martedì 15 gennaio 2013

Lo Zen al femminile -I

Viene qui pubblicato il primo di due articoli della Rev. Sallie Jiko Tisdale sul tema del ruolo e della presenza della donna nella tradizione buddhista ed in particolare della tradizione Zen.


La diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng. Ad essi il mio ringraziamento. _/|\_  
Ringrazio Daishin Alfredo Malagodi e il Centro di Meditazione Hui Neng per la traduzione e pubblicazione di questi articoli. _/|\_ (http://centrohuinengroma.altervista.org/index.html)
Ringrazio Doju D. Freire, del Dojo Zen Sanrin di Fossano, che ce li ha fatti conoscere pubblicandoli in rete. _/|\_ (http://www.sanrin.it



Le Madri: Scoprire il lignaggio delle donne

di Sallie Jiko Tisdale

Il mio Sangha alterna giornalmente la recitazione di un lignaggio di antenate donne a quello tradizionale. Quando abbiamo iniziato a farlo, circa un anno fa, è stato come raccogliere i frutti da un albero molto antico, i cui semi furono piantati quando Maha Pajapati divenne la prima monaca buddhista a capo di una prospera comunità di donne. Quando iniziai a praticare, 18 anni fa, non sapevo quasi niente di Buddhismo e solo ora comprendo quanto sia stata importante la situazione che trovai, poiché fin dall’inizio della mia pratica Soto Zen, ho conosciuto monaci sia uomini che donne, studenti sia preti che laici, ed ho visto uomini e donne avere gli stessi ruoli e alternarsi nel dirigere gli altri. Anche nel Sangha che oggi dirigo, uomini e donne si impegnano in qualsiasi ruolo senza fare distinzioni. All’inizio della mia pratica, ricevetti i Precetti da Jiyu Kennett, che viene ricordata per essere stata la fondatrice dell’abbazia Shasta e la prima donna ad insegnare nel tempio nazionale giapponese di formazione Soto Zen, il Tempio Soji-ji. La sua insegnante, Keido Chisan, l’aiutò non solo a creare un proprio metodo di insegnamento, ma soprattutto a formulare un sistema di insegnamento Ni-sodo specifico per le donne giapponesi. Ho dovuto praticare per anni prima di rendermi conto che, per la maggior parte dei buddhisti, l’uguaglianza non è la norma. Per fare alcuni esempi, nello Shingon e nello Zen Rinzai le donne non occupano i ruoli più alti; il Buddhismo Tibetano esprime rispetto per le qualità femminili, ma di fatto esclude le sue monache dalle posizioni di maggiore autorità; il Buddhismo Theravada sottopone radicalmente tutte le donne agli uomini, senza alcun riguardo neppure per l’anzianità. E ancora, mentre uomini e donne insegnano insieme in alcuni piccoli templi Soto giapponesi, la scuola Soto-shu non ammette la presenza delle donne nei principali templi di formazione. Anche se Jiyu Kennett ha avuto una possibilità rivoluzionaria al Tempio Soji-ji, le porte ancora non sono state aperte ad altre donne. Quando ho cominciato a vedere queste ingiustizie, non ho reagito con rabbia, ero piuttosto incredula; avevo sentito delle storie, ma ho cercato di ignorarle: tali iniquità sono così chiaramente contrarie ai principi basilari del Buddhismo che mi è stato difficile, nel mio idealismo iniziale, capire come avessero potuto diventare la politica predominante. Il Buddhismo fu fondato al di fuori delle restrizioni culturali del suo tempo, rompendo il sistema di caste e di barriere culturali a favore dell’uguaglianza. Ma le condizioni culturali non furono mai lontane dalla pratica giornaliera, e nel giro di poche centinaia di anni dalla nascita del Buddhismo, il sessismo (e qua e là, la pura misoginia) diventò parte integrante della sua struttura. In tutta la storia del Buddhismo, le istituzioni buddhiste hanno favorito gli uomini e hanno dato restrizioni alle donne. E’ facile (un po’ troppo facile) ignorare questi problemi in quanto sono derivati inevitabilmente dagli usi culturali. Tutti gli atti umani sono carichi di umane illusioni, e il sessismo è un problema istituzionale del buddhismo, non un aspetto del Dharma in sé. Possiamo invece usare queste conoscenze come un propulsivo. Se noi agiamo solo dal punto di vista dell’impermanenza e dell’illusione, le questioni legate alla differenza tra uomini e donne possono sembrare irrilevanti. Superficialmente questo potrebbe chiamarsi uguaglianza, ma sotto la superficie molte sofferenze rimangono e, in un ambiente come questo, proteste contro i maltrattamenti potrebbero essere considerate attaccamenti. Nel Dharma non si ha a cuore solo il concetto di impermanenza, ma ve ne sono anche altri: la forma è vuoto, ma il vuoto è anche forma e noi non possiamo soffermarci su nessuna delle due facce dell’equazione: la disuguaglianza è semplicemente un problema reale della maggioranza delle donne buddhiste oggi. La cultura occidentale ha sempre coltivato una certa ignoranza a proposito dello stile di vita della maggior parte delle altre persone nel resto del mondo. Gli americani hanno il privilegio di praticare in una società abbastanza aperta, tanto da potersi interrogare su condizioni culturali arcaiche. Penso che uno dei regali che l’occidente può offrire al buddhismo è la nostra attitudine a lavorare per la libertà da costrizioni culturali. Ciò non significa che noi ne siamo già liberi. Un importante punto della pratica buddhista riguarda la ricerca delle nostre profonde convinzioni, le false nozioni dalle quali partiamo per condurre la nostra vita. Siamo un prodotto del passato; il passato è parte del presente, ed è semplicemente stupido non provare a guardare sia il passato che il presente in maniera chiara. Una ferita in una qualunque parte del corpo è una ferita dell’intero corpo. Credo che fino a quando repressioni e restrizioni esisteranno da qualche parte nel buddhismo o nel mondo saremo tutti in qualche modo repressi e con delle restrizioni. Non sono sicura del perché la questione tra uomo e donna sia un così difficile problema per gli esseri umani. Siamo gli uni per gli altri madri e padri, sorelle e fratelli, figli e figlie e amanti. Forse è inevitabile essere i rappresentanti di questi ruoli, di tutte le pene, i piaceri, l’amore e la perdita delle intime relazioni umane. Qualunque siano le ragioni, noi occupiamo i generi umani con una potenza straordinaria. Uomo e donna sono solo condizioni – un tipo di karma. Sono semplicemente forme del nostro corpo, che danno forma alla nostra vita, a rotazione. La cosa veramente ironica nel sessismo Buddhista è che dà al karma più, non meno, controllo delle nostre vite. Una politica di trattamento diversificato tra uomini e donne significa agire come se il genere maschile e femminile fossero permanenti ed esistenti di per sé, esattamente l’opposto di come ci è stato insegnato a vedere l’intero mondo dei fenomeni. Sull’altare del nostro fondatore, noi onoriamo Nyogen Senzaki, uno dei primi maestri Zen che venne negli Stati Uniti. Una volta durante gli anni ’50, scrisse un commovente testo a sostegno dell’uguaglianza delle donne nel Buddhismo. “Buddha ebbe discepoli uomini e discepoli donne, e onorava entrambi” scrisse Nyogen. “Niente si può trovare tra quello che disse che può farci intuire che fece differenziazioni tra uomo e donna”. C’è un documento, tuttavia “L’ammissione delle donne all’Ordine”, nel quale si racconta che Shakyamuni disse che non voleva ordinare le donne, cambiando idea solo dopo l’insistenza di Ananda; il testo inoltre diceva che avesse predetto che la “Buona Dottrina” del buddhismo sarebbe sopravvissuta solo 500 anni se ciò fosse accaduto. Io semplicemente non credo che queste siano parole del Buddha. Dare un tale peso a qualità effimere e mutevoli, segregare metà dell’umanità al di fuori dell’ordine monastico, rendere la Verità così soggetta agli atti umani, contraddicono il resto del suo insegnamento, un insegnamento che è sopravvissuto, dopo tutto, molto di più di 500 anni. Le nostre scritture sono ancorate a opinioni discutibili e orribili storie sulle donne pervadono la letteratura del Buddhismo. Le illusioni delle istituzioni hanno continuamente tentato di insinuarsi nel Dharma stesso. Sia nelle antiche che nelle nuove incredibili storie, le donne sono trattate in modi diversi, come se fossero meno sincere degli uomini, più deboli o meno compassionevoli, con una abilità limitata ai fini della conoscenza della Verità. Si supponeva che la rinascita in un corpo maschile fosse necessaria per raggiungere i più alti regni degli dei e dei re. Nel Giappone medioevale, per le donne si celebrava un funerale speciale per salvarle “dall’inferno delle mestruazioni”. In un libro uscito di recente sul “Sutra del deposito di terra”  lessi: “ i loro cuori sono grandi quanto un granello di sesamo”. Cosa ancora più importante, le donne sono viste come ostacolo e impedimento alla pratica degli uomini. Le donne disturbano gli uomini stimolando i loro desideri sessuali, e questa questione è usata dagli uomini per giustificare il controllo e addirittura le punizioni inflitte alle donne. Il Vinaya, che sono le regole di condotta monastica tradizionale, è molto più lungo per le donne che per gli uomini. La proliferazione di limitazioni al comportamento delle donne è stato in parte conseguente a comportamenti degli uomini per crimini di stupro e aggressioni contro le donne. “Se non ci fossero donne, ogni uomo sarebbe un Bodhisattva” dice uno, “la cosa migliore dell’inferno Buddhista è che non ci sono donne” dice un altro. Scrive lo storico John Stevens: “Una spaventosa porzione della letteratura Buddhista in tutte le tradizioni è volta a diffamare le donne come incarnazione della depravazione”. Ci sono volte nelle quali riesco a ridere di questo. I monaci che si aspettano di far fronte a inverni di ghiaccio, afose estati, sciami di insetti, lavoro duro e tante altre difficoltà hanno bisogno che gli venga risparmiata la presenza delle donne. Le donne rappresentano l’insormontabile ostacolo per la loro pratica, sono ciò che supera la possibile sopportazione dell’uomo. E’ una verità difficile, la nostra interpretazione del Dharma a volte è usata per perpetuare la sofferenza. Come praticare con questo dato di fatto è una questione aperta. Per me, parte della risposta sta nel lignaggio. Siamo stati istruiti a onorare e investigare le vite degli antenati, per studiare e riverire la loro esperienza. Questo buon insegnamento non dovrebbe essere rovinato dalla rigidità. Il lignaggio è un specie di mito, e come tutti i miti, il lignaggio e come pratichiamo con esso deve crescere e cambiare.I miti raccontano ciò che è nascosto, danno parole per quello che è difficile da descrivere, immagini per ciò che è invisibile. I miti si evolvono attraverso il fatto che li raccontiamo e così rimangono vitali e vivi. Il lignaggio Zen è chiaramente documentato solo dopo il Sesto Patriarca Cinese, e anche dopo ci sono delle falle. Neanche le migliori conoscenze possono confermare molti dettagli. Per la maggior parte, i nostri antenati sono figure archetipiche, le loro storie sono narrate in un linguaggio grandioso e poetico. Ognuno di loro parte per un viaggio alla ricerca di un eroe, supera ostacoli, raggiunge un grande obiettivo. Che alcune di queste storie siano anche vere può solo darci un po’ di gioia in più. Naturalmente, molti dei nostri antenati sono stati chiaramente persone reali la cui vita fu molto più vicina alla nostra di quanto pensiamo, e il risveglio dei quali può guidare il nostro. Ma anche nella più documentata linea mancano molti uomini verso i quali siamo debitori. Le linee che ci sono state lasciate in eredità sono in parte i nomi di quelli che sono sopravvissuti a guerre politiche e culturali. Qui stiamo parlando di migliaia di anni, attraverso migliaia di chilometri e di molti paesi che sono cambiati rapidamente. In qualunque serie di nomi fatta mancano molti maestri dimenticati, alcuni dei quali scelsero deliberatamente di rimanere nascosti, spendendo la loro vita in un’anonima e silenziosa pratica. Abbiamo perso inoltre i nomi degli insegnanti risvegliati che fanno parte di altre linee e serie. Rendere aperto il significato di lignaggio ci invita a includere molte di queste persone senza nome che hanno dedicato la loro vita per la nostra pratica di oggi. Ad una prima occhiata, ciò che sembra compromettere la validità del lignaggio, sembra essere la trasmissione stessa della verità del Dharma. Ho cominciato a comprendere che la trasmissione è priva di struttura, ed è piuttosto una trasmissione del vivere. La pratica Buddhista dà credito alla comprensione e all’Illuminazione del proprio Maestro e, attraverso esso, a colui che è stato il suo Maestro, e ancora indietro fino ad arrivare a Shakyamuni. Questa era ed è la pratica di Shakyamuni, che irradia una libera comprensione attraverso il tempo e lo spazio. Il lignaggio rappresenta l’eternità. Anche se possiamo conoscere nomi e date, a prescindere dall’errore umano, a causa delle guerre e delle epurazioni, abbiamo comunque una linea di trasmissione della verità interrotta. Se lavorassimo davvero verso la chiarezza, ci sarebbe un momento in cui la perfezione del Dharma e gli errori umani, andrebbero di pari passo alimentandosi a vicenda. La Trasmissione non è un dono o uno scambio, ma un riconoscimento, una comprensione esatta di come sono le cose: ciascuno di noi infatti è già un Mahakasyapa che sorride alla vista del fiore che il Buddha gira fra le mani. Il Risveglio attraversa tutte le barriere di forma, tempo, spazio e differenze: se non potesse attraversare queste barriere non sarebbe un Risveglio. Le storie dei nostri antenati sono storie di uomini che hanno infranto le barriere delle differenze, arrivando al “non dualismo”. Dopo questa rottura il “dualismo” sarà sempre due, ma non sarà più lo stesso. Quando meditiamo, mettiamo noi stessi al posto del Buddha. Sedendo in questo modo, con questa attitudine, possiamo appartenere a qualsiasi lignaggio di gratitudine, smarrimento, umanità o amore. Quindi, tanto più praticheremo, tanto più nessuno dei nostri antenati sarà morto: i nostri padri saranno vivi, le nostre madri saranno vive. L’ampiezza e la profondità dell’insegnamento è vedere come questa Via possa ampliare la nostra conoscenza. Così ecco un lignaggio di donne. Ci stiamo muovendo con cautela e lentamente impariamo come procedere, osservando come la lista dei nomi gradualmente si evolve. Stiamo cercando una nuova tradizione, una tradizione che provenga dalla natura e che pertanto non possa essere scalfita. Una donna del nostro Sangha, sorridendo un poco, suggerì di onorare i soli nomi delle donne per un certo periodo di tempo, magari per 2500 anni. Penso che sia importante chiedere agli uomini come immaginano che si sentirebbero al posto di qualcun altro. Cosi se venisse utilizzato solamente un lignaggio femminile per un certo periodo di tempo, gli uomini avrebbero l’opportunità di vivere un’esperienza di esclusione e segregazione. Ma questa sarebbe una colpa, usare il lignaggio femminile in questo modo significherebbe perseverare gli errori del passato. Vi è una differenza fra il pensare una cosa ed il giustificarla. Prendendo in prestito una frase dal “Myotai Treace” del Mountain and Rivers Order, abbiamo bisogno di “vedere il problema, ma di lasciar andare le obiezioni”. Così lavoriamo per lasciar cadere le discussioni riguardo il genere uomo e donna, indistintamente dovrebbero seguire questo comportamento, anche se sappiamo che in realtà, in giro per il mondo, viene ancora fatto del male in nome del Dharma. In questo modo, faremmo più che risolvere un problema: impareremmo a contenerlo sul nascere prima che diventi più grande. Se ci confrontiamo con il passato potremmo sentirci impotenti, vagamente colpevoli o irrimediabilmente arrabbiate per tutte le ingiurie a lungo subite. Ma dobbiamo cambiare il pensiero del passato per cominciare a capire cosa succede e perché. Il Buddhismo è ottimista e il Dharma è gioioso sulle possibilità della nostra liberazione. Possiamo trovare tendenze violente in noi stessi ed iniziare a liberarci dal karma, dalle nostre risposte condizionate, dalle colpe e dal dolore. Gli individui possono farlo; le comunità possono farlo; le religioni e le nazioni possono farlo. Noi possiamo il nostro modo di pensare e il nostro modo di soffrire, e se ciò avverrà cambieremo il futuro a partire da adesso.

Traduzione italiana a cura del Centro di Meditazione Hui Neng. Si ringraziano Chiara Zampetti, Alessandro Meringolo, Pamela Fazio, Tatiana Sangetsu Calipa e Tiziana Ryukan Crociani.

Autorizzazione all’uso e alla diffusione: la diffusione del presente testo è libera per volontà dell’autrice Rev. Jiko Tisdale, dell’ Abate del Dharma Rain Zen Center Rev. Kyogen Carlson e dei traduttori del Centro di meditazione Hui Neng.



































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