di lui. – Un eremita giunge dall’Himālaya attraverso i cieli per
vedere il bambino. – Il re lo accompagna presso il giovane principe. L’eremita
gli bacia i piedi, lo prende tra le braccia e improvvisamente si mette a
piangere. Il re, inquieto, lo interroga. L’eremita gli risponde che piange
perché, essendo vecchio, non vedrà il bambino divenire un Buddha. – Visita
degli dei, che predicono al re che suo figlio sarà un Buddha.
Quindi, o Monaci, trascorsi dieci mesi ed
essendo giunto il momento della nascita del Bodhisattva, trentadue segni
premonitori apparvero nel parco del re Śuddhodana. Quali furono i trentadue
segni? Tutti i fiori, dischiusi i loro calici, sbocciarono [1]. Negli stagni fiorirono i loti blu,
gialli, rossi e bianchi che avevano schiuso i loro boccioli. Ugualmente
fiorirono, essendosi aperte le loro gemme, le giovani piante da fiori e da
frutto che erano cresciute dal terreno. Otto alberi preziosi [2] si manifestarono. Ventimila tesori
preziosi scaturiti dal suolo rimasero lì visibili. Nelle stanze interne [3] apparvero piantine preziose [4]. Acque calde e fredde, soavemente
profumate, iniziarono a scorrere. Cuccioli di leone discesi festosamente nella
meravigliosa città di Kapila dai fianchi dell’Himavat, dopo aver girato tre
volte intorno ad essa offrendo il fianco destro si arrestarono sulla soglia
delle porte senza arrecare danno ad alcun essere. Cinquecento giovani elefanti
lì giunti toccarono i piedi del re Śuddhodana con la punta della loro
proboscide. I figli degli dei vestiti con le loro fasce furono visti andare e
venire nell’appartamento interno del re Śuddhodana. I figli dei Nāga furono
scorti sospesi a mezzo busto nella vastità del cielo con gli strumenti per i
riti sacrificali. Diecimila figlie degli dei apparvero immobili nel vasto cielo
recando nelle mani ventagli di coda di pavone. Diecimila scrigni ricolmi furono
visti fare il giro della grande città di Kapilavastu, rivolgendo ad essa il
lato destro. Diecimila figlie degli dei furono viste, immobili, con vasi d’oro
pieni di acqua profumata sulla loro testa.
Diecimila figlie degli dei furono altresì scorte mentre, immobili,
tenevano con sé parasole, stendardi, insegne. Molte centinaia di migliaia di
figlie degli dei furono viste immobili e in attesa, recando conchiglie e
tamburi appesi al collo. Tutti i venti, placatisi, non soffiavano. Tutti i
fiumi e i ruscelli, fermi, non scorrevano. La luna, il sole, i carri celesti, i
pianeti, le innumerevoli stelle restarono immobili. Era il periodo della
congiunzione dell’asterismo Puṣyā [5].
La dimora del re Śuddhodana era ricoperta da una rete di gioielli. I fuochi non
bruciavano. Nelle gallerie, nei palazzi, nelle terrazze, nei porticati, furono
viste appese perle e pietre preziose. Apparvero, completamente spalancati,
depositi di tessuti bianchi e di altri oggetti preziosi. I versi delle
cornacchie, dei gufi, degli avvoltoi, dei lupi e degli sciacalli erano cessati,
ed erano stati uditi i suoni più piacevoli. Tutte le attività degli uomini si
erano interrotte. I luoghi più alti e più bassi della terra furono livellati.
Tutti i crocicchi, le piazze, le strade, i mercati, uniti come il palmo della
mano, risplendevano, ricoperti di fiori. Tutte le donne in attesa partorirono
felicemente. Tutte le divinità dei boschi di śāl [6], mostratesi tra le
foglie fino a metà del corpo, furono viste immobili e rispettosamente
inchinate.
Questi furono i trentadue segni precursori
che si manifestarono [7].
In quel momento la regina Māyā, avendo
percepito grazie al potere e alla magnificenza del Bodhisattva stesso che il
momento della nascita era prossimo, durante la prima veglia della notte si recò
presso il re Śuddhodana e si rivolse a lui con questi Gāthā:
1. Signore,
lasciate che vi esponga il mio pensiero. Da molto tempo è sorta nella mia mente
l’immagine di un giardino. Se per voi non è causa di dispiacere, di imbarazzo o
di turbamento, vorrei recarmi presto nel luogo in cui si trova il giardino di delizie!
2.
Voi qui vi dedicate alle pratiche devozionali e alla meditazione sul Dharma; da
parte mia, io porto in grembo un essere puro entrato in me da molto tempo. I
śāl, i più belli tra gli alberi, sono ricoperti di fiori sbocciati; è
opportuno, o re, che io mi rechi nel giardino di delizie.
3.
La più bella delle stagioni, la primavera, è per le donne l’occasione per adornarsi.
I canti dei cuculi e dei pavoni risuonano tra i boschi. Puri, brillanti e
variegati volteggiano i pollini dei fiori. Ebbene, date l’ordine, senza
indugiare.
4.
Udite le parole della regina, il grande Re, soddisfatto, con animo colmo di
gioia, disse alle persone del suo seguito: Fate preparare i cavalli, gli
elefanti, i carri e i soldati; adornate il parco di Lumbini, eccellente nelle
sue qualità.
5.
Fate approntare ventimila elefanti, i re degli elefanti a sei zanne, simili
alle montagne azzurre, del colore delle nubi, addobbati con perle e oro,
ricoperti da reti d’oro, con i fianchi ornati di campanelle.
6.
Fate preparare ventimila cavalli bianchi come la neve e l’argento, dalle belle
criniere intrecciate, con i fianchi coperti d’oro, con reti dalle quali pendono
campanelle, leggeri e veloci come il vento, perché siano le cavalcature del re.
7.
Fate preparare velocemente schiere di guerrieri coraggiosi, in numero di
ventimila, amanti della lotta, armati di spade, di archi, di frecce, di lance,
perché proteggano con rispetto Māyā e il suo seguito.
8.
Preparate il parco di Lumbini con ornamenti in oro e perle; decorate tutti gli
alberi con un gran numero di tessuti preziosi di ogni genere, come il Nandana,
il giardino degli dei, abbellito da fiori di ogni sorta.
9.
Non appena i servitori ebbero udite queste parole, le cavalcature furono subito
approntate e il parco di Lumbini fu adornato.
I
servitori dissero:
Vittoria!
Vittoria! Lunga vita al Signore degli uomini! Tutto è stato fatto come avete
ordinato. Il tempo è giunto, Signore, guardate!
10.
Allora il migliore tra i re, con l’animo pieno di gioia, entrato nel più bello
tra i palazzi, così parlò alle donne: Coloro tra voi alle quali sono caro e
coloro che desiderano compiacermi eseguano i miei ordini adornando la propria
persona.
11.
Indossate con gioia vesti impregnate dei più dolci profumi, dai colori
variegati, morbide e affascinanti; abbellitevi con collane di perle appoggiate
sul vostro petto; mostrate tutte, quest’oggi, lo splendore dei vostri
ornamenti.
12.
Preparate tamburi, liuti, flauti, arpe, tamburelli, centomila strumenti che
rapiscono il cuore; rendete più grande la gioia delle figlie degli dei. Fate sì
che dopo aver udito la dolcezza di quei suoni gli dei stessi rimangano
incantati.
13.
Che la regina Māyā sia sola nel più bello dei carri; che né un uomo né un’altra
donna vi salgano. Che donne dalle vesti diverse trainino il carro. Che non si
faccia intendere in nessun luogo un suono sgradevole o disarmonico.
14. Quando
la regina Māyā uscendo dal palazzo giunse sulla soglia, i cavalli, gli
elefanti, i carri, i soldati, tutto il gioioso esercito che stava vicino alla
porta del re fece udire un grande rumore, simile a quello del mare in tempesta.
15.
Centomila campane risuonarono in segno di benedizione; il carro splendente fu ornato
dal re in persona; e inoltre quattro alberi preziosi furono ricoperti di foglie
e di fiori da migliaia di dei seduti su troni divini.
16.
I pavoni, le cicogne e i cigni fecero udire le loro grida di gioia; parasole,
insegne, stendardi, furono dispiegati da ogni lato; le compagne degli dei dal
cielo osservavano quel carro ricoperto di stoffe divine.
17.
Quando Māyā sedette sullo splendido trono esse fecero udire un dolce e divino
coro di lodi. La terra dei tremila (mondi) fu violentemente scossa in sei modi.
(Gli dei) sventolarono le loro vesti e gettarono i fiori più belli.
18. Quel
giorno il più grande degli uomini sarebbe nato a Lumbini. I Quattro Guardiani
del Mondo trainarono il carro. Indra in persona, Signore dei Trāyastriṃśa,
purificava la strada. Brahmā camminava davanti, allontanando i malvagi [8].
19.
Centomila Deva, con le mani giunte, si inchinarono rispettosamente. Il re, con
l’animo pieno di soddisfazione, osservava tutto ciò che avveniva. Sorse in lui
un pensiero: Colui al quale i Quattro Guardiani del Mondo, Brahmā e tutti gli
dei insieme con Indra
20.
rendono un così grande onore, certamente sarà un Buddha. Non esiste alcun
essere nei tre mondi che possa accogliere tali onori. Altrimenti, i Deva o i
Nāga, Śakra, Brahmā o i Guardiani del Mondo gli avrebbero colpito la testa e lo
avrebbero privato della vita!
21.
Ma costui, che è al di sopra degli dei, riceve tutti gli onori.
Quindi, o Monaci, Māyādevī, scortata da
ottantaquattromila carri attaccati ai cavalli, da ottantaquattromila carri
trainati da elefanti bardati con ornamenti di ogni tipo, ben protetta da un
esercito di ottantaquattromila soldati coraggiosi fino all’eroismo, forti e
belli a vedersi, armati di scudi e di corazze, preceduta da sessantamila donne
degli Śākya, protetta da quarantamila parenti del re Śuddhodana, nati nelle
famiglie del ramo paterno, anziani, giovani e di età matura; circondata da
sessantamila persone degli appartamenti interni del re Śuddhodana che cantavano
e facevano udire un concerto di voci e strumenti di ogni genere; accompagnata
da ottantaquattromila figlie degli dei, da ottantaquattromila figlie dei Nāga, da
ottantaquattromila figlie dei Gandharva, da ottantaquattromila figlie dei
Kinnara, da ottantaquattromila figlie degli Asura, perfettamente abbigliate e
adorne, che cantavano melodie e lodi di ogni sorta; seguita (da questo corteo,
la regina) uscì (dal palazzo). Tutto il parco di Lumbini, innaffiato con acqua
profumata, si riempì di fiori divini; e tutti gli alberi del più bello dei
giardini benché non fosse la giusta stagione fecero dono di foglie e frutti. E
il parco fu completamente abbellito dagli dei, proprio come il giardino Miśraka
è perfettamente adornato da essi.
Allora Māyādevī, entrata nel parco di
Lumbini dopo essere scesa dal suo meraviglioso carro, circondata dalle figlie
degli uomini e degli dei, camminava da un albero all’altro, passeggiava da un
boschetto all’altro guardando una pianta e poi un’altra, fino a Plakcha [9], il più prezioso tra i grandi alberi
preziosi, dai rami robusti, con belle foglie e germogli, tutto ricoperto dai
fiori dei Deva e degli uomini, che emanava i profumi più soavi, ai cui rami
erano sospesi tessuti di vari colori, splendente per lo scintillio variegato
delle più diverse pietre preziose, completamente adorno di ogni sorta di
gioielli dalla radice al fusto fino ai rami e alle foglie, con i rami
proporzionati e ben distesi, radicato nella terra di un luogo liscio come il
palmo della mano e ricoperto da un tappeto di erba verde come la coda dei
pavoni e soffice al tatto come seta di Kāchilindi; (lo stesso albero) al quale
si sono aggrappate le madri dei precedenti Jina [10], lodato dai canti
degli dei, bello, privo di imperfezioni e assolutamente puro, salutato da
centinaia di migliaia di dei Śuddhāvāsa dallo spirito pacificato, i quali
chinarono i loro capi con le trecce e i diademi che da essi pendevano – fu
proprio verso Plakcha che ella avanzò.
Quindi, grazie all’energia della
magnificenza del Bodhisattva, l’albero Plakcha si inchinò porgendo il suo
saluto. Allora Māyādevī distese il braccio destro simile ad un fulmine apparso
in cielo, poi afferrato un ramo di Plakcha diresse lo sguardo verso la vastità
del cielo in segno di benedizione, allungò il corpo e rimase immobile [11]. In quel momento sessantamila Apsarā
discese dal cielo degli dei Kamavatchara per porsi al suo servizio formarono per
lei una scorta d’onore.
Così il Bodhisattva entrato nel grembo di
una madre fu accompagnato dalle manifestazioni di una tale potenza sovrannaturale.
Al compimento dei dieci mesi egli uscì dal fianco destro della madre, in
perfetta coscienza e consapevolezza, senza essere toccato dalle impurità del
grembo materno, cosa che non è detta di nessun altro, poiché per gli altri si
parla invece di impurità del parto [12].
Nello stesso istante, o Monaci, Śakra, il
Signore degli dei, e Brahmā, il Signore dei Saha, stavano di fronte a lui.
Entrambi pieni del più profondo rispetto, ricordando e riconoscendo il suo
corpo e le sue membra, ricoprirono il Bodhisattva con una divina veste di Kāśi e
lo presero tra le loro braccia.
Brahmā, il Signore dei Saha, e i figli
degli dei del reame di Brahmā dopo che ebbero prelevato il tempio (Kūṭāgāra) [13] nel quale il Bodhisattva dimorava quando
era nel grembo della madre, lo portarono nel mondo di Brahmā per costruire un chaitya
e per venerarlo. Quindi il Bodhisattva non fu toccato da alcun essere umano, ma
furono delle divinità coloro che per prime lo accolsero.
Subito dopo la sua nascita il Bodhisattva
posò i piedi a terra. E non appena il Bodhisattva Mahāsattva la toccò apparve
un grande fiore di loto, sbocciato dal terreno. Nanda e Upananda, entrambi re
dei Nāga, mostratisi a mezzo busto nella distesa del cielo, fecero scaturire
due flussi d’acqua, fredda e calda, e lavarono il Bodhisattva. Śakra, Brahmā e
i Guardiani del Mondo vennero avanti e molti altri figli degli dei, in numero
di diverse centinaia di migliaia, non appena il Bodhisattva era nato, bagnarono
il suo corpo con ogni tipo di acque profumate e lo ricoprirono di fiori
freschi. Nell’aria apparvero due chamara e un prezioso parasole [14]. Egli, rimanendo sul grande loto, guardò
verso le dieci direzioni dello spazio, con lo sguardo del leone, con lo sguardo
del Grande Essere. In quel momento, o Monaci, fu generato l’occhio divino del
Bodhisattva, nato dalla completa maturazione della radice dei meriti
precedenti. Con l’occhio divino che nulla può ostacolare egli vide l’intero
universo dei tremila mondi [15], con tutte le
città, i villaggi, le province, le capitali, i regni, come pure tutti gli dei e
gli uomini. Conobbe perfettamente i pensieri e gli atti di tutti gli esseri;
quindi, avendoli compresi, guardò in ogni direzione [e disse]: Esiste un
qualsiasi essere simile a me per disciplina, concentrazione, consapevolezza,
condotta virtuosa? Il Bodhisattva vide allora che nelle moltitudini dei tremila
mondi nessun essere era pari a lui.
A quel punto il Bodhisattva, come un
leone, del tutto privo di ansia e di paura, senza alcuna apprensione,
ricordando a se stesso la sua buona motivazione e avendo compreso, dopo averli
osservati, i pensieri e le azioni di tutti gli esseri, senza essere sorretto da
alcuno, rivoltosi verso levante e fatto sette passi, disse: Io sarò colui che è
causa di tutte le pratiche che hanno la virtù come loro radice. Mentre
camminava, nell’aria sopra di lui, sospesi senza che nessuno li sostenesse, un
grande divino parasole bianco e due scacciamosche lo seguivano nei suoi passi.
Ovunque il Bodhisattva posasse i piedi, lì sbocciavano fiori di loto. Nello
stesso modo, rivolgendosi verso il meridione e compiendo sette passi, disse: Io
sarò degno delle offerte degli dei e degli uomini. Rivoltosi poi a occidente e
fatti sette passi, si fermò al settimo, come un leone, e pronunciò queste
parole di soddisfazione: Nel mondo, io sono l’Essere Supremo; sulla terra, sono
il Sublime! Questa è la mia ultima nascita; io metterò fine alla nascita, alla
vecchiaia, alla malattia, alla morte! Rivolgendosi a settentrione e fatti sette
passi: Io sarò il supremo fra tutti gli esseri! Rivolgendosi verso la regione
inferiore e fatti sette passi: Distruggerò il demone e le sue schiere; e in
favore degli esseri che dimorano negli inferi, al fine di estinguere il fuoco
infernale, farò cadere la pioggia della grande nuvola del Dharma, grazie alla
quale essi saranno ricolmati di gioia! Rivolgendosi verso la regione superiore
e fatti sette passi, egli guardò in alto: È verso l’alto che tutti gli esseri guarderanno
a me!
Non appena queste parole furono
pronunciate dal Bodhisattva, nello stesso istante tutti i tremila mondi ne
vennero a conoscenza da una voce: Ecco l’essenza della saggezza nata dalla
completa maturazione delle azioni del Bodhisattva.
Quando un Bodhisattva giunto alla sua
ultima esistenza viene al mondo e quando ottiene le qualità perfette e compiute
di un Buddha, è allora che si verificano tali manifestazioni del suo potere
sovrannaturale.
In quello stesso momento, o Monaci, tutti
gli esseri provarono sulla pelle brividi di piacere. Nel mondo si sentì un
grande terremoto, che provocò spavento e tremore. Gli strumenti musicali degli
dei e degli uomini si fecero udire senza essere toccati; e gli alberi di tutti
i tremila mondi si ricoprirono di fiori e di frutti, quale che fosse la
stagione. Dall’alto del cielo si poté udire il rumore delle nuvole; quindi un
dio fece cadere una pioggia leggera dal cielo sgombro di nubi. Venti delicati
al contatto e soavemente profumati si misero a soffiare dai reami degli dei trasportando
ogni sorta di fiori, di tessuti, di ornamenti, di polveri profumate. Tutti i
luoghi dello spazio, liberi dalle tenebre, dalla polvere, dal fumo e dalla
nebbia, assunsero un aspetto sereno e luminoso. Dall’alto dei cieli si poterono
udire i meravigliosi suoni di Brahmā, invisibili, prolungati. Tutti gli
splendori di Candra, di Sūrya, di Indra, di Brahmā e dei Guardiani del Mondo
furono eclissati. L’insieme dei tremila universi fu illuminato in ogni sua
parte da una luce splendente di centomila colori, estremamente gradevole sulla
pelle, che generava benessere nel corpo e nello spirito di ogni essere e
superava ogni luce del mondo.
Non appena il Bodhisattva nacque tutti gli
esseri provarono un estremo piacere. Tutti furono liberati dalla passione,
dall’avversione, dall’ignoranza, dall’orgoglio, dalla tristezza, dalla
depressione, dalla paura, dall’invidia e dalla gelosia, e tutte le azioni non
virtuose ebbero fine. Le sofferenze dei malati furono alleviate. La fame e la
sete di coloro che ne erano tormentati furono placate. Gli esseri ottenebrati e
smarriti a causa delle sostanze inebrianti ritrovarono la lucidità. I folli
ritrovarono il senno, i ciechi la vista, i sordi l’udito. Coloro le cui membra
o alcune di esse erano imperfette ebbero organi privi di difetti. I poveri
ottennero ricchezze; i prigionieri furono liberati dalle loro catene; la
sofferenza degli esseri gettati nell’Avīcī [16] e negli altri
inferni, da qualsiasi causa fosse generata, si alleviò. La misera condizione
degli esseri in forma di animali, divorantisi gli uni con gli altri, ebbe fine,
insieme con gli altri loro mali. Nello stesso modo furono placate la fame, la
sete e tutte le sofferenze degli esseri del regno di Yama.
E quando il Bodhisattva, subito dopo la
sua nascita, compì i sette passi, poiché aveva ottenuto, al termine di un
incommensurabile periodo di centomila niyuta di koti di kalpa, grazie alle
azioni virtuose compiute, una grande energia e una grande forza, per effetto
del conseguimento dell’essenza del Dharma, in quello stesso momento i Buddha
Bhagavat che dimoravano nelle dieci direzioni dello spazio donarono a
quell’angolo di terra la natura del diamante, in modo tale che quel luogo non ne
fosse sconvolto [17].
Tale era, o Monaci, la grande energia per
cui il Bodhisattva appena nato compì sette passi e tutti i luoghi dell’universo
furono in quell’istante inondati da una meravigliosa luce. E in quel momento fu
udito un forte suono di canti e di danze. Inoltre caddero in quantità, come se
piovesse, innumerevoli nubi di fiori, di polveri fragranti, di profumi, di
ghirlande, di perle, di ornamenti, di tessuti, e tutti gli esseri furono
ricolmi di profonda gioia. Tali furono, in breve, i fenomeni che si
manifestarono quando il Bodhisattva, che è molto al di sopra di tutti i mondi,
nacque in questo mondo.
Allora il Venerabile Ānanda, alzatosi dal
suo seggio, appoggiato un lembo della veste su una spalla [18] e posato il ginocchio destro a terra, si
inchinò verso il punto ove si trovava il Bhagavat e con le mani giunte gli
disse: Il Beato, il Tathāgata, è causa di meraviglia per tutti gli esseri. Il
Bodhisattva possedeva egli stesso incredibili qualità. Ma che dire di più, quando
egli ha acquisito le qualità senza eguali di un Buddha perfetto e compiuto?
Ed io, o Beato, prendo rifugio nel Buddha
Bhagavat quattro volte, cinque, dieci, cinquanta volte, finanche molte
centinaia di migliaia di volte!
Dopo che il Venerabile Ānanda ebbe così
parlato, il Beato gli disse: Vi saranno certamente in futuro, Ānanda, molti
monaci con corpo, mente, comportamento, coscienza tali da non poter essere
immaginati; ignoranti, incapaci, estremamente fieri, orgogliosi, arroganti, dissoluti,
dalla mente distratta, ricolmi di bramosia, pieni di dubbi, senza fede, che screditeranno
gli Śramaṇa, che avranno una condotta opposta a quella degli Śramaṇa, che non
crederanno che la discesa del Bodhisattva nel grembo materno sia perfettamente
pura. Riunitisi insieme da una parte diranno l’un l’altro: Ascoltate questa assurdità:
come è possibile che un Bodhisattva entrato nel grembo di una madre,
mescolatosi con i fluidi impuri [19], abbia ricevuto
un simile potere sovrannaturale? E che veramente uscendo dal fianco destro di
sua madre non sia stato contaminato dalle impurità del grembo? Come può tutto
questo essere possibile? [20]
Ma quegli uomini di tenebra [21] non comprenderanno che il corpo degli
esseri che hanno compiuto azioni virtuose non è contaminato dai fluidi impuri.
Al contrario, l’entrata di tali esseri nel grembo di una madre e il loro
permanere in esso è un fatto sublime, poiché è per compassione nei confronti di
tutti gli esseri che un Bodhisattva nasce nel mondo degli uomini: se egli fosse
un Deva, non farebbe girare la ruota del Dharma. E se così fosse, o Ānanda,
come potrebbero gli esseri non cadere nello sconforto? (Essi direbbero:) Il
Bhagavat Tathāgata Arhat è veramente il Buddha completamente perfetto [22], ma noi, che siamo soltanto esseri umani,
siamo incapaci di conseguire tali ottenimenti. Ed essi cadrebbero così nello
scoraggiamento.
Mai a quegli uomini di tenebra accadrà di
pensare: Questo Essere è veramente incomprensibile! Non potrà mai essere
giudicato da noi! Anzi, Ānanda, in quel tempo essi non crederanno possibile la
manifestazione del potere sovrannaturale del Buddha, e a maggior ragione la
manifestazione del potere sovrannaturale del Tathāgata Bodhisattva in quanto
Bodhisattva. O Ānanda, quali e quante concezioni erronee genereranno quegli
uomini ottenebrati, che respingeranno il Dharma del Buddha, sopraffatti
dall’idea del guadagno, degli onori, della fama; quegli uomini vili e rozzi,
caduti nel fango, vinti dal desiderio di ricchezza e di gloria!
Ānanda chiese: Ci sarà un tempo, o Beato,
nel quale monaci di tal fatta rigetteranno un Sūtra così meraviglioso e
parleranno contro di esso?
Il Beato rispose: Simili uomini, che
rifiuteranno questo Sūtra perfetto, che lo criticheranno e che anzi genereranno
ben altre concezioni biasimevoli senza preoccuparsi dei loro doveri di Śramaṇa,
certamente appariranno, o Ānanda.
Ānanda domandò: Quale sarà dunque, o
Beato, la rinascita di tali uomini privi di virtù, quale sarà la loro sorte
futura?
Il Bhagavat rispose: Sarà quella di coloro
che avendo negato la Saggezza suprema del Buddha e dei Buddha passati, futuri e
presenti criticano i Buddha Bhagavat; quella sarà la loro rinascita.
Allora il Venerabile Ānanda sentendo la
pelle rabbrividire (interrompendo il Buddha) esclamò: Rendo omaggio al Buddha!
E aggiunse rivolgendosi al Bodhisattva: Il mio corpo viene meno, o Beato,
apprendendo qual è il comportamento di quegli uomini privi di virtù.
Il Beato continuò: Ānanda, poiché il
comportamento di quegli esseri è privo di disciplina, essi andranno con coloro
che hanno una condotta senza regole e a causa di tale condotta non virtuosa
essi rinasceranno nel grande inferno Avīcī.
Perché questo? Ānanda, i monaci e le
monache, i laici e le laiche, chiunque essi siano, che dopo aver udito un tale
Sūtra non lo accetteranno, non avranno fede in esso, lo rigetteranno,
precipiteranno, dopo la loro morte, nel grande inferno Avīcī. O Ānanda, non si
deve misurare il Tathāgata! Perché? Perché il Tathāgata è incommensurabile,
profondo, vasto, difficile da comprendere. Ānanda, tutti coloro, chiunque
siano, che avendo ascoltato un siffatto Sūtra ne avranno ricavato gioia,
piacere e pace, quegli esseri avranno grandi ottenimenti. La loro vita umana
sarà fruttuosa ed essi avranno una condotta virtuosa; per loro sarà raccolta
l’essenza del Dharma, essi saranno liberati dai tre reami inferiori [23], diverranno figli del Tathāgata,
otterranno tutto ciò di cui avranno bisogno. L’aver fede porterà loro molti
frutti e la condivisione delle ricchezze del reame; essi, primi tra gli esseri,
avranno pace. Per loro saranno spezzate le catene del demone ed essi andranno
al di là del deserto del saṃsāra. Sarà loro strappata la freccia della
sofferenza ed otterranno un tesoro di grande gioia. Le vie del rifugio sono
state da essi genuinamente intraprese. Sono degni di ricevere offerte e
meritano di essere protetti.
Perché questo? Perché tra tutti essi hanno
fede negli insegnamenti del Tathāgata, i quali vanno in senso contrario
rispetto alle convenzioni mondane. Questi esseri, Ānanda, non possiedono una
radice della virtù di livello inferiore, ed essi saranno miei amici, legati a me
da una sola (ed ultima) rinascita.
Perché questo? Alcuni, Ānanda, sono compiaciuti
e deliziati nell’ascoltarmi [ma non nel vedermi 24];
altri, benché compiaciuti e deliziati nel vedermi, tuttavia non lo sono nell’ascoltarmi.
Tutti coloro per i quali io posso essere gradevole da vedere e da ascoltare,
puoi star certo che essi sono miei amici, legati ad una sola rinascita. Costoro
sono osservati dal Tathāgata e destinati ad essere liberati da Lui, presso il
quale hanno preso rifugio. Essi possiedono una parte delle stesse qualità del
Tathāgata [25], e sono destinati
a divenire Upāsaka [26]. O Ānanda, mentre
seguivo il cammino del Bodhisattva, a tutti gli esseri, chiunque fossero, che
giunti alla mia presenza tormentati dalla paura hanno chiesto protezione, io a
costoro ho offerto protezione; a maggior ragione oggi, quando possiedo le
qualità perfette e compiute di un Buddha. Ānanda, è necessario impegnarsi nella
fede, questo è ciò che il Tathāgata raccomanda. O Ānanda, ciò che è stato fatto
dal Tathāgata deve essere fatto da voi. Il pungiglione dell’orgoglio è stato
purificato dal Tathāgata. Ānanda, se qualcuno ha ricevuto notizie di un amico,
non percorre forse finanche cento yojana per incontrarlo? E dopo essere
arrivato, non è forse pieno di gioia? A maggior ragione, coloro che avendo
incontrato un amico mai visto in precedenza e avendo preso rifugio presso di me
faranno crescere le radici della virtù, o Ānanda, saranno riconosciuti dai
Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti. Questi esseri un
tempo amici dei Tathāgata, sono nostri amici, questo è il mio pensiero.
Perché questo? In verità, Ānanda, un amico
e colui che è caro a questo amico, conquistano il cuore. La persona che è cara
all’amico, essa stessa è gradita e cara. Perciò, Ānanda, vi esorto e voglio
farvi capire questo: Generate solo la fede e vi condurremo alla presenza dei futuri
Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti, dicendo: essi sono
anche nostri amici! Ascoltato ciò, essi esaudiranno completamente i vostri
desideri.
Così, per esempio, Ānanda, se un uomo
avesse un unico figlio e se quest’uomo, dalla parlata gentile e che lo rende
rispettato, avesse molti amici, il figlio, dopo la morte del padre, non si
troverebbe in povertà, in quanto sarebbe ben accolto dagli amici di suo padre.
Nello stesso modo, o Ānanda, tutti coloro che hanno fede in me, che hanno preso
rifugio presso di me, io li accolgo come amici. Il Tathāgata ha molti amici e
gli amici del Tathāgata che dicono la verità e non mentono io li affido ai
futuri Tathāgata Arhat Buddha autenticamente perfetti e compiuti. È nella fede
che bisogna impegnarsi, è questo che vi raccomando!
Così dunque, dopo la nascita del
Bodhisattva, dalla vastità dei cieli da cui erano giunte, centinaia di migliaia
di niyuta di koti di Apsarā ricoprirono Māyādevī di fiori, ghirlande, oli,
vesti e ornamenti.
A questo proposito è detto:
21.
Nobilmente splendenti come oro puro e immacolato, radiose come la luna e il
sole, sessantamila divine Apsarā dalle voci armoniose, giunte in quel momento a
Lumbini, dissero a Māyādevī: Non preoccuparti; noi siamo felici di essere qui
al tuo servizio!
22.
Parla, cosa bisogna fare? Di cosa hai bisogno? Siamo pronte a servirti e felici
di questo compito. Sii dunque ricolma di grande gioia e non avere alcuna
preoccupazione, tu, o Regina, che oggi, tra poco, partorirai il migliore dei
medici, il distruttore della vecchiaia e della morte.
23. Questi
alberi śāl si sono ricoperti di fiori sbocciati; gli dei, a centinaia di
migliaia, stanno accanto a te e si inchinano tendendo le braccia; questa terra
e i suoi mari hanno tremato in sei maniere; tu metterai al mondo un figlio
rinomato in cielo e in terra, a tutti superiore in questo universo.
24. Meravigliosi
raggi di luce, puri, color dell’oro, risplendono e cento piacevoli strumenti
risuonano nell’aria senza essere toccati; centomila dei Śuddhāvāsa, immacolati
e liberi dalle passioni, si inchinano con spirito gioioso; oggi tu darai alla
luce un figlio che sarà il salvatore di tutti i mondi.
25.
Śakra, Brahmā e i Guardiani del Mondo, insieme con altre divinità, con spirito
ricolmo di felicità e soddisfazione stanno al tuo fianco, in adorazione,
tendendo le braccia; il leone degli uomini, i cui voti sono stati adempiuti,
simile ad una montagna d’oro, la guida del mondo, aprendo il fianco della madre
ne è uscito, con puro splendore.
26.
Śakra e Brahmā accolsero nelle loro mani il Muni; centomila regioni tremarono e
puri raggi si diffusero; nei tre domini inferiori [27] gli esseri conseguirono la felicità e non soffrirono
più. Centomila Deva gettarono fiori e agitarono le vesti.
27.
Dotata di forza e vigore, della stessa natura del diamante, la terra rimase
immobile. Un loto di grande bellezza sbocciò in ogni punto in cui la Guida
eccellente posò i suoi piedi, abbelliti dal segno di una ruota [28]. Dopo aver fatto sette passi, colui che ha la voce di
Brahmā fece udire il nobile dei discorsi: Io sarò il medico per eccellenza, il
distruttore della malattia e della morte.
28.
Sospesi nel cielo, il più grande degli dei Brahmā e il più grande degli dei
Trāyastriṃśa, Śakra, bagnarono la Guida eccellente con pure acque profumate,
soavi e rinfrescanti. Ed i due re dei Nāga, Nanda e Upananda, anch’essi sospesi
nel cielo, fecero scorrere due correnti di acqua fredda e calda. Centomila dei
con acque profumate bagnarono la Guida eccellente.
29.
I Guardiani del Mondo rispettosamente premurosi la sostennero con le loro belle
mani. L’universo dei tremila mondi fu scosso, e con esso tutto ciò che vi si
trova, animato o inanimato.
30.
Raggi splendenti scaturirono e i domini inferiori furono purificati; le
sofferenze generate dalle afflizioni si estinsero quando nacque nel mondo la
Guida eccellente.
31.
Gli dei gettarono fiori sulla Guida degli uomini che era appena nata. Quindi,
l’Eroe forte e coraggioso fece sette passi.
32.
Laddove avanzava posando i piedi sul suolo, dei loti, i più belli tra tutti, si
innalzavano dalla terra, adorni di ogni sorta di gioielli.
33. Dopo
aver compiuto sette passi [esclamò] facendo udire la voce di Brahmā: Il distruttore della
vecchiaia e della morte, il Medico supremo, è apparso.
34.
Rivolto fieramente lo sguardo nelle diverse direzioni dello spazio, pronunciò
queste parole dal profondo significato: Io sono il primo nell’intero universo;
io sono nel mondo la migliore delle Guide.
35-36.
Questa è la mia ultima nascita. Così dicendo, la Guida degli uomini sorrise.
Colui che era giunto in aiuto verso l’intero universo fu cosparso con le
migliori acque profumate dai Guardiani del Mondo e dagli dei insieme con Indra,
tutti dotati di menti pure; lo stesso fecero i principi degli Uraga [29] tutti riuniti. Facendo scorrere rivoli di acque
profumate, altri Deva lo bagnarono, sospesi nell’aria a centinaia di migliaia.
37. Bagnarono
con acque profumate l’Essere sorto-da-sé [30];
sostennero un grande parasole bianco e degli scacciamosche di coda di yak. È in
questo modo che, discesi dal cielo, gli dei bagnarono il Supremo tra gli
uomini.
38.
Un uomo, recatosi in fretta presso il re Śuddhodana gli disse gioiosamente: È
in arrivo una grande fortuna, o Re, grazie ad un figlio dotato dei segni del
corpo.
39.
Un arricchimento della collana di perle delle grandi famiglie. Certamente sarà
un re Cakravartin; e, senza avere alcun nemico nel Jambudvīpa, sarà l’unico a
detenere il parasole, l’insegna della sovranità.
39a.
Un altro uomo, lì giunto, dopo aver abbracciato i piedi del re Śuddhodana, gli
disse: O re, una grande fortuna si è prodotta nella famiglia degli Śākya.
39b.
I quali, tutti senza eccezione, sono dei Nagna [31]
dotati di forza, eguali tra loro, difficili da vincere per i nemici.
40. Un
terzo uomo esclamò: O Re, ascoltate questa gioiosa notizia: simili tra loro,
con alla loro testa Chandaka [32], ottocento figli
di servitori sono nati, insieme con diecimila cavalli, con alla loro testa Kaṇthaka,
i migliori dei destrieri, eccellenti, del coloro dell’oro, con belle criniere,
e con ventimila principi delle fortezze di frontiera.
41.
Poi, avvicinatosi ai piedi del re: Possa tu essere felicemente vittorioso, o
Re! Dai l’ordine: dove dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare, o Signore? Tu
detieni il potere, noi, nobile Signore, siamo i tuoi servitori, possa tu essere
vittorioso! Ventimila elefanti, splendenti sotto reti d’oro,
42.
sono giunti velocemente, riempiendo la dimora regale dei loro barriti. Mucche e
vitelli pezzati di nero, preceduti da gopā
[33], sono nati, in
numero di seicento. Ecco, o Signore, un altro arricchimento che si è prodotto
nel palazzo regale, dacché è nato colui che è al di sopra degli dei.
43. Essendo nato colui che possiede lo
splendore delle azioni virtuose, uomini e dei, a migliaia, gioiosi, avendo
visto le sue qualità, dissero: Procedi verso la suprema Saggezza, libero dalla
sofferenza, che tu sia presto Vittorioso!
In tal modo, o
Monaci, nello stesso istante della nascita del Bodhisattva, vi fu una
abbondante distribuzione di doni. Nacquero anche cinquecento figli di nobili
famiglie.
Vennero altresì
alla luce diecimila bambine con alla loro testa Yaśovatī; ottocento figlie e
ottocento figli di servitori, con Chandaka avanti a tutti; diecimila giumente e
diecimila purosangue, con Kaṇthaka primo tra tutti. Cinquecento elefantesse e
cinquecento elefanti, tutti marchiati sulle proboscidi con eleganti lettere
disegnate dal re Śuddhodana, furono donati al giovane principe per il suo
divertimento.
Nel luogo che si trova al centro di
quattrocentomila koti di terre apparve il fusto di un Aśvattha [34]. E nel continente inferiore nacque per il
piacere del Bodhisattva un bosco di alberi di sandalo, tutto questo grazie al
potere del Bodhisattva stesso; e in ogni punto della città apparvero
cinquecento giardini, anch’essi per la gioia del Bodhisattva. Cinquecento mila
tesori, scaturiti dal terreno, aprirono le loro porte. Così tutto ciò che era
negli intendimenti del re Śuddhodana si realizzò e fu perfettamente compiuto. A
quel punto una domanda sorse nella mente del re Śuddhodana: Quale nome darò al
giovane principe? Ed egli pensò: Poiché subito dopo la nascita di questo
bambino tutti i miei progetti si sono completamente realizzati, gli darò il
nome di Sarvārthasiddha [35]. Quindi il re
Śuddhodana, dopo aver reso omaggio al Bodhisattva con grandi manifestazioni di
rispetto, disse: Che il giovane principe venga chiamato con il nome di Sarvārthasiddha.
È in questo modo che gli venne attribuito il nome.
Il Bodhisattva, dunque, era nato senza che
il fianco destro della madre fosse ferito in alcun modo; come avvenuto quando
vi era entrato, così fu in seguito. Apparvero dei pozzi con tre serbatoi, ed
anche degli stagni di oli profumati. Cinquemila Apsarā giunte presso la madre
del Bodhisattva recando oli profumati di divine essenze, le chiesero se la
nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Poi, cinquemila Apsarā giunte presso la
madre del Bodhisattva recando unguenti divini, le chiesero se la nascita fosse
stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Quindi, cinquemila Apsarā giunte presso la
madre del Bodhisattva recando vasi colmi di acque divine profumate, le chiesero
se la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
E ancora, cinquemila Apsarā giunte presso
la madre del Bodhisattva recando vesti dei figli degli dei, le chiesero se la
nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Cinquemila altre Apsarā giunte presso la
madre del Bodhisattva recando ornamenti dei figli degli dei, le chiesero se la
nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Infine, cinquemila Apsarā giunte presso la
madre del Bodhisattva con canti e strumenti di musiche divine, le chiesero se
la nascita fosse stata serena e se non avesse affaticato il suo corpo.
Vi erano anche, nel Jambudvīpa, dei ṛṣi
stranieri, in possesso dei cinque poteri superiori, che erano giunti attraverso
i cieli e si erano fermati in presenza del re Śuddhodana: Possa il re essere
vittorioso e felice! Queste furono le parole da essi pronunciate.
In tal modo, o Monaci, nei sette giorni
successivi alla nascita del Bodhisattva, nel parco di Lumbini gli fu reso onore
con il suono degli strumenti degli uomini e degli dei; fu circondato dal
rispetto, dagli omaggi, dalle offerte. Vennero distribuiti cibi e pietanze
delicatamente cucinate. Tutte le schiere degli Śākya che si erano riunite
fecero udire grida di gioia, offrirono doni e compirono azioni meritorie.
Trentaduemila Brāhmaṇi furono ristorati ogni giorno e fu loro donato tutto ciò
di cui avevano bisogno. In quella adunanza di Brāhmaṇi, Śakra, il Signore degli
dei, e Brahmā, che avevano assunto le sembianze di due giovani Brāhmaṇi e si
erano seduti nei primi posti, fecero entrambi udire questi versi di buon
augurio:
44.
Poiché le sofferenze dei reami inferiori sono lenite, poiché tutti sono felici,
colui che porta la gioia è certamente nato; egli farà dimorare il mondo nella
felicità.
45.
Poiché a causa delle luci che dissolvono le tenebre il fulgore della luna e
quello del sole sono eclissati e non risplendono più, certamente colui che ha
lo splendore dei meriti è apparso.
46.
Poiché i ciechi vedono e i sordi odono, poiché i folli hanno ritrovato il
senno, è apparso nel mondo colui che è degno di venerazione.
47.
Poiché le oscurazioni mentali non causano più sofferenza, poiché tutti sono
divenuti compassionevoli, senza dubbio egli sarà degno delle offerte di dieci
milioni di Brahmā.
48.
Poiché gli alberi śāl sono ricoperti di fiori e la terra è liscia, certo egli
sarà degno delle offerte del mondo intero e sarà onnisciente.
49.
Poiché il mondo è privo di turbamento e il grande loto è apparso, egli, avvolto
in un grande splendore, sarà senza alcun dubbio la guida del mondo.
50.
Poiché dolci brezze profumate di essenze divine leniscono la sofferenza degli
esseri, egli sarà il re dei medici.
51.
Poiché anche i cento Deva del reame della forma sono liberati dalle loro
passioni e si inchinano con le mani giunte, egli sarà degno di offerte.
52.
Poiché gli uomini vedono gli dei e gli dei vedono gli uomini senza che alcuno
rechi danno all’altro, egli sarà la guida delle moltitudini di esseri.
53.
Poiché i fuochi sono estinti [36] e tutti i corsi
d’acqua sono immobili; poiché la terra ha dolcemente tremato, egli sarà colui
che conosce la verità.
Sette giorni dopo la nascita del
Bodhisattva, o Monaci, per sua madre Māyādevī giunse il momento della morte.
Dopo la sua morte, ella rinacque nel cielo dei Trentatré Dei.
Ma, o Monaci, voi potreste credere che
Māyādevī sia morta a causa del Bodhisattva, ma non è così che bisogna pensare.
Perché? Perché ella era giunta al limite estremo della sua esistenza. Anche le
madri dei Bodhisattva del passato sono morte sette giorni dopo la loro nascita.
Perché questo? Perché l’abbandono della casa paterna da parte del Bodhisattva,
una volta cresciuto e divenuto adulto, avrebbe spezzato il cuore della madre.
Così, o Monaci, si era dunque al settimo
giorno dopo che Māyādevī era uscita con un immenso seguito dalla grande città
di Kapilavastu per dirigersi verso il luogo del parco di piacere. A quel punto,
con un seguito infinitamente più grande, il Bodhisattva entrò nella grande
città di Kapilavastu.
Non appena vi entrò, cinquemila urne piene
di acqua profumata furono portate innanzi a lui. Nello stesso tempo cinquemila
fanciulle camminavano davanti con ventagli di code di pavone nelle mani.
Cinquemila ragazze procedevano recando vasi d’oro ricolmi di acque profumate e
irroravano la strada. Cinquemila altre giovani camminavano davanti portando
veli di ogni sorta. Cinquemila fanciulle avanzavano recando con sé ghirlande di
fiori freschi e variegati. Ancora cinquemila fanciulle camminavano davanti
indossando ornamenti belli e preziosi e purificando la strada. Altre cinquemila
procedevano sorreggendo cuscini cerimoniali. Cinquemila Brāhmaṇi avanzavano
facendo udire parole beneauguranti. Ventimila elefanti, bardati con tutti i
loro ornamenti, marciavano davanti. Procedevano avanti ventimila cavalli adorni
di gioielli d’oro e con tutti i loro finimenti. Ottantamila carri completamente
ornati con parasole, stendardi e bandiere dispiegate e abbelliti con reti e
campanelle appese, seguivano il Bodhisattva. Quarantamila soldati fieri e
coraggiosi, dai corpi ben fatti, difesi da solide armature, marciavano dietro
al Bodhisattva. Sospesi nelle distese dei cieli, i figli gloriosi degli dei del
Reame del Desiderio e del Reame della Forma, in numero immenso,
incommensurabile, a centinaia di migliaia, rendevano omaggio al Bodhisattva e
lo seguivano compiendo evoluzioni di ogni sorta. Il carro, il migliore tra
tutti, sul quale il Bodhisattva era salito, fu preparato in vari modi dagli dei
Kamavatchara [37]. E ventimila
Apsarā adorne di ogni tipo di gioielli, indossando collane di perle, lo
trainavano. In mezzo ad ogni coppia di Apsarā c’era una fanciulla, e tra ogni
coppia di fanciulle si trovava un’Apsarā. Ma le Apsarā non percepivano l’odore
poco gradevole delle donne, e le donne, vedendo la bellezza delle Apsarā, non
si sentivano sminuite, e questo grazie al potere della gloria del Bodhisattva.
Intanto, o Monaci, nella città di Kapila,
la migliore tra le migliori, cinquecento abitazioni furono approntate per
cinquecento Śākya, in previsione dell’arrivo del Bodhisattva. Essi, rimanendo
ognuno sulla porta della propria casa, a mani giunte, con il corpo inchinato e
ricolmi di rispetto, dicevano al Bodhisattva che era entrato in città: O
Sarvārthasiddha, entra qui! Dio al di sopra degli dei, entra qui! Puro Essere,
entra qui! Tu che generi la felicità e la gioia, entra qui! Tu, la cui gloria è
immacolata, entra qui! Tu che vedi tutto, entra qui! Tu, che sei pari a chi è
senza pari [38], entra qui! Tu
che possiedi lo splendore di impareggiabili qualità, il cui corpo è adorno dei
marchi maggiori e dei segni minori, entra qui!
Per far sì che tutti rimanessero in
armonia tra loro, il re Śuddhodana fece entrare il Bodhisattva in tutte le
dimore e dopo quattro mesi lo portò nel proprio palazzo. Quel grande palazzo
chiamato Nānāratnavyūha [39] fu la dimora
nella quale il Bodhisattva fu insediato. In quello stesso luogo i più anziani
tra gli Śākya, che si erano riuniti in assemblea, tennero consiglio
chiedendosi: Chi è veramente in grado di badare al Bodhisattva, accudirlo,
prendersi cura di lui con amore, con dolcezza, con uno spirito ricco di buone
qualità, con bontà?
Allora cinquecento donne Śākya dissero,
ognuna a proprio favore: Io rimarrò accanto al Bodhisattva per servirlo.
Ma i più anziani tra gli Śākya
affermarono: Tutte queste donne, giovani, belle, sbadate, fiere della loro
giovinezza e del loro fascino, non sono adatte per servire adeguatamente il
Bodhisattva. Mahāprajāpatī Gāutamī, sorella della madre del giovane principe,
ecco colei che è in grado di crescerlo con le migliori cure e di essere d’aiuto
al re Śuddhodana.
Così, essendo tutti d’accordo, fecero
affidamento su Mahāprajāpatī Gāutamī. È in questo modo che ella fu incaricata
di educare il giovane principe. Furono altresì scelte trentadue nutrici per
servire il Bodhisattva: otto per portarlo in braccio, otto per allattarlo, otto
per lavarlo e otto per farlo giocare.
Poi, il re Śuddhodana convocò l’intera
assemblea degli Śākya e pose loro questa domanda: Il giovane principe diverrà
un re Cakravartin oppure abbandonerà il palazzo per divenire un monaco errante?
A quel tempo sulle pendici dell’Himavat,
re delle montagne, un grande Ṛṣi di nome Asita, in possesso dei cinque poteri
straordinari, viveva con Naradatta, figlio di sua sorella. Proprio nel momento
della nascita del Bodhisattva egli vide i numerosi fenomeni sovrannaturali e
nelle distese dei cieli i figli degli dei che acclamavano il nome del Buddha
agitando le vesti da una parte all’altra e muovendosi di qua e di là, pieni di
gioia. Sorse in lui questo pensiero: Bisogna che io veda con precisione cosa
accade. Con il suo occhio divino scrutò attentamente tutto il Jambudvīpa e
scorse nella grande città di Kapila, all’interno del palazzo del re Śuddhodana,
il giovane principe nato da poco, splendente della luce di cento meriti,
onorato da tutti, con il corpo adorno dei trentadue segni del Grande Essere.
Avendolo visto, si rivolse a Naradatta,
figlio di un Brāhmaṇo: Sappi, figlio di Brāhmaṇo, che nel Jambudvīpa è apparso
un prezioso tesoro. Nella grande città di Kapilavastu, all’interno del palazzo
del re, è nato un giovane principe, raggiante della luce di cento meriti,
onorato da tutti, adorno dello splendore dei trentadue segni del Grande Essere.
Se rimarrà nel palazzo sarà un re Cakravartin a capo di un esercito di quattro
armate di soldati, vittorioso, fedele al Dharma, re del Dharma; avrà a sua
disposizione la forza e il coraggio dei suoi sudditi e sarà in possesso dei
sette tesori: il tesoro della ruota, il tesoro dell’elefante, [il tesoro del
cavallo,]
il tesoro della gemma Maṇi, il tesoro della moglie, il tesoro del ministro, il
tesoro del consigliere [40]. Egli avrà mille
figli eroici, coraggiosi, belli e armoniosi, vincitori degli eserciti nemici.
Dopo aver sottomesso attraverso le sue leggi e la sua forza, senza usare la
violenza né le armi, tutto il cerchio della grande terra che ha per confine
l’Oceano, egli eserciterà la regalità con l’autorità della sua onnipotenza. Ma
se uscendo dal palazzo andrà errando come un monaco senza dimora, egli sarà
allora un Tathāgata Arhat, un Buddha autenticamente perfetto e compiuto; un
Buddha perfetto, una guida di cui nessuno al mondo è maestro. Perciò, andiamo
entrambi a vederlo.
Avendo così parlato, il grande Ṛṣi Asita
insieme con Naradatta, figlio della sorella, levatosi in volo attraverso i
cieli e direttosi verso la grande città di Kapilavastu, interruppe lì il suo
viaggio magico, entrò a piedi nella grade città di Kapilavastu, si avvicinò al
luogo in cui dimorava il re Śuddhodana e si fermò davanti alla porta del
palazzo del re. Lì, o Monaci, il Devaṛṣi Asita vide riuniti presso la porta
della dimora del re Śuddhodana centinaia di migliaia di esseri viventi. Allora
Asita il grande Ṛṣi avvicinatosi alla guardia della porta così disse: Amico,
va’ e comunica al re Śuddhodana che un ṛṣi è giunto alla sua porta. Sta bene!
Rispose la guardia, conformandosi alla richiesta del grande Ṛṣi Asita; giunta
al luogo in cui si trovava il re Śuddhodana, unendo rispettosamente le mani, disse
al re: Sappiate, o Re, che un vecchio ṛṣi, anziano, molto anziano, è giunto
alla porta e dice così: Desidero incontrare il re. Allora il re Śuddhodana,
fatto preparare un seggio per il grande Ṛṣi Asita, disse alla guardia: Si
faccia entrare il Ṛṣi!
La guardia, uscita dal palazzo del re,
così si rivolse al grande Ṛṣi Asita: Entrate!
Subito il grande Ṛṣi Asita, recatosi
laddove si trovava il re Śuddhodana e avvicinatosi, si fermò davanti a lui e
disse: Sii vittorioso, grande Re, sii vittorioso e abbi una lunga vita
governando in armonia con il Dharma!
Quindi il re Śuddhodana dopo aver reso
omaggio al grande Ṛṣi Asita con l’Arghya [41] e con acqua per
lavare i piedi, dopo averlo onorato con atti di rispetto e di riguardo, lo
invitò a sedere. Avendo visto che era seduto a proprio agio gli si rivolse con
deferenza e rispetto: Non ricordo di averti mai visto, Ṛṣi. Qual è lo scopo
della tua visita? Di che si tratta?
Udito ciò, il grande Ṛṣi Asita rispose al
re Śuddhodana: Ti è nato un figlio, grande Re, ed io desiderando vederlo sono
venuto qui.
E il re: Il giovane principe sta dormendo,
grande Ṛṣi; aspetta che si svegli.
Il Ṛṣi affermò: Grande Re, Esseri così
grandi non dormono a lungo, Esseri così virtuosi sono soliti restare svegli.
In quel momento, o Monaci, il Bodhisattva
per bontà nei confronti di Asita fece mostra di essersi risvegliato.
Il re Śuddhodana allora prese dolcemente,
con attenzione, il giovane principe con ambo le mani e lo portò di fronte al
grande Ṛṣi. Dopo aver osservato il Bodhisattva, avendo constatato che il suo
corpo era dotato dei trentadue marchi del Grande Essere, possedeva altresì gli
ottanta segni minori ed era superiore a quelli di Śakra, di Brahmā e dei
Guardiani del Mondo, che risplendeva più di mille soli, che tutte le sue membra
erano proporzionate, Asita così espresse il suo pensiero: In verità, un
meraviglioso Essere è apparso nel mondo! Così dicendo, si alzò dal suo seggio,
unendo rispettosamente le mani, si prosternò ai piedi del Bodhisattva e dopo
aver girato intorno a lui offrendogli il fianco destro lo strinse al petto e
restò pensieroso. Guardò nuovamente i trentadue marchi maggiori sul corpo del
Bodhisattva. Per il Grande Essere che è dotato di tali segni, vi sono due sole
possibilità e nessun’altra. Se rimane nella propria dimora, sarà un re
Cakravartin a capo di quattro armate di soldati, vittorioso, fedele al Dharma,
re del Dharma; avrà a sua disposizione la forza e il coraggio dei suoi sudditi
e sarà in possesso dei sette tesori: il tesoro della ruota, il tesoro
dell’elefante, [il
tesoro del cavallo,]
il tesoro della gemma Maṇi, il tesoro della moglie, il tesoro del ministro, il
tesoro del consigliere. Egli avrà mille figli eroici, coraggiosi, belli e
armoniosi, vincitori degli eserciti nemici. Dopo aver sottomesso attraverso le
sue leggi e la sua forza, senza usare la violenza né le armi, tutto il cerchio
della grande terra che ha per confine l’Oceano, egli eserciterà la regalità con
l’autorità della sua onnipotenza. Ma se uscendo dal palazzo andrà errando come
un monaco senza dimora, egli sarà allora un Tathāgata dal nome noto, un Buddha
perfetto e compiuto.
Dopo averlo guardato, (Asita) pianse ed
emise un profondo sospiro.
Il re Śuddhodana notò che il grande Ṛṣi
Asita piangeva versando copiose lacrime e facendo lunghi sospiri e a quella
vista, sentendo un brivido di inquietudine sulla pelle, preoccupato così si
rivolse al grande Ṛṣi: Perché piangi, Ṛṣi, e versi lacrime e sospiri
profondamente? Il giovane principe corre forse qualche pericolo?
A quelle parole, il grande Ṛṣi Asita così rispose
al re Śuddhodana: Grande Re, non è a causa del giovane principe che piango,
poiché in effetti egli non corre alcun pericolo. Ma è per me stesso che io
piango. Perché? Grande Re! Io sono anziano, vecchio, ricurvo, e il giovane
Sarvārthasiddha otterrà senza dubbio la Saggezza suprema, perfetta e compiuta
di un Buddha, e dopo averla acquisita farà girare la ruota del Dharma supremo,
che non è stata messa in movimento né da uno Śramaṇa né da un Brahmano, né da
un Deva né da un demone, né da nessun altro nel mondo per quanto fosse in armonia
con il Dharma. Per la salvezza e la felicità del mondo e dei reami divini egli
insegnerà il Dharma, che è buono nel suo inizio, buono nel suo mezzo, buono
nella sua fine; ecco il Dharma che egli insegnerà: il suo significato
eccellente sarà compiutamente spiegato, chiarito, completo, perfettamente puro,
fino al massimo grado, alla purezza assoluta. Dopo aver ascoltato gli
insegnamenti dalla sua bocca gli esseri legati alle leggi secondo la loro
nascita [42] saranno
completamente liberati dalla nascita stessa; nello stesso modo saranno
completamente liberati dalla vecchiaia, dalla malattia, dai dispiaceri, dai
lamenti, dalla sofferenza, dalla debolezza, dai turbamenti, dalle disgrazie.
Agli esseri arsi dal fuoco della passione, dell’odio e dell’offuscamento egli
donerà la gioia con la pioggia del buon Dharma. Gli esseri imprigionati dalle
tenebre delle visioni erronee di ogni tipo, smarriti nel sentiero dell’errore,
egli li condurrà sul retto sentiero, sulla via del Nirvāṇa. Gli esseri
costretti nella rete e nella prigione dell’esistenza ciclica [43], legati dai ceppi delle afflizioni
mentali, egli li libererà dalle loro catene. Per coloro i cui occhi sono del
tutto oscurati dai veli delle profonde tenebre dell’ignoranza farà dischiudere
l’occhio della saggezza. A coloro che sono tormentati dalla freccia delle emozioni
disturbanti, egli estrarrà tale freccia. O grande Re, nello stesso modo in cui
il fiore Uḍumbara
[44] appare ben di rado nel mondo, così pure, o re, molto raramente, dopo
infiniti eoni di tempo, i Buddha Bhagavat si manifestano nel mondo. Senza alcun
dubbio, questo giovane principe conseguirà le qualità perfette e compiute di un
Buddha, poi, avendole ottenute, farà passare centinaia di migliaia di niyuta di
koti di esseri sulla
riva che è al di là dell’oceano dell’esistenza ciclica e li farà dimorare
nell’immortalità! Quanto a noi, non vedremo questo gioiello che è il Buddha!
Ecco perché, grande Re, piango e con spirito prostrato sospiro profondamente;
perché non otterrò la liberazione dalla malattia e dalla sofferenza. Così come
esso si manifesta, grande Re, come è scritto nei nostri Śāstra, il giovane
Sarvārthasiddha non potrà rimanere nel palazzo.
– Perché questo fatto?
– Perché, grande Re, il giovane
Sarvārthasiddha reca i trentadue marchi del Grande Essere.
– Quali sono i trentadue segni?
– Eccoli:
1.
Grande Re, il giovane Siddhārtha ha la testa ornata da una protuberanza del
cranio [45]. Di tale segno,
il primo di quelli del Grande Essere, è dotato il giovane Sarvārthasiddha.
2.
I suoi capelli, che ruotano verso destra, sono riccioluti, di un nero profondo
e brillante come la coda del pavone o come la polvere kohl [46] dai riflessi variegati.
3.
La sua fronte è larga e unita.
4.
Un ciuffo di peli, o Signore, è nato tra le sue sopracciglia, del colore della
neve e dell’argento [47].
5.
Possiede ciglia simili a quelle di una giovenca.
6.
Ha occhi di color nero profondo.
7.
Ha quaranta denti lisci.
8.
I denti sono privi di interstizi.
9.
I denti sono perfettamente bianchi.
10.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha la voce di Brahmā [48].
11.
Egli possiede un senso del gusto molto sviluppato.
12.
La sua lingua è lunga e sottile.
13.
La mascella è come quella del leone.
14.
Il braccio è ben arrotondato.
15.
Possiede sette rilievi sul corpo [49].
16.
Ha spalle larghe.
17.
La pelle è fine e del colore dell’oro.
18.
Stando in piedi e senza chinarsi le sue braccia arrivano fino alle ginocchia.
19.
La parte superiore del corpo è simile a quella del leone.
20.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha il corpo come l’albero Nyagrodha [50].
21.
I suoi peli nascono ad uno ad uno.
22.
Nella loro estremità superiore si arricciano verso destra.
23.
Il pube è nascosto in una guaina.
24.
Le cosce sono perfettamente arrotondate.
25.
Le gambe sono come quelle dell’ainaya, re delle antilopi.
26.
Ha le dita lunghe.
27.
I suoi piedi hanno i talloni larghi.
28.
Il collo del piede è alto.
29.
Le mani e i piedi sono morbidi e delicati.
30.
Le dita dei piedi e delle mani sono unite da una membrana (fino alla prima
falange).
31.
Sotto la pianta dei piedi del giovane Sarvārthasiddha, o Signore, sono comparse
due ruote, belle, luminose, brillanti, bianche, con mille raggi, un cerchio ed
un mozzo.
32.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha i piedi saldi e ben radicati al
suolo.
Il giovane Sarvārthasiddha è in possesso,
grande Re, dell’insieme dei trentadue marchi del Grande Essere; e, o Signore, i
segni di questo tipo non sono quelli di un Cakravartin; questi segni sono
destinati ad un Bodhisattva.
E sul corpo del giovane Sarvārthasiddha, o
grande Sovrano, si trovano anche tutti gli ottanta segni minori; essendone in
possesso, il giovane Sarvārthasiddha non vorrà rimanere nel palazzo e
certamente ne uscirà per condurre la vita di un monaco errante.
Quali sono, o grande Re, gli ottanta segni
minori? Eccoli:
1.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Sovrano, ha unghie rotonde.
2.
Le sue unghie sono del colore del rame.
3.
Esse sono lisce.
4.
Le dita sono arrotondate.
5.
Sono ben proporzionate.
6.
Sono affusolate.
7.
Le vene sono invisibili.
8.
Le caviglie non sono prominenti.
9.
Le articolazioni sono robuste.
10.
I piedi sono senza asperità.
11.
Il tallone è largo.
12.
Le linee delle mani sono lisce.
13.
Sono uniformi.
14.
Profonde.
15.
Diritte.
16.
Lunghe.
17.
Le sue labbra sono rosse come il frutto Bimba [51].
18.
Possiede una voce il cui suono non è mai troppo alto.
19.
La sua lingua è morbida, delicata, del colore del rame rosato.
20.
La sua voce dolce e melodiosa ha il suono del barrito dell’elefante o del tuono
tra le nubi.
21.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha organi sessuali ben sviluppati.
22.
Le sue braccia sono lunghe.
23.
Egli ha membra splendenti ben vestite.
24.
Le sue membra sono morbide.
25.
Sono ben sviluppate.
26.
Esse non sono soggette a debolezza.
27.
Sono regolari.
28.
Sono perfette e robuste.
29.
Sono ben proporzionate.
30.
La rotula del ginocchio è larga, sviluppata e perfettamente compatta.
31.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, ha membra arrotondate.
32.
Perfettamente lisce.
33.
Regolari.
34.
Possiede un ombelico profondo.
35.
Regolare.
36.
Il suo portamento è puro.
37.
Egli è bello come un bufalo.
38.
Diffonde intorno a sé lo splendore di una luce superiore, perfettamente pura,
che dissolve le tenebre.
39.
L’incedere del giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, è maestoso come quello
dell’elefante.
40.
Egli possiede l’incedere regale del leone.
41.
Possiede l’incedere nobile del bufalo.
42.
Possiede l’incedere dell’oca.
43.
Egli cammina ruotando verso il lato destro.
44.
I suoi fianchi sono arrotondati.
45.
I fianchi sono lisci.
46.
Sono privi di difetti.
47.
Il suo ventre ha la forma di un arco.
48.
Il giovane Sarvārthasiddha, o Signore, possiede un corpo privo di tutto ciò che
potrebbe alterarne lo splendore e di tutte le macchie che potrebbero
deturparlo.
49.
Egli possiede denti canini arrotondati.
50.
Denti canini taglienti.
51.
Denti canini regolari.
52.
Possiede il naso prominente.
53.
Ha occhi brillanti.
54.
Occhi puri.
55.
Occhi sorridenti.
56.
Occhi allungati.
57.
Occhi grandi.
58.
Il suo occhio è simile al petalo del loto blu.
59.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, possiede sopracciglia proporzionate.
60.
Sopracciglia belle.
61.
Sopracciglia unite.
62.
Sopracciglia regolari.
63.
Sopracciglia nere.
64.
Egli possiede guance piene.
65.
Guance regolari.
66.
Prive di ogni imperfezione.
67.
Grazie alla perfezione della sua persona, egli è libero da ogni ingiuria e da
ogni biasimo.
68.
Possiede sensi perfettamente sviluppati.
69.
Il giovane Sarvārthasiddha, o grande Sovrano, possiede organi perfetti e
completi.
70.
Il suo viso e la sua fronte sono in perfettamente armonici tra loro.
71.
Egli ha la testa ben sviluppata.
72.
Possiede capelli neri.
73
I suoi capelli sono folti.
74.
Sono bene acconciati.
75.
Sono profumati
76.
Essi non sono duri.
77.
Non sono aggrovigliati.
78.
Sono regolari.
79.
Sono riccioluti.
80.
I capelli del giovane Sarvārthasiddha, o grande Re, raffigurano le immagini
dello Śrīvatsa, dello Svastika, del Nandyāvarta e del Vardhamāna [52].
Questi sono, grande Re, gli ottanta segni
minori del giovane Sarvārthasiddha; essendone in possesso, il giovane principe
non vorrà rimanere nel palazzo e certamente ne uscirà per condurre la vita di
un monaco errante.
A quel punto il re Śuddhodana, avendo
ascoltato dalla bocca del grande Ṛṣi Asita la profezia sul giovane principe,
soddisfatto, felice, ricolmo di gioia e di allegria, alzatosi dal suo trono e
prosternatosi ai piedi del Bodhisattva, recitò questo Gāthā:
54.
Tu, che sei venerato da tutti gli dei insieme con Indra, che sei onorato anche
dai Ṛṣi, Signore, medico di tutti gli esseri, io pure ti venero!
Quindi, o Monaci, il re Śuddhodana ristorò
il grande Ṛṣi Asita e suo nipote Naradatta con i cibi più adatti; dopo avergli
donato molte vesti, girò per tre volte intorno a lui offrendogli il fianco
destro. Allora il grande Ṛṣi Asita grazie al suo potere sovrannaturale si
allontanò attraverso i cieli e si diresse verso il luogo del suo romitaggio. Lì
giunto, il grande Ṛṣi Asita così parlò a Naradatta, figlio di un Brāhmaṇo:
Naradatta, quando sentirai dire: Un Buddha è apparso nel mondo, dopo esserti
recato presso di lui diventa monaco errante sotto la sua guida. Questo ti
apporterà meriti, aiuto e felicità per molto tempo!
Così è detto [a]:
55. Dopo
aver scorto le moltitudini degli dei schierate nella distesa dei cieli
proclamare la gloria del Buddha, Asita, il divino Ṛṣi che dimorava sul monte
Hima, fu pieno della più grande gioia. – Che nome è dunque questo Buddha il cui
effetto è di generare gioia per tutti gli esseri? Il mio corpo è ricolmo di
felicità, e il mio spirito pacificato prova una calma infinita.
56.
Sarà costui un Deva oppure un Asura, un Garuḍa oppure un Kinnara? E il nome
Buddha, cosa è questo epiteto prima sconosciuto, che porta gioia e piacere?
Con
il suo occhio divino il Ṛṣi osservò nelle dieci direzioni dello spazio le
montagne, la terra, il mare, e vide cose meravigliose sulle montagne, sulla
terra e sul mare.
57.
Una luce splendente dai meravigliosi colori rallegrò il corpo, e poiché sulle
cime dei monti erano nati delicati rami di corallo, poiché gli alberi erano
ricoperti di fiori e pieni di frutti diversi, fu chiaro che nei tre mondi
sarebbe presto apparso un gioiello.
58.
Poiché la terra risplendeva, tutta livellata e immacolata come il palmo della
mano; poiché gli dei con il cuore pieno di gioia agitavano nel cielo le loro
vesti; poiché sul mare, dimora del re dei Nāga, galleggiavano tesori
meravigliosi, fu chiaro che il gioiello dei Jina, colui che fa scaturire la
sorgente del Dharma, era apparso nel Jambudvīpa.
59
Poiché le sofferenze dei reami inferiori erano lenite e gli esseri erano liberi
dal dolore e pieni di gioia; poiché le schiere dei Deva che dimorano nelle
distese dei cieli, ricolmi di felicità, andavano facendo udire il suono dolce e
rassicurante dei canti divini, tutti questi erano i segni che nei tre mondi era
apparso un gioiello.
60.
Asita osservò il mondo chiamato Jambu con il suo occhio divino e vide nella
città di Kapila, la migliore delle città, all’interno del palazzo del re
Śuddhodana, colui che era nato recando i segni dello splendore dei meriti,
eguale per la sua forza a Nārāyaṇa. A quella vista, con il cuore pieno di
felicità, la forza del Ṛṣi dallo spirito gioioso si accrebbe.
61. Affrettatosi
velocemente, pieno di stupore nell’animo, e recatosi in compagnia del suo
discepolo a Kapila, la migliore delle città, si fermò alla porta del Signore
degli uomini. Avendo visto un immenso numero di esseri viventi che si recavano
presso il re, il vecchio Ṛṣi disse all’auriga del re: Annuncia subito che un ṛṣi
è giunto alla porta!
62.
Questi, avendo ascoltato ed essendo subito entrato nel palazzo del re, così gli
disse: O Re, è giunto alla porta un asceta, anziano e ricurvo. Per quell’ottimo
Ṛṣi sarebbe una gioia entrare nella dimora del Re. Fate sì che egli abbia il
permesso, o grande Sovrano; impartitemi l’ordine di farlo entrare.
63. Dopo
aver fatto approntare un seggio per lui il re disse: Va’ e permettigli di
entrare.
Asita,
avendo udito le parole dell’auriga, ne fu colmato di gioia, di piacere e di
felicità, come un uomo assetato al pensiero dell’acqua fresca o un affamato
dopo aver ricevuto del cibo. Tale fu la gioia del più grande tra i Ṛṣi, nel
vedere il più nobile degli esseri.
64.
Sii vittorioso, o Re, gli disse gioioso. E dopo avergli così augurato la
prosperità, colui che è in pace, colui la cui mente è domata e i sensi
acquietati, si sedette. Il re, avvicinatosi al grande Muni, gli disse: Qual è
il motivo della tua venuta nella dimora del re degli uomini? Dillo subito, o
Muni.
65.
Un figlio ti è nato, della più grande bellezza, andato al di là dell’al di là,
in possesso di grande splendore e dei trentadue marchi maggiori, forte come
Nārāyaṇa. Ciò che io desidero, Signore degli uomini, è vedere tuo figlio
Sarvārthasiddha. Ecco il motivo per cui sono venuto, questo e nessun altro.
66.
Ebbene! Tu, con la tua richiesta, sei il benvenuto, ed io sono felice di
vederti. Ma il giovane principe sta dormendo; ora mi è impossibile esaudire il
tuo desiderio di vederlo. Attendi un poco e lo vedrai, simile ad una luna piena
immacolata circondata da una moltitudine di stelle.
67.
Quando il migliore degli Aurighi, radioso come la luna piena, si fu
risvegliato, il re sollevò colui il cui corpo è come il fuoco, il cui splendore
supera quello del sole: Ebbene, Ṛṣi, guarda colui che è onorato dagli dei e
dagli uomini, colui che ha l’aspetto dell’oro più raffinato.
Avendo
visto i suoi bei piedi, recanti entrambi il segno di una ruota,
68.
il grande Ṛṣi, versato negli Śāstra, alzatosi giungendo rispettosamente le mani
e accostatolo al petto, lo osservò pensieroso. Guardò l’Essere che, dotato dei
marchi maggiori, possiede la forza di Nārāyaṇa; colui che è versato nei Veda e
negli Śāstra scosse la testa e ne vide le due sole possibilità:
69
Egli sarà un potente re Cakravartin oppure un Buddha, l’Essere Supremo.
Piangendo, con il corpo e lo spirito prostrati, si mise a sospirare
profondamente.
Il
grande re si inquietò: Perché il Brāhmaṇo piange? Asita scorge senza dubbio
qualcosa di inevitabile che riguarda il mio Sarvārthasiddha.
70.
Dimmi la verità! Perché piangi, Ṛṣi? Vedi qualcosa di buono o di cattivo?
Non
vi è alcuna sventura né alcuna difficoltà per il tuo Sarvārthasiddha. È per me
stesso che io piango, Signore degli uomini! Perché sono vecchio e ricurvo;
perché costui sarà un Buddha, onorato dal mondo quando predicherà il Dharma.
71.
Ed io non potrò vederlo, con occhi ricolmi di gioia! Ecco il motivo per cui
piango. Devi sapere, o Re, che per colui, privo di difetti, il cui corpo reca i
trentadue marchi maggiori vi sono due sole possibilità, ogni altra è esclusa:
egli sarà un re Cakravartin oppure un Buddha, il più nobile al mondo.
72. Egli
non sarà attratto dagli oggetti del desiderio; ma al contrario sarà un Buddha.
Avendo ascoltato la profezia del Ṛṣi, il re si alzò al colmo della gioia e
della felicità e con le mani giunte porse omaggio ai piedi (del bambino
dicendo): Tu, che sei visibilmente onorato dagli dei e lodato dai ṛṣi, che sei
dotato di grande forza.
73.
Io saluto te, la migliore delle Guide (per le moltitudini degli esseri),
onorato da tutte le creature nei tre mondi!
Allora
Asita, felice, disse al figlio della sorella: Ascolta le mie parole! Quando
verrai a sapere che nel mondo un Buddha che ha conseguito la Saggezza sta
facendo girare la ruota del Dharma, subito diventa monaco sotto la guida di
quel Muni, e allora otterrai la liberazione.
74.
Poi, dopo aver reso omaggio ai piedi (del bambino) aver girato per tre volte
intorno a lui offrendogli il fianco destro, il grande Muni (disse): I meriti
che hai conseguito, o re, sono grandi ed abbondanti, poiché hai un tale figlio.
Egli sazierà con il Dharma il mondo intero, con gli dei e gli uomini!
Quindi,
uscito dalla città di Kapila, il grande Ṛṣi ritornò alla foresta, nel suo eremo
[53].
Dunque, o Monaci, subito dopo la nascita
del Bodhisattva, Maheśvara, figlio di un dio, chiamati i figli degli dei
Śuddhāvāsakāyika si rivolse loro con queste parole: Costui, o amici, per un
infinito numero di eoni si è dedicato alla pratica delle azioni meritorie, del
dono, della condotta virtuosa, della pazienza, dello sforzo eroico, della
meditazione, della saggezza, degli abili mezzi, del santo Dharma, delle austerità,
dell’ascesi, della compassione; è dotato di grande amore, di grande compassione
e di grande gioia compartecipe; possiede grazie all’equanimità la suprema
saggezza; è premuroso nell’offrire aiuto e felicità a tutti gli esseri; è dotato
della solida corazza del retto sforzo; è nato dalla radice delle virtù dei Vittoriosi
che lo hanno preceduto; è adorno dei segni di cento meriti; le sue azioni
virtuose sono perfettamente compiute con ferma determinazione; è il distruttore
delle schiere nemiche, le sue motivazioni sono pure ed immacolate; possiede lo
stendardo della suprema saggezza; ha posto fine alla forza del demone; è la
Guida delle moltitudini dei tremila mondi, onorato dagli dei e dagli uomini, ha
compiuto il grande sacrificio; possiede un infinito numero di meriti
accumulati; il suo fine è uscire (dal ciclo delle rinascite), metter fine alla
nascita, alla vecchiaia, alla morte; è stato generato da una nascita felice;
discende dalla famiglia del re Ikshvaku;
costui, che farà sì che tutti possano conseguire la (suprema) Saggezza, il
Bodhisattva Mahāsattva apparso nel mondo degli uomini, tra non molto tempo
conseguirà la Saggezza suprema perfetta e compiuta di un Buddha. Rechiamoci
quindi a rendergli omaggio, a venerarlo e lodarlo, al fine di recidere la
radice dell’orgoglio, della fierezza e dell’arroganza degli altri figli degli
dei dominati dalla superbia: anch’essi, vedendoci presentare i nostri omaggi, saluteranno,
onoreranno e venereranno il Bodhisattva, il che sarà per loro fonte di merito,
di aiuto, fino a che conseguiranno l’immortalità (Amṛta). Sarà allora
riconosciuto l’accrescimento della gloria del re Śuddhodana. Dopo aver fatto
una veritiera predizione in merito al Bodhisattva, ritorneremo.
Dopodiché Maheśvara, figlio di un dio,
preceduto e circondato da dodicimila figli degli dei, avendo diffuso una luce
splendente nell’intera città di Kapilavastu, si avvicinò al luogo in cui si
trovava la dimora del re Śuddhodana, fece avvertire il re tramite la guardia
della porta e, dopo essere stato invitato dal re, entrò nel palazzo reale, rese
omaggio con la fronte ai piedi del Bodhisattva e, gettato il lembo del mantello
su una spalla, compì diverse centinaia di circumambulazioni offrendo il fianco
destro quindi si fermò, appoggiò il Bodhisattva al petto e lodò il re
Śuddhodana: Sii felice, grande Re, che tu possa provare una gioia infinita.
Perché questo? Perché, grande Re, il corpo del Bodhisattva reca i marchi
maggiori e i segni minori; perché il giovane principe supera i mondi degli dei,
degli uomini e degli Asura messi insieme, per il suo colorito, la sua gloria e
la sua maestà. Senza dubbio alcuno, grande Re, il Bodhisattva conseguirà la
Saggezza suprema perfetta e compiuta di un Buddha.
Poi, o Monaci, Maheśvara, figlio di un
dio, insieme con i figli degli dei Śuddhāvāsakāyika, avendo compiuto la grande
cerimonia dell’adorazione del Bodhisattva ed avendo proferito una veritiera
predizione in merito al Bodhisattva ritornò alla propria dimora.
E così è detto:
75. Poiché
l’Oceano di qualità era nato, il re degli dei, che l’aveva saputo, disse agli
dei pieni di gioia: andiamo a rendere onore al principe dei Muni, a colui del
quale è difficile sentir parlare per infiniti eoni.
76.
In numero di dodicimila, gli dei perfettamente puri, con il ciuffo di capelli
che incorona la loro testa adorno di gioielli preziosi, dall’eccellente
portamento, recatisi rapidamente a Kapila, la migliore delle città, restando
sulla soglia del Signore degli uomini con il loro bel ciuffo di capelli pendente,
77.
dissero alla guardia della porta con la loro dolcissima voce: Entra nel palazzo
e avverti il Signore degli uomini.
La
guardia, udite queste parole, entrò nel palazzo e con le mani rispettosamente
giunte disse al re:
78.
Sii sempre vincitore, o Re! Lunga vita a te! Vi sono alla porta degli esseri
risplendenti di abbondanti meriti, con il ciuffo dei capelli adorno di gioielli
preziosi e con una voce melodiosa. Il loro viso è simile alla luna piena,
risplendono come una luna immacolata.
79.
Non ho visto alcuna ombra, o Re; non ho udito il rumore dei loro passi;
camminando sul terreno non sollevano polvere e le persone intorno non si
stancano di guardarli.
80.
Il fulgore dei loro corpi è grande e risplende ovunque, la loro voce tocca il
cuore e non è come quella degli uomini, quaggiù; è profonda e carezzevole;
hanno maniere dolci e belle forme; penso siano schiere di Deva, poiché non sono
esseri umani.
81. Recando
tra le mani una ghirlanda dei fiori più belli, unguenti e sciarpe di seta, essi
osservano rispettosamente. Senza alcun dubbio, o Re, i Deva, dei al di sopra
degli altri dei, sono venuti per vedere il giovane principe, per rendergli
omaggio.
82.
Udite tali parole il re, al colmo della gioia, ordinò: Va’ e invita i Deva ad
entrare nel palazzo, poiché un tale potere sovrannaturale non appartiene in
alcun modo agli uomini, stando a ciò che dici delle loro qualità e del loro
comportamento.
83.
Il guardiano della porta, con le mani giunte in segno di rispetto, così si
rivolse agli dei: Entrate, Signori, il Re degli uomini vi invita! Essi,
gioiosi, estasiati, recando tra le mani le ghirlande più belle, entrarono nel
palazzo del re, simile alla dimora degli immortali.
84.
Il re, avendo visto i primi tra gli dei entrare nel palazzo, alzatosi e
giungendo le mani (disse): Questi seggi dalle gambe ingioiellate sono stati
approntati per voi; sedete, Signori, e siate benevolenti!
85.
Essi, abbandonati l’orgoglio e la fierezza, sedettero sui troni.
Sappi
perché siamo venuti qui, o Re. Ti è nato un figlio, il cui corpo è
perfettamente puro grazie a meriti infinitamente grandi; noi desideriamo vedere
colui che è nato con piedi sublimi.
86.
Noi conosciamo il significato dei marchi maggiori, qual è il destino di coloro
che li recano sul corpo ed anche la loro condotta. Per questo, o Signore, tu
che sei il migliore dei re, abbandona la tristezza, e vediamo colui il cui
corpo è adorno dei segni.
87.
Circondato da schiere di donne, al colmo della gioia, il Sovrano degli uomini,
avendo sollevato il bambino il cui colorito risplendeva di una luminosità senza
pari, si avvicinò agli dei superni, dalla fluente ciocca di capelli che ornava
loro il capo. Quando oltrepassò la soglia della porta, i tremila mondi insieme
tremarono.
88.
Essi, i primi tra gli dei, dopo aver visto i piedi della Guida (del mondo) e le
unghie rosate come il rame di colui che possiede lo splendore perfettamente
puro di un corpo immacolato, alzatisi prontamente, con la fluente ciocca di
capelli, resero omaggio con il capo ai piedi di colui che risplende senza
macchia [54].
89. [Così dissero:] Poiché
i segni della regalità sono manifesti, poiché lo splendore dei meriti è evidente
sul suo capo; poiché egli possiede l’occhio della condotta virtuosa e il ciuffo
tra le sopracciglia splendente di una luce senza macchia, senza dubbio egli
dopo aver sconfitto il demone conseguirà la suprema Saggezza.
90. Gli
dei tributeranno lodi a colui che possiede autentiche qualità, che conosce la
vera natura delle cose; a colui che avendo profondamente meditato ha
allontanato le oscurazioni mentali e dissolto le tenebre dell’ignoranza; molto
presto si manifesterà il Gioiello degli esseri che ha sconfitto la nascita, la
vecchiaia e la morte.
91.
L’universo dei tre mondi è in fiamme ed è afflitto dai tre fuochi che hanno
quale combustibile gli oggetti dei sensi, le passioni e i desideri. Ma tu, che
sei imperturbabile, dopo aver ricoperto con la nube del Dharma i tremila mondi,
estinguerai con l’acqua dell’immortalità (Amṛta) le sofferenze generate dalle
oscurazioni della mente.
92. Tu,
il cui parlare è amorevole e dolce, che sei compassionevole, che hai una voce
che risuona piacevolmente come quella di Brahmā e il cui suono va dritto al
cuore, che insegni tutti gli aspetti del Dharma nei tremila mondi, presto, o
Beato, fa’ udire la possente voce di un Buddha.
93.
Le miserabili schiere dei Tīrthika dalle erronee visioni sono annientate,
avviluppate nei legami delle passioni del saṃsāra e respinte sulle più lontane vette
dell’esistenza. Avendo udito le dottrine della Vacuità fondate sulla causalità,
esse sono fuggite come branchi di sciacalli al ruggire del leone [55].
94.
Dopo aver distrutto il velo dell’ignoranza e il denso fumo delle oscurazioni
mentali, al fine di illuminare incessantemente la moltitudine degli esseri nati
in ogni luogo con l’occhio della consapevolezza, la luce della saggezza e il
raggio della comprensione, dissolvi nel mondo le tenebre profonde.
95.
Laddove avviene la nascita di un siffatto puro Essere, abbondanti e
perfettamente acquisiti sono i meriti per gli dei e quaggiù per gli uomini. Le
dimore inferiori saranno chiuse, e saranno aperti i reami degli dei dal
Gioiello degli esseri, perfettamente puro!
96.
Quindi, dopo aver cosparso con una pioggia di fiori divini la città di Kapila e
aver girato per tre volte intorno offrendo il fianco destro e aver tributato
lodi con grande rispetto, esclamando ad alta voce: È il Buddha! È il Buddha
sublime! – le schiere degli dei ritornarono in cielo con gesti leggiadri.
Capitolo intitolato: La nascita, il
settimo.
Nota dell’Autore
[a] Quanto segue è la
ripetizione in versi di ciò che è già stato narrato in prosa. Tutto porta a
ritenere che questi Gāthā siano estrapolati da una vita del Buddha scritta in
versi anteriormente al Lalitavistara.
NdT
[1] Secondo il
testo di De Foucaux (ed anche secondo la traduzione francese della versione
tibetana del sūtra) i fiori ne
s’épanouissaient pas, ovvero si schiudevano ma non sbocciavano. La stessa cosa viene detta nelle righe
immediatamente successive a proposito dei loti degli stagni e dei fiori sugli
alberi. Seguo qui invece la traduzione inglese, coerente con il seguito del
sūtra che descrive i meravigliosi fenomeni che accompagnarono la nascita del
Bodhisattva.
[2] La
versione inglese traduce con otto alberi di pietre preziose.
[3] Gli
appartamenti delle donne nel palazzo del re.
[4] Una
annotazione (scherzosa) per soli Liguri:
la traduzione inglese recita qui jeweled
shoots, germogli di pietre preziose.
Ma il termine shoot può anche essere
tradotto con getto d’acqua, zampillo. La traduzione francese è
invece rameaux, che significa ramoscelli, e non rimanda all’acqua, ma
non può – almeno foneticamente – non ricordare il dialettale ramata (d’acqua), ovvero acquazzone.
Il che porterebbe ad una (forse erronea, ma simpatica) traduzione sanscrito-italo-genovese:
ramata di gemme…
[5] V. cap.
III nota 24.
[6] Shorea robusta. Una pianta molto
importante nell’induismo e nel buddhismo, utilizzata anche nella medicina
tradizionale e nella costruzione di abitazioni. Ad un suo ramo si aggrappò Māyādevī
al momento del parto.
[7] Se si
contano i periodi grammaticali del testo di De Foucaux, i segni premonitori
della nascita del Bodhisattva sono soltanto trenta. Alcuni di essi
nell’originale sanscrito sono certamente stati descritti in modo tale da
raggiungere il numero simbolico di trentadue.
[8] La
traduzione inglese parla, più genericamente, di untamed creatures, esseri
selvaggi.
[9] Un albero śāl.
V. nota 6.
[10] I Vittoriosi, coloro che hanno sconfitto
la sofferenza e l’ignoranza. Appellativo dei Buddha e dei maestri jainisti.
[11] Ancora una
volta ho in parte seguito la traduzione inglese. Qui infatti entrambe le versioni francesi traducono il sūtra con en faisant un bâillement (De Foucaux) e fit un bâillement. Quindi la
regina Māyādevī, aggrappata ad un ramo, lo sguardo al cielo, prima di dare alla
luce il Bodhisattva avrebbe… sbadigliato! Cosa francamente improponibile. La
versione inglese suggerisce invece un allungamento del corpo verso l’alto, cosa
che corrisponde alla tradizionale iconografia buddhista del momento del parto,
avvenuto in piedi – come di frequente accade nelle culture tradizionali.
[12] Un passo
interessante anche dal punto di vista storico, che mette in luce come il
Buddhismo non fosse (non sia?) esente dal considerare in qualche modo “impuro”
ciò che riguarda il corpo, in particolare quello femminile. E tutto questo
nonostante il fatto che il Buddha non fosse un Deva né il figlio di un Deva,
bensì un uomo, sia pure il migliore tra gli esseri.
[13] De Foucaux
usa il termine palais, e pone tra
parentesi kūṭāgāra, un vocabolo pali che indica una costruzione sacra
temporanea. Si riferisce evidentemente al Ratnavyūha di cui si è parlato nel
capitolo VI.
[14]
Scacciamosche fatto con i peli della coda dello yak, il bue tibetano. È un
simbolo di regalità. Il parasole (chatra)
è uno degli otto simboli di buon auspicio e rappresenta la protezione dalla
sofferenza.
[15] Il testo
recita trois mille grands milliers de
mondes, alla lettera tremila grandi
migliaia di mondi; è il trichiliocosmo,
di cui si parlerà nei capitoli successivi.
[16] Il più
basso degli inferni. Avīcī significa assenza di onde, quindi ristagno, morte.
Oppure assenza di cessazione della
sofferenza.
[17]
Dall’energia dei sette passi del Bodhisattva.
[18] La
sinistra, in quanto la veste monastica buddhista lascia scoperta la spalla
destra.
[19] Il testo
francese è ancora più forte: mêlé à un amas d’excréments.
[20] La versione francese definisce sans
dignité la nascita del Bodhisattva da una madre umana. Privilegiando quindi
il punto di vista etico. La versione inglese, preferibile perché più sottile,
traduce con nonsense, sottolineando
l’aspetto logico-formale.
[21] Il senso è certamente quello di uomini
in preda alle oscurazioni mentali. La versione inglese li definisce fools. La traduzione letterale pare qui
ancor più significativa.
[22] Qui si intende la concezione secondo cui il Buddha è un dio, il che
comporta la sua oggettivazione-alienazione, il farne un altro-da-sé, un idolo.
[23] La rinascita come animali, spiriti famelici o esseri infernali.
[24] Seguendo la traduzione inglese, qui va sottinteso “ma non nel vedermi”, il che rende più chiaro il seguito
dell’insegnamento del Tathāgata.
[25] Qui la versione inglese riporta le
stesse qualità del Tathāgata, ma in questo caso la traduzione di De Foucaux
pare più appropriata, in quanto si parla subito dopo di devoti laici.
[26] I laici che hanno preso rifugio nei Tre Tesori e hanno pronunciato i
cinque voti dei laici: non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non
mentire, non assumere sostante intossicanti. Al femminile: Upāsikā.
[27] Vedi nota 23.
[28] Una Ruota del Dharma sui piedi e sulle mani è il primo dei trentadue
marchi maggiori del corpo di un Buddha. Nella versione inglese la natura di
diamante viene attribuita non alla terra ma ai fiori di loto che sbocciano.
[29] Probabilmente si intendono nuovamente i mitologici Nāga, i serpenti, o
esseri metà uomo metà serpente. Nella mitologia indiana il termine indica anche
gli elefanti. Sono così chiamate anche le popolazioni dell’Assam.
[30] Nella versione francese, l’être
existant par lui-même, può permanere una certa ambiguità, ovvero se
l’appellativo si riferisca alla nascita del Bodhisattva o ai sette passi da lui
compiuti immediatamente dopo la nascita; la versione inglese, self-arisen body, sembra invece
riferirsi solo ai suoi miracolosi passi (to
arise: levarsi, alzarsi, ma anche sorgere in senso figurato). La traduzione
italiana con il verbo sorgere
consente di mantenere il fascino dell’ambiguità.
[31] Il significato del termine Nagna,
che non compare né nella versione inglese né nella traduzione francese dal
tibetano, non è affatto chiaro. Nel Dizionario
etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee in https://books.google.it/books è tradotto
con nudo. Nel Dictionary of Vedanta, ancora in: https://books.google.it/books, il termine è invece collegato ai
rituali vedici.
[32] Lo si trova anche come Channa, Chanda, Khanda, Kandaka…
[33] Pastori. Al femminile gopī,
figure importantissime nel culto di Kṛṣṇa.
[34] Il ficus religiosa, l’albero
della vita, la pianta più sacra in India, le cui radici si trovano in cielo,
nell’essenza divina. Era oggetto di venerazione in quanto dimora di un dio, ma
anche adorato di per se stesso. Seduto sotto un aśvattha il Buddha giungerà al
Risveglio. È evidentemente un simbolo dell’axis
mundi, come il frassino e la quercia dei popoli nord-europei, l’albero
della vita nell’Eden biblico ecc.
[35] Sarvam, interezza, totalità. Artha, obiettivo. Siddhi, felice ottenimento. Il nome con cui il Buddha è conosciuto,
Siddhārtha, è in effetti “contenuto” in Sarvārthasiddha.
[36] L’immagine dell’estinzione dei fuochi richiama il significato originario
del termine Nirvāṇa, che indica l’estinzione del fuoco – ovvero della
sofferenza – causata dalla mancanza di
combustibile.
[37] Il Reame del Desiderio.
[38] La versione inglese recita: senza
eguali tra coloro che sono eguali, ma il senso è evidentemente lo stesso.
[39] Il termine, che richiama il nome del tempio nel quale il Bodhisattva
dimorava nel grembo della madre, il Ratnavyūha, è tradotto da De Foucaux come arrangement des divers joyaux e Display of Gems nella versione inglese.
Quindi, una struttura composta di gioielli.
[40] Il testo francese riporta qui solo sei dei sette tesori del re
Cakravartin, non nominando il tesoro del cavallo. La gemma è chiamata Maṇi, termine che indica una pietra
preziosa o una perla che soddisfa ogni desiderio. Sui sette tesori si veda il
capitolo III.
[41] Il termine Arghya deriva da argha, onore. Indica l’acqua profumata
con fiori, riso, grano, semi di senape, che viene offerta agli dei durante le
cerimonie o anche ad ospiti particolarmente importanti, che con essa si lavano
le mani.
[42] Probabile riferimento al sistema delle cosiddette “caste”.
[43] Il saṃsāra.
[44] Il fiore di un tipo di ficus che… non produce fiori. È una metafora
usata per indicare un evento estremamente raro.
[45] Gli elenchi dei marchi maggiori e minori sono riportati in diversi
testi, sia del Canone pāli sia extracanonici, con alcune varianti. La
protuberanza sul capo è detta in sanscrito uṣṇīṣa.
Nell’iconografia buddhista birmana è rappresentata come una fiamma, infatti è
il simbolo della fiamma dell’Illuminazione. Cfr. il già citato Dizionario del Buddhismo di Ph.
Cornu, alla voce buddha, pag. 76 e
segg.
[46] Si tratta del famoso kajal, una
polvere composta principalmente di galena, malachite, antimonio e grasso
animale usata per il trucco e per la protezione degli occhi dalle infezioni.
[47] In sanscrito ūrṇā. Rappresenta
il terzo occhio, la visione
spirituale.
[48] Molto melodiosa.
[49] Ai piedi, alle mani, alle clavicole e alla nuca.
[50] Il baniano, ficus benghalensis.
[51] Si veda il cap. III, nota 27.
[52] Lo Śrīvatsa, il nodo senza fine,
è uno degli otto simboli di buon auspicio e rappresenta la longevità. Lo Svastika, dalla ben nota forma a croce
uncinata, è in origine un emblema solare di buon auspicio. Il
Nandyāvarta indica una ruota destrogira, altro segno di gioia e buona sorte. Vardhamāna significa, come aggettivo,
prospero, felice, favorevole. È anche il secondo nome di Mahāvīra (599–527 a.C.
circa), il fondatore del Giainismo.
[53] Il bellissimo episodio di Asita richiama il passo evangelico di Simeone,
al quale lo Spirito Santo aveva rivelato che non sarebbe morto prima di aver
visto il Cristo. Ed infatti egli incontra Gesù mentre viene condotto al Tempio
e gli dice: Ora, Signore, lascia andare
il tuo servo in pace, secondo la tua parola. Si veda Luca 2, 25-32.
[54] I Gāthā da 89 a 95 riportano probabilmente – e la traduzione inglese ne
è una conferma – le parole che i Deva rivolgono al Bodhisattva. I verbi sono
infatti coniugati al tempo presente, e nei Gāthā 91 e 92 è usata la seconda
persona singolare, toi…qui es, qui as,
qui fais… Seguo pertanto la traccia offerta dalla già citata versione
inglese, che rende il testo più leggibile e comprensibile.
[55] Nel Gāthā 93 i verbi anziché al futuro o all’imperativo sono coniugati
al presente o al passato prossimo, come se le azioni che i Deva chiedono al
Bodhisattva di compiere fossero già avvenute; ma qui preferisco tradurre il
Gāthā così com’è. Forse ciò che per lo sguardo umano è un futuribile per
l’occhio dei Deva è già noto, in quanto i tre tempi costituiscono in realtà un
eterno presente...
Gli insegnamenti sulla vacuità e sulla causalità citati nel Gāthā sono
quelli su Śūnyatā, la
non-sostanzialità dei fenomeni, e su Pratītyasamutpāda,
la produzione condizionata. Ovvero il cuore stesso del Dharma del Buddha.
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I sette passi del Bodhisattva |
Capitolo ottavo
Presentazione al tempio degli dei
Ottantamila
giovinette sono donate al Bodhisattva per accompagnarlo e per servirlo. – I più
anziani tra gli Śākya consigliano al re di condurre il bambino al tempio degli
dei. – Grandi preparativi a tale proposito. – Mentre la zia del giovane
principe lo adorna, egli le chiede dove verrà condotto e, avendolo appreso,
sorride. – Si stupisce che lo si conduca al tempio degli dei quando tutti
questi, alla sua nascita, lo hanno riconosciuto come il dio degli dei. – Il
carro del Bodhisattva è trainato da centomila dei; e nel momento in cui posa il
piede nel tempio tutte le statue si alzano e gli rendono omaggio.
Inoltre, o Monaci, nella notte in cui
nacque il Bodhisattva, proprio in quella stessa notte, nacquero ventimila
figlie nelle famiglie dei Nāigama [1], degli Kṣatriya,
dei Brāhmaṇa e dei capifamiglia Mahāsāla [2]; tutte vennero
offerte in dono dai loro padri e dalle loro madri al Bodhisattva affinché lo
accompagnassero e lo servissero. Ventimila fanciulle furono donate dal re
Śuddhodana al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero.
Ventimila fanciulle furono donate dagli amici, dai consiglieri, dai parenti
paterni e materni al Bodhisattva affinché lo accompagnassero e lo servissero. Ventimila
fanciulle furono donate dall’assemblea dei ministri al Bodhisattva affinché lo
accompagnassero e lo servissero. A quel punto, o Monaci, gli Śākya guidati dai
più anziani tra loro, uomini e donne, riunitisi e recatisi presso il re
Śuddhodana, gli rivolsero queste parole: O Re, è necessario che sappiate che il
giovane principe deve essere condotto al tempio degli dei [3].
Il re rispose: Ebbene, che vi si conduca
il giovane principe! Pertanto, per coloro che assisteranno, che la città sia
addobbata nelle strade, nei crocicchi, nelle piazze, nelle vie per le quali
passano i carri. Vengano allontanati tutti coloro che non sono di buon augurio:
gli orbi, i gobbi, i sordi, i ciechi, i muti; tutti coloro che sono deformi o
sfigurati o le cui membra sono imperfette dovranno essere tenuti in disparte.
Si facciano udire suoni beneauguranti; si suonino le campane in segno di buon
auspicio; si decorino con cura le porte della migliore delle città; si facciano
udire gli accordi degli strumenti più melodiosi; tutti i capi delle fortezze si
devono riunire; e si riuniscano anche i capi dei mercanti, i maggiorenti, le
guardie delle porte e il seguito dei servitori; si aggioghino i carri delle
giovinette; si portino vasi pieni fino all’orlo; si riuniscano i Brāhmaṇi abili
nel recitare le preghiere e si decorino i templi degli dei!
Tutto, o Monaci, fu perciò fatto così come
era stato detto.
Allora il re Śuddhodana, entrato nel suo
palazzo, si rivolse con queste parole a Mahāprajāpatī Gāutamī: Si prepari il
giovane principe; sarà condotto al tempio degli dei!
Dopo aver risposto: Sta bene! Mahāprajāpatī
Gāutamī preparò il giovane principe. Ma questi, mentre veniva preparato, con il
volto sorridente, senza minimamente aggrottare le sopracciglia, con una voce
dolcissima, disse alla sorella della madre: Madre, dove verrò condotto? Ella
rispose: Al tempio degli dei, figlio mio. Allora il giovane principe sorrise e
con il volto allegro rivolse alla zia questi Gāthā:
1.
Quando sono nato, i tremila mondi hanno tremato; Śakra, Brahmā, gli Asura, i
Mahoraga, Candra, Sūrya, come pure Vaiśravaṇa e Kumāra [4], mi hanno reso omaggio chinando il capo ai miei
piedi.
2. O
madre, quale altro dio, di fronte al quale oggi mi conduci, si distingue per
essere superiore a me? Io sono il dio al di sopra degli dei, superiore a tutti
gli dei. Nessun dio è simile a me, come potrebbe essercene uno superiore?
3. O
madre, adeguandomi alle consuetudini mondane, vi andrò. Dopo aver visto le mie
manifestazioni sovrannaturali, la folla estatica mi ricoprirà di onori e del
massimo rispetto. Gli dei e gli uomini concordemente esclameranno: egli solo è
dio.
Quindi, o Monaci, tra lodi e benedizioni
di ogni sorta, le strade, le piazze, i crocicchi, le porte, i mercati, furono
ricoperti di innumerevoli ornamenti; il re Śuddhodana – dopo aver addobbato
all’interno del palazzo il carro del giovane principe, circondato e preceduto
dai Brāhmaṇi, dai capi dei mercanti, dai maggiorenti, dai ministri, dai
principi delle fortezze, dai guardiani delle porte, dalle persone del seguito,
dagli amici e dai parenti; nella strada inondata dalle fragranze degli incensi,
coperta da un tappeto di fiori, animata da una confusione di cavalli, di
elefanti, di carri, di soldati a piedi; con parasole, insegne, stendardi
dispiegati, al suono di strumenti di ogni tipo – [il re] si mise in
cammino, avendo con sé il giovane principe. Centinaia di migliaia di figli
degli dei e di Apsarā, sparpagliati nelle distese celesti, fecero cadere una
pioggia di fiori e fecero risuonare strumenti musicali.
In tal modo il re Śuddhodana con uno
sfarzo regale, con un cerimoniale regale, con un seguito regale, recando con sé
il giovane principe lo accompagnò al tempio degli dei.
Non appena il Bodhisattva posò la pianta
del piede destro nel tempio degli dei, le immagini inanimate di dei quali Śiva,
Skanda, Nārāyaṇa, Kuvera [5], Candra, Sūrya,
Vaiśravaṇa, Śakra, Brahmā, i Guardiani del Mondo ed altri ancora, sollevatesi tutte
dal loro posto caddero ai piedi del Bodhisattva.
In quel momento dei e uomini, a centinaia
di migliaia, emisero grida di ammirazione e di gioia e fecero cadere una
pioggia di vesti. La grande città di Kapilavastu, tra tutte le più grande,
tremò in sei modi diversi; cadde una pioggia di fiori divini; centinaia di
migliaia di strumenti risuonarono senza essere toccati e tutti i Deva le cui
immagini si trovavano nel tempio, ognuno di essi manifestandosi nella sua
persona, pronunciarono questi Gāthā:
4.
Il Meru, re delle montagne, il più grande dei monti, non potrebbe mai
inchinarsi davanti ad un grano di senape; l’Oceano, dimora dei Nāga, non
potrebbe mai inchinarsi davanti all’ (acqua raccolta nell’) impronta di una
vacca; la luna e il sole, che generano la luce, non potrebbero inchinarsi di
fronte ad una lucciola; in qual modo colui che proviene da una famiglia che
possiede saggezza e meriti ed è ricolmo di qualità [6] potrebbe inchinarsi di fronte agli dei?
5.
Simili ad un grano di senape, all’acqua nell’orma di una vacca o ad una
lucciola, così sarebbero nei tremila (mondi) gli dei e gli uomini, chiunque
essi siano, che volessero persistere nel loro orgoglio. Simile al Meru,
all’Oceano, alla luna, al sole, così è nel mondo il supremo Svayambhū [7]. Il mondo intero, avendogli reso omaggio, ottiene
quale ricompensa lo Svarga e la liberazione finale (Nirvṛiti) [8].
Nel momento stesso in cui, o Monaci, si
assisteva all’ingresso del Bodhisattva nel tempio degli dei, le menti di
trentadue centinaia di migliaia di figli degli dei assunsero la determinazione
di conseguire la Saggezza suprema, perfetta e compiuta. Ecco, o Monaci, la
causa ed ecco l’effetto dell’equanimità del Bodhisattva allorquando fu condotto
al tempio degli dei [9].
Capitolo intitolato: Presentazione
al tempio degli dei, l’ottavo.
NdT
[1] I mercanti.
[2] I grandi proprietari di terreni o
di beni in genere.
[3] Si rilegga a questo proposito,
anche se in tutt’altro contesto, la vicenda della presentazione al tempio di
Gesù, in Luca, 2-22.
[4] Ragazzo, adolescente. È
uno dei nomi di Skanda (chiamato Murugan nell’India del Sud), dio della guerra,
figlio di Agni o Agni stesso in una delle sue forme. Da Kumāra deriva il nome
di Capo Comorin, l’estrema punta meridionale dell’India.
[5] Noto anche come Kubera, è uno spirito della terra delle
antiche tradizioni indiane ed è considerato come il Signore delle ricchezze.
[6] Per famiglia va probabilmente intesa la famiglia dei Buddha.
[7] Alla lettera: esistente in sé, innato. Svayambhūnath
è il nome di uno dei due principali stūpa del Nepal.
[8] Svarga è il cielo di Indra (svar
è la luce del cielo), la natura di un dio dopo la morte. Nirvṛiti è sinonimo di Nirvāṇa, e indica la completa liberazione
dall’esistenza ciclica condizionata.
[9] Il termine francese indifférent, utilizzato da De Foucaux
per descrivere l’attitudine mentale del Bodhisattva nei confronti del suo
ingresso al tempio, non deve essere tradotto con indifferente, indifferenza,
bensì con equanimità, uno dei quattro
incommensurabili, che non è indifferenza apatica, neutralità, bensì amorevole
imparzialità, rinuncia agli attaccamenti e alle avversioni.
Capitolo nono
Gli ornamenti
Il
re su consiglio di cinquecento Brahmani fa fabbricare cinquecento tipi di
ornamenti da cinquecento Śākya. Questi chiedono di farli indossare essi stessi
alla persona del giovane Bodhisattva. Ma gli ornamenti non appena posati su di
lui diventano simili ad un pezzo di carbone sull’oro.
Nel frattempo, o Monaci, un Brāhmaṇo
chiamato Udāyana, Purōhita [1] del
re, padre di Udayin, recatosi presso il re con cinquecento Brāhmaṇi al tempo
dell’asterismo Hasta, che precede Citrā [2],
così gli parlò: Dovete sapere, o re, che devono essere fabbricati degli
ornamenti per il giovane principe. Il re gli rispose: Bene! Molto bene! Che
vengano fabbricati. Allora il re Śuddhodana fece preparare da cinquecento Śākya
cinquecento ornamenti, quali: ornamenti per le mani, per i piedi, per il capo,
per il collo, anelli con un sigillo, orecchini, bracciali (per la parte alta
del braccio), cinture, tessuti in oro, reti di campanelle, reti di perle,
calzature adorne di pietre preziose Maṇi,
fasce con vari gioielli, braccialetti d’oro, collane, diademi. Quando furono
fatti, al tempo dell’asterismo Pushya, i Brāhmaṇi, che si erano recati presso
il re Śuddhodana, gli dissero: Ebbene, o Re, che il giovane principe venga
preparato!
Il re rispose: Il giovane principe è
sufficientemente adornato e onorato da voi. Io pure ho fatto fabbricare
ornamenti per il giovane principe.
Essi replicarono: Che il giovane principe
indossi sul suo corpo i nostri ornamenti per sette giorni e sette notti; allora
i nostri sforzi non saranno privi di effetto.
In quel momento, giunta al termine la
notte e levatosi il sole, il Bodhisattva entrò nel giardino chiamato
Vimalavyūha. Lì Mahāprajāpatī Gāutamī strinse il giovane principe al petto; e
ottantamila donne, avvicinatesi al Bodhisattva, guardarono il suo viso. Anche
diecimila fanciulle lì giunte guardarono il suo viso. Cinquemila Brāhmaṇi
arrivati anch’essi davanti al Bodhisattva guardarono il suo volto. Allora gli
ornamenti che il felice re degli Śākya aveva fatto preparare furono fatti
indossare al Bodhisattva. Ma non erano nemmeno stati ancora indossati che, a
causa dello splendore del corpo del Bodhisattva, essi furono oscurati, non
brillarono più, smisero di luccicare. Così come un mucchio di carbone [3] sparso accanto
all’oro estratto dal fiume Jambu non brilla, non risplende, non luccica, nello
stesso modo quegli ornamenti, a contatto con lo splendore del corpo del
Bodhisattva non brillavano, non risplendevano, non luccicavano.
Allora la dea del giardino chiamata Vimala,
manifestatasi nella sua maestosa figura e fattasi avanti, si rivolse al re
Śuddhodana e alla grande moltitudine degli Śākya con questi versi:
1.
Se tutta la terra insieme con i tremila (mondi), con le città e i villaggi,
forse colmata e ricoperta di oro brillante e puro, essa sarebbe eclissata da
una sola particella dell’oro del Jambu, poiché l’altro oro non brillerebbe più,
privato del suo splendore. Ma se tutta questa terra fosse simile all’oro del
Jambu,
2.
nell’istante in cui la Guida del mondo, ricolmo di modestia e regalità,
lasciasse uscire un raggio dai suoi pori, essa non brillerebbe, non risplenderebbe,
non scintillerebbe; non potrebbe farlo, a causa dello splendore irradiato dal
Sugata, il protettore (del mondo); sarebbe come carbone. Colui il cui corpo è
assolutamente privo di contaminazioni, perfettamente adorno, in possesso di
cento qualità, ha ornamenti che non risplendono. Le luci della luna e del sole,
le stelle, ed anche il fulgore della gemma Maṇi,
3.
lo splendore di Śakra e di Brahmā, non brillano di fronte alla suprema regalità
di colui il cui corpo reca i marchi che sono il frutto delle sue precedenti
azioni meritorie. Che bisogno ha di ornamenti, volgari fabbricazioni di altri
uomini? Si portino via quegli ornamenti; non recate disturbo a colui che reca
saggezza a coloro che saggi non sono; non ha bisogno di ornamenti artificiali,
lui che genera la nobile consapevolezza. Quegli ornamenti da servitori,
donateli! Cercatene altri veramente puri e senza difetti.
4.
Chandaka, che è nato nel palazzo reale nello stesso momento del figlio del re,
ne sarebbe convenientemente ornato.
Gli
Śākya, stupiti, ebbero il cuore colmo di grande gioia: La prosperità del figlio
della stirpe Śākya sarà immensa e duratura! (Tale fu il loro pensiero.)
Quindi, dopo aver così parlato e cosparso
di fiori il Bodhisattva, la dea scomparve in quello stesso luogo.
Capitolo intitolato: Gli ornamenti,
il nono.
NdT
[1] Sacerdote
di famiglia.
[2] Per la
precisione, segnalo che la versione inglese situa l’evento nel periodo
dell’asterismo Citrā. Siamo comunque tra agosto e ottobre.
[3] Il testo
francese parla qui di un amas d’encre,
un mucchio di inchiostro (inchiostro
solido, necessariamente). Seguo invece, per i motivi più volte addotti, la
traduzione inglese, a lump of coal, un pezzo, o un mucchio, di carbone.