sabato 8 dicembre 2012

La donazione del sangue nella spiritualità del Vangelo e dello Zen




La donazione del sangue nella spiritualità del Vangelo e dello Zen

di Luciano Mazzocchi
Missionario Saveriano in Giappone

Padre Luciano Mazzocchi (nt. 1939) dal 1963 al 1982 è stato missionario in Giappone. dove ha incontrato il domenicano Oshida, testimone dell'incontro del Vangelo con lo Zen.
Nel 1994, con il monaco Zen Jiso Forzani, apre presso Lodi il Laboratorio del dialogo religioso Vangelo e Zen "La Stella del Mattino".
Il presente saggio è il testo della relazione presentata da Padre Mazzocchi nel corso del Convegno "Etica e donazione" organizzato dall'AVIS Nazionale a Loreto il 20-21 ottobre 2000 e pubblicato nel n° 5 de "I Quaderni della Formazione" dell'AVIS Nazionale.



Io dal 1994 vivo con un monaco Zen. Antecedentemente avevo trascorso 20 anni in Giappone; ora invece vivo nella comunità Vangelo e Zen, guidata da me e dal monaco dello Zen. Alla nostra comunità tante persone si rivolgono per attingere ciò che le due tradizioni religiose offrono all'uomo.
Vi darò, così, una testimonianza circa la santità della donazione del sangue e degli organi. Sono un prete cristiano e sperimento la fratellanza con il mondo Zen; quindi la mia testimonianza avrà un po' un duplice connotato, quello orientale soprattutto segnato dal Buddismo Zen e ovviamente quello occidentale segnato dal cristianesimo in cui è battezzata la mia anima.
In oriente c'è una bella parabola, cara sia al mondo buddista come a quello induista, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. E la parabola del coniglio sulla luna. In oriente si crede che le macchie che si osservano sulla luna raffigurino il coniglio. Si narra che gli animali della foresta vivevano in una bella armonia fra loro: la scimmia, il coniglio, poi l'aquila, gli uccelli tutti E il grande Creatore, Iddio, vedendo questa armonia degli animali, scese nella foresta e assunse la sembianza di un povero mendicante, allo scopo di tastare da quale animale partiva quella armonia che pervadeva la foresta.
Chi era il primo attore di quella pacifica convivenza? Brahman, il Dio creatore, presentandosi nella veste di un povero affamato, stese la mano e chiese agli animali: “Datemi qualcosa da mangiare”. Al che la volpe corse a prendere delle bacche e gliele diede. La scimmia corse al fiume, afferrò un pesce e glielo portò. Però il coniglio, che tutti conosciamo come un animale velocissimo, è pure molto timido e, per timore, non osò prendere né le bacche dell'albero, né il pesce dell'acqua. Restò lì senza nulla; ma ecco la sua offerta: rivolto al povero mendicante, che era il grande Iddio della creazione in persona, gli disse: “Io non ho trovato nulla. Tuttavia tutti affermano che la mia carne è molto saporita. Accendiamo dunque un fuoco: io mi ci butterò e così il vecchietto avrà la mia carne da mangiare”. A questa risposta si dice che il vecchietto abbia ripreso la sua sembianza del Dio creatore e, abbracciando il coniglio, se lo sia portato in cielo, precisamente sulla chiara e mite luna.
Il mito del coniglio, diffuso dall'India fino al Giappone, è indicativo della spiritualità della donazione del sangue in versione orientale. Nel mio cuore di missionario cristiano vi leggo anche un richiamo con la storia di Gesù che offre al padre il suo corpo e il suo sangue per la redenzione dell'universo all'armonia del perdono e della pace.
Tuttavia devo accennare anche a un altro gesto, di natura piuttosto violenta, che vigeva e tuttora vige in Giappone e, forse, in tutto l'oriente. In lingua giapponese è chiamato ketsuin. Ketzu significa sangue e in significa sigillo. Quando due, soprattutto del mondo della mafia, stringono un patto, si tagliano la pelle, accostano le ferite e mescolano il loro sangue. Mitezza della donazione del proprio corpo nella parabola del coniglio sulla luna! Violenza del sangue mescolato nel ketsuin! Sono i due opposti presenti nella tradizione orientale! Due interrogativi o due risposte di tendenza opposta! Una è la visione marchiata di gratuità, così ben evidente nella parabola del coniglio sulla luna. L'altra invece è profondamente segnata dalla violenza e dal fatalismo. E la visione che deriva dal karma.
Il karma è la legge dell'effetto che ognuno causa su se stesso, oppure che ognuno eredita dai suoi genitori e da persone molto legate a lui. Quando uno è malato, la legge del karma gli fa dire: “Se sono malato, si vede che nelle mie vite precedenti o in questa presente, io mi sono meritato questo effetto cattivo. Oppure me lo hanno procurato le persone legate a me, con qualche loro comportamento cattivo”.
Questa convinzione è talmente radicata che una ragazza di Milano ultimamente venne da me, sconvolta per il trattamento ricevuto dal leader della Sokagakkai, un gruppo buddista marchiato di fondamentalismo. Frequentava il gruppo da 6 anni, quando un giorno confidò che stava pregando per suo fratello mentalmente esaurito e causa di tanti problemi in casa. Le fu risposto: “Assolutamente, tu non devi pregare per tuo fratello; lui ha il suo karma: lascialo con il suo karma, e tu va per il tuo!”. La ragazza rimase sconvolta: “Come posso non pregare per mio fratello?”.
I gruppi fondamentalisti orientali fanno leva proprio su questa visione karmica, da sempre radicata in oriente. Ciò che ti accade, quindi anche una malattia, è la conseguenza e l'effetto di una causa che tu stesso hai posto in precedenza o che quelli legati a te hanno posto. Quindi, stando alla legge del karma, per ciascuno non c'è che lo stare da solo con la propria sofferenza. Anche la mancanza di sangue va risolta in solitudine, senza appoggiarsi sulla donazione degli altri.
E una visione tuttora presente. Un titolo di disprezzo usato in Giappone è dire a uno: chikushoo. Chiku vuoi dire animale, bestiame di stalla, mucca, pecora ecc.; shoo significa vita o, se volete, rinascita. Tu sei un animale rinato nelle sembianze di uomo! Quindi dire a uno chikushoo è ferirlo nella sua parte più intima: “Tu hai la natura di un animale!”. Di questo tipo violento è il rapporto del sangue e del corpo nella cultura orientale, quando l’orientale rimane condizionato dalla legge del karma. Molte sopportazioni soffocate nel silenzio, sotto la maschera del sorriso, sono il prezzo di questa radicata credenza. Il turista occidentale per le vie di Tokyo nemmeno se ne accorge; ma chi, come è stato dato al sottoscritto, può imparare la lingua e condividere le ansie e le speranze della gente, ben conosce quanto questo soffrire silenzioso sia realtà quotidiana anche nel ricco e fine mondo giapponese. Il Buddismo è la religione che libera dalla legge opprimente del karma e riconduce nella gratuità originale.
Voi tutti conoscete, credo, la storia del Budda. C’era un principe che viveva felice nel suo castello ai piedi dell’Himalaya, ma un bel giorno, facendo una passeggiata fuori dal castello, scoprì l'esistenza del dolore. Esistenza che non aveva ancora conosciuto perché il padre teneva lontano dal castello ogni scena che richiamasse il dolore. Scoprì il contadino che ara la terra bruciato dal sole; scoprì il malato che vomita; scopri l'anziano dalla voce rauca e dalla schiena piegata; infine scopri anche la morte imbattendosi in un funerale. Così, d’improvviso, si trovò a tu per tu con il dolore. Allora lui da buon, diciamo così, orientale, quindi figlio in un certo senso della cultura e delle leggi del karma, pensò che ciò fosse dovuto al suo karma che lo inseguiva. Avrebbe potuto superare e rompere questa catena karmica facendo tante penitenze di purificazione; quindi per 6 anni macerò il suo corpo, abitando nelle foreste. Ma dovette constatare che più voleva fuggire dal karma del dolore, più il karma lo inseguiva affannosamente. Sapeva che anche lui un giorno sarebbe diventato vecchio, si sarebbe ammalato, sarebbe morto! Più voleva fuggire e più il dolore in lui aumentava. Si dice che un giorno abbia visto una donna che allattava il bambino: il bambino tranquillo e felice, la mamma serena e contenta. Nel ciclo brillava la stella del mattino. Vedendo questa scena, all'improvviso ebbe la cosiddetta illuminazione. Cos’è l’illuminazione?
Il Budda raccolse il nucleo della sua esperienza in quattro verità fondamentali.
- La prima dice: “Tutto è dolore, il dolore fa parte dell'esistenza. Non c'è nascita senza morte; non c’è gioia senza dolore”. Quindi anche nell'apice della gioia c'è il legame intimo con il dolore.
- Il dolore non è un fatto ostile che insegue l'uomo, ma fa parte della sua natura. Il Budda comprese che il voler fuggire il dolore lo rendeva più crudele. Dunque il desiderio e la brama di liberarsi dal dolore aumentava il dolore. Questa è la seconda grande verità. Ecco allora la via liberatoria che egli indica: fermarsi, liberarsi anche dalla brama di superare il dolore e lasciare che il dolore si sciolga da solo dentro di sé.
- La terza grande verità afferma che la via di liberazione dal dolore c'è.
- La quarta poi indica come percorrere questa via di salvezza. Il Budda indica come prevenzione del dolore la via di mezzo, suddivisa in 8 sentieri: il cosiddetto ottuplice sentiero. Vivi la via di mezzo! Non fuggire! Prendiamo per esempio l'uso del denaro, uno degli 8 sentieri. Se tu ti attacchi al denaro, ciò ti aumenta l'ansia. Ma se lo rifuggi, mentre la vita ti dice che ne hai bisogno, anche ciò aumenta l'ansia. Quindi percorri la via di mezzo, quella dell'equilibrio.
La pratica della via che libera dal dolore è la meditazione. Quando mediti stai fermo, in silenzio, non ti attacchi ai tuoi pensieri e nemmeno tenti di cacciare via il dolore, perché se ti metti a cacciare via i pensieri ansiosi, tu aumenti l'ansia. Sii presente, stai lì, respira, come un albero che sta sotto il cielo e lascia passare il vento, la nuvola. Si dice che quando uno pratica lo zazen - è questo il nome proprio della meditazione buddista – ritorna ad avere il volto che aveva prima che nascessero suo padre e sua madre. Meditando uno si restituisce alle sue origini. Non calcola, non pensa, non giudica nè il bene nè il male; semplicemente sta lì. La meditazione è via di liberazione: scioglie i blocchi che sono la causa del dolore.
Così si entra in quello stato che comunemente è chiamato illuminazione. Ma chiediamoci ancora: che cos'è l'illuminazione? E' il vuoto, ossia il non attaccamento a nessun momento della vita, mentre dall'altra ogni momento è accolto e, accogliendolo, è lasciato passare. Il segno di tutto questo è il respiro: esso è accogliere l'aria, è l'attimo di pausa, è restituire l'aria. Cosa resta? Niente! Grazie al fatto che resta niente tu puoi accogliere ancora e dopo restituire ancora.
Ecco, questo far ritorno continuo al nulla è la via liberatoria dal dolore. Il Budda lo dice chiaramente: esistere è dolore, nascere è dolore, crescere è dolore, morire è dolore. In tutto c'è il rapporto con il dolore. Allora riporta tutto al nulla, restituisci tutto alla transitorietà ed alla impermanenza. Così il dolore non si irrigidisce e non ti tortura.
Quindi la liberazione dal dolore non è la vita gioviale di chi non soffre, ma è il rapporto libero e sereno con il dolore.
Ora veniamo al punto: nella spiritualità orientale, cos'è la donazione? Nel passato in oriente la donazione del sangue non è stata predicata; ora lo è, almeno in Giappone. È comunque uno stimolo venuto dall'occidente, perché l'orientale, proprio in nome della sapienza di riportare tutto al nulla e al vuoto, ha da sempre inteso che il vero gesto di benevolenza che l'amico sano deve compiere verso l'amico che soffre e quello di massaggiare il suo corpo con le proprie dita. È lo shiatzu. Shi significa dito e atsu pressione. Massaggiare è quindi l'arte della meditazione riportata nella medicina: sciogliere i blocchi e i nodi che si formano nel corpo, gli irrigidimenti che procurano la sofferenza e riportarli al nulla.
Questa è la donazione tradizionale cresciuta in oriente: io non do un mio organo o il mio sangue a te, ma con la mia compagnia, con le mie dita, con le mie mani, con la pratica dello yoga, io sciolgo ciò che in te si è coagulato. Aiuto il tuo corpo a ritrovare la scioltezza, aiuto il tuo organo a rivivere. Io non do il mio organo a te, ma aiuto il tuo organo a vivere lui. Questa è la sapienza tradizionale dell'oriente, quella che io ho conosciuto nella mia passeggiata di 20 anni in Giappone. Tuttavia attualmente in Giappone, per lo stimolo venuto dall'occidente, la donazione del sangue è largamente praticata.
Io sono cristiano e volentieri testimonio che cosa avviene quando la spiritualità orientale incontra il Vangelo. In questi giorni lo sto dicendo a Roma, al padiglione dell'Expo missionaria a me affidato, affinché presenti la cultura giapponese nel suo incontro con il Vangelo. Ho esposto una delle immagini più belle del Budda che esistono sulla terra, conservato nel tempio fondamentale dello Zen in Giappone, monumento nazionale. Questa bellissima statua rappresenta il Budda nella posizione chiamata del loto: seduto sul cuscino, con le gambe incrociate e le braccia a forma di cerchio, come per abbracciare il vuoto; il corpo eretto, gli occhi aperti, svegli. Stare svegli di fronte alla realtà così com'è, non lasciarsi trascinare nè a destra, nè a sinistra: questo è l'armonia della via di mezzo, questo è la via del riportare tutto al nulla originario.
Presentavo tale stupenda immagine del Budda anche alle scolaresche che sono venute a visitare il padiglione, e dicevo: “Ma che cosa può portare un missionario a una cultura che è già così ricca?”. In Giappone trovare un foglio di carta per terra è cosa rara; nelle scuole la prima mezz'ora è dedicata alla pulizia delle aule e dei corridoi eseguita da tutti, dal preside allo studente più giovane.
Il preside deve essere il primo ad arrivare, aprire la porta, salutare tutti uno a uno. Alla fine delle lezioni tutto va ricomposto. Allora cosa va ad insegnare un missionario? Lì vicino a questa bellissima immagine del Budda ho collocato la fotografia di un'altra stupenda immagine, quella di un Budda di legno che si trova all'ingresso dell'eremo di padre Sigheto Oshida. Da giovane Shigeto Oshida aveva praticato la via dello Zen per anni, sempre alla ricerca dell'armonia e della comunione con il cosmo, sciogliendo ogni blocco dentro di sé, riportando tutto alla fluidità del nulla. Nel monastero Zen respirava la bella transitorietà delle cose e delle situazioni; però non riusciva a dimenticare alcune scene che aveva visto e tale ricordo lo disturbava. Aveva partecipato come militare alla guerra del Giappone contro la Russia e aveva visto con i suoi occhi i bambini morire di fame e di violenze. Diceva a se stesso: “Io sono qui tranquillo, sereno, cosmicamente armonico; ma che cosa è di quei bambini?”. Un giorno gli capitò tra le mani il Vangelo e lesse le parole di Gesù: “Io vi dico, tra i nati di donna non c'è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Luca 7,28). Giovanni il Battista fu il grande asceta e merita grande rispetto; ma il bambino morto sul campo di battaglia e da tutti dimenticato, nel cuore di Dio è il primo, prima ancora di Giovanni il Battista! Oshida Shigeto, come avendo scoperto una risposta da tempo invocata, esclamò: “Ah! È questa carità divina che non dimentica nessuno il regno della vera armonia!” Allora nel suo Budda ligneo scolpì, nel mezzo del petto in corrispondenza del cuore, la croce. Oshida Sigheto, poi, chiese il battesimo e divenne domenicano. È un innamorato di Tommaso D'Aquino. “Tommaso in fondo al grosso tomo che scrisse sulla Trinità, dice al lettore: Adesso ho risposto a tutte le tue domande? Se sì, taci tu e taccio io, perché da qui in avanti si entra!”.
Tutte le discussioni teologiche altro non servono che per togliere i blocchi del cuore e della mente dell'uomo. Ma nessun discorso umano può presentare Dio, perché in Dio non si entra tramite le spiegazioni, ma con un cuore purificato e non bloccato, un cuore umile, un cuore semplice. Ecco allora il valore proprio della terapia orientale, spirituale e fisica assieme: sciogliere i blocchi! E ciò permetterà al sangue di fluire, di scorrere. Per esempio, per liberare dal mal di schiena si praticano i massaggi, l'agopuntura e lo shiatsu.
Shigeto Oshida aveva dubitato sul senso del suo praticare la meditazione, lo zazen, nel monastero buddista. Gli era sembrato perfino un'ipocrisia il suo vivere in un ambiente tranquillo, nella pace, mentre altrove i bambini morivano di fame. Fu la lettura del Vangelo che salvò la sua pratica della meditazione, grazie all'annuncio che c'è realmente un cuore divino palpitante di carità, in cui nessuno viene dimenticato. C'è Dio! L'incontro con il Vangelo confermò e solidificò il suo proposito di praticare lo zazen. “Io continuo a fare il mio zazen; ma non per me! Lo faccio come gesto cristico, come testimonianza di un regno di Dio dove gli ultimi saranno i primi”.
Gesù all'ultima cena disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi”. Poi prese il calice del vino, lo diede da bere dicendo: “Prendete e bevetene tutti: questo è il mio sangue versato per voi”. E aggiunse: “Io vi dico che non berrò più il frutto della vite, finché non sarete tutti nel Regno del Padre mio”. Fino a quel giorno il Cristo resterà in digiuno, a garanzia che la festa non inizi prima che siamo arrivati tutti. Quando tutti saranno arrivati, inizierà la grande festa. Qui c'è la santità del gesto di donare il sangue, l'essenza della propria vita, le gocce della propria anima. Si dona il sangue, perché l'altro è parte di me ed io sono parte di lui.
Mi sovvengo del bicchierotto di vino che mio padre, contadino, beveva durante le brevi soste del lavoro dei campi, sotto la pioggia o sotto il sole, per attingere nuove energie e continuare a zappare la terra da cui proveniva il nutrimento della famiglia. Noi pensiamo che donare il sangue sia un atto di carità verso chi è nel bisogno. Piuttosto è una mistica festa: Cristo dà il sangue da bere perché tutti abbiano la forza di arrivare. Anch'io do il mio sangue, affinchè il fratello debole recuperi vigore. Una stupenda professione della fede cristiana dice: “Credo la comunione dei santi!”. L'eucarestia è il sacramento di questa comunione. Penso che la spiritualità orientale focalizzi soprattutto il valore dello stare vicino a chi soffre e con le dita sciolga i grumi del suo sangue in fluidi rivoli di vita. La spiritualità cristiana aggiunge a ciò il Vangelo del Cristo che dà il suo sangue da bere affinchè tutti arrivino. Anche al bambino morto di fame, che non ha avuto nessuno che lo massaggi con le sue dita. Forse nessuno gli ha reso le onoranze funebri. Forse nemmeno hanno registrato il suo nome. Ebbene, c'è una mano che lo redime e lo mette al primo posto: la mano di Dio, la mano della carità di Dio, che si manifesta nel Cristo sulla croce. Quella mano che sanguina e che dà il suo sangue, con gioia, come un vino inebriante: “Prendete e bevetene tutti!”.
Fratello sofferente, se il tuo sangue si è indebolito, io ti do del mio. Te lo do volentieri, perché non voglio passarti davanti, perché dobbiamo arrivare tutti assieme.
Ritengo questa una bellissima spiritualità. Davvero è ora che termini il mio discorso. Vi introduco alcuni libri che ho portato, libri che ho curato insieme con il monaco dello Zen.
• “II Vangelo secondo Giovanni e lo Zen”, è l'ultimo che ho curato, vi sono ripresi i temi degli opposti nella vita, della carità che rende briosa la vita sciogliendo i nodi irrigiditi dell'odio e dell'orgoglio.
• “II Vangelo e lo Zen”, è una riflessione sul perché è un bene ed una grazia il dialogo tra il Cristianesimo e il Buddismo.
• “La cucina scuola della via”, comprende la traduzione della regola per il cuoco dei monasteri Zen scritta da Dogen, il grande maestro dello Zen nato in Giappone nel 1200. Come preparare il cibo? Dogen dice: va a vedere quante bisacce ci sono, quanti ospiti sono arrivati, così tu ti sai regolare se si deve aggiungere un chicco oppure mezzo chicco. Le piccole grandi attenzioni del vivere armonico! È aggiunta la corrispondente regola di Benedetto per il cuoco dei monasteri cristiani, in cui a essere focalizzata, più che l'armonia, è invece la carità. Benedetto prescrive: “Se arriva un povero, l'abate si alzi, gli vada incontro, gli lavi i piedi, poi lo conduca a mangiare vicino a sé”.
• II libretto delle poesie di Ryokan, un monaco dello Zen del 1700 che non ha mai conosciuto il Cristianesimo, anche se in Giappone due secoli prima erano già stati missionari cristiani. Ryokan ci ha lasciato le perle più belle della poesia religiosa giapponese. Leggo un brano di una sua poesia:

Come l'involucro della cicala
questo mondo
apparente e transitorio,
per questo motivo
ho indossato
la veste monacale
ed ho rasato
la mia testa
per molti anni
come nuvola
nell'alto del cielo.
Ho pellegrinato
senza fermarmi
come acqua corrente
senza una dimora.
Ho passato le notti
nei luoghi sacri
e sotto i tetti di paglia.
Non mi sono mai curato
se questo sia bene o male,
nel mio cuore
c'è un assillo,
che nessuno
può capire,
che a nessuno
posso confidare!
Le rocce solitarie
che si ergono
sul mare profondo,
le alte cime delle montagne
potranno appianarsi
con il tempo,
solo l'assillo del mio cuore
non ha soluzione,
pur vivendo
lontano dal mondo,
è difficile osservare
la pace del cuore.
In questa poesia mi sembra che riverberi lo stesso assillo che tormentava il cuore del giovane Shigheto Oshida, quando praticando lo zazen era impedito a raggiungere la pace dal ricordo dei bambini che muoiono di fame.
Mi pare che ci sia veramente un richiamo profondo tra questa sensibilità umana, profonda, che lo Zen e il Buddismo hanno coltivato ed il messaggio del Vangelo. Perché il messaggio del Vangelo è proporzionalmente fecondo di bene a seconda del grado di umanità della persona che lo ascolta. La via dello Zen favorisce il Vangelo. Ed il Vangelo favorisce la via dello Zen. Infatti il Vangelo del perdono indica la via del vuoto che è vero vuoto: la via del non lasciar traccia di odio! La via della risurrezione a creatura nuova. Tanto nuova che i più piccoli saranno i primi! La donazione del sangue è come un sacramento che lo anticipa già in questo frastornato divenire. “Prendete e bevetene tutti: questo è il mio sangue versato per voi!”.
Per quanto riguarda la donazione degli organi, ripeto, non è nella loro tradizione, la loro tradizione è quella di aiutare l'organo dell'amico che è malato a rivivere. Adesso però, almeno la donazione del sangue, è molto praticata anche in Giappone.
Ho visto per televisione l'operazione del trapianto della mano. Senz'altro la tradizione orientale finora non ha proposto questa via; piuttosto ha proposto un'altra via: se un tuo amico manca di una mano, dagli tu una mano, stagli vicino. Però, conoscendo come i giapponese non vogliano mai essere secondi, sono certo che partirà anche questo tipo di trapianti. Tuttavia è giusto riflettere su ciò che sta avvenendo. Noi abitualmente pensiamo che la soluzione per chi ha il fegato o il rene malato, sia il trapianto. Forse a volte è senz'altro così. Per cui dobbiamo promuovere la campagna della donazione.
Anch'io, appena mi è arrivato il documento per dichiarare la disponibilità a donare i propri organi, ho firmato. Se i miei organi potessero servire anche ad un animale, io li do! E perché no! Quante volte io mi sono cibato della carne degli animali! Sarebbe una semplice restituzione!
Ma potremmo anche focalizzare così tanto la donazione da finire per pensare che tutto si risolve sbrigativamente dando il sangue od un organo al malato. Invece, tra l'altro, chi ha subito il trapianto ha bisogno poi di tanta compagnia, per fare suo il corpo estraneo che è stato trapiantato nel suo. Il rene od il fegato trapiantato è come uno dei grumi irrigiditi che vanno sciolti con i massaggi delle dita dell'amico. L'occidente con audacia ha inaugurato la via chirurgica del trapianto, mettendo in atto il Vangelo del Cristo che da la propria carne e il proprio sangue. L'oriente con fedeltà ha custodito la via dell'amichevole compagnia del massaggio. Ma le due vie confluiscono. Sì, perché il sangue donato deve essere conservato caldo e vivo dall'amore, dalla paziente amicizia. E la via del massaggio è ulteriormente elevata se l'amico sano dona all'amico malato anche una parte del suo sangue o un suo organo e poi con il massaggio delle sue dita aiuta il sangue donato a scorrere nelle arterie dell'amico e aiuta l'organo donato a familiarizzare con tutte le altre parti del corpo. Non dovremmo dimenticare che le terapie hanno un'anima, oltre che un corpo scientifico. L'anima è umanità, è vicinanza. Gesù, quando guariva un malato, lo toccava con la mano, proprio come l'orientale che pratica lo shiatsu. Questo toccare con la mano non va dimenticato, è un grande valore, un valore eterno, soprattutto oggi che la scienza ci ha aperto nuove strade che vogliamo percorrere. Ma in questo clima. Io sono prete, quindi posso dire quelle sensibilità spirituali che vanno promosse allo scopo. Poi ovviamente chi è tecnico della medicina sa come operare concretamente, conoscendo le leggi igieniche ecc. che sono necessarie.
Io penso che noi come Chiesa in Italia abbiamo peccato di trionfalismo e lo stiamo facendo tuttora; per cui la Chiesa si presenta come l'unica risposta della verità. Qui abbiamo dei fratelli di altre religioni, sono per la Chiesa un richiamo al rispetto. A volte nell'ambiente di chiesa circola questo tipo di aria: c'è chi pensa per tutti e conosce la verità per tutti. Non occorre quindi che noi pensiamo in proprio. Potrebbe essere pericoloso! È l'opposto del clima che circondava Gesù. Gesù chiese ai suoi discepoli: “Voi cosa pensate di me? Chi sono io per voi?”. Un giorno esclamò: “Perché non capite da voi stessi?”. Noi come Chiesa non abbiamo sviluppato la coscienza personale nella ricerca della verità. Abbiamo pianificato l'incontro delle persone con Dio: i ragazzi di 7 anni devono fare la prima comunione, quelli di 12 la cresima, ecc. Oppure abbiamo criticato chi non si sposa in chiesa, ma solo in comune. Adesso grazie a Dio questo sistema sta cambiando, per cui anch'io ho potuto poi benedire dei matrimoni di coppie che erano già sposati da 5/6 anni. Ora chiedevano la benedizione davanti all'altare, con le lacrime di gioia agli occhi. La nostra chiesa non ha lasciato maturare in modo personale l'incontro delle persone con Dio. Se avessimo lasciato crescere la coscienza delle persone, la donazione del sangue o degli organi sarebbe conseguita dalle coscienze maturate con più naturalezza, come un frutto maturo che spontaneamente si stacca dal ramo.
Inoltre penso che quel clima della transitorietà e dell'impermanenza di cui gli orientali sono così ricchi ci farebbe bene, perché tutti corriamo verso il rendere consistente sé stesso, la propria villa, i propri patrimoni, le proprie opinioni. Mentre l'orientale ha capito che la cosa più vera che l'uomo può fare è sciogliere sé nell'armonia del tutto.
Io credo che noi preti abbiamo veramente una grande responsabilità nel coltivare l'anima, la mistica della vita, la bellezza della vita come gratuità per cui uno non si attacca alla sua vita, mentre la vive con impegno. Gesù ha affermato che chi vuole trattenere la vita per sé la perde, chi la dà la trova. Abbiamo anche tanti esempi molto belli di volontari, anche giovani, oltre che Madre Teresa ovviamente. Dobbiamo fare vivere questi esempi, farli diventare da eccezione di alcuni a cultura mistica diffusa. Credo che allora voi dovrete porre un numero chiuso per i donatori del sangue, tanti saranno quelli che si presenteranno.
Concludo con le parole di Cristo: “Nessuno ama come chi dà la vita per il proprio amico”. Costui vive il più grande amore. Grazie.


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