giovedì 24 settembre 2015

OCCIDENTE BUDDHISTA: storia (breve) di una rivista italiana

Nel marzo 1996 apparve nelle edicole italiane una nuova rivista, interamente dedicata alle tematiche buddhiste.
Il suo nome era OCCIDENTE BUDDHISTA, ed era pubblicata dalle Edizioni Italian Press Multimedia Srl di Milano. Il Direttore responsabile era Fabrizio Balsamo, e Giuseppe Wrzy il Coordinatore editoriale. Questo fino al marzo 1997, quando, a seguito della scomparsa di quest’ultimo, divenne Coordinatore Ezio Nava. La rivista continuò comunque a pubblicare gli scritti di Wrzy come editoriali.

Il n. 1 della rivista
In totale, uscirono in edicola 21 fascicoli con cadenza mensile, fino al dicembre 1997 (dal n° 1 al n° 22, in quanto il fascicolo di luglio ’97 era doppio e portava il n° 17/18).
Tutti i numeri erano riccamente illustrati con bellissime fotografie e riproduzioni di opere dell'iconografia buddhista: pitture murali, statue, tanka, miniature, architetture...
Ogni fascicolo costava 8000 Lire, arrivando poi a 10000. All'epoca, un quotidiano costava circa 1500 lire.
All’interno del n° 1 e fino al n° 9 (tranne nel n° 6), vennero allegati come inserti separabili 8 fascicoli di formato ridotto, ciascuno di 16 pagine, contenenti uno o due articoli dedicati a temi del buddhismo Mahayana e Vajrayana.
L'allegato al n. 1
Già da quanto detto finora, si vede bene come si trattasse di una vera e propria “avventura” editoriale, almeno per l’Italia di quegli anni, nella quale la tradizione buddhista era sì presente ed anche abbastanza radicata, ma in maniera marginale, ininfluente, un poco folkloristica (come oggi, d’altra parte). Il tutto, poi, all’interno di un panorama sociale e politico in cui tutto ciò che era “cultura” in genere – e spiritualità in particolare – era considerato secondario, noioso, irrilevante. A meno che non fosse preconfezionato e precotto dai grandi mezzi di “distrazione” di massa ormai giunti al potere in prima persona (il primo governo Mediaset era entrato in carica nel maggio 1994). E si era solo all’inizio di una storia che ancora non accenna a finire…

Si trattava quindi, oggettivamente, di una pubblicazione “di nicchia”, destinata ad un ristretto numero di lettori.
Infatti nel n° 22 comparve un avviso, in II di copertina, secondo il quale dal 1998 la rivista non sarebbe più stata venduta nelle edicole, e si invitavano quindi i lettori a sottoscrivere un abbonamento. Non risulta a chi scrive che le pubblicazioni siano poi continuate. 

Per comprendere bene lo spirito che animava i coraggiosi responsabili della rivista si può leggere l’editoriale del n° 1, intitolato “Una ricerca”.
Scriveva Giuseppe Wrzy:

È sorprendente scoprire quanto tempo si passi a cercare "l'altrove". Appare come una scoperta sconcertante, annichilente eppure ovvia e quasi banale.
"Mi sono chiesto come mai - scriveva Robert M. Pirsig, in una delle letture giovanili più entusiasmanti - abbiamo avuto per tanto tempo la verità sotto gli occhi senza vederla. Forse eravamo allenati a non vederla, a pensare che il cuore dell'azione e dei fatti fosse la città e che altrove non ci fosse che noioso retroterra."
Già, l'altrove relativo delle utopie giovanili e dei rapporti personali, giurati ricchi e poi scoperti troppo spesso piccole falsità. L'altrove, come se si trattasse di un luogo fisico, di un'entità palpabile, plasmabile, a volte anche edificabile; tutto in equilibrio sui desideri e sulle certezze. Poi si scopre, si vede, si tocca: ma si tratta dell'altrove assoluto, talmente vicino e talmente lontano che distinguerlo diventa un lungo, lento e piacevole impegno; quello che si riceve e a volte si trasmette da una bocca ad un orecchio. E allora compaiono le armonie dell'altrove, la serenità dell'altrove, la felicità dell'altrove e che può essere qui e adesso. Certo bisogna sapersi liberare e occorrono scelte coraggiose per distinguere e trovare; scelte ardite, desuete, interiori.
È nella ricerca di questo "altrove" che ha preso corpo questo progetto e trovo giusto non dissimulare la mia emozione nel vederlo a compimento. Il più grande desiderio è stato quello di trasmettere al lettore parte di queste sensazioni e introdurlo alla percezione della grandezza di questa Dottrina; cercando di non opprimerlo con le difficoltà che sono tipiche dell'accostarsi ad argomenti di questa portata.
E il piacere di questa ricerca è stato grande per la partecipazione d'intenti che ha messo in moto; per la risposta ricca e intensa di "luci" lontane e autorevoli, come di più vicine armonie che si sono espresse in queste pagine a vantaggio di quest'opera. E le immagini si sono inanellate sugli scritti; comparse da dietro gli occhi pieni di gioia di vivere dei fotografi professionisti e non, colpiti dall'armonia di un luogo, di un gesto, di uno sguardo. Una ricerca entusiasmante di iconografie istantanee o di classiche rappresentazioni religiose che qui, come fisicamente altrove, rappresentano sentimentalmente questo sentiero.
Un sentiero percorso da molti e diversi, di cui solo il tempo e il giudizio dei lettori potrà dare la misura della compiuta realizzazione, e il riconoscimento del desiderio che ci ha mossi. In ogni caso, se anche una sola persona trovasse la sua strada e un po' di serenità grazie a queste pagine, ne verrebbe il più grande premio per la nostra opera. Intendo ovviamente per la mia e per quella di tutti coloro che hanno contribuito a far sì che quest'iniziativa vedesse la luce, ai quali rivolgo il mio più grande e sentito ringraziamento.”

Scorrendo ancora oggi la rivista, gli articoli pubblicati, le firme che vi sono comparse, lo splendido apparato iconografico, è da dire che il programma esposto nell’editoriale è sempre stato coerentemente seguito.
Lo si può osservare leggendo l’elenco degli articoli apparsi, quasi 300, che qui di seguito abbiamo raggruppato in un foglio Excel, in ordine alfabetico per autore. Per consultarlo, cliccare su:



Inoltre, nella ultime pagine di ogni fascicolo, comparivano alcune rubriche, quali:
- il “Calendario dei Centri”, con informazioni relative alle attività dei vari Centri di Dharma italiani
- un utile “Glossario” dei termini sanscriti, pali, tibetani, cinesi, giapponesi ricorrenti nei testi degli articoli
- le “Cronache” delle diverse iniziative in corso nel mondo del buddhismo nazionale ed internazionale
- i “Libri del mese”, a cura di Gloria Magotti, con la presentazione dei volumi legati alle tradizioni buddhiste usciti sul mercato editoriale italiano.

Un’ultima notazione va riservata alla pubblicità, vero e proprio elemento inquinante di gran parte delle riviste che escono nelle edicole, anche se si è ben consapevoli di quanto le “informazioni commerciali” possano essere necessarie (ma quanto condizionanti?) per la sopravvivenza delle pubblicazioni stesse.
L'ultimo numero
Ad “Occidente Buddhista” va invece riconosciuto il merito di essere riuscita a “contenere” la pubblicità in maniera più che accettabile, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Una pubblicità “discreta”, non invasiva, spesso direttamente legata ai contenuti della rivista: case editrici, agenzie di viaggi… e mai per più di 3-4 pagine sulle 70-80 di cui era composta. Nulla, se si pensa a certe pubblicazioni tuttora esistenti, e proprio sui temi qualificanti dell’ambiente, della salute, del “biologico”, che paiono essere cataloghi di prodotti con alcuni articoli sperduti qua e là.

Per finire, tra i tanti articoli apparsi sulla rivista, ne proponiamo qui uno, che per gli argomenti trattati riassume in sè molte delle tematiche di "Occidente Buddhista": l'importanza della pratica meditativa, il rapporto del Buddhismo con le altre tradizioni (qui, il Cristianesimo) e con le scienze della mente...
Si tratta del testo della relazione tenuta da Arnaldo Graglia (Lama Paljin Tulku Rinpoce, del Centro Mandala di Milano) durante un convegno interreligioso del 1997, intitolato: "Meditazione e estasi, stati naturali di coscienza".

"Parlare di estasi in senso fideistico è molto difficile per un buddhista. Perché il buddhismo, pur non trascurando le ragioni del cuore, è una scienza della mente che porta l'uomo a vedere la realtà nel suo costante divenire relativo e quindi nella sua vacuità assoluta. Manca nel buddhismo la figura di un Dio creatore cui affidarsi, poiché lo stesso Buddha, considerando il concetto di Dio come impossibile da esplorare anche dalla più acuta delle menti umane, rinunciò a parlarne. Ecco perché i praticanti che seguono gli insegnamenti del Risvegliato non devono abbandonarsi ad una fede cieca, ma devono contrapporre a essa una fiducia in ciò che li ha concretamente convinti: ovvero prima di accettare come valido un qualsiasi insegnamento, l'allievo lo deve verificare in ogni momento attraverso l'esperienza personale. E ciò avviene per mezzo di un attento e obiettivo esame delle circostanze, che porta a valutare non solo i fatti ma anche le loro cause, le condizioni e l'interdipendenza tra i fattori che li hanno generati, passando alla loro relativa durata nel tempo per approdare infine a un'opinione della quale ciascuno è responsabile.
Lama Paljin Tulku Rinpoche (Arnaldo Graglia)
Il Buddha dice: "Non aspettatevi nulla se non da voi stessi. Nessuno ci può dare l’illuminazione, però qualcuno può indicarci la strada da seguire, fermo restando che l'uomo raccoglie da solo i frutti del male che ha fatto e lo riscatta da solo: bene e male si purificano individualmente, nessuno può purificare un altro. Ciò non toglie che anche la via spirituale dei buddhisti passi attraverso stati di coscienza che possono assimilare la beatitudine derivante dalla meditazione agli stati mistici che i cristiani definiscono abbandono. La meditazione fonde immaginazione e realtà attraverso un momento esperienziale in cui la percezione dei concetti si trasforma in conoscenza intuitiva.
Nel Cristianesimo questo tipo di meditazione è basato sulla preghiera che viene dal cuore, per il cui tramite l'individuo può sentire un'entità esterna a lui (Dio) e vivere estaticamente questa relazione frutto di una elevazione di coscienza. Da questa proiezione mentale di origine devozionale nascono emozioni in grado di consolidare il rapporto fideistico con la divinità. È dunque la grazia divina che conduce i mistici occidentali alla contemplazione, mentre i meditatoli orientali usano il ragionamento per ottenere quei risultati di carattere interiore che, tramite l'intelligenza, conducono alla saggezza. La meditazione buddhista, così come viene praticata nella tradizione tibetana, si basa su un elemento contemplativo ottenuto con la visualizzazione, che consente al meditatore di raggiungere la condizione mentale necessaria a compiere ogni azione del corpo, della parola e della mente per il beneficio degli altri. La stessa funzione si potrebbe attribuire ai doni gratuiti che, secondo San Tommaso d'Aquino, Dio trasferisce ai mistici cristiani perché possano aiutare il prossimo. Qui i dono dello Spirito Santo, attraverso l'estasi, portano a una beatitudine che San Tommaso considera come un ben dell'intelletto. Nella meditazione buddhista tibetana è il maestro che fa cadere sull'allievo una colata di nettare di beatitudine che aiuterà il praticante a raggiungere la stabilità mentale atta a sviluppare quel processo conoscitivo che, partendo dal duale, porta alla verità ultima, ovvero alla consapevolezza che tutte le cose sono prive di un sé inerente. La mistica cristiana, manifestandosi come un atto d'amore verso Dio, apre canali di comunicazione trascendenti che portano più alla visione che non alla visualizzazione, intesa come atto immaginativo.
Esistono comunque casi di santi che hanno praticato la visualizzazione con risultati sorprendenti. Tra questi: santa Teresa di Lisieux e Santa Teresa d’Avila. Le esperienze mistiche di Santa Teresa del Bambin Gesù, detta anche Teresa di Lisieux, nata in Francia nel 1873 e morta nel 1897 a soli 24 anni, sono legate a stati immaginativi del tutto simili ai passaggi della meditazione buddhista tibetana. Una delle sue visualizzazioni preferite era quella dedicata alla Madonna. Nel libro "Storia di un'anima", Teresa di Lisieux narra che per praticare questa visualizzazione ella immaginava la propria anima come una grande superficie libera.
S. Teresa di Lisieux
Poi pregava la Madonna di erigere su questo spazio una grande tenda piena di ornamenti preziosi e quindi invitava tutti gli angeli e i santi a riunirsi nella tenda per tenere un magnifico concerto. A quel punto Teresa immaginava che Gesù scendesse nel suo cuore accolto da una grande melodia. Al termine della visualizzazione la santa decideva di conservare quello stato di grazia per tutta la giornata, in totale beatitudine. Come non vedere in questa descrizione il Mandala dei buddhisti, composto da una superficie circolare al cui centro un sontuoso palazzo ospita la divinità tutelare? Ma c'è di più. Dopo aver invitato con offerte magnifiche le entità positive a presenziare alla cerimonia cui non mancano musiche melodiose, il praticante si identifica con la divinità del Mandala facendola entrare dentro di sé e assumendone le qualità. Egli potrà per tutta la giornata, e anche oltre, dimorare in quella condizione positiva. Anche nel caso di Teresa di Lisieux, la meditazione contemplativa porta a uno stato di conoscenza in cui amore e abbandono svolgono un ruolo importante.
Nella tradizione Induista questo tipo di abbandono è detto prapatti, pittorescamente definito come la scuola del gatto, poiché la mente del praticante si abbandona alla meditazione proprio come il gattino resta inerte e disponibile quando la madre lo prende per la pelle del collo e sollevandolo lo trasporta in un luogo sicuro.
Non è difficile intuire che Santa Teresa si abbandona come un gattino alla guida del Signore e si offre a lui per essere trasportata nella dimensione dell'estasi. Se vogliamo proprio parlare di abbandono riferendoci al Buddhismo possiamo riferirci a un eventuale abbandono alla meditazione, ma non certamente a un abbandono nella meditazione poiché durante la pratica meditativa la coscienza è sempre vigile, pronta a riportare la mente sull'oggetto del meditare. Ci sono tre modi di meditare: con supporto impuro, con supporto puro, senza supporto.
Il supporto impuro può essere un oggetto, un ambiente, una cosa da esaminare minuziosamente: forma, colore, dimensioni ecc. È interessante notare che nella tradizione cattolica tutte le apparizioni o visioni siano legate a immagini che fanno parte dell’iconografia classica cui appartengono le divinità contattate: Gesù ha la barba e i boccoli, le sue mani sono bellissime, come le vede Santa Teresa d’Avila. La Madonna è vestita di bianco, talvolta ha la cintura azzurra, ora assomiglia alla Madonna del Rosario, ora assomiglia alla Madonna del Carmelo. Nella tradizione tibetana questo tipo di immagine visualizzata si chiama supporto puro ed è rappresentato da una figura che abbia valenze sacre: ad esempio il Buddha e la Bodhisattva Tara, che hanno nel buddhismo una carica evocativa simile a quella di Gesù o di Maria nella tradizione cristiana. Su questa figura ci si deve concentrare completamente controllando e interpretando dettagliatamente tutti i particolari del corpo, dell'abbigliamento e delle posture, così come vengono proposti dall'iconografia sacra, ed entrare nel vivo del loro valore simbolico senza essere toccati da altri pensieri. Un altro supporto puro può essere una pallina di luce bianca che si visualizza all'altezza della fronte, nel puntò che si trova tra le sopracciglia e la radice del naso: questa luce rappresenta il Maestro, la cui energia è indifferenziata dalla luce. Infine, nella meditazione senza supporto, la mente è sgombra da immagini e pensieri ed è mantenuta libera, senza distrazioni. In questa dimensione senza spazio e senza tempo, il praticante trova la via per intuire il principio del vuoto, grazie
al quale si comprende come la nostra coscienza del mondo sia illusoria, e illusori siano purè i desideri, gli attaccamenti, la gelosia, l'orgoglio: tutti fattori generati dalle proiezioni di una mente che galoppa incessantemente nel regno dell'astrazione e dell'immaginario. Infatti l'uomo è portato a perdersi nei ricordi e nei sogni, ma tutto ciò che concerne il passato è un'astrazione e anche il futuro non è che una costruzione mentale.
La meditazione ha lo scopo di imbrigliare la nostra mente come si fa con un puledro selvaggio e di portarla alla calma. Ciò consente di eliminare in noi gli stati negativi e di sviluppare quelli positivi.
Il metodo permette a chiunque lo pratichi con regolarità di ottenere gradualmente la condizione di tranquillità necessaria per affrontare con equilibrio i problemi della vita quotidiana.
In pratica la meditazione buddhista ci permette di vedere la realtà nella sua vera dimensione transitoria e relativa, liberandoci dalle paure, dalle tensioni, dai complessi, dalle illusioni: tutti fattori che costantemente agitano la nostra mente e generano quello stato di confusione che porta grande sofferenza in ogni essere umano. E con la mente sgombra dalle tensioni noi possiamo vincere ogni egoismo e pregiudizio dedicandoci a quelle azioni che possono portare armonia in noi stessi affinché ci sia possibile attivarci positivamente per il bene degli altri. Da questo punto di vista, l'abbandono inteso come frizione di uno stato di beatitudine differisce tra occidente e oriente poiché nella concezione cristiana questo abbandono è visto come un atto d'amore verso Dio, mentre secondo il buddhismo tibetano i frutti della chiara visione derivante da questo abbandono alla meditazione servono per fini altruistici e si configurano come un atto generatore d'amore e di compassione verso tutti gli esseri senzienti. Nonostante tali differenze i due sistemi hanno molti punti in comune: nell'esperienza estatica come nella meditazione si elimina l'io e si lascia fluire la mente in un contesto esperienziale senza limiti di spazio e di tempo. Il mistico cattolico vive la propria realtà convenzionale in modo libero e gioioso poiché l'ha spogliata dei valori ad essa imposti dall'io e ne comprende la funzione provvisoria legata all'impermanenza.
Così anche il meditatore, il quale ha acquisito una consapevolezza totale che lo libera dagli attaccamenti e dalle illusioni e gli conferisce una profonda pace interiore.
Quella pace dell'assoluto che pervade lo spirito di mistici e meditatori di tutte le tradizioni.
Secondo alcuni ricercatori la mente umana dispone di una coscienza critica che vede, sente, analizza; e di una coscienza identificabile con il sé, la quale è vista, sentita e analizzata.
A mano a mano che queste due coscienze si avvicinano, la loro individualità scompare e non si vive più la dimensione dicotomica: l'esterno e l'interno si fondono. Questo stato è neurobiologico e può essere ottenuto da chiunque ne conosca la tecnica. Recenti studi attuati con mezzi scientifici hanno dimostrato che nei soggetti cattolici che hanno visioni mistiche l'elettroencefalogramma ha frequenza costante. La stessa cosa si può riscontrare nei meditatori orientali. In alcuni casi i mistici cattolici durante le visioni hanno gli occhi aperti, ma non reagiscono alle sollecitazioni esterne; così avviene normalmente presso certi meditatori tibetani la cui pratica consiste proprio nel mantenere la fissità dello sguardo ad occhi sbarrati anche se la pupilla è esposta a un forte fascio di luce. Ciò è dovuto a una interruzione del collegamento nervoso tra cervello e gli organi di senso. È errato voler interpretare il fenomeno mistico come un fattore condizionato solo da elementi psichici o fisici: il misticismo ha un complesso di cause che vanno globalmente considerate. Qualsiasi stato di coscienza può essere infatti analizzato in differenti aspetti, ma queste parti formano un sistema in cui tutti i fattori sono interdipendenti. È stato rilevato che l’estasi si raggiunge attraverso il succedersi di momenti diversi che hanno una durata più o meno lunga e che devono comunque essere superati uno per uno, fino allo stadio finale che corrisponde all'ingresso in una condizione di beatitudine. Lo stesso procedimento è alla base del Lam-Rim, il sentiero graduale per raggiungere l'illuminazione: una pratica comune a molte scuole della tradizione buddhista tibetana. Una recente analisi effettuata da ricercatori qualificati su numerosi individui sani di mente soggetti a frequenti contatti con la Madonna, ha permesso di constatare che durante l'estasi queste persone avevano una respirazione diaframmatica, con ritmi ridotti e grande regolarità nei cicli respiratori.
Queste persone inoltre non davano segni di allucinazione, non erano in catalessi e non avevano i muscoli irrigiditi. In altre parole potevano manifestare i sintomi di uno stato meditativo comune.
S. Tommaso d'Aquino
Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino suddividono le fasi di contatto mistico con Dio in tre gruppi: intellettive, immaginali ed esteriori. Dove per intellettivi si intendono i contatti ottenuti senza il tramite di immagini, ovvero con il solo pensiero privo dei simboli figurati o parole. I contatti immaginali sono quelli nel corso dei quali si vedono figure o si odono parole senza realmente vedere con gli occhi o udire con le orecchie. Sono in pratica delle proiezioni della fantasia. I contatti esteriori si verificano quando il soggetto vede e sente fisicamente i fenomeni.
Il tutto deve passare, secondo i padri della Chiesa, attraverso un dono divino. Invece potrebbe trattarsi di una questione tecnica. La scienza moderna considera infatti questi fenomeni come un fattore illusorio originato dal raggiungimento del limite estremo della coscienza. Lo ribadiva anche Santa Teresa d’Avila quando diceva: "Vedo il Signore non con gli occhi del corpo e neppure con quelli dell'anima, perché si tratta di una visione immaginaria". Ci troviamo di fronte a un punto ulteriore di consapevolezza. Proprio quel punto in cui il meditatore, come il mistico cattolico, intuiscono quanto il bodhisattva Avalokiteshvara predicò nel Sutra del Cuore: ovvero che le sensazioni, le discriminazioni, gli elementi di formazione e la coscienza sono vacui, cioè privi di un sé inerente. In conclusione: lo studio delle esperienze mistiche si è enormemente sviluppato negli ultimi trent'anni, ma c'è ancora confusione tra fisiologia e patologia e si tende a differenziare l'estasi dalla meditazione sulla base di preconcetti religiosi. In verità non si tratta oggi di sapere quale dei due metodi sia il migliore, né quanto ci sia di occidentale nella meditazione e di orientale si trovi nell'estasi cattolica, ma la scienza dovrebbe soprattutto impegnarsi per scoprire quanto di universale ci sia in questi stati di coscienza che non sono modificati come si tende a definirli, ma sono naturali, autonomi e semplicemente poco noti."

L'ultimo inserto
Pochissimi sono i riferimenti reperiti in Internet su "Occidente Buddhista". Tra questi:
http://buddhismoitalia.forumcommunity.net/?t=29030075&st=15

La rivista è stata inoltre citata alle pag. 13 e 147 del volume:
M. Thengavila, Ambedkar e il neobuddhismo, Ed. Mediterranee

Su Lama Paljin si veda, tra l'altro:
http://www.centromandala.org/


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