Pubblichiamo
qui l’Introduzione al volume L’esprit
du vin selon un moine zen di Sando
Kaisen (Alain Krystaskek), monaco Zen, discepolo del Maestro Deshimaru, il
quale da 40 anni trasmette la pratica dello zazen in Francia e in altri paesi
europei. Il libro di Sando Kaisen (autore anche di La Vision pure e L’esprit de
la pétanque) è stato pubblicato nel 2013 dalle éditions Tarma.
Un
breve testo (160 pagine) che parla del vino, dello zen, ma soprattutto del
nostro rapporto col mondo, con l’intero cosmo. Da assaporare sorso dopo sorso,
come si fa con un bicchiere di buon vino, come dovremmo fare con la nostra
vita, istante dopo istante.
Gli
esseri umani sono i frutti della Terra, del Cielo e di tutti gli uomini che li
hanno preceduti. Tutti hanno come radice un fondo comune che è il passato. Il
loro futuro, che ne è il frutto incessantemente rinnovato, non è mai separato
dalla memoria del passato.
Non
ci si fa da soli, non si nasce da se stessi. Ciò che è fondamentalmente “io”, è
l’insieme delle esistenze e il corpo dell’intero Universo.
È
per questo che non soltanto è l’uomo che fa il vino, è anche il vino, composto
dai quattro elementi della natura, che fa l’uomo.
Non
sono un grande specialista del vino. Sono un semplice monaco zen che da
quarant’anni si reca regolarmente a riposare in una sala di meditazione, come
un buon vino sul fondo della sua bottiglia. Un buon vino che finirà tuttavia in
una bara…
Ad
ogni conferenza o al termine di ogni pratica uomini e donne mi pongono delle
domande. Io do loro delle risposte, che talvolta vanno nella loro stessa
direzione, talvolta in direzione opposta. Ma poco importa ciò che dico e a chi
lo dico. Ciò che conta, è che così come sono io sia maturo, e che così come
sono mi si apprezzi o non mi si apprezzi… Per il vino è la stessa cosa.
Ho
creato spesso delle cantine e, come molti giovani, ho vendemmiato, tagliato la
vite, partecipato alla vinificazione e lavorato nelle cooperative. Nondimeno
rimango un neofita e un semplice amatore, anche se è stato molto piacevole
incontrare i viticoltori e apprezzare il vino che producono. Bevo poco e di
rado, ma so che bere un buon vino significa assaporare un’intera esistenza in
un sorso…
Il
linguaggio utilizzato dai viticoltori, che non è privo né di immagini né di
poesia, prova che per fare del buon vino e coltivare nel modo giusto è
necessario essere coltivati. Ci si coltiva coltivando… La cultura che si
acquisisce passando del tempo in vigna è quella grande capacità di cogliere
l’essenza della bellezza e di saperla definire. Poter dare un nome ed affinare
le proprie sensazioni e il proprio pensiero offre la possibilità di migliorare
ciò che si fa migliorando se stessi.
Nella
vita il punto non è essere “buono” o non essere “buono”. Si tratta soltanto di
essere intimo con la propria natura fondamentale. Lo stesso accade con il vino,
che non è né “questo” né “quello”. Semplicemente è o non è l’espressione della
vita che esso ingloba nella sua totalità.
Poco
importa sapere se è giusto mettere insieme vitigni provenienti da terreni
diversi. Sappiamo che accostare pesce, finocchio, melanzane e olio d’oliva
costituirà un’ottima pietanza. Sappiamo anche che se si sostituisce il pesce
con del manzo del Limousin a manifestarsi sarà un altro piatto, un’altra
visione. Nondimeno, il terreno o il vitigno unico costituiscono l’affermazione
di una identità, di una lunga tradizione e di una capacità ancestrale che è
importante veder continuare nel tempo. Se la natura del mondo fosse di essere
vuoto o unico, non cercherebbe di rivestire le innumerevoli forme che popolano
il nostro Universo. Noi abbiamo bisogno di una identità, di fare riferimento al
passato e di essere i successori di lignaggi che vengono da lontano. Vivere a
partire dalla radice, dalla tradizione, evita di agire a caso e di credersi dei
creatori onnipotenti. Il denaro e il potere non hanno creato l’uomo, è l’uomo
che li ha creati. Tuttavia l’uomo è divenuto loro schiavo. In questo stato di
schiavitù, il senso della vita gli sfugge…
Certamente,
è l’uomo che pianta la vite, ma se quest’uomo non coglie l’occasione e la
possibilità che gli sono offerte per trovare un senso alla sua comparsa sulla
terra, allora si rischia che sia la vite a piantare lui!
Quando
l’acino scricchiolò sotto i miei denti,
Il
giorno si levò,
abbagliante
di luce e di profumi.
Questo
libro non è l’opera di un religioso che vorrebbe introdurre delle nozioni del
buddhismo zen nell’universo degli amatori del vino. È un libro sul vino, o
piuttosto sulla relazione tra l’uomo e il vino. Poiché il vino e l’uomo sono
entrambi privi di limiti, se ne potrebbe parlare all’infinito.
Più
metterò a fuoco il soggetto, più il vocabolario che userò tenderà ad
avvicinarsi al mondo dello spirito, il che potrà forse dare l’impressione di una
connotazione religiosa. Ma poiché il linguaggio è esso stesso l’espressione
dell’unità fondamentale, come se ne può sfuggire?
La traduzione dal
francese è opera di chi scrive, che è pertanto responsabile degli errori (e
degli orrori…) che vi si possono riscontrare.
Si veda anche: