Dal
sito www.AsiaNews.it,
un articolo che proponiamo quale memento
per chiunque, ma in particolare per quei praticanti del Dharma che ritengono se
stessi e la propria fede forniti di una innata immunità nei confronti del virus del fondamentalismo.
Sri Lanka: a due anni dalle violenze buddiste i
musulmani soffrono, ma perdonano
di Melani Manel Perera
Dharga Town – A
due anni di distanza dalla brutale aggressione dei radicali buddisti contro la
minoranza musulmana nel sud-ovest dello Sri Lanka [http://www.asianews.it/notizie-it/Sri-Lanka,-non-si-ferma-la-violenza-dei-buddisti-radicali-contro-i-musulmani-31387.html], i sopravvissuti di quelle violenze ancora vivono
nel dolore del ricordo di quanto avvenuto. Alcuni di loro dicono ad AsiaNews:
“Non avevamo mai assistito a tanta violenza. Non solo ci hanno attaccati alla
luce del giorno, ma lo hanno fatto di fronte alla polizia, che ha visto
perpetrare minacce, ferimenti, uccisioni senza motivo. Il dolore non può essere
cancellato e la frattura mai ricomposta”.
Due anni fa i
buddisti hanno aggredito, saccheggiato e raso al suolo Dharga Nagar, Beruwela e
Aluthgama, tre città a maggioranza islamica. Le violenze sono iniziate il 15
giugno e continuate per due giorni senza sosta. Circa 10mila persone sono state
costrette a fuggire dalle proprie case, 8mila musulmani e 2mila singalesi. Sono
stati i musulmani a pagare il prezzo più alto: il bilancio finale è stato di 4
morti, 80 feriti, 90 case distrutte, negozi, proprietà e moschee danneggiate
per milioni di rupie srilankesi.
Le aggressioni
sono state capeggiate dal gruppo radicale buddista Bodu Bala Sena (Bbs), che
avrebbe agito per ritorsione contro il presunto attacco ai danni del ven.
Ayagama Samitha Thero. Appreso dell’incidente, Galagoda Aththe Gnanasara Thero,
monaco buddista leader del Bbs, ha radunato i seguaci e incitato alla violenza
radicale tra singalesi buddisti e musulmani. Al termine del raduno, i militanti
del Bbs hanno marciato nelle zone a maggioranza islamica delle città.
Ogni proprietà dei
musulmani è stata presa di mira, mentre venivano risparmiati i negozi
singalesi. M. Fazaal e Imran Mohomad, due musulmani testimoni delle violenze,
dicono ad AsiaNews: “I buddisti cantavano slogan anti-islamici. Poi si sono
avvicinati alla moschea dove stavamo pregando, ci hanno rivolto parole oscene e
fatto il gesto della pistola contro uno di noi”.
M. Hanifa Mohomad
Zarook Hajiyar, un ricco commerciante musulmano di 70 anni, ha assistito al
saccheggio e al rogo della sua casa, il tutto di fronte al personale della
Special Task Force dislocata dal governo per sedare le violenze. L’uomo
racconta: “La polizia era lì, ma non è intervenuta per impedire quello che
stava accadendo. Quando ho implorato ‘Fratello, non permettere tutto questo’,
essi hanno rivolto le armi verso di me e mi hanno intimato di non avvicinarmi,
altrimenti mi avrebbero ucciso”. Il commerciante alla fine è scappato e ha
messo in salvo la moglie, un figlio e la figlia con il proprio bambino, che i
musulmani avevano tentato di prendere con la forza.
Le perdite
dell’uomo sono state ingenti, perché la folla ha incendiato anche il suo
autosalone. Nonostante tutto, Zarook Hajiyar dice: “Dio mi ha dato tutto. Mi ha
dato il coraggio di affrontare tutto questo. Io confido in lui. Non ho
risentimento contro nessun buddista o la folla di radicali Bbs. Viviamo in pace
con i buddisti nel nostro villaggio, anche in mezzo a tale disastro”.
M. N. Imbran, un
uomo di 33 anni, ha perso il suo piccolo negozio di alimentari. Oggi però è
“sereno e soddisfatto perché l’esercito ha ricostruito la mia casa”.
Mohomad Asjath, un
ragazzo di 20 anni, vive invece nella disperazione. Quei giorni hanno cambiato
per sempre la sua vita: uscito di notte per controllare la situazione, un
ufficiale della Task Force gli ha sparato ad una gamba. Dopo diverse ore è
stato trasportato all’ospedale di Dharga Town, ma i medici si sono rifiutati di
curarlo. In seguito si è recato all’ospedale di Nagoda, ma il personale
sanitario lo ha sbeffeggiato e ritardato i soccorsi. Alla fine la famiglia ha noleggiato
un’ambulanza privata che lo ha trasportato al National Hospital di Colombo.
“Qui i dottori – racconta – hanno provato a salvare la mia gamba. Dopo cinque
giorni, un medico si è avvicinato e mi ha detto: ‘Mi dispiace, dobbiamo
amputare la gamba’. Ricordo ancora la sua voce tremante che mi diceva che se il
proiettile fosse stato rimosso a Nagoda, avrei salvato la gamba”. Il ragazzo
lavorava come aiuto meccanico in tre officine e guadagnava 25mila rupie al mese
(215 euro). Dopo l’incidente ha perso il lavoro e con esso un’importante fonte
di reddito per tutta la famiglia.
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