giovedì 3 dicembre 2015

Paura?

Per molti, questi sono giorni di paura. Alcuni la vivono rinchiudendosi nelle proprie case o in se stessi, altri la manifestano facendo alzare in volo aerei da bombardamento o dando voce alle proprie emozioni con parole di avversione e di ignoranza, distruttive quanto le bombe – ma che esauriscono il loro effetto con tempi infinitamente più lunghi.


Ciò che tutte queste persone hanno in comune è il timore di perdere qualcosa: la vita, i famigliari, gli amici, i beni, il potere, la tranquillità, oppure i “valori” dell’Occidente: la “democrazia”, la “libertà”, …fino al diritto di “fare il presepe”.
Nei confronti della paura, di quella potente emozione che in definitiva ci riporta alle nostre domande più intime, e più rimosse – chi sono io? cosa sono nascita-e-morte? – molti maestri spirituali dell’Oriente hanno da sempre espresso il loro pensiero, con insegnamenti che vanno in direzione opposta a ciò che il karma, l'ignoranza-avidya che proviene da un tempo senza inizio, le nostre pulsioni ataviche – e i condizionamenti politici e sociali – ci spingono a fare: innalzare muri, sia mentali che di mattoni e filo spinato, cercare disperatamente il “nemico” da accusare e colpire, rivoltarsi negli storici sensi di colpa di questa vecchia Europa, pregare qualche Entità superiore, fuggire in qualche isola che non c’è, ecc.

Ad esempio, un giorno al monaco Zen Taisen Deshimaru (1914-1982) venne posta questa domanda:

Noi viviamo in un mondo di paura. Come superarla?

E questa fu la sua risposta:

Vi sono molte paure, diverse tra loro. C'è, ad esempio, la paura di non riuscire, di essere sconfitti. Ma quando si è mushotoku [senza scopo né spirito di profitto] si è sempre liberi, anche se si perde. Perché allora avere paura?
Si è troppo attaccati al proprio io, per questo si ha paura. Abbandonate il vostro io e non avrete più paura. Se sarete sempre giusti, sarete forti, senza paura.

(In: www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/zeneocc.htm)


Altrettanto illuminanti le parole del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh (1926), tratte da alcuni suoi insegnamenti pubblicati nel 2012:


Molti di noi agiscono quasi sempre spinti dalla paura del passato o del presente. Questo comportamento finisce per influenzare gli altri e la società in cui viviamo: si crea una cultura della paura. Quando insorge la paura e ci fa sentire turbati e angosciati, la prima cosa da fare è riconoscerla. Potremo riconoscerla e abbracciarla anziché metterla in atto. Tutta la gente che ci circonda è piena di timori e agisce spinta dalla paura. In mezzo a tutta questa paura, tutti desideriamo ardentemente la pace e la sicurezza.
A volte siamo tentati di ridicolizzare la paura altrui, perché ci ricorda la nostra. Ci hanno insegnato a tenerla lontana e a non riconoscerla. Come possiamo allora lasciarla andare e abbandonare la rabbia e la violenza che essa suscita in noi?
Dobbiamo ascoltare in profondità imparando a praticare come il Buddha, quando si esercitava a lasciare andare la sua stessa paura e violenza. Praticando la consapevolezza della paura e guardando in profondità la sua origine, troveremo la risposta.
Al giorno d'oggi, quando prendiamo un aeroplano, capita che c'insospettiamo per il comportamento delle persone intorno a noi: abbiamo paura che chiunque possa essere un terrorista. Qualunque persona potrebbe portare con sé sostanze chimiche esplosive o avere addosso una bomba. Tutti noi dobbiamo sottoporci al controllo del body scanner. Tutti hanno paura di tutto e di tutti. Anche se si porta una veste da monaco come me, ci si deve sottoporre alla scansione e alla perquisizione, perché la paura è davvero diffusa. Chi è venuto prima di noi ha creato questo clima di terrore, che ora è cresciuto a dismisura. Non sappiamo come gestire la nostra sofferenza: ben pochi sanno come lasciarla andare.
Così nutriamo un desiderio di vendetta: vogliamo punire chi ci fa soffrire e pensiamo che, così facendo, soffriremo di meno. Vogliamo fare loro violenza, desideriamo castigarli. Quando un terrorista porta degli esplosivi su un autobus o su un aereo, tutti muoiono. Il desiderio di punire del terrorista nasce dalla sua stessa sofferenza, che egli non sa gestire: così cerca sollievo vendicandosi sugli altri.
Il Buddha disse una volta: «Ho guardato in profondità nello stato d'animo delle persone infelici e ho visto, nascosto dalla loro sofferenza, un coltello molto affilato. Poiché esse non vedono quel coltello dentro di sé, trovano difficile affrontare la propria sofferenza».
La vostra paura è sepolta in fondo al cuore, un coltello affilato coperto da molti strati: è quel coltello che vi fa comportare in modo così crudele. Voi non vedete il coltello o la freccia che avete nel cuore, ma essi vi portano a infliggere sofferenza agli altri. Ora potete imparare a riconoscere quel coltello e, quando l'avrete trovato, potrete rimuoverlo dal cuore e poi aiutare gli altri a trovare il proprio e ad estrarlo. Il dolore causato dal coltello affilato è lì da tanto tempo: fintanto che continuerete ad aggrapparvi a quel dolore, esso non farà che ingrandirsi e diventerà così forte da farvi desiderare la punizione di coloro che ritenete responsabili della vostra sofferenza.

(In: Thich Nhat Hanh, Paura, Ed. BIS, pag. 121-123)


Infine un insegnamento di una delle figure più profonde del ‘900, Jiddu Krishnamurti (1895-1986):


È possibile porre fine a ogni paura? Si può avere paura del buio, o di calpestare inaspettatamente un serpente, di imbattersi in un animale feroce, o di cadere in un precipizio. Ad esempio, è naturale e salutare rifiutarsi di sostare sulla carreggiata di un autobus in arrivo, ma ci sono molte altre forme di paura. Questo è il motivo per cui ci si deve domandare se l’idea sia più importante del fatto, di ciò che è. Se si guarda ciò che è, il fatto, si vedrà che è soltanto l’idea, il concetto del futuro, del domani, che provoca paura. Non è il fatto che crea la paura.
Una mente oppressa dalla paura, dal conformismo, dall’autorità dei pensatori, non può comprendere ciò che potrebbe essere chiamato l’origine. E la mente chiede di sapere che cos’è l’origine. Abbiamo detto che è Dio, ma questa è di nuovo una parola inventata dall’uomo nella paura, nell’infelicità, nel suo desiderio di fuggire di fronte alla vita. Una mente libera dalla paura, quando si interroga sull’origine, non cerca il suo personale piacere, o una via di fuga, perciò nell’indagine tutte le autorità cadono. Capite? L’autorità di chi parla, l’autorità della chiesa, l’autorità dell’opinione, della conoscenza, dell’esperienza, di ciò che la gente dice — tutto questo ha completamente termine e non c’è obbedienza. Soltanto una mente simile può scoprire da sola che cos’è l’origine, scoprirlo, non come una mente individuale, ma come un essere umano totale. Non c’è nessuna mente ‘individuale’ in assoluto; siamo completamente legati gli uni agli altri. Per favore, cercate di comprenderlo. La mente non è qualcosa di separato; è una mente totale. Noi siamo tutti conformisti, tutti spaventati, stiamo tutti scappando. E per capire che cos’è l’origine, non come individui, ma come esseri umani totali, si deve comprendere la totalità dell’infelicità umana, tutti i concetti, tutte le formule che l’uomo ha inventato nel corso dei secoli. Soltanto quando sarete liberi da tutto questo potrete scoprire se vi sia qualcosa all’origine. Altrimenti saremo esseri umani di seconda mano; e poiché saremo di seconda mano, esseri umani contraffatti, non ci sarà fine al dolore. Infatti, la fine del dolore è essenzialmente l’inizio dell’origine. Ma la comprensione che conduce alla fine del dolore non è la comprensione del vostro particolare dolore o del mio particolare dolore, perché il mio e il vostro dolore sono in relazione con tutto il dolore dell’umanità. Questo non è mero sentimentalismo o mera emotività; è un fatto concreto e brutale. Quando comprendiamo la struttura del dolore nella sua interezza e perciò ne provochiamo la fine, allora è possibile che sopraggiunga quello strano qualcosa che è l’origine di ogni vita, non in una provetta, come la scoprono gli scienziati, ma in quella strana energia che sta sempre esplodendo. Quell’energia non si muove in nessuna direzione e perciò esplode.

(In: J. Krishnamurti, Sulla paura, Ed. Astrolabio, pag. 20-21).


Abhaya Mudra, il sigillo della Non-paura



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