sabato 30 gennaio 2016

Spirito di-vino


Pubblichiamo qui l’Introduzione al volume L’esprit du vin selon un moine zen di Sando Kaisen (Alain Krystaskek), monaco Zen, discepolo del Maestro Deshimaru, il quale da 40 anni trasmette la pratica dello zazen in Francia e in altri paesi europei. Il libro di Sando Kaisen (autore anche di La Vision pure e L’esprit de la pétanque) è stato pubblicato nel 2013 dalle éditions Tarma.
Un breve testo (160 pagine) che parla del vino, dello zen, ma soprattutto del nostro rapporto col mondo, con l’intero cosmo. Da assaporare sorso dopo sorso, come si fa con un bicchiere di buon vino, come dovremmo fare con la nostra vita, istante dopo istante.

Gli esseri umani sono i frutti della Terra, del Cielo e di tutti gli uomini che li hanno preceduti. Tutti hanno come radice un fondo comune che è il passato. Il loro futuro, che ne è il frutto incessantemente rinnovato, non è mai separato dalla memoria del passato.
Non ci si fa da soli, non si nasce da se stessi. Ciò che è fondamentalmente “io”, è l’insieme delle esistenze e il corpo dell’intero Universo.
È per questo che non soltanto è l’uomo che fa il vino, è anche il vino, composto dai quattro elementi della natura, che fa l’uomo.
Non sono un grande specialista del vino. Sono un semplice monaco zen che da quarant’anni si reca regolarmente a riposare in una sala di meditazione, come un buon vino sul fondo della sua bottiglia. Un buon vino che finirà tuttavia in una bara…
Ad ogni conferenza o al termine di ogni pratica uomini e donne mi pongono delle domande. Io do loro delle risposte, che talvolta vanno nella loro stessa direzione, talvolta in direzione opposta. Ma poco importa ciò che dico e a chi lo dico. Ciò che conta, è che così come sono io sia maturo, e che così come sono mi si apprezzi o non mi si apprezzi… Per il vino è la stessa cosa.


Ho creato spesso delle cantine e, come molti giovani, ho vendemmiato, tagliato la vite, partecipato alla vinificazione e lavorato nelle cooperative. Nondimeno rimango un neofita e un semplice amatore, anche se è stato molto piacevole incontrare i viticoltori e apprezzare il vino che producono. Bevo poco e di rado, ma so che bere un buon vino significa assaporare un’intera esistenza in un sorso…
Il linguaggio utilizzato dai viticoltori, che non è privo né di immagini né di poesia, prova che per fare del buon vino e coltivare nel modo giusto è necessario essere coltivati. Ci si coltiva coltivando… La cultura che si acquisisce passando del tempo in vigna è quella grande capacità di cogliere l’essenza della bellezza e di saperla definire. Poter dare un nome ed affinare le proprie sensazioni e il proprio pensiero offre la possibilità di migliorare ciò che si fa migliorando se stessi.
Nella vita il punto non è essere “buono” o non essere “buono”. Si tratta soltanto di essere intimo con la propria natura fondamentale. Lo stesso accade con il vino, che non è né “questo” né “quello”. Semplicemente è o non è l’espressione della vita che esso ingloba nella sua totalità.
Poco importa sapere se è giusto mettere insieme vitigni provenienti da terreni diversi. Sappiamo che accostare pesce, finocchio, melanzane e olio d’oliva costituirà un’ottima pietanza. Sappiamo anche che se si sostituisce il pesce con del manzo del Limousin a manifestarsi sarà un altro piatto, un’altra visione. Nondimeno, il terreno o il vitigno unico costituiscono l’affermazione di una identità, di una lunga tradizione e di una capacità ancestrale che è importante veder continuare nel tempo. Se la natura del mondo fosse di essere vuoto o unico, non cercherebbe di rivestire le innumerevoli forme che popolano il nostro Universo. Noi abbiamo bisogno di una identità, di fare riferimento al passato e di essere i successori di lignaggi che vengono da lontano. Vivere a partire dalla radice, dalla tradizione, evita di agire a caso e di credersi dei creatori onnipotenti. Il denaro e il potere non hanno creato l’uomo, è l’uomo che li ha creati. Tuttavia l’uomo è divenuto loro schiavo. In questo stato di schiavitù, il senso della vita gli sfugge…
Certamente, è l’uomo che pianta la vite, ma se quest’uomo non coglie l’occasione e la possibilità che gli sono offerte per trovare un senso alla sua comparsa sulla terra, allora si rischia che sia la vite a piantare lui!

Quando l’acino scricchiolò sotto i miei denti,
Il giorno si levò,
abbagliante di luce e di profumi.

Questo libro non è l’opera di un religioso che vorrebbe introdurre delle nozioni del buddhismo zen nell’universo degli amatori del vino. È un libro sul vino, o piuttosto sulla relazione tra l’uomo e il vino. Poiché il vino e l’uomo sono entrambi privi di limiti, se ne potrebbe parlare all’infinito.
Più metterò a fuoco il soggetto, più il vocabolario che userò tenderà ad avvicinarsi al mondo dello spirito, il che potrà forse dare l’impressione di una connotazione religiosa. Ma poiché il linguaggio è esso stesso l’espressione dell’unità fondamentale, come se ne può sfuggire?


  
La traduzione dal francese è opera di chi scrive, che è pertanto responsabile degli errori (e degli orrori…) che vi si possono riscontrare.
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