giovedì 18 dicembre 2014

Rinascita?

In questo testo del 1987 il Ven. Bhikku Bodhi (Jeffrey Block, monaco Theravada di origine statunitense) svolge una interessante riflessione sul tema dell'importanza della dottrina della rinascita in relazione alla pratica del Dharma, in particolare in Occidente,
Una riflessione che definirei "sul filo del rasoio", tra la tentazione di trasformare il Dharma in una pratica di benessere (il "materialismo spirituale") e il rischio di voler aderire ad ogni costo ad una "ortodossia buddhista" che nulla ha a che vedere con l'autentico insegnamento del Buddha.




Dhamma Senza Rinascita?
di
Bhikku Bodhi

Copyright © 1987 Buddhist Publication Society. Solo per distribuzione gratuita

"Seguendo l'importanza che si avverte oggi di un insegnamento religioso che abbia rilevanza personale e che sia direttamente verificabile, in certi circoli di Dhamma la dottrina della rinascita di antica pratica è divenuta oggetto di un consistente riesame. Sebbene solo pochi pensatori buddhisti contemporanei siano tanto audaci da proporre che questa dottrina sia scartata in quanto "non scientifica", un'altra opinione sta acquistando consensi nel ritenere che il fatto che la rinascita sia o no un fatto reale, questa dottrina non ha un valore essenziale per quanto riguarda la pratica del Dhamma e quindi non può arrogarsi una collocazione certa tra gli insegnamenti buddhisti. Il Dhamma, si dice, tratta solo del "qui e adesso", dell'aiutarci a risolvere le nostre difficoltà con una crescente auto-consapevolezza ed onestà interiore. Tutto il resto del Buddhismo possiamo tralasciare quali orpelli di una cultura antica completamente inappropriata al Dhamma della nostra era tecnologica.
Bhikku Bodhi
Se per un momento mettiamo da parte le nostre inclinazioni personali e invece facciamo riferimento direttamente ai testi originali, incappiamo nell'indiscutibile fatto che lo stesso Buddha insegnava la rinascita e la insegnava quale un principio basilare della sua dottrina. Visti nella loro totalità i discorsi del Buddha ci mostrano che, ben al di là dall'essere una semplice concessione alle credenze prevalenti al suo tempo o un'invenzione della cultura asiatica, la dottrina della rinascita ha un impatto formidabile sull'intero percorso della pratica del Dhamma, influenzando sia la meta con la quale si intraprende la pratica sia la motivazione con la quale la si continua verso il suo naturale completamento.
Lo scopo del cammino Buddhista è la liberazione dalla sofferenza, e il Buddha esprime con grande chiarezza il concetto che la sofferenza dalla quale necessitiamo una liberazione è la sofferenza del legame al samsara, il ciclo delle ripetute nascite e morti. In verità, il Dhamma non si presenta in un modo tale da essere direttamente visibile e personalmente verificabile. Tramite ispezione delle nostre stesse esperienze possiamo constatare che il dolore, la tensione, la paura e l'afflizione sorgono sempre dalla nostra avidità, avversione e ignoranza, e quindi possono essere eliminati con la rimozione di quelle contaminazioni. L'importanza di questo lato direttamente visibile della pratica del Dhamma non può essere sottovalutata, giacché ci fornisce la ragione di avere fiducia nell'efficacia liberatrice del sentiero Buddhista. Tuttavia, sminuire la dottrina della rinascita e spiegare l'intera portata del Dhamma come il superamento della sofferenza mentale attraverso lo sviluppo dell'autocoscienza priva il Dhamma di quelle più vaste prospettive dalle quali ha tratto la sua ampia portata e profondità. Così facendo si corre il serio rischio di ridurlo alla fine a poco più di un sofisticato mezzo antico di psicoterapia umanistica.
Lo stesso Buddha ha chiaramente indicato che il problema alla radice dell'esistenza umana non è semplicemente il fatto che siamo vulnerabili al dolore, alla pena e alla paura, ma che ci leghiamo con la nostra tendenza egoistica ad un processo autogenerante di nascita, vecchiaia e morte nel quale sperimentiamo le specifiche forme di afflizione mentale. Egli ha anche mostrato come il rischio principale riguardo le contaminazioni consiste nel loro ruolo causale nel mantenere in vita il ciclo delle rinascite. Fintanto che permangono negli strati più profondi della mente, ci trasportano nei cicli del divenire nei quali spargiamo un fiume di lacrime "più ampio delle acque dell'oceano". Quando queste considerazioni sono prese in attenta considerazione si vede come la pratica del Dhamma non mira a procurarci una comoda riconciliazione con la nostra presente personalità e partecipazione al mondo ma a farci intraprendere una lunga e complessa trasformazione interiore che sfocerà nella nostra completa liberazione dal ciclo dell'esistenza mondana.
Sinceramente, per la maggior parte di noi la motivazione primaria per entrare nel cammino del Dhamma è la logorante insoddisfazione con la routine abitudinaria delle nostre vite non illuminate piuttosto che una precisa percezione dei pericoli insiti nel ciclo delle rinascite. Tuttavia, se seguiremo il Dhamma fino alla fine e sfruttiamo a pieno la sua potenzialità nel garantirci la pace e una più elevata saggezza, è necessario per dare motivazione alla nostra pratica maturare al di là di ciò che ci ha indotti all'inizio ad entrare nel cammino. La nostra motivazione di fondo deve crescere verso quelle verità essenziali che ci sono state svelate dal Buddha e, comprendendo quelle verità, dobbiamo servircene per alimentarne la capacità di guidarci verso il conseguimento della meta.
La nostra motivazione acquista la maturità richiesta attraverso la coltivazione di retta visione, il primo fattore del Nobile Ottuplice Sentiero, che cosi come è stato esposto dal Buddha include la comprensione dei principi di kamma e rinascita quali fondamenti della struttura della nostra esistenza. Sebbene la contemplazione del momento sia la chiave per lo sviluppo della meditazione di visione profonda, sarebbe un estremismo erroneo ritenere che la pratica del Dhamma consista interamente nel mantenere la consapevolezza del presente. Il sentiero Buddhista sottolinea il ruolo della saggezza quale strumento per la liberazione, e la saggezza deve includere non solo la penetrazione intuitiva del momento nella sua profondità verticale, ma anche la comprensione degli orizzonti passati e futuri entro i quali la nostra esistenza presente si sviluppa. Prendere pienamente coscienza del principio della rinascita ci darà quella prospettiva panoramica dalla quale possiamo avere una visione delle nostre vite nei loro più ampi contesti e nella totalità delle reti di relazioni. Questo ci spronerà nel nostro impegno lungo il cammino e ci rivelerà il significato profondo della meta verso la quale è orientata la nostra pratica, la fine del ciclo delle rinascite e la finale liberazione della mente dalla sofferenza."



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