mercoledì 13 settembre 2017

Origine degli Śākya

Il testo che segue si trova alle pagine 375/377, quale appendice della già citata edizione del Lalitavistara tradotta dal sanscrito da P.E. De Foucaux, pubblicata nel 1884 dall’editore Leroux e ristampata nel 1988 da Les Deux Océans di Parigi.
L’argomento è l’origine della stirpe Śākya, dalla quale nacque il Buddha della nostra epoca, Siddhārtha Gautama Śākyamuni.  
Le note e la traduzione dal francese sono del curatore del blog.


Scrive De Foucaux:

Ecco ciò che Csoma de Körös [1] ha estrapolato, a proposito dell’origine degli Śākya, dal XXVI volume della sezione mdo del Kanjur [2] tibetano. L’originale sanscrito Abhiniskramana Sutra non è stato fino ad oggi [3] ritrovato:

“Gli Śākya, che abitavano la città di Kapilavastu, si rivolsero al Buddha per ricevere da lui informazioni in merito all’origine della loro stirpe. Egli diede incarico al suo discepolo, il Venerabile Maudgalyāyana [4], affinché narrasse loro la storia. Ed egli lo fece in questo modo:
Dopo che la terra fu ripopolata dagli uomini ed essi ebbero a poco a poco perduto le facoltà superiori di cui erano dapprima dotati, sorsero tra loro frequenti dispute. Essi scelsero quindi al loro interno un capo, chiamato Mahāsammata (Onorato dalle moltitudini). Uno dei suoi discendenti fu Karṇa, che risiedette a Potala [5]. Egli aveva due figli, Gautama e Bharadhvadja. Il primo divenne monaco; ma essendo stato ingiustamente accusato di aver ucciso una prostituta, fu impalato a Potala e suo fratello divenne il successore di Karṇa. Poiché Bharadhvadja era morto senza aver avuto figli, i due figli di Gautama, che erano nati in maniera sovrannaturale, ereditarono il trono. È proprio a causa delle circostanze della loro nascita che essi e i loro discendenti sono chiamati con diversi nomi, quali Aṇgirasa, Sūryavaṇśa, Gautama e Ikshvaku. Uno dei fratelli morì senza eredi; l’altro regnò quindi con il nome di Ikshvaku. Egli ebbe come successore il proprio figlio, i cui discendenti, in numero di cento, occuparono il trono di Potala. L’ultimo fu Ikshvaku Viruṭhaka. Egli aveva quattro figli. Dopo la morte della sua prima moglie si risposò con la figlia di un re, la cui mano ottenne a condizione di trasmettere il trono al figlio che avrebbe avuto da lei. Spinto dai consiglieri di corte, esiliò i suoi primi quattro figli per assicurare la successione al loro giovane fratello minore. I quattro principi portarono insieme con loro le proprie sorelle e, accompagnati da una grande moltitudine, lasciarono Potala, si diressero verso l’Himalaya e giunsero sulle rive del fiume Bhagirathī [6], dove si stabilirono, nelle vicinanze del Ṛṣi Kapila, che viveva in capanne costruite con i rami degli alberi. Essi si nutrivano cacciando e talvolta visitavano il romitaggio del Ṛṣi Kapila. Questi, vedendo che avevano un brutto aspetto, domandò loro perché fossero così pallidi. Essi gli raccontarono allora quanto stessero soffrendo a causa delle ristrettezze forzate nelle quali vivevano. Il Ṛṣi consigliò loro di sposare quelle tra le loro sorelle che non erano nate dalla loro stessa madre.
Grande Ṛṣi, dissero, questo ci sarà consentito?
Sì, Signori, rispose il Ṛṣi, dei principi esiliati possono agire in questo modo.
Così, seguendo l’indicazione del Ṛṣi, essi vissero insieme con le sorelle che non erano della loro stessa madre ed ebbero da esse molti figli. Il rumore che i bambini facevano disturbava il Ṛṣi durante le sue meditazioni, ed egli sentì il bisogno di andare a vivere altrove. Tuttavia lo pregarono di rimanere lì, e di indicare loro un'altra zona dove vivere. Il Ṛṣi mostrò loro un luogo in cui avrebbero dovuto costruire una città; e poiché il terreno era stato loro donato da Kapila chiamarono la città Kapilavastu (il terreno di Kapila, o il terreno del Giallo). Quando il loro numero aumentò considerevolmente, gli dei indicarono loro un altro luogo, nel quale costruirono una città chiamata Lhasbstan (mostrata da un dio).
Ricordando il motivo del loro esilio, emanarono una legge in base alla quale non avrebbero potuto sposare una seconda moglie dello stesso clan e avrebbero dovuto invece accontentarsi di una sola moglie.
A Potala il re Ikshvaku Viruṭhaka, essendosi ricordato un giorno di avere quattro figli, chiese ai suoi consiglieri quale fosse stata la loro sorte. Essi gli risposero che commettendo un errore egli stesso li aveva espulsi dal paese, che si erano stabiliti nei pressi dell’Himalaya, che avevano sposato le loro sorelle e che si erano considerevolmente moltiplicati. Il re, molto sorpreso da quel racconto, gridò più volte: Śākya! Śākya! (Com’è possibile! Com’è possibile!)
Dopo la morte di Ikshvaku Viruṭhaka gli succedette il figlio più giovane. Essendo questi morto senza figli, i principi esiliati ricevettero quindi l’eredità. I primi tre non ebbero discendenti. I discendenti del quarto, in numero di cinquantacinquemila, furono i regnanti di Kapilavastu.
È da loro che discendevano gli Śākya dell’epoca del Buddha Śākyamuni.”

Kapilavastu, oggi. La porta est


NdT

[1] Sándor Csoma de Körös (1784–1842) è stato un filologo e orientalista ungherese. Fu autore del primo dizionario tibetano-inglese.
[2] La raccolta delle parole del Buddha tradotte. Riunisce tutti i testi attribuiti al Buddha. Insieme con il Tanjur (La raccolta degli insegnamenti tradotti, che riunisce i commentari) forma il Canone tibetano.
[3] Ovvero nel 1884.
[4] In lingua pali Mogallāna. Uno dei principali discepoli del Buddha.
[5] Attualmente è nota come Thatta, una città del Pakistan con oltre 200mila abitanti. Il suo antico nome Potala non va confuso con il Potala, il palazzo del Dalai Lama di Lhasa, in Tibet.
[6] È il tratto iniziale del Gange.