giovedì 13 dicembre 2012

Intesa Stato/Unione Buddhista Italiana


1° ottobre 2012 n. 694/0

Elementi per l’istruttoria legislativa

Numero del progetto di legge: 5458

Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Buddhista Italiana, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione

Iter al Senato: Approvato dalla 1ª Commissione permanente del Senato (S. 2236) il 12 settembre 2012

Contenuto

Il disegno di legge AC 5458, approvato dalla I Commissione del Senato, in sede deliberante (AS 2236), intende regolare i rapporti tra lo Stato Italiano el’Unione Buddhista Italiana (UBI), sulla base dell'allegata intesa stipulata il 4 aprile 2007.
L’art. 8, co. 3 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze: si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, essendo caratterizzata da aggravamenti procedurali, che non consente la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.

Si fa presente che l’Unione Buddhista italiana, fondata nel 1985, conta circa cinquantamila persone, cui si possono aggiungere almeno diecimila simpatizzanti ed altri diecimila buddhisti di provenienza extracomunitaria. L’UBI è stata riconosciuta, su conforme parere del Consiglio di Stato, come ente morale con personalità giuridica con decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1991 (si veda il comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio 1991).
Come risulta dalla relazione illustrativa presentata al Senato, le trattative per l’intesa sono iniziate nel 1997 ed il testo è stato firmato nel 2000 dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente dell’UBI. Presentato in Parlamento, il disegno di legge di approvazione dell’intesa è decaduto a causa della fine della XIII legislatura. Nel corso della XIV legislatura il disegno di legge non è stato ripresentato.Su impulso del Presidente del Consiglio dei Ministri Prodi, il testo è stato aggiornato alla luce della normativa approvata successivamente al 2000, ed è stato siglato il 21 febbraio 2007 dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Presidente dell’UBI, prima del suo esame da parte del Consiglio dei ministri in data 7 marzo 2007 e della firma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il testo dell’intesa, come evidenziato dalla relazione allegata, è stato elaborato sulla falsariga delle intese già concluse per quanto adattabili alle esigenze della UBI con il parere della Commissione consultiva per la libertà religiosa, istituita presso la Presidenza del Consiglio.
Con la firma di tale intesa viene ampliato l’ambito ed il numero delle confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha un rapporto conforme al dettato costituzionale sub art. 8: le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa cristiana avventista del 7º giorno, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, la Chiesa evangelica luterana in Italia.
L’articolo 1 afferma che i rapporti tra lo Stato e l'UBI sono regolati dalle disposizioni della presente legge, sulla base dell'allegata intesa.L’articolo 2, riconosce l’autonomia dell’UBI liberamente organizzata secondo i propri ordinamenti e disciplinata dal proprio statuto, e la non ingerenza dello Stato nelle nomine dei ministri di culto, nell’organizzazione della confessione e negli atti disciplinari e spirituali.
Come sottolineato dalla relazione illustrativa, tale disposizione rileva in quanto, in queste materie, la legislazione sui cosiddetti culti ammessi (legge 24 giugno 1929, n. 1159), non più applicabile all’UBI dopo l’approvazione dell’intesa, prevede approvazioni e controlli da parte dello Stato.
L’articolo 3 riconosce all’UBI ed agli organismi da essa rappresentati piena libertà di svolgimento della propria missione e a coloro che ne fanno parte libertà di riunione e di manifestazione del pensiero.
L’articolo 4 garantisce ai fedeli dell’UBI, in caso di ripristino del servizio di leva obbligatorio, l’assegnazione al servizio civile.
A tal proposito si ricorda che, come per le intese già siglate, siffatta norma, come attestato dalla relazione allegata, è stato formulata tenuto conto delle disposizioni di cui alla L. 14 dicembre 2000, n. 331, ed al D.Lgs. 8 maggio 2001, n. 215, che hanno sospeso il servizio obbligatorio di leva, prevedendo peraltro la possibilità di ricorrere al reclutamento su base obbligatoria in caso di guerra o di grave crisi internazionale, fatto salvo quanto previsto dalla legge sull’obiezione di coscienza.
L’articolo 5 assicura agli appartenenti all’UBI il diritto all’assistenza spirituale da parte di propri ministri di culto nonché da parte di assistenti spirituali, anche se prestano servizio militare, se ricoverati in ospedali, case di cura o di riposo, o se detenuti in istituti penitenziari. A tal fine l’UBI
dovrà trasmettere alle autorità competenti l’elenco dei ministri. I relativi oneri sono a carico dell’UBI.
In tema di istruzione, l’articolo 6 afferma che la Repubblica italiana riconosce agli alunni di fede buddhista il diritto di non avvalersi di insegnamenti religiosi; a tal fine l’ordinamento scolastico provvede a che l’insegnamento religioso non abbia luogo secondo orari e modalità che abbiano per gli alunni effetti comunque discriminanti e che non siano previste forme di insegnamento religioso diffuso nello svolgimento dei programmi di altre discipline.
L’articolo 7 riconosce, in conformità al principio costituzionale della libertà della scuola e dell’insegnamento, il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, nonché l’equipollenza del trattamento scolastico con gli studenti delle scuole pubbliche alle scuole cui sia riconosciuta la parità.
L’articolo 8 prevede che la qualifica di ministri di culto sia certificatadall’UBI che ne rilascia attestazione. I ministri di culto godono del libero esercizio del loro ministero, possono iscriversi al Fondo di previdenza ed assistenza per il clero, possono chiedere di essere assegnati al servizio nazionale civile, in caso di ripristino del servizio obbligatorio di leva. Ad essi sono corrisposti assegni equiparati, ai soli fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente (articolo 22).
L’articolo 9, per quanto concerne la tradizione buddhista relativa al trattamento delle salme, ne dispone il rispetto, purché avvenga in maniera conforme alla normativa in materia (a tal proposito si ricorda che la cremazione è il metodo normale di trattamento della salma per i buddhisti). Nei cimiteri possono essere altresì previsti reparti riservati, ai sensi della normativa vigente, analogamente a quanto previsto nella legge di approvazione dell’intesa con l’Unione delle comunità ebraiche.
Con gli articoli da 10 a 15 viene disciplinato, sul modello delle precedenti intese, il regime degli enti religiosi. Gli articoli citati prevedono, in primo luogo, cosa debba intendersi, ai fine del ddl in esame, per attività di religione e di culto (art. 10); il riconoscimento degli enti aventi fine di religione o di culto, solo o congiunto con quelli di istruzione, beneficenza e assistenza (art. 11); le modalità per ottenere il riconoscimento (art. 12); l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche (art. 13); il mutamento degli enti religiosi e la revoca del riconoscimento (art. 14); il regime tributario dell’UBI (art. 15).
Gli articoli 16 e 17 sono dedicati alla tutela degli edifici aperti al culto pubblico buddhista, di cui l’UBI tiene apposito elenco trasmesso alle competenti autorità, ai quali si estendono le garanzie già previste dall’ordinamento giuridico, nonché alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale buddhista.
La relazione evidenzia che, rispetto al corrispondente articolo dell’intesa, all’articolo 17 del presente disegno di legge è stata apportata una modifica di tipo meramente formale, consistente nella soppressione della parola «artistici» al fine di rendere omogeneo il linguaggio legislativo con quello del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che, all’articolo 2, in tema di patrimonio culturale, sussume la categoria dei beni artistici nel concetto unitario di «beni culturali».
L’articolo 18 stabilisce che all’interno dei luoghi di culto possono essere affisse e distribuite pubblicazioni di carattere religioso senza autorizzazione o ingerenza da parte dello Stato, così come possono essere effettuate collette a fini religiosi esenti da qualsiasi tributo.
Gli artt. 19, 20, 21 e 23 estendono all’UBI il sistema dei rapporti finanziari tra lo Stato e le confessioni religiose, delineato dalla legge 20 maggio 1985, n. 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi), concernente la Chiesa cattolica, e dalle leggi di approvazione delle precedenti intese concluse. Tale sistema consentirà la deduzione, agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), delle erogazioni in denaro, fatte dalle persone fisiche, a favore dell’UBI e degli organismi da essa rappresentati destinate al sostentamento dei ministri di culto e a fini di istruzione, assistenza e beneficenza. Tale detrazione sarà fruibile a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del disegno di legge in commento e nel limite di 1.032,91 euro con modalità determinate da un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previo accordo con l'UBI. La previsione in commento ricalca quanto attualmente previsto (compresi i limiti di detraibilità) dalla legislazione vigente in materia di erogazioni liberali in denaro a favore di alcune istituzioni religiose (tra cui, ai sensi dell’articolo 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, di cui al DPR 917/1986, l’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana).
Dallo stesso periodo è consentita la partecipazione alla ripartizione della quota dell’8 per mille del gettito IRPEF, destinata, oltre che ai sopra elencati fini, ad interventi culturali, sociali, umanitari ed assistenziali eventualmente anche a favore di Paesi stranieri. La norma si applica a decorrere del periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
Per quanto concerne le modalità applicative della norma, si prevede che lo Stato corrisponda annualmente all’UBI - a decorrere dal terzo anno successivo - entro il mese di giugno, la somma spettante, come determinata ai sensi dell’articolo 45, comma 7, della n. 448/1998 (vale a dire, sulla base degli incassi in conto competenza relativi all’imposta sui redditi delle persone fisiche, risultanti dal rendiconto generale dello Stato) sulla base delle dichiarazioni annuali relative al terzo periodo d’imposta precedente con destinazione alla stessa UBI la quale, poi trasmette annualmente al Ministero dell’interno, entro il mese di luglio dell’anno successivo, un rendiconto relativo all’utilizzazione delle somme, in cui sono precisate:
a) il numero dei ministri di culto cui è stata assicurata l’intera remunerazione e di quelli ai quali è stata assicurata un’integrazione;
b) l’ammontare complessivo delle somme destinate al sostentamento dei ministri di culto, nonché l’ammontare delle ritenute fiscali su tali somme;
c) gli interventi operati per le altre finalità previste dagli articoli 19 e 20.
Copia del rendiconto è trasmessa dal Ministero dell’interno con propria relazione al Ministero dell’economia e delle finanze.
Eventuali modifiche al sistema possono essere valutate da un’apposita commissione paritetica nominata dal Governo italiano e dall'UBI (articolo 21).
L’articolo 24 consentirà agli appartenenti all’UBI di osservare la festa buddhista del Vesak, nel quadro della flessibilità dell’organizzazione del lavoro, con obbligo di recupero delle relative ore lavorative e senza diritto ad alcun compenso straordinario, restando salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali previsti dall’ordinamento giuridico.
Ai sensi degli articoli 25 e 26, l’UBI dovrà essere consultata delle competenti amministrazioni nella fase attuativa della legge, nonché in occasione di future iniziative legislative concernenti i rapporti tra lo Stato e l’UBI. Con l’entrata in vigore della legge cesseranno di avere efficacia ed applicabilità nei riguardi dell’UBI, di enti, istituzioni, associazioni, organismi e persone che ne fanno parte, la citata legge 24 giugno 1929, n. 1159 e le relative norme di attuazione di cui al regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289.
L’articolo 27 prevede che dopo dieci anni dalla data di entrata in vigore della legge de qua, le parti sottoporranno a nuovo esame il contenuto dell’intesa.
L’articolo 28 prevede, infine, la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla presente legge valutati in 130.000 euro per l’anno 2013 e 70.000 euro a decorrere dall’anno 2014. Alla copertura dei suddetti oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al Fondo interventi strutturali di politica economica.

Necessità dell’intervento con legge

L’articolo 8, terzo comma, della Costituzione espressamente richiede che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica siano regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Con particolare riferimento agli aspetti procedurali si ricorda che tale materia non risulta essere disciplinata in via legislativa. Si è formata peraltro una prassi consolidata a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia).
In primo luogo si ricorda che le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ex lege 1159/1929. L’esame di compatibilità viene condotto sia dal Ministero dell’interno, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere (non obbligatorio) in merito.
La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipulazione di tali intese, spetta al Governo: a tal fine, le confessioni interessate che hanno conseguito il riconoscimento della personalità giuridica si devono rivolgere, tramite istanza, al Presidente del Consiglio.
L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose è affidato dal Presidente del Consiglio al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza, tale organo predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze di intesa si esprime, poi, la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio.
Concluse le trattative, le intese sono sottoposte all’esame del Consiglio dei ministri e, una volta firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, vengono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge.
Avuto riguardo, poi, alla procedura parlamentare si segnala che il testo in esame, d’iniziativa governativa, approvato e trasmesso dal Senato (A.S. 2236), ha assorbito una proposta d’iniziativa parlamentare (A.S. 2104); ciò rileva in quanto l’art. 8 della Costituzione non specifica se l’iniziativa legislativa relativa alle intese sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipularle. La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, affrontando la questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto. Pertanto non sembrerebbero sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’approvazione delle intese.
Infine, con riferimento alla questione della modificabilità o meno del testo si ricorda che si è affermata una prassi che, pur non escludendo in assoluto la emendabilità, restringe l’ambito di intervento del Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge, o ad emendarne le parti che non rispecchiano fedelmente
l’intesa.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La materia rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose spetta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. c), della Costituzione.

sabato 8 dicembre 2012

La donazione del sangue nella spiritualità del Vangelo e dello Zen




La donazione del sangue nella spiritualità del Vangelo e dello Zen

di Luciano Mazzocchi
Missionario Saveriano in Giappone

Padre Luciano Mazzocchi (nt. 1939) dal 1963 al 1982 è stato missionario in Giappone. dove ha incontrato il domenicano Oshida, testimone dell'incontro del Vangelo con lo Zen.
Nel 1994, con il monaco Zen Jiso Forzani, apre presso Lodi il Laboratorio del dialogo religioso Vangelo e Zen "La Stella del Mattino".
Il presente saggio è il testo della relazione presentata da Padre Mazzocchi nel corso del Convegno "Etica e donazione" organizzato dall'AVIS Nazionale a Loreto il 20-21 ottobre 2000 e pubblicato nel n° 5 de "I Quaderni della Formazione" dell'AVIS Nazionale.



Io dal 1994 vivo con un monaco Zen. Antecedentemente avevo trascorso 20 anni in Giappone; ora invece vivo nella comunità Vangelo e Zen, guidata da me e dal monaco dello Zen. Alla nostra comunità tante persone si rivolgono per attingere ciò che le due tradizioni religiose offrono all'uomo.
Vi darò, così, una testimonianza circa la santità della donazione del sangue e degli organi. Sono un prete cristiano e sperimento la fratellanza con il mondo Zen; quindi la mia testimonianza avrà un po' un duplice connotato, quello orientale soprattutto segnato dal Buddismo Zen e ovviamente quello occidentale segnato dal cristianesimo in cui è battezzata la mia anima.
In oriente c'è una bella parabola, cara sia al mondo buddista come a quello induista, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. E la parabola del coniglio sulla luna. In oriente si crede che le macchie che si osservano sulla luna raffigurino il coniglio. Si narra che gli animali della foresta vivevano in una bella armonia fra loro: la scimmia, il coniglio, poi l'aquila, gli uccelli tutti E il grande Creatore, Iddio, vedendo questa armonia degli animali, scese nella foresta e assunse la sembianza di un povero mendicante, allo scopo di tastare da quale animale partiva quella armonia che pervadeva la foresta.
Chi era il primo attore di quella pacifica convivenza? Brahman, il Dio creatore, presentandosi nella veste di un povero affamato, stese la mano e chiese agli animali: “Datemi qualcosa da mangiare”. Al che la volpe corse a prendere delle bacche e gliele diede. La scimmia corse al fiume, afferrò un pesce e glielo portò. Però il coniglio, che tutti conosciamo come un animale velocissimo, è pure molto timido e, per timore, non osò prendere né le bacche dell'albero, né il pesce dell'acqua. Restò lì senza nulla; ma ecco la sua offerta: rivolto al povero mendicante, che era il grande Iddio della creazione in persona, gli disse: “Io non ho trovato nulla. Tuttavia tutti affermano che la mia carne è molto saporita. Accendiamo dunque un fuoco: io mi ci butterò e così il vecchietto avrà la mia carne da mangiare”. A questa risposta si dice che il vecchietto abbia ripreso la sua sembianza del Dio creatore e, abbracciando il coniglio, se lo sia portato in cielo, precisamente sulla chiara e mite luna.
Il mito del coniglio, diffuso dall'India fino al Giappone, è indicativo della spiritualità della donazione del sangue in versione orientale. Nel mio cuore di missionario cristiano vi leggo anche un richiamo con la storia di Gesù che offre al padre il suo corpo e il suo sangue per la redenzione dell'universo all'armonia del perdono e della pace.
Tuttavia devo accennare anche a un altro gesto, di natura piuttosto violenta, che vigeva e tuttora vige in Giappone e, forse, in tutto l'oriente. In lingua giapponese è chiamato ketsuin. Ketzu significa sangue e in significa sigillo. Quando due, soprattutto del mondo della mafia, stringono un patto, si tagliano la pelle, accostano le ferite e mescolano il loro sangue. Mitezza della donazione del proprio corpo nella parabola del coniglio sulla luna! Violenza del sangue mescolato nel ketsuin! Sono i due opposti presenti nella tradizione orientale! Due interrogativi o due risposte di tendenza opposta! Una è la visione marchiata di gratuità, così ben evidente nella parabola del coniglio sulla luna. L'altra invece è profondamente segnata dalla violenza e dal fatalismo. E la visione che deriva dal karma.
Il karma è la legge dell'effetto che ognuno causa su se stesso, oppure che ognuno eredita dai suoi genitori e da persone molto legate a lui. Quando uno è malato, la legge del karma gli fa dire: “Se sono malato, si vede che nelle mie vite precedenti o in questa presente, io mi sono meritato questo effetto cattivo. Oppure me lo hanno procurato le persone legate a me, con qualche loro comportamento cattivo”.
Questa convinzione è talmente radicata che una ragazza di Milano ultimamente venne da me, sconvolta per il trattamento ricevuto dal leader della Sokagakkai, un gruppo buddista marchiato di fondamentalismo. Frequentava il gruppo da 6 anni, quando un giorno confidò che stava pregando per suo fratello mentalmente esaurito e causa di tanti problemi in casa. Le fu risposto: “Assolutamente, tu non devi pregare per tuo fratello; lui ha il suo karma: lascialo con il suo karma, e tu va per il tuo!”. La ragazza rimase sconvolta: “Come posso non pregare per mio fratello?”.
I gruppi fondamentalisti orientali fanno leva proprio su questa visione karmica, da sempre radicata in oriente. Ciò che ti accade, quindi anche una malattia, è la conseguenza e l'effetto di una causa che tu stesso hai posto in precedenza o che quelli legati a te hanno posto. Quindi, stando alla legge del karma, per ciascuno non c'è che lo stare da solo con la propria sofferenza. Anche la mancanza di sangue va risolta in solitudine, senza appoggiarsi sulla donazione degli altri.
E una visione tuttora presente. Un titolo di disprezzo usato in Giappone è dire a uno: chikushoo. Chiku vuoi dire animale, bestiame di stalla, mucca, pecora ecc.; shoo significa vita o, se volete, rinascita. Tu sei un animale rinato nelle sembianze di uomo! Quindi dire a uno chikushoo è ferirlo nella sua parte più intima: “Tu hai la natura di un animale!”. Di questo tipo violento è il rapporto del sangue e del corpo nella cultura orientale, quando l’orientale rimane condizionato dalla legge del karma. Molte sopportazioni soffocate nel silenzio, sotto la maschera del sorriso, sono il prezzo di questa radicata credenza. Il turista occidentale per le vie di Tokyo nemmeno se ne accorge; ma chi, come è stato dato al sottoscritto, può imparare la lingua e condividere le ansie e le speranze della gente, ben conosce quanto questo soffrire silenzioso sia realtà quotidiana anche nel ricco e fine mondo giapponese. Il Buddismo è la religione che libera dalla legge opprimente del karma e riconduce nella gratuità originale.
Voi tutti conoscete, credo, la storia del Budda. C’era un principe che viveva felice nel suo castello ai piedi dell’Himalaya, ma un bel giorno, facendo una passeggiata fuori dal castello, scoprì l'esistenza del dolore. Esistenza che non aveva ancora conosciuto perché il padre teneva lontano dal castello ogni scena che richiamasse il dolore. Scoprì il contadino che ara la terra bruciato dal sole; scoprì il malato che vomita; scopri l'anziano dalla voce rauca e dalla schiena piegata; infine scopri anche la morte imbattendosi in un funerale. Così, d’improvviso, si trovò a tu per tu con il dolore. Allora lui da buon, diciamo così, orientale, quindi figlio in un certo senso della cultura e delle leggi del karma, pensò che ciò fosse dovuto al suo karma che lo inseguiva. Avrebbe potuto superare e rompere questa catena karmica facendo tante penitenze di purificazione; quindi per 6 anni macerò il suo corpo, abitando nelle foreste. Ma dovette constatare che più voleva fuggire dal karma del dolore, più il karma lo inseguiva affannosamente. Sapeva che anche lui un giorno sarebbe diventato vecchio, si sarebbe ammalato, sarebbe morto! Più voleva fuggire e più il dolore in lui aumentava. Si dice che un giorno abbia visto una donna che allattava il bambino: il bambino tranquillo e felice, la mamma serena e contenta. Nel ciclo brillava la stella del mattino. Vedendo questa scena, all'improvviso ebbe la cosiddetta illuminazione. Cos’è l’illuminazione?
Il Budda raccolse il nucleo della sua esperienza in quattro verità fondamentali.
- La prima dice: “Tutto è dolore, il dolore fa parte dell'esistenza. Non c'è nascita senza morte; non c’è gioia senza dolore”. Quindi anche nell'apice della gioia c'è il legame intimo con il dolore.
- Il dolore non è un fatto ostile che insegue l'uomo, ma fa parte della sua natura. Il Budda comprese che il voler fuggire il dolore lo rendeva più crudele. Dunque il desiderio e la brama di liberarsi dal dolore aumentava il dolore. Questa è la seconda grande verità. Ecco allora la via liberatoria che egli indica: fermarsi, liberarsi anche dalla brama di superare il dolore e lasciare che il dolore si sciolga da solo dentro di sé.
- La terza grande verità afferma che la via di liberazione dal dolore c'è.
- La quarta poi indica come percorrere questa via di salvezza. Il Budda indica come prevenzione del dolore la via di mezzo, suddivisa in 8 sentieri: il cosiddetto ottuplice sentiero. Vivi la via di mezzo! Non fuggire! Prendiamo per esempio l'uso del denaro, uno degli 8 sentieri. Se tu ti attacchi al denaro, ciò ti aumenta l'ansia. Ma se lo rifuggi, mentre la vita ti dice che ne hai bisogno, anche ciò aumenta l'ansia. Quindi percorri la via di mezzo, quella dell'equilibrio.
La pratica della via che libera dal dolore è la meditazione. Quando mediti stai fermo, in silenzio, non ti attacchi ai tuoi pensieri e nemmeno tenti di cacciare via il dolore, perché se ti metti a cacciare via i pensieri ansiosi, tu aumenti l'ansia. Sii presente, stai lì, respira, come un albero che sta sotto il cielo e lascia passare il vento, la nuvola. Si dice che quando uno pratica lo zazen - è questo il nome proprio della meditazione buddista – ritorna ad avere il volto che aveva prima che nascessero suo padre e sua madre. Meditando uno si restituisce alle sue origini. Non calcola, non pensa, non giudica nè il bene nè il male; semplicemente sta lì. La meditazione è via di liberazione: scioglie i blocchi che sono la causa del dolore.
Così si entra in quello stato che comunemente è chiamato illuminazione. Ma chiediamoci ancora: che cos'è l'illuminazione? E' il vuoto, ossia il non attaccamento a nessun momento della vita, mentre dall'altra ogni momento è accolto e, accogliendolo, è lasciato passare. Il segno di tutto questo è il respiro: esso è accogliere l'aria, è l'attimo di pausa, è restituire l'aria. Cosa resta? Niente! Grazie al fatto che resta niente tu puoi accogliere ancora e dopo restituire ancora.
Ecco, questo far ritorno continuo al nulla è la via liberatoria dal dolore. Il Budda lo dice chiaramente: esistere è dolore, nascere è dolore, crescere è dolore, morire è dolore. In tutto c'è il rapporto con il dolore. Allora riporta tutto al nulla, restituisci tutto alla transitorietà ed alla impermanenza. Così il dolore non si irrigidisce e non ti tortura.
Quindi la liberazione dal dolore non è la vita gioviale di chi non soffre, ma è il rapporto libero e sereno con il dolore.
Ora veniamo al punto: nella spiritualità orientale, cos'è la donazione? Nel passato in oriente la donazione del sangue non è stata predicata; ora lo è, almeno in Giappone. È comunque uno stimolo venuto dall'occidente, perché l'orientale, proprio in nome della sapienza di riportare tutto al nulla e al vuoto, ha da sempre inteso che il vero gesto di benevolenza che l'amico sano deve compiere verso l'amico che soffre e quello di massaggiare il suo corpo con le proprie dita. È lo shiatzu. Shi significa dito e atsu pressione. Massaggiare è quindi l'arte della meditazione riportata nella medicina: sciogliere i blocchi e i nodi che si formano nel corpo, gli irrigidimenti che procurano la sofferenza e riportarli al nulla.
Questa è la donazione tradizionale cresciuta in oriente: io non do un mio organo o il mio sangue a te, ma con la mia compagnia, con le mie dita, con le mie mani, con la pratica dello yoga, io sciolgo ciò che in te si è coagulato. Aiuto il tuo corpo a ritrovare la scioltezza, aiuto il tuo organo a rivivere. Io non do il mio organo a te, ma aiuto il tuo organo a vivere lui. Questa è la sapienza tradizionale dell'oriente, quella che io ho conosciuto nella mia passeggiata di 20 anni in Giappone. Tuttavia attualmente in Giappone, per lo stimolo venuto dall'occidente, la donazione del sangue è largamente praticata.
Io sono cristiano e volentieri testimonio che cosa avviene quando la spiritualità orientale incontra il Vangelo. In questi giorni lo sto dicendo a Roma, al padiglione dell'Expo missionaria a me affidato, affinché presenti la cultura giapponese nel suo incontro con il Vangelo. Ho esposto una delle immagini più belle del Budda che esistono sulla terra, conservato nel tempio fondamentale dello Zen in Giappone, monumento nazionale. Questa bellissima statua rappresenta il Budda nella posizione chiamata del loto: seduto sul cuscino, con le gambe incrociate e le braccia a forma di cerchio, come per abbracciare il vuoto; il corpo eretto, gli occhi aperti, svegli. Stare svegli di fronte alla realtà così com'è, non lasciarsi trascinare nè a destra, nè a sinistra: questo è l'armonia della via di mezzo, questo è la via del riportare tutto al nulla originario.
Presentavo tale stupenda immagine del Budda anche alle scolaresche che sono venute a visitare il padiglione, e dicevo: “Ma che cosa può portare un missionario a una cultura che è già così ricca?”. In Giappone trovare un foglio di carta per terra è cosa rara; nelle scuole la prima mezz'ora è dedicata alla pulizia delle aule e dei corridoi eseguita da tutti, dal preside allo studente più giovane.
Il preside deve essere il primo ad arrivare, aprire la porta, salutare tutti uno a uno. Alla fine delle lezioni tutto va ricomposto. Allora cosa va ad insegnare un missionario? Lì vicino a questa bellissima immagine del Budda ho collocato la fotografia di un'altra stupenda immagine, quella di un Budda di legno che si trova all'ingresso dell'eremo di padre Sigheto Oshida. Da giovane Shigeto Oshida aveva praticato la via dello Zen per anni, sempre alla ricerca dell'armonia e della comunione con il cosmo, sciogliendo ogni blocco dentro di sé, riportando tutto alla fluidità del nulla. Nel monastero Zen respirava la bella transitorietà delle cose e delle situazioni; però non riusciva a dimenticare alcune scene che aveva visto e tale ricordo lo disturbava. Aveva partecipato come militare alla guerra del Giappone contro la Russia e aveva visto con i suoi occhi i bambini morire di fame e di violenze. Diceva a se stesso: “Io sono qui tranquillo, sereno, cosmicamente armonico; ma che cosa è di quei bambini?”. Un giorno gli capitò tra le mani il Vangelo e lesse le parole di Gesù: “Io vi dico, tra i nati di donna non c'è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Luca 7,28). Giovanni il Battista fu il grande asceta e merita grande rispetto; ma il bambino morto sul campo di battaglia e da tutti dimenticato, nel cuore di Dio è il primo, prima ancora di Giovanni il Battista! Oshida Shigeto, come avendo scoperto una risposta da tempo invocata, esclamò: “Ah! È questa carità divina che non dimentica nessuno il regno della vera armonia!” Allora nel suo Budda ligneo scolpì, nel mezzo del petto in corrispondenza del cuore, la croce. Oshida Sigheto, poi, chiese il battesimo e divenne domenicano. È un innamorato di Tommaso D'Aquino. “Tommaso in fondo al grosso tomo che scrisse sulla Trinità, dice al lettore: Adesso ho risposto a tutte le tue domande? Se sì, taci tu e taccio io, perché da qui in avanti si entra!”.
Tutte le discussioni teologiche altro non servono che per togliere i blocchi del cuore e della mente dell'uomo. Ma nessun discorso umano può presentare Dio, perché in Dio non si entra tramite le spiegazioni, ma con un cuore purificato e non bloccato, un cuore umile, un cuore semplice. Ecco allora il valore proprio della terapia orientale, spirituale e fisica assieme: sciogliere i blocchi! E ciò permetterà al sangue di fluire, di scorrere. Per esempio, per liberare dal mal di schiena si praticano i massaggi, l'agopuntura e lo shiatsu.
Shigeto Oshida aveva dubitato sul senso del suo praticare la meditazione, lo zazen, nel monastero buddista. Gli era sembrato perfino un'ipocrisia il suo vivere in un ambiente tranquillo, nella pace, mentre altrove i bambini morivano di fame. Fu la lettura del Vangelo che salvò la sua pratica della meditazione, grazie all'annuncio che c'è realmente un cuore divino palpitante di carità, in cui nessuno viene dimenticato. C'è Dio! L'incontro con il Vangelo confermò e solidificò il suo proposito di praticare lo zazen. “Io continuo a fare il mio zazen; ma non per me! Lo faccio come gesto cristico, come testimonianza di un regno di Dio dove gli ultimi saranno i primi”.
Gesù all'ultima cena disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi”. Poi prese il calice del vino, lo diede da bere dicendo: “Prendete e bevetene tutti: questo è il mio sangue versato per voi”. E aggiunse: “Io vi dico che non berrò più il frutto della vite, finché non sarete tutti nel Regno del Padre mio”. Fino a quel giorno il Cristo resterà in digiuno, a garanzia che la festa non inizi prima che siamo arrivati tutti. Quando tutti saranno arrivati, inizierà la grande festa. Qui c'è la santità del gesto di donare il sangue, l'essenza della propria vita, le gocce della propria anima. Si dona il sangue, perché l'altro è parte di me ed io sono parte di lui.
Mi sovvengo del bicchierotto di vino che mio padre, contadino, beveva durante le brevi soste del lavoro dei campi, sotto la pioggia o sotto il sole, per attingere nuove energie e continuare a zappare la terra da cui proveniva il nutrimento della famiglia. Noi pensiamo che donare il sangue sia un atto di carità verso chi è nel bisogno. Piuttosto è una mistica festa: Cristo dà il sangue da bere perché tutti abbiano la forza di arrivare. Anch'io do il mio sangue, affinchè il fratello debole recuperi vigore. Una stupenda professione della fede cristiana dice: “Credo la comunione dei santi!”. L'eucarestia è il sacramento di questa comunione. Penso che la spiritualità orientale focalizzi soprattutto il valore dello stare vicino a chi soffre e con le dita sciolga i grumi del suo sangue in fluidi rivoli di vita. La spiritualità cristiana aggiunge a ciò il Vangelo del Cristo che dà il suo sangue da bere affinchè tutti arrivino. Anche al bambino morto di fame, che non ha avuto nessuno che lo massaggi con le sue dita. Forse nessuno gli ha reso le onoranze funebri. Forse nemmeno hanno registrato il suo nome. Ebbene, c'è una mano che lo redime e lo mette al primo posto: la mano di Dio, la mano della carità di Dio, che si manifesta nel Cristo sulla croce. Quella mano che sanguina e che dà il suo sangue, con gioia, come un vino inebriante: “Prendete e bevetene tutti!”.
Fratello sofferente, se il tuo sangue si è indebolito, io ti do del mio. Te lo do volentieri, perché non voglio passarti davanti, perché dobbiamo arrivare tutti assieme.
Ritengo questa una bellissima spiritualità. Davvero è ora che termini il mio discorso. Vi introduco alcuni libri che ho portato, libri che ho curato insieme con il monaco dello Zen.
• “II Vangelo secondo Giovanni e lo Zen”, è l'ultimo che ho curato, vi sono ripresi i temi degli opposti nella vita, della carità che rende briosa la vita sciogliendo i nodi irrigiditi dell'odio e dell'orgoglio.
• “II Vangelo e lo Zen”, è una riflessione sul perché è un bene ed una grazia il dialogo tra il Cristianesimo e il Buddismo.
• “La cucina scuola della via”, comprende la traduzione della regola per il cuoco dei monasteri Zen scritta da Dogen, il grande maestro dello Zen nato in Giappone nel 1200. Come preparare il cibo? Dogen dice: va a vedere quante bisacce ci sono, quanti ospiti sono arrivati, così tu ti sai regolare se si deve aggiungere un chicco oppure mezzo chicco. Le piccole grandi attenzioni del vivere armonico! È aggiunta la corrispondente regola di Benedetto per il cuoco dei monasteri cristiani, in cui a essere focalizzata, più che l'armonia, è invece la carità. Benedetto prescrive: “Se arriva un povero, l'abate si alzi, gli vada incontro, gli lavi i piedi, poi lo conduca a mangiare vicino a sé”.
• II libretto delle poesie di Ryokan, un monaco dello Zen del 1700 che non ha mai conosciuto il Cristianesimo, anche se in Giappone due secoli prima erano già stati missionari cristiani. Ryokan ci ha lasciato le perle più belle della poesia religiosa giapponese. Leggo un brano di una sua poesia:

Come l'involucro della cicala
questo mondo
apparente e transitorio,
per questo motivo
ho indossato
la veste monacale
ed ho rasato
la mia testa
per molti anni
come nuvola
nell'alto del cielo.
Ho pellegrinato
senza fermarmi
come acqua corrente
senza una dimora.
Ho passato le notti
nei luoghi sacri
e sotto i tetti di paglia.
Non mi sono mai curato
se questo sia bene o male,
nel mio cuore
c'è un assillo,
che nessuno
può capire,
che a nessuno
posso confidare!
Le rocce solitarie
che si ergono
sul mare profondo,
le alte cime delle montagne
potranno appianarsi
con il tempo,
solo l'assillo del mio cuore
non ha soluzione,
pur vivendo
lontano dal mondo,
è difficile osservare
la pace del cuore.
In questa poesia mi sembra che riverberi lo stesso assillo che tormentava il cuore del giovane Shigheto Oshida, quando praticando lo zazen era impedito a raggiungere la pace dal ricordo dei bambini che muoiono di fame.
Mi pare che ci sia veramente un richiamo profondo tra questa sensibilità umana, profonda, che lo Zen e il Buddismo hanno coltivato ed il messaggio del Vangelo. Perché il messaggio del Vangelo è proporzionalmente fecondo di bene a seconda del grado di umanità della persona che lo ascolta. La via dello Zen favorisce il Vangelo. Ed il Vangelo favorisce la via dello Zen. Infatti il Vangelo del perdono indica la via del vuoto che è vero vuoto: la via del non lasciar traccia di odio! La via della risurrezione a creatura nuova. Tanto nuova che i più piccoli saranno i primi! La donazione del sangue è come un sacramento che lo anticipa già in questo frastornato divenire. “Prendete e bevetene tutti: questo è il mio sangue versato per voi!”.
Per quanto riguarda la donazione degli organi, ripeto, non è nella loro tradizione, la loro tradizione è quella di aiutare l'organo dell'amico che è malato a rivivere. Adesso però, almeno la donazione del sangue, è molto praticata anche in Giappone.
Ho visto per televisione l'operazione del trapianto della mano. Senz'altro la tradizione orientale finora non ha proposto questa via; piuttosto ha proposto un'altra via: se un tuo amico manca di una mano, dagli tu una mano, stagli vicino. Però, conoscendo come i giapponese non vogliano mai essere secondi, sono certo che partirà anche questo tipo di trapianti. Tuttavia è giusto riflettere su ciò che sta avvenendo. Noi abitualmente pensiamo che la soluzione per chi ha il fegato o il rene malato, sia il trapianto. Forse a volte è senz'altro così. Per cui dobbiamo promuovere la campagna della donazione.
Anch'io, appena mi è arrivato il documento per dichiarare la disponibilità a donare i propri organi, ho firmato. Se i miei organi potessero servire anche ad un animale, io li do! E perché no! Quante volte io mi sono cibato della carne degli animali! Sarebbe una semplice restituzione!
Ma potremmo anche focalizzare così tanto la donazione da finire per pensare che tutto si risolve sbrigativamente dando il sangue od un organo al malato. Invece, tra l'altro, chi ha subito il trapianto ha bisogno poi di tanta compagnia, per fare suo il corpo estraneo che è stato trapiantato nel suo. Il rene od il fegato trapiantato è come uno dei grumi irrigiditi che vanno sciolti con i massaggi delle dita dell'amico. L'occidente con audacia ha inaugurato la via chirurgica del trapianto, mettendo in atto il Vangelo del Cristo che da la propria carne e il proprio sangue. L'oriente con fedeltà ha custodito la via dell'amichevole compagnia del massaggio. Ma le due vie confluiscono. Sì, perché il sangue donato deve essere conservato caldo e vivo dall'amore, dalla paziente amicizia. E la via del massaggio è ulteriormente elevata se l'amico sano dona all'amico malato anche una parte del suo sangue o un suo organo e poi con il massaggio delle sue dita aiuta il sangue donato a scorrere nelle arterie dell'amico e aiuta l'organo donato a familiarizzare con tutte le altre parti del corpo. Non dovremmo dimenticare che le terapie hanno un'anima, oltre che un corpo scientifico. L'anima è umanità, è vicinanza. Gesù, quando guariva un malato, lo toccava con la mano, proprio come l'orientale che pratica lo shiatsu. Questo toccare con la mano non va dimenticato, è un grande valore, un valore eterno, soprattutto oggi che la scienza ci ha aperto nuove strade che vogliamo percorrere. Ma in questo clima. Io sono prete, quindi posso dire quelle sensibilità spirituali che vanno promosse allo scopo. Poi ovviamente chi è tecnico della medicina sa come operare concretamente, conoscendo le leggi igieniche ecc. che sono necessarie.
Io penso che noi come Chiesa in Italia abbiamo peccato di trionfalismo e lo stiamo facendo tuttora; per cui la Chiesa si presenta come l'unica risposta della verità. Qui abbiamo dei fratelli di altre religioni, sono per la Chiesa un richiamo al rispetto. A volte nell'ambiente di chiesa circola questo tipo di aria: c'è chi pensa per tutti e conosce la verità per tutti. Non occorre quindi che noi pensiamo in proprio. Potrebbe essere pericoloso! È l'opposto del clima che circondava Gesù. Gesù chiese ai suoi discepoli: “Voi cosa pensate di me? Chi sono io per voi?”. Un giorno esclamò: “Perché non capite da voi stessi?”. Noi come Chiesa non abbiamo sviluppato la coscienza personale nella ricerca della verità. Abbiamo pianificato l'incontro delle persone con Dio: i ragazzi di 7 anni devono fare la prima comunione, quelli di 12 la cresima, ecc. Oppure abbiamo criticato chi non si sposa in chiesa, ma solo in comune. Adesso grazie a Dio questo sistema sta cambiando, per cui anch'io ho potuto poi benedire dei matrimoni di coppie che erano già sposati da 5/6 anni. Ora chiedevano la benedizione davanti all'altare, con le lacrime di gioia agli occhi. La nostra chiesa non ha lasciato maturare in modo personale l'incontro delle persone con Dio. Se avessimo lasciato crescere la coscienza delle persone, la donazione del sangue o degli organi sarebbe conseguita dalle coscienze maturate con più naturalezza, come un frutto maturo che spontaneamente si stacca dal ramo.
Inoltre penso che quel clima della transitorietà e dell'impermanenza di cui gli orientali sono così ricchi ci farebbe bene, perché tutti corriamo verso il rendere consistente sé stesso, la propria villa, i propri patrimoni, le proprie opinioni. Mentre l'orientale ha capito che la cosa più vera che l'uomo può fare è sciogliere sé nell'armonia del tutto.
Io credo che noi preti abbiamo veramente una grande responsabilità nel coltivare l'anima, la mistica della vita, la bellezza della vita come gratuità per cui uno non si attacca alla sua vita, mentre la vive con impegno. Gesù ha affermato che chi vuole trattenere la vita per sé la perde, chi la dà la trova. Abbiamo anche tanti esempi molto belli di volontari, anche giovani, oltre che Madre Teresa ovviamente. Dobbiamo fare vivere questi esempi, farli diventare da eccezione di alcuni a cultura mistica diffusa. Credo che allora voi dovrete porre un numero chiuso per i donatori del sangue, tanti saranno quelli che si presenteranno.
Concludo con le parole di Cristo: “Nessuno ama come chi dà la vita per il proprio amico”. Costui vive il più grande amore. Grazie.


lunedì 26 novembre 2012

Compassion is the Root of Religion


   Ancor prima che il Risvegliato, spinto dalla compassione, scegliesse di insegnare agli uomini la Via che conduce alla liberazione dalla sofferenza, fu una ragazza del villaggio di Uruvela, di nome Sujata, a provare la medesima compassione per Siddhartha, il futuro Buddha, vedendolo svenuto, debilitato dalle privazione alle quali si era sottoposto durante i lunghi digiuni nella foresta.
   Racconta Thich Nhat Hahnh che Siddhartha "era privo di sensi da qualche tempo quando passò una ragazza che veniva dal villaggio. La tredicenne Sujata era stata mandata dalla mamma a offrire congee, dolci e semi di loto alle divinità della foresta. Vedendo il monaco svenuto in mezzo alla strada, che quasi non respirava, si inginocchiò e gli introdusse una ciotola di latte tra le labbra. Sapeva che era un asceta debilitato dalle privazioni". 
In quello stesso giorno, Siddhartha rafforzò la decisione di abbandonare le mortificazioni e di meditare nella foresta, fino al Risveglio.


Sujata, oggi.
Domani?




giovedì 15 novembre 2012

Livres de chevet


"La tradizione buddhista non concepisce l'inferno come un luogo in cui si può andare quando si muore ma lo intende come uno stato di coscienza nel quale possiamo entrare in ogni momento della vita."

"Quello che la mia esperienza mi ha mostrato è [..] un processo di apprendimento che passa attraverso gli errori che faccio, attraverso la mia umanità. L'esperienza, inoltre, mi ha mostrato che risvegliarmi e guarire non è un processo dell'intelletto, non una cosa che io possa intraprendere con il mio ego pensante. Non c'è un libro che dica come si fa - neanche questo: devo lanciarmi nella vita con tutto me stesso. Devo osservare in profondità la mia natura e risvegliarmi alla mia sofferenza, al mio dolore, per cominciare a scoprire ed esplorare la natura delle esperienze che faccio."

Claude Anshin Thomas
UNA VOLTA ERO UN SOLDATO
Ed. Oscar Mondadori


lunedì 12 novembre 2012

Del come e non del perchè




Fu nel 1968 che incontrai per la prima volta lo zen, ma non lo riconobbi. Si presentò sotto le sembianze di un libro; nell’aria, gli accordi del sitar di George Harrison e i versi dei poeti beat. Il titolo parlava di “vuoto mentale”. Lo lessi, lo misi nello scaffale, e continuai tranquillamente a riempire la mente.
Incontrai nuovamente lo zen nel 1998, nella veste, più dimessa, del volantino di un Centro Zen di Savona.
Qualche giorno dopo, seduto su un cuscino nero, mi ritrovai ad osservare un muro bianco su cui si stagliava nitida la mia ombra. L’ombra di un corpo semplicemente seduto su un cuscino.
Per un po’ la guardai soltanto, poi la vidi. “Ecco, è questo”.
Certo, tra il libro del ’68 e il volantino del ’98 ci sono stati una dozzina di anni di pratica dello yoga. Da cui, quanto meno, ho avuto la conferma del fatto che l’Occidente non è quell’ombelico del mondo che ritiene di essere, ed ho appreso che non vi è poi nulla di strano nel passare ore seduto su un cuscino.
Esauritasi la spinta propulsiva del rapporto con lo yoga, fu del tutto naturale transitare dal mandir al dojo, e lì continuare a cercare…per scoprire, col passare del tempo, che la pratica di zazen – l’essere semplicemente seduto su un cuscino – è una grande de-lusione.
Perché zazen non lascia molto spazio alle il-lusioni. Nelle ore trascorse seduto, nell’afa estiva o con gli occhi velati dalla sonnolenza, i pensieri più nobili – la compassione, l’amore, il Buddha – e quelli più egocentrati – il lavoro, le opinioni su ogni cosa, le ansie quotidiane – appassiscono allo stesso modo nelle mani.
La mente insegue ricordi ed elabora complicati progetti, ma è poi il respiro che li prosciuga, allorquando su di esso si pone l’attenzione.
Il corpo stesso, immobile, vigila e riporta alla realtà del momento presente, con il contatto lieve del respiro o con il ginocchio indolenzito; o magari con il passo incerto, durante kin-hin, di chi ancora sta imparando a camminare.
Il richiamo delle campane o uno sciacquone, una TV accesa o il cinguettio degli stornelli, ritornano ad essere semplici suoni. Nulla di mistico o di esoterico da inseguire, nulla di fastidioso da rigettare. Tranquille onde sonore nell’aria.
Un colpo di tosse o un aroma d’incenso, una parola o il silenzio, un’ombra vera o solo immaginata. Al pari di un antico sutra, ogni fenomeno è di per sé un prezioso insegnamento.
Nel dojo si sente ripetere spesso che zazen non serve a nulla, che in kin-hin non si va da nessuna parte, che non vi è nulla da ottenere. Parole asciutte, come la pratica stessa. Una pratica in apparenza sempre eguale a se stessa, non gratificante; epperò gratuita, come un dono che si fa o si riceve, senza nulla in cambio.
Imprevedibile, perché ogni volta nuova. Mi siedo pregustando momenti di silenzio e di pace, e subito la mente si affolla di pensieri nervosi, o il corpo scivola in avanti sul cuscino, gli occhi lacrimano, il tempo non passa mai. Arrivo al dojo stanco, inquieto, e lo zazen porta con sé energia, freschezza.
Ed ogni volta, istante per istante, mi osservo in zazen, come al mattino nello specchio: mi arrabbio, cerco di abbracciare la mia rabbia, di volerle bene; affiorano ricordi dolorosi, li accompagno col respiro; una folla grida scomposta nella mente, pian piano diviene sussurro.
Perché pratico zazen? – talvolta mi chiedo, molti mi domandano.
Non è nulla di speciale, è stato detto. Ed è vero, ma è lo stesso importante.
Non serve a dare un senso alla vita. La vita ha già il suo significato, e la sua direzione, in se stessa. E zazen non è altro rispetto alla vita, non le si aggiunge. L’uccello non ha le ali per volare; ha le ali, e vola.
Scrisse molti secoli or sono il Maestro Dogen: "Ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla”. Non serve zazen per essere in unità con il corpo, lo spirito, il mondo. L’unità per essere tale non abbisogna d’altro; aggiungere all’uno significa divenire due, o diecimila.
E’ stato detto che non si pratica per ottenere il Risveglio, ma si pratica perché si è risvegliati. Si legge nel Sutra del Nirvana Definitivo: “Alcuni passano un grande fiume facendo un ponte… altri legano insieme una zattera; gli uomini sapienti hanno già attraversato”.
Ed ancora il Maestro Dogen disse che “la Via è fondamentalmente perfetta”. Allora, perché zazen?
Ma anche Francesco d’Assisi, quando si sentì chiedere da un confratello: “Se è vero che Gesù ha salvato tutti gli uomini, perché dobbiamo condurre questa vita di preghiera e povertà?”, capì subito di avere davanti a sé il diavolo, e lo scacciò - o lo invitò a meditare con lui.
Forse, allora, non c’è un vero perché, del tutto visibile e razionale. Forse c’è stato, e poi l’ho lasciato semplicemente andare. Continuare a cercarlo, sarebbe aggiungere concetti a parole ad altri concetti. Val meglio aprirsi a ciò che la vita, il caso, il karma, mi offrono giorno dopo giorno.
Allora, unisco le mani in gassho, riconoscente verso tutti gli esseri che mi furono e mi sono Maestri. Poi siedo incrociando le gambe, come fece il Buddha Shakyamuni sotto l’albero del Risveglio, e finalmente respiro.

DOJO

sacro e profano:
un bastone di legno
sul pavimento


m. mauro ton ko, 2004

Talvolta un uomo


Collemaggio, 2006


Talvolta un uomo si alza da tavola a cena
ed esce e cammina, e continua a camminare,
perchè da qualche parte a oriente sa di una chiesa.
E i suoi figli pregano per lui, come se fosse morto.

E un altro uomo, che muore nella sua casa,
nella sua casa rimane, dentro il tavolo e il bicchiere,
sicchè i suoi figli devono andarsene nel mondo, lontano,
verso quella stessa chiesa, che il padre ha dimenticato.


                                                                                                                                    (Rainer Maria Rilke, 1875/1926)


venerdì 9 novembre 2012

UNISABAZIA 2011/12 - Bhavachakra, la Ruota dell'Esistenza

Bhavachakra, la Ruota dell’Esistenza


Mandala e Yantra

Un elemento di grande importanza nelle pratiche delle scuole tantriche (induiste e buddhiste) è il mandala, termine che significa alla lettera “cerchio”, ma che può essere inteso più precisamente come “contenuto interiore” (manda) circondato da ciò che lo racchiude (la).
Un mandala
I mandala sono infatti dei diagrammi circolari, con schemi anche molto complessi e diversificati, che si possono ritrovare, con analoghe funzioni rituali, presso altre tradizioni, ad esempio i nativi nord-americani.

In genere sono dipinti su carta, legno, pelle, pietra, o tracciati con sabbie colorate su supporti di vario tipo, quali il legno o il terreno stesso. Vengono utilizzati nelle ritualità, e come supporti visivi per la meditazione.
La loro struttura consiste fondamentalmente in uno o più bordi circolari che racchiudono un quadrato suddiviso in triangoli. Al centro dei triangoli e del mandala si trovano altri cerchi con le immagini delle divinità o con i loro simboli (ad es. lettere dell’alfabeto sanscrito).
Il tipo più semplice di mandala è lo yantra (da yam = mantenere, trattenere + tra = strumento): un diagramma costituito da triangoli in mezzo a cerchi concentrici all’interno di un quadrato con quattro porte. I triangoli con la punta in basso rappresentano la polarità femminile, gli altri quella maschile. Il centro è il brahman, l’indifferenziato, il non-manifesto.
Sri Yantra

Mandala e yantra sono quindi rappresentazioni dell’Universo e della sua manifestazione, dal non differenziato (il centro) alla molteplicità dei fenomeni (l’esterno).
Dal punto di vista buddhista, il mandala è ciò che consente al praticante di accedere al centro della percezione dei fenomeni, ovvero alla mente di saggezza.
La distinzione tra percezione ordinaria degli oggetti e percezione pura è dovuta alle impurità karmiche, ma in realtà l’essenza delle percezioni ordinarie è essa stessa pura. Il mandala è il mezzo che permette la comprensione di tale identità, ovvero la comprensione della vacuità: samsara = nirvana.
È inoltre possibile trovare somiglianze strutturali e funzionali tra il mandala ed il labirinto. Il labirinto rappresenta infatti una “discesa agli inferi”, una sorta di “morte iniziatica” seguita da una “resurrezione” dell’adepto, interiormente rinnovato, purificato. È ciò che avviene al praticante tantrico, che penetra nel mandala, fino a pervenire al centro, che è il centro del mondo, attraversato perpendicolarmente dall’axis mundi (un punto, se osservato dall’alto). Non a caso il labirinto ricorda da vicino la struttura anatomica del cervello umano (e dell’intestino, al quale il cervello stesso è strettamente correlato).
Il labirinto di Chartres
Tutto questo corrisponde alle strutture architettoniche dei templi hindu o degli stupa buddhisti, i quali, in una visione aerea, costituiscono delle immagini mandaliche. Così come una chiesa cattolica costruita secondo i criteri tradizionali, non quelli dell’architettura “moderna”, è una croce in tre dimensioni, al cui centro è posto l’altare, il luogo del sacrificio, sovrastato dalla volta celeste della cupola.
Ugualmente, come si è detto che nelle culture tradizionali macrocosmo e microcosmo si riflettono l’uno nell’altro, così il mandala “esterno” si trasferisce nel mandala “interno”, il corpo, appunto, nel quale si ritrovano i corrispondenti simboli. Infatti, se si ripensa alle immagini dei centri di energia (chakra) presenti nel corpo sotto forma di loto, e li si visualizza dall’alto, ponendo al centro il canale che attraversa tutto il corpo accanto alla colonna vertebrale (sushumna nadi), ciò che appare è proprio una struttura mandalica, il cui centro corrisponde al brahmarandhra, la cavità all’apice della testa (la c.d. “fontanella”), dove si apre proprio sushumna nadi.
Non a caso, uno dei maggiori studiosi dell’Oriente, Giuseppe Tucci (1894-1984), ha definito il mandala come “psico-cosmo-gramma”, ovvero l’intero Universo nel suo schema essenziale, nel suo processo di emanazione e di riassorbimento, portato al centro della coscienza umana per ritrovarvi l’unità originaria della coscienza stessa e riscoprire il principio ideale delle cose.
Ed un altro studioso dei mandala fu lo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), uno dei padri della psicoanalisi, il quale li analizzò in quanto strutture degli stati più profondi della psiche umana. Egli notò inoltre che molto spesso nei sogni e nei disegni spontanei dei suoi pazienti comparivano immagini mandaliche, che corrispondevano a momenti particolarmente significativi, in senso positivo, dei percorsi psichici di guarigione che stavano seguendo.

La Ruota dell’Esistenza

Il bhavachakra (la “ruota dell’esistenza”) è una classica rappresentazione buddhista, in forma di immagine mandalica, del samsara, cioè dell’esistenza ciclica degli esseri senzienti, condizionata dall’ignoranza e quindi permeata di sofferenza e frustrazione a diversi livelli di intensità, a seconda del karma di ognuno. In altri termini, il bhavachakra è l’immagine del mondo del divenire, nel quale gli esseri sono immersi da un tempo senza inizio e nel quale costantemente ritornano, sotto diverse forme.
Nella tradizione induista, Bhava è una delle quattro manifestazioni pacifiche del dio vedico Rudra (“il Rosso), signore delle tempeste e della pioggia, colui che assicura la fecondità dei campi, e che sarà poi assimilato a Shiva. Forse Bhava era già presente nella religiosità dell’India pre-vedica, come signore del bestiame. È possessore dell’aria, del cielo e della terra, ed è l’essenza della vita stessa.
Nel buddhismo, bhava è invece un termine tecnico che indica il divenire, il flusso incessante dei fenomeni.
Il Bhavachakra
Chakra è la ruota. La ruota del carro, ed anche uno dei simboli più diffusi nella cultura indiana, simbolo solare per eccellenza, principio del Tempo ciclico, presente anche al centro dell’attuale bandiera della Repubblica Indiana. Il chakra era anche un’arma usata nell’antica India: si trattava di un disco in acciaio, con i bordi affilati e un foro al centro, che veniva scagliata con forza e con micidiali effetti contro l’avversario. La si ritrova spesso nell’iconografia del dio Vishnu.
Secondo la tradizione, l’immagine del bhavachakra si ispira ad una visione di Maudgalyayana, un discepolo del Buddha noto proprio per le sue visioni. Essa è presente nella maggior parte dei monasteri buddhisti di tradizione tibetana (Tibet, Ladakh, Mongolia, Nepal, Bhutan) ed ha la funzione di richiamare alla mente la reale natura dell’esistenza. Infatti in genere è posta all’entrata dei templi, e rappresenta il passaggio del fedele attraverso l’esistenza nel samsara e l’ingresso nel cammino verso la liberazione. Proprio come nelle cattedrali gotiche le immagini scolpite di esseri infernali, poste all’esterno, ammonivano i fedeli ricordando loro che solo all’interno della Chiesa (come edificio, ma soprattutto come istituzione) potevano trovare la salvezza. In alcune tradizioni buddhiste il bhavachakra è utilizzato anche come supporto visivo per la meditazione.

Descrizione

In alto a destra, all’esterno della ruota, compare l’immagine del Buddha, che indica con la mano destra la luna piena, per ricordare la notte di plenilunio durante la quale, nel maggio del 528 a.C. (data convenzionale), conseguì dopo sei anni di ricerca interiore la liberazione dall’esistenza ciclica. La luna piena è essa stessa simbolo del Risveglio del Buddha.
La ruota è invece saldamente tenuta tra i denti e gli artigli di Yama (il “Trattenitore”, nella tradizione hindu simbolo della morte e giudice dei defunti), o, secondo altre versioni, di Mara (la Morte, dalla radice sanscrita mri, morire), colui che aveva cercato di distogliere Siddharta dalla sua ricerca, proponendogli ricchezze materiali e potere mondano.
Al centro della ruota, nel mozzo, si trovano tre animali, in qualche modo uniti tra loro: un maiale, simbolo dell’ignoranza; un gallo (l’avversione); un serpente (il desiderio). Sono i tre “veleni”, ovvero le forze che legano gli esseri all’esistenza ciclica. In particolare, origine di tutte le sofferenze è l’ignoranza (a-vidya, il non-vedere), la quale non ha il significato ordinario di incompetenza, di mancanza di istruzione. Qui, ignoranza è l’offuscamento mentale che impedisce all’uomo di comprendere la vera natura delle cose (e di se stesso), cioè la mancanza di esistenza intrinseca (la vacuità) di tutti i fenomeni, fisici e mentali.
Nel primo cerchio, alcuni esseri salgono verso l’alto, altri scendono verso il basso: è la rappresentazione del karma, favorevole o sfavorevole, che, a causa delle scelte operate dagli esseri stessi durante le loro esistenze, li trascina verso rinascite positive o negative. In questo esempio di bhavachakra, gli esseri rappresentati nel settore bianco (karma positivo) sono un uomo, un asura (titani) e un deva (divinità). Nel settore nero (karma negativo) si riconoscono un animale, uno “spirito famelico” e un essere infernale.
I 12 anelli della produzione condizionata e i 6 regni
Nel cerchio più esterno, sono raffigurati i dodici anelli (nidana) della produzione condizionata, ovvero una approfondita  rappresentazione degli insegnamenti buddhisti sull’interdipendenza. È la catena di causa-effetto che costituisce il meccanismo dell’esistenza nel samsara. Ogni fenomeno è condizionato, e a sua volta condiziona l’originazione di nuovi fenomeni. I fenomeni non sono quindi opera di un Creatore, ma tutti derivano da cause e condizioni specifiche. “Poiché vi è questo, quello viene ad esistere”.
Ogni fattore (anello) è relativo, non assoluto, né indipendente. Ognuno esiste in quanto esistono gli altri, ed ognuno è condizionato dagli altri e li condiziona. L’interdipendenza di causa-effetto ha cinque caratteristiche:
1) i fenomeni sono impermanenti (il germoglio nasce solo dopo che il seme non c’è più)
2) i fenomeni sono ininterrotti (non c’è interruzione tra morte del seme e nascita del germoglio, come il movimento dei piatti della bilancia)
3) un anello non si trasforma nell’altro (seme e germoglio sono due fenomeni distinti)
4) una piccola causa può produrre un grande effetto (seme è albero)
5) causa ed effetto hanno una continuità seriale (seme di riso è germoglio di riso, non di grano).
Si procede qui ad una semplice elencazione dei fattori rappresentati nelle singole maglie della catena (a partire dalla prima in alto, come si fa tradizionalmente) non essendo possibile una loro analisi particolareggiata, ricordando ancora una volta come ognuna sia effetto della precedente e causa della successiva, non potendo esistere separatamente dalle altre:
1) l’ignoranza (della vera natura dell’esistenza)
2) le formazioni karmiche (l’impulso all’azione sotto la spinta del karma passato)
3) la coscienza (la conoscenza influenzata dai condizionamenti karmici)
4) il nome e la forma (l’ambito psichico e fisico necessario alla coscienza per una nuova esistenza)
5) le sorgenti dei sei sensi (vista, ecc. + intelletto)
6) il contatto (oggetto dei sensi + organo sensoriale + coscienza sensoriale)
7) la sensazione (la risposta al contatto: sensazione piacevole, spiacevole o indifferente)
8) la sete, il desiderio avido (la sensazione di mancanza che spinge a ripetere l’esperienza)
9) l’attaccamento (l’impadronirsi dell’oggetto desiderato)
10) il divenire, l’esistenza (l’attaccamento all’esistenza produce una nuova situazione di esistenza)
11) la nascita (o ri-nascita, condizionata dal karma precedente)
12) la vecchiaia-e-morte.
Ritornando all’interno del cerchio, si trova il secondo anello, diviso in sei sezioni, nelle quali sono rappresentati i sei “regni” o “destini”, ovvero le sei condizioni principali dell’esistenza condizionata. Esse, si noti bene, non sono “luoghi” dello spazio, bensì sono il frutto della percezione degli esseri senzienti e quindi il prodotto del loro karma (cioè delle loro stesse azioni), che condiziona tale percezione. Si parla dunque di esseri che passano indefinitamente dall’uno all’altro dei sei “destini”. Tre di essi sono considerati favorevoli:
- la nascita umana, la più auspicabile, che viene detta “preziosa”, in quanto in essa c’è abbastanza sofferenza per suscitare il desiderio della liberazione, ma non troppa da impedire ogni tipo di riflessione o di scelta;
- gli asura (titani, o dèi gelosi), che vivono alla radice dell’albero che esaudisce tutti i desideri, del quale però, pur conducendo una vita gradevole, non gustano i frutti, in quanto le fronde si trovano nel regno superiore,
- il regno degli dèi (deva), suddivisi a loro volta in 27 gruppi. Tra essi, alcuni (dèi del regno del desiderio) possiedono un corpo, altri (regno della forma pura) hanno una forma corporea “sottile”, altri ancora (regno senza forma) sono pure coscienze. Tutti godono di vite lunghissime, ma non illimitate, e possono ricadere in “destini” inferiori una volta esaurito il karma che li aveva portati a rinascere nei regni divini.
Come si è visto, si ritrovano qui gli esseri descritti nel settore bianco del primo anello. Gli esseri del settore nero, che scendono verso il basso, si trovano invece negli altri tre “destini”, detti sfavorevoli o sfortunati, nei quali troppo grande è la sofferenza per permettere la riflessione sulla loro condizione e le conseguenti scelte per liberarsi (è ciò che avviene, per il motivo opposto, agli dèi e agli asura).
Uno dei destini sfavorevoli è il regno degli animali, i quali conducono una vita inquieta, presi tra la necessità di cibarsi e di riprodursi e la paura di essere uccisi da altri animali. O di essere maltrattati, sfruttati o uccisi dall’uomo, per nutrimento o per gioco.
La rinascita nel regno degli spiriti avidi o famelici (preta, in sanscrito) avviene a causa dell’avarizia e dell’avidità. Essi sono considerati meno ottusi (cioè incapaci di comprendere il Dharma) degli animali, ma le loro sofferenze sono superiori. Hanno grandi corpi sproporzionati, con enormi teste, ma braccia, gambe e collo sottili. Soffrono continuamente il caldo e il freddo, la fame e la sete; perfino la luce della luna li ustiona, oppure i raggi del sole li fanno rabbrividire per il freddo. Alcuni scorgono acqua e cibo, ma quando li raggiungono tali beni svaniscono. Altri trovano il cibo, ma esso non passa attraverso la bocca, sottile come uno spillo, o la gola, piena di nodi. Oppure il cibo inghiottito si trasforma in metallo rovente, o nella carne del loro stesso corpo, o in siero. A causa della fame, spesso emettono dalla bocca lingue di fuoco (i c.d. “fuochi fatui”).
Il regno degli inferni

Il sesto destino è quello degli inferni, causato essenzialmente da collera, odio, violenza. Gli inferni si suddividono in 8 inferni caldi, 4 o 5 inferni periferici, 8 inferni freddi e alcuni inferni temporanei.
Gli inferni caldi sono:
1) inferno delle continue resurrezioni, in cui gli esseri, spinti dall’odio, si fanno a pezzi tra loro, dopodiché si ricompongono e ricominciano a lottare;
2) i. della linea nera, nel quale gli abitanti vengono distesi su ferro rovente, incisi con fruste di metallo e tagliati lungo le linee nere delle incisioni dai guardiani infernali;
3) i. dello schiacciamento, nel quale si sperimenta la sofferenza dell’essere frantumati da morse, da macine, da montagne che si avvicinano tra loro;
4) i. del lamento, in cui si è bruciati dal fuoco in una casa priva di aperture;
5) i. del grande lamento, dove la stessa sofferenza è ancora più intensa (vi sono due stanze, e si pensa quindi di poter fuggire). Sono gli inferni dei bevitori di alcol e di coloro che forniscono tali bevande;
6) i. più caldo, dove si è impalati da aste incandescenti o si è immersi in calderoni di metallo fuso;
7) i. ancora più caldo, dove il calore è doppiamente intenso.
8) i. del tormento incessante, nel quale la sofferenza è assolutamente priva di sollievo e non conosce pause. Non vi è differenza, tanto è il calore, tra i corpi degli esseri e il fuoco che li brucia.
Negli inferni periferici (il fossato di brace, la palude dei cadaveri putrefatti, la pianura dei rasoi, il fiume senza guado, la foresta di foglie come spade) le sofferenze sono un po’ meno insopportabili. Vi si accede quando il karma di un essere rinato negli inferni caldi si attenua, o vi si giunge direttamente.
È detto nel testo che descrive gli inferni (si tratta di una raccolta di antichi insegnamenti del Lam Rim, il “sentiero graduale per l’illuminazione”, utilizzato dai praticanti del buddhismo tibetano): “Se ora non sopportiamo neppure la sofferenza della puntura di uno spillo o del calore della fiamma di una candela, come potremo sopportare le terribili esperienze che dovremo affrontare nei reami infernali?”. Quindi è necessario, qui ed ora, “fare tutto il possibile per rendere significativo il tempo che ci rimane da vivere (..) per evitare la rinascita nei reami inferiori”.
Analogamente, negli inferni freddi si sperimentano sofferenze di intensità crescente: il gelo provoca vesciche sul corpo, che si aprono e diventano piaghe. I corpi, essendo congelati, possono solo tremare, emettere lamenti o battere i denti. Nel sesto inferno, il Loto Blu, il corpo gelato si spacca e assume la forma del loto. Nell’inferno del Loto Rosso i corpi fatti a pezzi dal gelo si incastonano nel ghiaccio e lì vengono tormentati da sciami di insetti velenosi o da malattie. Infatti anche le più piccole parti dei corpi sono ancora collegate psichicamente alla coscienza degli esseri, che continuano quindi a provare dolore.
Infine, negli inferni temporanei, le sofferenze sono legate alla identificazione del corpo con un oggetto e all’uso che di tale oggetto viene fatto. Ad esempio, un essere era fatto a forma di mortaio in quanto, quando era monaco, quindi in forma umana, era andato in collera con un novizio e gli aveva detto che avrebbe voluto pestarlo in un mortaio…
Afferma ancora il Lama Pabonka Rimpoce (1878-1941), autore del testo e maestro dei tutori dell’attuale Dalai Lama: “Anche noi abbiamo già compiuto un numero infinito di azioni che causano la rinascita in simili condizioni, e inoltre insistiamo tuttora a compierle. Per cui dovremmo riflettere ripetutamente sui vari tipi di sofferenze che dovremo sperimentare in questi luoghi”.
Scopo di queste meditazioni, non è evidentemente quello di terrorizzare il praticante, costringendolo con la paura ad assumere comportamenti “morali” o ad aderire ad una ideologia o ad una struttura di potere politico/religioso, quanto piuttosto di far comprendere che non si tratta di “vicende di terre lontane” o di “fatti che non ci riguardano personalmente”. Meditare sui sei regni, sull’interdipendenza, sui tre veleni ecc., significa imparare ad apprezzare pienamente il significato dell’essere nati in forma umana e conseguentemente dare una direzione alla propria vita, per non sprecare il (poco) tempo che si ha a disposizione.
Ha detto Lama Tzong Khapa (1357-1419):

La preziosa rinascita umana è difficile da ottenere
e non dura a lungo. Riflettendo su tutto ciò
smettete di pensare unicamente a questa vita
”.


Testi

Cornu, Dizionario del Buddhismo, Ed. Bruno Mondadori
Humphreys, Dizionario buddhista, Ed. Ubaldini
AA.VV., Dizionario delle Religioni Orientali, Ed. Vallardi
Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini
Shumann, Immagini buddhiste, Ed. Mediterranee
Eliade, Lo Yoga – Immortalità e libertà, Ed. Sansoni
Tucci, Teoria e pratica del mandala, Ed. Ubaldini
Jung, La saggezza orientale Ed. Boringhieri
Pabonka Rimpoce, La liberazione nel palmo della tua mano, Ed. Chiara Luce

m. mauro tonko, 2012