Se in una limpida notte di
primavera-estate si volge lo sguardo verso l’Orsa Minore, è possibile osservare
una delle costellazioni settentrionali più grandi della volta celeste, il Dragone, in latino Draco, chiamata Anguis
dal poeta Virgilio: “Qui [nell’emisfero boreale] il
Serpente striscia con un immenso giro, sinuoso a mo’ di fiume, intorno ed
attraverso le due Orse: quelle Orse timorose di tuffarsi nelle acque di Oceano”[1],
ovvero intramontabili.
La testa del Dragone è formata da quattro
stelle, il corpo si snoda attorno al Polo Nord celeste, tra l’Orsa Maggiore e
l’Orsa Minore. Nella coda si trova la stella Thuban (nome arabo del Basilisco,
mitico re dei serpenti), ovvero Alpha
Draconis, che fino al 1793 a.C. era
considerata la Stella Polare[2].
Il motivo per cui il Drago si trova nel
cielo è narrato dai miti dell’antichità classica: un drago a cento teste, di
nome Ladone, era stato posto a
guardia del giardino curato dalle ninfe Esperidi, nel quale nascevano mele
d’oro, dono di Gea, dea della Terra, alle nozze di Era e Zeus. Dalle bocche di
Ladone uscivano grida di cento tonalità diverse, che terrorizzavano gli uomini.
Ma il drago, grazie anche all’aiuto di
Atlante, fu ucciso da Eracle, che aveva ricevuto da Euristeo l’incarico di
impadronirsi dei pomi d’oro. Era volle allora che Ladone fosse ricordato per
l’eternità, e per questo lo pose in cielo tra le due Orse, come narra lo
scrittore romano Igino nel De Astronomia[3].
Già il mito di Ladone e del giardino delle
Esperidi fa intuire il legame che intercorre tra la figura del drago e l’oro o
i tesori in genere.
L’etimologia può aiutare a comprendere
tale legame: la parola “drago”
deriva dal latino draco e dal greco drakon (drago, serpente), dalla radice DARC-, vedere (greco derkomai, guardo), che è nel sanscrito dṛç,
occhio, vista. Così come anche un altro termine greco che significa serpente, ophis, nasce dalla radice OP-, vedere,
da cui “ofidi”, serpenti, ma anche “ottico”. Infatti una diffusa credenza popolare
riteneva che le serpi e i draghi, loro stretti parenti, avessero una vista
eccezionale. In più, ai draghi era attribuita la forza dei leoni e l’agilità
delle aquile. Infatti, pur essendo un animale mitologico, il drago è composto
da parti di animali reali, che variano a seconda della cultura di origine: il
corpo è quello di un rettile (ma a sangue caldo), ed è coperto da scaglie e
squame (talvolta piume, come i draghi del Sud America); le ali, quando
presenti, sono membranose, come quelle dei pipistrelli; le zampe (due o
quattro, talvolta nessuna) sono quelle di un rapace, e come gli uccelli depone
le uova…
Per queste loro caratteristiche, i draghi
erano considerati ottimi guardiani di tesori, di oggetti preziosi, di luoghi
speciali, soprattutto se posti sotto la superficie terrestre o nelle vicinanze
di mari, laghi, paludi o sorgenti.
Come il drago Pitone, figlio di Gea, che viveva accanto ad una sorgente sul monte
Parnaso e che fu ucciso da Apollo[4].
O quello che venne ucciso da Cadmo, fondatore di Tebe, e che era anch’esso
custode di una sorgente.
Il legame tra i draghi e i tesori è ben
documentato anche da una favola di Fedro
(I sec. d.C.), evidentemente dedicata agli avari (“gioia degli eredi”, li chiama con ironia):
“Una volpe, nello scavarsi la tana, mentre tirava via
la terra e spingeva sempre più nel profondo vari cunicoli, arrivò nel recesso
più interno della spelonca di un drago,
che custodiva tesori nascosti. Non appena lo scorse: “Ti prego anzitutto di
perdonare la mia sbadataggine; poi, se ben capisci quanto l’oro non si addica
alla mia vita, rispondimi gentilmente: quale frutto ricavi da questo lavoro,
ovvero quale ricompensa è tanto grande da privarti del sonno e farti
trascorrere la vita nelle tenebre?” “Proprio nessuna – disse – ma questo
compito mi è stato assegnato dal sommo Giove”. “Allora non prendi nulla per te
e non dai nulla a nessuno?” “Così piace al fato”. “Non adirarti se ti parlo
francamente: è nato in odio agli dèi chi è simile a te”.”[5].
Il mito del drago
come custode di tesori si ritrova anche nelle culture del Nord Europa, ad
esempio nel principale testo della letteratura islandese medioevale, l’Edda
di Snorri, composta intorno al 1200 da Snorri Sturluson. Vi si narra di
Fafnir (in islandese “colui che abbraccia il tesoro”), un nano
forte e aggressivo che a causa della sua avidità si trasformò in un drago senza
ali.
Otr, fratello di Fafnir
e di Reginn, era stato ucciso per errore da Loki. Il loro padre Hreidhmarr
aveva ricevuto dell’oro quale risarcimento e i due fratelli ne pretendevano una
parte. Ma, come si legge nell’Edda, “Hreidhmarr
negò loro persino un soldo dell'oro. La decisione dei fratelli fu malvagia:
uccisero il padre per l'oro. Poi Reginn chiese a Fafnir di dividere l'oro in
parti uguali. Fafnir gli rispose di non illudersi, egli non avrebbe diviso
l'oro con il fratello che aveva ucciso il padre per averlo, e ordinò a Reginn
di andarsene se non voleva che lo spedisse da Hreidhmarr [..]. [Reginn] dunque, [dovette] fuggir via. Fafnir invece salì su Gnitaheidhr dove si
preparò una tana nella quale, trasformatosi in serpe, giaceva sull'oro.
 |
Da "I Nibelunghi" di F. Lang - 1924 |
Reginn
si recò a Thòdh dal re Hialprekr e là divenne suo fabbro. Ivi prese a educare Sigurdhr [..]
il più famoso fra tutti i re guerrieri
per stirpe, forza e coraggio. Reginn gli rivelò dove Fafnir giaceva sull'oro, istigandolo
a cercare il tesoro [..]. Sigurdhr e
Reginn si recarono a Gnitaheidhr. Là Sigurdhr scavò una buca lungo la via
[percorsa] da Fafnir e vi si nascose. Quando Fafnir strisciò verso l'acqua e
passò sulla buca, Sigurdhr gli vibrò [un colpo] con la spada e questa fu la sua
morte. Allora venne Reginn e disse che egli aveva ucciso suo fratello e che per
rifar pace avrebbe dovuto prendere il cuore di Fafnir e arrostirlo sul fuoco.
Poi Reginn si sdraiò, bevve il sangue di Fafnir e si pose a dormire. Quando
Sigurdhr pensò che il cuore che stava arrostendo fosse cotto, lo toccò con un dito
per sentire se era [ancora] duro. Il sangue del cuore gli colò sulla pelle,
egli si scottò e si mise il dito in bocca. Quando il sangue del cuore toccò la
lingua, egli [divenne capace di] comprendere il linguaggio degli uccelli e
intese ciò che stavano dicendo gli uccellini sull'albero sopra di lui”[6].
A Fafnir si ispira senza dubbio la figura
del drago Smaug, custode del tesoro
usurpato ai Nani e ubicato nelle viscere di Erebor, la Montagna Solitaria.
Smaug è stato creato dal genio di John
Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), docente universitario, insigne studioso
di filologia e soprattutto autore, tra l’altro, del Signore degli Anelli, un’opera erroneamente considerata un romanzo
“di genere” e non, come è, letteratura tout
court, e di altissimo livello.
Smaug è così descritto nel romanzo Lo
Hobbit (1937), da cui ebbe origine la saga dell’Anello:
“Un
drago enorme color oro rosso lì giaceva profondamente addormentato, e dalle sue
fauci e dalle froge provenivano un rumore sordo e sbuffi di fumo, perché, nel sonno,
basse erano le fiamme. Sotto di lui, sotto tutte le membra e la grossa coda
avvolta in spire, e intorno a lui, da ogni parte sul pavimento invisibile,
giacevano mucchi innumerevoli di cose preziose, oro lavorato e non lavorato,
gemme e gioielli, e argento macchiato di rosso nella luce vermiglia.
Le
ali raccolte come un incommensurabile pipistrello, Smog giaceva girato
parzialmente su un fianco, e lo hobbit poteva così vederne la parte inferiore
del corpo, e il lungo, pallido ventre incrostato di gemme e di frammenti d'oro
per il suo lungo giacere su quel letto sontuoso. Dietro di lui, dove le pareti
erano più vicine, si potevano vagamente vedere appese cotte di maglia, elmi e
asce, spade e lance; e c'erano file di grossi orci e vasi riempiti di ricchezze
inimmaginabili”[7].
Tralasciando in questa sede le diverse classificazioni
e tipologie di draghi (con o senza ali, terrestri e/o acquatici ecc.), è invece
interessante ricercare il significato
del ruolo che essi svolgono, quello di custodi di tesori celati nella terra o
nell’acqua.
È stato detto che la vicinanza dei draghi
alle acque paludose e la loro uccisione da parte dell’eroe rappresenta la
progressiva bonifica di zone malsane da parte delle comunità umane, per
destinarle alle coltivazioni. Ed è senza dubbio un buon esempio di spiegazione
storicistica di alcuni miti.
Meno riduttivo, ed anche più coinvolgente,
è vedere invece nel drago, simbolo presente in quasi tutte le culture umane,
l’espressione delle più profonde energie interiori dell’uomo, che custodiscono
il tesoro della vita spirituale, la natura umana autentica, il Sé, rappresentato
dall’oro o dalle gemme. I draghi “non
sono in definitiva che le immagini dei nostri desideri e delle nostre passioni”[8],
che possono ostacolare la conoscenza e l’accesso al tesoro che è in noi, nelle
profondità dello spirito, o, per dirlo in termini più “scientifici”,
dell’inconscio (ben rappresentato dalle caverne, dagli abissi oceanici, dai
palazzi scavati nel sottosuolo). Il drago, quindi, è sì custode di tali
ricchezze, ma può diventarne estremamente geloso, e quindi distruttivo, se si è
troppo accondiscendenti nei suoi confronti, ovvero nei confronti delle nostre
pulsioni più egoistiche e distruttive.
Ad esempio, l’eroe Sigurdhr, dopo essere
stato bagnato dal sangue di Fafnir, comprende il canto degli uccelli,
acquisisce cioè una Conoscenza superiore che lo pone in totale armonia con
l’universo, al di là della falsa concezione di un Io autonomo e separato dagli
altri esseri.
Invece Thorin, il re dei Nani del romanzo
di Tolkien, riconquista il tesoro grazie ad uno Hobbit, ma ne è talmente
ossessionato che ritroverà la sua dignità solo al prezzo della vita, morendo in
battaglia.
La realizzazione dell’autentico Sé (le
mele d’oro, il tesoro dei Nani, il centro del labirinto, il ritorno ad Itaca…)
passa quindi attraverso la lotta interiore dell’Eroe (Ercole, Bilbo Baggins, Teseo,
Ulisse…) contro le proprie ombre, il proprio piccolo Ego. Quindi, la spada, la
lancia, la freccia, la clava, le armi che uccidono il drago rappresentano
allora la saggezza, la discriminazione, il coraggio, la fede, le virtù etiche.
Rispetto ai miti “pagani”, nei testi
cristiani in cui compare il simbolo del drago l’accento viene posto con estrema
enfasi sul tema etico della lotta tra il Bene e il Male, dove il drago
rappresenta evidentemente le forze del Male.
Il mito più popolare in ambito cristiano è
la storia di San Giorgio, narrata
anche dal Beato Jacopo da Varagine (Varazze)
nella sua Leggenda Aurea, della seconda metà del ‘200. Vi si racconta di
un drago che viveva in un grande stagno della Libia, e che terrorizzava gli
abitanti del luogo. Essi lo rabbonivano dandogli in pasto pecore e poi, finite
le pecore, i loro figli, fino a che venne il turno della figlia del re. A quel
punto arrivò un coraggioso cavaliere cristiano. “Il beato Giorgio che per caso passava di là vide la fanciulla piangente
e le chiese cosa avesse. E quella: “Buon giovane, risali subito sul cavallo se
non vuoi morire con me”. E Giorgio: “Non temere, figlia mia, ma dimmi che cosa
fai qui in lacrime sotto gli occhi di tutto il popolo, che ti sta ad osservare
dalle mura”. E quella: “Vedo che sei un giovane audace e generoso ma perché
vuoi morire con me? Fuggi, fuggi senza più aspettare!”. E Giorgio: “Non me ne
andrò sino a che tu non mi abbia detto che cosa stai facendo”. Quando la
fanciulla gli ebbe raccontato la sua storia disse Giorgio: “Figlia mia non
temere, poiché io ti verrò in aiuto nel nome di Cristo”. E quella: “Buon
soldato non voler morire, basta la mia morte!”. Mentre così i due parlavano il
drago sollevò la testa dall'acqua del lago onde la fanciulla tutta tremante
gridò: “Fuggi, fuggi, mio buon signore!”. Giorgio allora salì sul cavallo e
fattosi il segno della croce si gettò sul drago, vibrò con forza la lancia e,
raccomandandosi a Dio, gravemente lo ferì. Il drago cadde a terra e Giorgio
disse alla giovinetta: “Non aver più timore e avvolgi la tua cintura al collo
del drago”. Così ella fece e il drago cominciò a seguirla mansueto come un
cagnolino. Vedendola in tal guisa avvicinarsi alla città, tutto il popolo
atterrito cominciò a gridare: “Ahimè, ora moriremo tutti!”. Ma il beato Giorgio
disse loro: “Non abbiate timore poiché Iddio mi ha mandato a voi onde liberarvi
da questo drago. Abbracciate la fede di Cristo, ricevete il battesimo ed io
ucciderò il mostro”. Allora il re e tutta la popolazione ricevettero il
battesimo; dopodiché Giorgio uccise il drago e comandò che fosse portato fuori
della città con un carro tirato da quattro paia di bovi”[9].
In
un testo più antico, l’Apocalisse di Giovanni, composto
verso la fine del I secolo, il drago non solo è malvagio, ma è il Male, è Satana in persona.
Qui, alla conclusione del Nuovo
Testamento, tra angeli, demoni, cataclismi, visioni e profezie, compaiono nel
cielo due segni:
“Una
donna avvolta nel sole, e la luna sotto i suoi piedi e sulla sua testa una
corona di dodici stelle, ed è incinta e urla, soffrendo le doglie e tormentata
per partorire. E fu visto un altro segno nel cielo, ed ecco un drago, grande,
rosso fuoco, con sette teste e dieci corna e sulle sue teste sette diademi, e
la sua coda trascina la terza parte delle stelle del cielo e le gettò sulla
terra. E il drago sta dritto di fronte alla donna, che sta per partorire, così
da inghiottire, quando partorisca, il figlio suo. E partorì un figlio, un
maschio, il quale sta per pascere tutte le genti con bastone di ferro. E fu
strappato suo figlio verso Dio e verso il suo trono. E la donna fuggì nel
deserto, dove ha là un luogo preparato da Dio, perché là la nutrano per mille
duecento sessanta giorni.
E
fu guerra nel cielo, il Michele e i suoi angeli a combattere col drago. E il
drago combatté e i suoi angeli, e non fu forte né fu più trovato il loro luogo
nel cielo. E fu gettato giù il drago, quello grande, il serpente antico,
chiamato Diavolo e il Satana, colui che inganna il mondo intero, fu gettato
sulla terra, e i suoi angeli furono gettati con lui. E udii una voce grande nel
cielo, che diceva: Ora fu la salvezza e la potenza e il regno del nostro Dio e
il potere del suo Unto, poiché fu gettato l'accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusa di fronte al nostro Dio di giorno e di notte”[10].
È interessante osservare che San Giorgio
non uccide subito il drago, ma lo rende mansueto e lo uccide solo dopo la
conversione dei paesani. Ed anche nell’Apocalisse, più oltre, è detto:
“Vidi
un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’abisso e una catena grande
sulla sua mano. E tenne saldamente il drago, il serpente antico, che è Diavolo
e il Satana, e lo legò per mille anni e lo gettò nell’abisso e lo chiuse e pose
un sigillo su esso, affinché non traviasse più le genti fino a che si
compissero i mille anni”[11].
E dopo i mille anni, “il diavolo [..] fu
gettato nella palude del fuoco e zolfo, dove anche si trovano la bestia e lo
pseudoprofeta e saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli”[12].
L’avvento della Gerusalemme Celeste non
implica la morte del drago, di Satana. Satana, che è stato creato da Dio[13]
e quindi non è pari a Lui, non viene però distrutto, bensì gettato nella palude
di fuoco, dove “rappresenta la potenza
latente racchiusa nella materia” (l’Inferno)[14].
Nei termini con cui si è interpretato il mito: l’inconscio non può essere
distrutto, è parte integrante dell’uomo, concorre alla realizzazione della sua
natura profonda, a condizione che ne vengano dominate le tendenze distruttive e
regressive.
A costo di una certa semplificazione, si
può comunque dire che nel Cristianesimo “ufficiale” il drago “è privo di sfumature, è colui che sputa
tutte le fiamme dell’inferno: è il nemico assoluto”[15].
Il drago è stato incorporato nella letteratura e nell’iconografia cristiana (si
pensi alle immagini di Maria che calpesta il serpente o il drago), ma al prezzo
di un impoverimento della sua complessa simbologia: “nelle altre culture il drago personifica la Potenza. In quanto tale
figurava sugli stendardi assiri, parti, sciti, romani, bretoni”[16],
sulle prue delle navi vichinghe. Nel Cristianesimo il drago è visto soltanto,
almeno apparentemente, come il simbolo di ciò che è opposto al Cristianesimo
stesso, il Male, Satana, i “barbari”, i culti “pagani”[17].
In generale, l’Occidente tradizionale
rimanda comunque ad una immagine del drago come di un nemico da eliminare,
un’icona dell’avversione, della paura e del dolore, anche se oggi, a seguito
della globalizzazione delle culture e della desacralizzazione della società,
tale immagine è molto cambiata: basti pensare alla diffusione della figura del
drago nei giochi, nel cinema per bambini, nei tatuaggi, nella pubblicità ecc.
A questo punto si può introdurre una breve
analisi del simbolo del drago nelle tradizioni orientali, in quella cinese per
tutte, dove il drago (in cinese lóng,
in giapponese ryū) ricopre un ruolo
egemone, fino a divenire un vero modello archetipico per l’Oriente, nonché il
simbolo stesso del Paese (come lo è il leone per il Regno Unito, l’orso per la
Russia, l’aquila calva per gli USA, la tigre per l’India ecc.). Qui l’atteggiamento
descritto sopra si rovescia: per la Cina tradizionale il drago rappresenta la
vita stessa, “è la forza creatrice e
vivificante, il simbolo della potenza imperiale”[18].
È intermediario tra il Cielo e l’Imperatore, al quale “trasmette la forza cosmica che consente all’ordine di regnare e alla
vita di svilupparsi armoniosamente. Se i ritmi sono dimenticati, se la vita
cosmica o sociale è disorganizzata, soltanto l’Imperatore, detentore del
mandato celeste, ha il potere di rigenerare la sua forza creatrice e di
ristabilire l’ordine”[19].
In difetto, il drago gli ritira il mandato del Cielo e l’Imperatore è
delegittimato.

Non a caso, il drago è presente già nel
primo segno dell’I Ching, l’antico Libro
dei Mutamenti, testo fondamentale per le origini delle tradizioni taoista e
confuciana. Le sei linee intere che compongono Kkienn, il Creativo, il Cielo, raffigurano infatti sei draghi sovrapposti,
sei momenti della manifestazione. Il segno rappresenta, recita il commento, la
“forza primordiale luminosa [..]. Il
segno è unitariamente forte nella sua natura”[20].
Di tale forza creatrice i draghi, che incarnano il principio Yang, costituiscono l’elemento
trainante. L’analisi delle singole linee nomina esplicitamente il drago: “Nove all’inizio significa: drago coperto.
Non agire”. Nell’inverno il drago si ritira nella terra, è opportuno
attendere, con forza e pazienza. Ricompare in primavera, ma non ancora nel
pieno della sua forza: “Nove al secondo
posto significa: drago che compare nel campo. Propizio è vedere il grand’uomo”.
E ancora: “Nove al quinto posto
significa: drago volante nel cielo. Propizio è vedere il grand’uomo”: è la
sfera della celestialità, dalla quale si influenza tutto il mondo. Ma “Nove sopra significa: drago altezzoso avrà
da pentirsi”, ovvero il voler salire troppo isola dagli altri e conduce
all’insuccesso. Infine: “Quando compaiono
tutti nove questo significa: compare una schiera di draghi senza capo. Salute!”:
con tutti nove l’intero segno Kkien
si trasforma in Kkunn, il Ricettivo,
la Terra; la forza del creativo (i sei draghi) e la mitezza del ricettivo (le loro
teste nascoste) si uniscono. Mitezza nell’agire e forza della decisione, questo
porta al successo[21].
Anche in Cina il drago è associato
all’elemento acqua, nei suoi vari aspetti: mari, fiumi, laghi, nuvole, pioggia…
Esso ha il potere di far sgorgare sorgenti, di far cadere la pioggia, arginare
le inondazioni[22].
È pratica comune nelle campagne richiamare la pioggia nei periodi di siccità
costruendo draghi in legno e carta per porli nei letti dei fiumi nel corso di
cerimonie accompagnate da tamburi e invocazioni, oppure lanciando in cielo
aquiloni con immagini di drago.
È quindi principio legato alla primavera,
alla rinascita della vegetazione, ed anche alla fecondità femminile: secondo
alcuni miti, una giovane donna rimase incinta con la saliva di un drago.
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Fu Xi e Nuwa |
Da un drago ebbe origine il matrimonio: si
tratta di Fu Xi, uno
dei tre mitici sovrani cinesi, vissuto, secondo la tradizione, tra
il 2952 e il 2836 a.C.
Si tramanda che avesse quattro occhi e una
coda di serpente; veniva rappresentato sempre allacciato, tramite la coda, alla
sorella e sposa Nüwa; lei porta in mano un compasso, lui una squadra. Tali
strumenti (che rimandano alla simbologia massonica) indicano che i due sovrani
inventarono norme e regole.
A lui vengono attribuite l'invenzione dell’I Ching, della metallurgia,
della scrittura, del calendario, della musica. Narra la leggenda
che sia nato da un palude, nella quale abitavano i draghi[23].
Se all’associazione drago/acqua si
aggiunge l’immagine della barca (già vista nel caso delle navi vichinghe), si
perviene intuitivamente ad un altro nesso simbolico: drago/morte. Anche nella
cultura cinese la barca è associata alla morte, in quanto mezzo per giungere
sull’altra sponda, e molto spesso i battelli cinesi (ed estremo orientali in
genere) sono costruiti in forma di drago. Si narra in una leggenda buddhista
che una monaca coreana, volendo seguire un monaco in partenza per la Cina su
una barca, annegò in mare e si trasformò in un drago che protesse il viaggio
del monaco.
Una storia popolare taoista riprende
diversi elementi del simbolismo del drago (le acque, l’eroe, la donna, la
musica…):
Han
Hsiang Tzu, mirabile suonatore di flauto[24],
giunse un giorno sulle coste del Mare Orientale, dimora delle bellissime
Fanciulle Drago, amanti della musica e del canto. Lì iniziò a suonare un motivo
dolce e melodioso che giunse alle orecchie delle Fanciulle Drago. Una di esse,
la più bella, la settima figlia del Re Drago, volle conoscere colui che
suonava, ma dovendo mantenere segreta la propria identità, si trasformò in
anguilla. Si avvicinò alla spiaggia, e ben presto il suo liscio corpo argenteo
fu perfettamente visibile. Han Hsiang Tzu non aveva mai visto un'anguilla così
strana, che sembrava intendere la sua musica e apprezzarla.
“Mia
preziosa anguilla – le disse – ho
sentito parlare della bellezza della settima Principessa Drago. Portale, ti
prego, i miei umili omaggi”.
Quando ricominciò a suonare una dolente
melodia l'anguilla prese a mutar forma, sotto lo sguardo stupito del giovane.
Nelle ombre del crepuscolo la vide
diventare sempre più grande, finché la sua pelle argentata cadde rivelando una
pallida e perfetta carnagione. Così apparve una splendida fanciulla dai folti
capelli neri, che restò in assoluto silenzio. Han Hsiang Tzu suonò come non
aveva mai suonato ed ella danzò e danzò, finché Han Hsiang Tzu chiuse gli occhi
per un breve istante. Quando li riaprì si ritrovò solo: la ragazza era sparita,
senza aver mai detto una sola parola. La stessa cosa accadde nelle due sere
seguenti.
La quarta sera ella mancò all'appuntamento
ormai abituale. Il giovane suonò canzoni d'amore e la chiamò nel buio della
notte, ma i suoi sforzi furono vani. Disperato lanciò il suo flauto sulle rocce
frastagliate rompendolo in cento pezzi. Poi si accasciò e pianse. Era talmente
immerso nel suo dolore che non udì una vecchia venire a lui lungo la spiaggia,
e sobbalzò quando lo toccò gentilmente sulla spalla.
“Mi
spiace di averti spaventato – gli disse
– ma ti ho visto piangere e sono venuta per offrirti il mio aiuto. Ascolta
quanto ho da dirti, ma non mi fare domande. La Principessa non potrà più
tornare, suo padre ha scoperto il suo segreto e l'ha incatenata nelle
profondità del suo palazzo. Ma ho un dono per te che potrà consolarti: la
Principessa mi ha pregata di darti questo pezzo di bambù immortale”.
Han Hsiang Tzu accettò il dono, da cui
ricavò un nuovo flauto in grado di suonare una musica ipnotica che ammaliava
chiunque l'ascoltasse. Ma ormai aveva perduto interesse per il mondo umano, e
conduceva un'esistenza solitaria nelle caverne di inaccessibili montagne.
Quando alla fine grazie alle pratiche
taoiste ottenne l'immortalità, continuò a portare con sé quel flauto, la cui musica
aveva il potere di sconfiggere gli spiriti maligni e i demoni, ma che non poté
ricondurre a lui la Principessa Drago. Ella aveva infatti sottratto l'immortale
bambù dalla foresta del bodhisattva Kuan
Yin[25],
e come punizione fu costretta a servirla per l'eternità[26].
A questo punto, non si può che fare
ritorno nel cielo da cui si è partiti, per ritrovarvi lo stesso Dragone, quale
segno fondamentale dello zodiaco cinese. L’astrologia cinese, strettamente
collegata alla tradizione taoista, si basa su un calendario ciclico lunisolare:
uno dei cicli dura dodici anni[27],
e ad ogni anno è associato un animale. Il segno dell’anno rappresenta le
modalità con cui si viene percepiti dagli altri; in base al mese, giorno e ora
si identificano invece i segni interni, segreti, corrispondenti alla reale
essenza della persona.
Secondo uno dei miti fondativi
dell’astrologia, gli animali zodiacali furono scelti dall’Imperatore di Giada,
il sovrano del Cielo, cui corrisponde sulla terra l’Imperatore della Cina,
durante una sua discesa sulla Terra. L’animale più bello, il gatto, non si
presentò davanti all’Imperatore di Giada, in quanto il topo gli aveva
comunicato in maniera volutamente errata il momento della sua venuta (è il
motivo dell’inimicizia tra gatti e topi). Così, il Sovrano portò con sé in
cielo i dodici animali da cui fu più colpito: topo, bufalo, tigre, coniglio,
drago, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane, maiale. Si tratta, come
si vede, di animali realmente esistenti, tranne uno, il drago. Significativo
esempio di quanto l’immagine del drago sia stata profondamente assimilata dalla
cultura cinese.
Anche il fecondo incontro storicamente avvenuto
tra le grandi tradizioni spirituali del Buddhismo e del Taoismo è raccontato in
chiave simbolica da un mito astrologico: il Buddha, presentendo la propria fine
sulla Terra, chiamò a sé tutti gli animali. Solo dodici accorsero (quinto, il
drago), e ad ognuno egli assegnò un anno del ciclo lunare. Anche qui il topo
dimostrò la sua astuzia, facendo tutto il viaggio sul dorso del bue, che
diligentemente era partito molto presto, per poi precederlo alla fine, saltando
a terra fresco e riposato, e si prosternò al Buddha per primo. Per questo l’elenco
dei dodici segni inizia sempre con il topo[28].
[1]Virgilio, Georgiche,
I 244-246.
[2] A causa della
precessione degli equinozi fu poi sostituita da Kappa Draconis e successivamente da stelle della costellazione
dell’Orsa Minore. Attualmente è Polaris.
[3] In Igino si trova anche
un’altra versione del mito, secondo la quale Ladone fu scagliato in cielo da
Minerva durante la lotta con i giganti. Cfr Igino, De Astronomia, II.
[4] Il sito divenne la
sede dell’oracolo che, dal nome del drago, fu chiamato Pizia.
[5] Fedro, Fabulae,
IV 21. In:
http://bachecaebookgratis.blogspot.it/2010/10/fedro-tutte-le-favole-ebook.html#.VpJkC_nhC00
[6] Edda
di Snorri, Ed. Rusconi, pag. 183-185. La vicenda di Sigurdhr, a noi più
noto come Sigfrido, riveste un ruolo centrale nelle mitologie nordiche, e verrà
poi ripresa nell’opera di Richard Wagner, l’Anello
del Nibelungo (1848-1874), dove Fafnir compare con il nome di Fafner.
[7] J.R.R. Tolkien, Lo
Hobbit, o la Riconquista del Tesoro, Ed. Adelphi, pag. 245-246.
[8] D. Beresniak, Il
drago, Ed. Mediterranee, pag. 14.
[9] Jacopo da
Varagine, Leggenda Aurea, Libreria Editrice Fiorentina, pag. 266-267.
[10] E. Lupieri (a cura
di), L’Apocalisse
di Giovanni, XII, 1-10, Ed. Mondolibri, pag. 51-53.
[11] Id., XX, 1-3, pag.
87.
[12] Id., XX, 10, pag.
89.
[13] Cfr il Catechismo
della Chiesa Cattolica, 391, Libreria Editrice Vaticana, pag. 111: “La Chiesa insegna che all’inizio
[Satana] era un angelo buono, creato da Dio”.
[16] Id., pag. 56. Nel
testo si parla di “sciiti”, ma evidentemente
si tratta di un refuso, in quanto gli Sciiti costituiscono uno dei rami
principali dell’Islam.
[17] È però doveroso
quantomeno menzionare il fatto che nell’Alchimia
occidentale, che è intimamente legata al Cristianesimo (anche se non a quello
“ufficiale”), l’immagine del drago è assolutamente centrale. In un testo è
detto: “Costituisce una grande meraviglia
e una astuzia straordinaria fare del drago la medicina suprema”. Cit. in
Beresniak, pag. 40.
[20] I
King, trad. italiana dalla versione tedesca di R. Wilhelm, Ed.
Astrolabio, pag. 69.
[21] Tutte le citazioni
sono tratte da: I King, pag. 69-74. Le linee procedono dal basso verso l’alto.
Il valore 9 indica la linea intera mobile, che diviene quindi una linea
spezzata.
[22] Cfr Beresniak,
pag. 72.
[23] Si veda:
https://it.wikipedia.org/wiki/Fu_Xi.
[24] È uno degli Otto
Immortali del Taoismo popolare, considerato il protettore dei musicisti.
Rappresenta l’ideale dell’uomo in totale armonia con il Cosmo.
[25] Come già visto in
altre occasioni, si tratta del bodhisattva
della Compassione (sanscrito Avalokiteshvara,
tibetano Cenresig, giapponese Kannon). Nell’iconografia estremo
orientale è spesso raffigurata insieme ad un drago.
[26] Il testo è stato
tratto da La Fanciulla Drago e il flauto
immortale, in: Kwok Man Ho – J. O’Brien (a cura di), Gli otto immortali del Taoismo,
Ed. CDE, pag.89-91.
[27] Un altro ciclo è
decennale, e ad ogni coppia di anni è associato un elemento: legno, fuoco,
terra, metallo, acqua.
[28] Si veda:
https://it.wikipedia.org/wiki/Astrologia_cinese.