mercoledì 5 febbraio 2014

I 12 anelli: 9 - L'attaccamento; 10 - Il divenire

IX – Upadana, l’attaccamento

Dice il Buddha: “Condizionato dal desiderio ha origine l’attaccamento” (upadana, in sanscrito e in pali), ovvero l’attaccamento a ciò che è stato oggetto del desiderio, della sete, della brama. È il nono anello, rappresentato nel bhavachakra dall’immagine di una scimmia (già vista nel terzo anello, la coscienza), che coglie frutta su un albero.
Si legge nei testi: “Esistono forme che l’occhio può conoscere, forme desiderabili, piacevoli, care e deliziose, amabili, eccitanti. Se un monaco ne rimane affascinato, se le accoglie con gioia, se continua ad attaccarsi ad esse [..] finirà con l’avere una coscienza da esse dipendente, che su esse si attacca [..] ma, senza attaccarsi, egli si libera”. E si prosegue poi con gli altri sensi.
Upadana, l'attaccamento
Attaccarsi significa quindi rimanere legati ai “prodotti” dei processi percettivi, basarsi su di essi, non accettare che cambino, rifiutare la loro impermanenza, ovvero la loro reale essenza, la loro vacuità. E quindi soffrire e costruire altresì le fondamenta delle future sofferenze.
Per le leggi del karma, le azioni talvolta maturano i propri frutti nella vita presente, altre volte i frutti dell’azione verranno raccolti in altre esistenze successive.
Dice il Buddha: “Affermo che delle azioni intenzionali compiute e accumulate non può esserci cancellazione senza che si faccia esperienza dei loro risultati, sia che questo avvenga in questo mondo, sia che questo avvenga in altre condizioni”.
Upadana, l’attaccamento, fa quindi da tramite tra trishna, il desiderio, e bhava, il divenire, il decimo anello, dal quale si originano nascita e vecchiaia-e-morte (XI e XII).
È detto: “Nel momento in cui un essere abbandona questo corpo, ma non è ancora nato in un altro corpo – tutto ciò, vi dico, si costruisce sul desiderio. Poiché in quel momento il desiderio diventa l’agente [upadana] per ciò”.
Come si intuisce, upadana è un elemento dinamico. È l’agente del processo, così come lo è il vento allorquando strappa le fiammelle di un fuoco e le trasporta altrove, dove genereranno una nuova fiamma, nel contempo uguale e diversa dalla precedente.
Il riferimento è alle antiche credenze dell’India tradizionale (che il Buddha non rifiuta né accoglie incondizionatamente, ma trasforma radicalmente in una nuova visione), secondo le quali l’ultimo desiderio di un morente è ciò che causa e determina la nuova nascita.

All’origine delle sofferenze umane non c’è tanto il possesso degli oggetti quanto l’attaccamento a ciò che possediamo, anzi, che crediamo di possedere, in quanto non ne riconosciamo la natura impermanente e non-sostanziale.
L’attaccamento si manifesta sotto diverse forme: può essere un impulso momentaneo, spontaneo, effimero; oppure si tratta di attaccamenti che nascono da continue ripetizioni e che si trasformano col tempo in vere e proprie abitudini, in comportamenti automatici. Questi sono molto più difficili da riconoscere e influiscono più profondamente sulla vita della persona, sul suo presente e sul suo futuro. L’oggetto dell’attaccamento (una persona, un ideale, un ruolo sociale, degli oggetti materiali o immateriali…) si riveste di una forte componente emotiva, pare divenire insostituibile, assolutamente indispensabile per la vita dell’individuo. Il quale, in definitiva, crea da se stesso i legami in cui resta imprigionato.
Tali legami, ovvero stati mentali, sono ciò che incatenano ad una esistenza ciclica condizionata, non illuminata, priva di libertà, dominata dalla sofferenza e dalle frustrazioni inevitabili, data la reale natura dei fenomeni.

Upadana è tradizionalmente raggruppato in quattro sezioni:
v  Kamupadana, l’attaccamento agli oggetti dei sensi, all’eros, alle passioni; una naturale forma di difesa della vita, che però diviene attaccamento quando si rifiuta di vedere la natura impermanente della vita stessa e delle sue manifestazioni, il che ci impedisce di fruirne fino in fondo! Ne è un buon esempio la attuale “società dei consumi”, fondamento della quale è la coazione a ripetere il gesto dell’acquisizione di beni, indipendentemente dal reale bisogno che se ne ha.
v  Ditthupadana, l’attaccamento alle opinioni, alle false idee, nelle due diverse tipologie del nichilismo (per cui ad esempio non c’è bisogno di seguire alcuna legge morale, in quanto non esiste effetto karmico delle azioni, nulla sussistendo dopo la morte) e dell’eternalismo (secondo cui esiste un’anima immortale, atman, indipendente dai processi fisici e mentali che passa da un corpo all’altro fino a fondersi con il Sé Universale, Brahman). Caso emblematico è la figura dell’intellettuale mai disposto ad abbandonare le proprie idee ed opinioni.
v  Silabbatupadana, l’attaccamento a regole e rituali, il che è tipico di una mente formalistica, la quale ritiene che basti seguire alla lettera delle norme e dei rituali esteriori per attingere alla liberazione. È una radicale critiche che il Buddha rivolse alla religione brahmanica e alla casta sacerdotale che monopolizzava la spiritualità indiana dell’epoca.
v  Attavadupadana, l’attaccamento alla falsa opinione dell’esistenza di un io. Ne consegue la formazione di una personalità piena di sé, con un ego inflazionato che viene proiettato all’esterno di sé e in un futuro senza fine.

Naturalmente si tratta soltanto di classificazioni, che l’India antica amava profondamente, e che certo non sono prive di utilità pratica. Altre categorie ancora si potrebbero aggiungere: ad esempio, il maestro theravada Nyanaponika Thera proponeva una ulteriore distinzione, tra l’attaccamento perseguito attivamente e quello di cui si fruisce passivamente. Nella prima categoria rientrano i godimenti legati ai sensi, la sessualità, la fruizione estetica, la spinta ad ammassare, ad accumulare, la sete di potere a tutti i livelli… Nella passività rientrano invece il desiderio di sottomettersi, l’istinto gregario, l’affidarsi compulsivamente a relazioni personali o di gruppo, il culto dei capi, il legame con le usanze, con le tradizioni… Come pure l’abbandono del mistico nei confronti della divinità o verso la beatitudine della meditazione, che è pur sempre una forma di intossicazione dello spirito.
Tutte queste categorie, queste catalogazioni, sono anch’esse frutto del lavoro della mente, e sono pertanto generiche, non esaustive, provvisorie. In ogni caso, non devono divenire a loro volta oggetti di attaccamento.
Diceva il Buddha che “l’insegnamento è come una zattera che serve per approdare all’altra sponda [la liberazione, il nirvana]. L’intelligente, dopo aver attraversato il fiume, non si caricherà la zattera sulle spalle”.
Così colui che si incammina su una Via spirituale deve costantemente vigilare su se stesso affinché nemmeno gli ideali spirituali, gli insegnamenti, la pratica, i meriti accumulati, il Buddha e il Nirvana stessi divengano oggetti di attaccamento, concetti, obiettivi da perseguire al di fuori di sé.
Diceva ancora il Buddha: “Solo un monaco che non raccoglie ottiene il Nirvana”.

  
X – Bhava, il divenire

A partire dal quarto anello (namarupa, il complesso psico-fisico) e fino al nono (upadana, l’attaccamento) è stato preso in esame il meccanismo in base al quale l’uomo interagisce col mondo esterno ed interno. Un meccanismo ripetitivo, introiettato al punto di divenire spesso automatico, difficilmente riconoscibile, che dalla sensazione e sotto la spinta del desiderio porta l’uomo ad attaccarsi agli oggetti senza riconoscere, per ignoranza, la loro non-sostanzialità ed impermanenza, dando così origine alla sofferenza.
Tutto il meccanismo sin qui descritto origina il decimo anello, bhava, il divenire, rappresentato dall’immagine di una donna in stato di gravidanza.
Il termine sanscrito (e pali) bhava deriva dalla radice bhu, che ha il significato di “origine”, “genesi”, “venire alla luce”, e si associa quindi nel contesto del bhavachakra, al karma e alla rinascita.
Bhava è il divenire in cui stiamo agendo ora (talvolta bhava indica l’azione stessa), ed è anche l’anello di congiunzione con la vita futura (jati, la nascita, undicesimo anello). È la base, condizionata dall’attaccamento, su cui si sviluppa una nuova esistenza: la rinascita è quindi preparata durante l’intero corso della vita presente, attraverso il processo intenzionale di attività, esperienze, desideri, pensieri…
Bhava, il divenire

L’esistenza futura è ciò in cui si deve esplicare l’effetto di ciò che è stato compiuto, in quanto eredità del passato.
Dalla sensazione, che di per sé è il semplice incontro tra oggetto sensibile e organo di senso, scaturisce il desiderio, ovvero una reazione che a livello cognitivo è una manifestazione dell’ignoranza dell’autentica natura dei fenomeni (avidya) e a livello emotivo si manifesta come avidità/avversione.
Dal desiderio sorge l’attaccamento, cioè l’aspettativa che un qualcosa avvenga (o non avvenga) come noi vogliamo, oppure resti così come ci piace.
A questo punto il divenire è innescato.
Per questo, i tre nidana (anelli) della sete, dell’attaccamento e del divenire sono definiti nel loro insieme come i “fattori di produzione”, laddove i due successivi sono i “fattori prodotti”, nascita e vecchiaia-e-morte, che sono relativi all’esistenza futura.

Come si è visto, l’anello del divenire riguarda espressamente il karma. Che costituiva già il secondo anello, quello dei samskara (o sankhara), le formazioni mentali condizionate dall’ignoranza, avidya.
Perché due anelli, entrambi relativi al karma?
Nel caso dei samskara, si tratta del karma passato, dei semi karmici che entrano a far parte dell’esistenza presente.
Nel caso di bhava, si tratta invece delle azioni compiuto nel corso della vita presente e degli stati mentali ad esse associati; sono qui presenti due aspetti:
-          quello attivo di produzione karmica e
-          quello passivo, gli effetti di tale produzione, che portano al processo di rinascita.

Si parla pertanto dei due aspetti che il processo di crescita, di sviluppo (bhava) può assumere:
·         da una parte il kammabhava [si presti attenzione a non confondere il termine kamma, in sanscrito karma, l’azione consapevole che genera effetti karmici, con kama, la sensualità], il processo karmico vero e proprio cioè le azioni consapevoli che originano il “carico” karmico,
·         dall’altra upapattibhava, ovvero l’effetto del precedente, la necessità della rinascita quale risultato inevitabile dell’accumulazione karmica.

Secondo i testi antichi, vi sono 9 possibili modalità di esistenza generate da upapattibhava, a seconda del tipo di attaccamento sviluppato. Ad esempio, se si è spinti dall’attaccamento agli oggetti dei sensi (kamupadana), si produce un processo karmico della stessa natura, kamabhava, il quale costituisce a sua volta un preparativo per la rinascita nel mondo legato ai sensi, il kamaloka, che comprende i mondi degli dei e degli dei gelosi, i regni degli uomini, degli animali, degli spiriti famelici, e gli inferni.
Ma, senza entrare in ulteriori dettagli, ciò che conta è comprendere che scopo della persona saggia non è di rinascere in uno dei diversi modi di esistenza, bensì liberarsi dal ciclo della ripetizione delle esistenze.
È detto: “Il saggio dunque non crea né ha come scopo la crescita e il decadimento [..], egli non costruisce nulla nel mondo, è libero dalla sofferenza e ottiene il nirvana: la nascita si conclude”.


Testi

Cornu                      Dizionario del Buddhismo                                                                     Ed. Bruno Mondadori
Falà                         Tanha, il desiderio                                                                                 in: Paramita n. 39
Falà                         Upadana, l’attaccamento                                                                      in: Paramita n. 40
Falà                         Bhava, il divenire                                                                                  in: Paramita n. 41   
Nyanaponika Thera La visione del Dhamma                                                                         Ed. Ubaldini
Johansson                La psicologia dinamica del buddhismo antico                                       Ed. Ubaldini

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