mercoledì 17 ottobre 2012

Franco Battiato: tra echi di danze sufi ed oceani di silenzio

“Vivo nel sacro
e la mia musica
riflette questa dimensione”
(F. Battiato)

Franco Battiato nasce a Jonia (oggi Riposto) lungo le pendici dell’Etna, il 23 marzo 1945, sotto il segno dell’Ariete. Dopo la maturità e la morte del padre interrompe gli studi ed emigra a Milano, dove inizia a lavorare nell’ambiente della musica, collaborando con Giorgio Gaber ed Ombretta Colli. Nel 1965 pubblica i primi dischi singoli, quindi si dedica alla ricerca nell’ambito della musica sperimentale e d’avanguardia.
Il 1969 è l’anno di una profonda crisi spirituale e professionale, che lo porta a rifiutare il genere musicale della canzone melodica e il successo che stava sopraggiungendo. Un brano del 1974, “No U Turn” (dall’album “Clic”) illustra molto bene quel momento, e l’inizio della sua ricerca spirituale.
A quel periodo risale la pratica della meditazione. Dice il Maestro (così è chiamato dai suoi estimatori): “La mia vita ha iniziato a definirsi tale quando ho scoperto la meditazione.. La pratico due volte al giorno, come gli antichi egizi: mi ritiro all’imbrunire e al mattino prima di fare colazione e dopo aver fatto le abluzioni mattutine.. Non è mai cambiato il sapore di questa dimensione metafisica (che poi per me è fisica), dai primi tempi a oggi [2004], sono cambiate le tecniche, ma il sapore resta identico.. Comunque, non sono regole fisse, se ho degli impegni la sposto. Ma mai rinuncerei, per me è diventata una cosa indispensabile, non potrei vivere senza. La mia è una meditazione personale. Negli anni ho letto e raccolto tutte le indicazioni possibili. Poi ho scelto la mia linea personale. Medito dai quaranta ai cinquanta minuti. Quando ho iniziato.. impiegavo mezz’ora a rilassare tutto il corpo. Oggi in una frazione di secondo riesco a ricollegarmi con tutto il lavoro che ho già fatto.. All’inizio il corpo, non essendo ammaestrato, ha le sue necessità, non vuole stare fermo in quella posizione, ti suggerisce scuse di tutti i tipi, impegni immaginari, impegni che non si possono rimandare. Invece, è tutto rimandabile..” (1).
Queste sue esperienze saranno poi cantate in un brano del 1993, “Ricerca sul Terzo” (in “Caffè de La Paix”).
Nel 1978 Battiato inizia lo studio della lingua e della cultura araba presso l’Ismeo, che proseguirà per tre anni. Dal suo profondo interesse per il mondo arabo nasce “Arabian Song” (in “Patriots”, del 1980), e parallelamente inizia una stagione musicale che durerà fino alla fine degli anni ’80, con testi che non sono, come alcuni hanno scritto, delle filastrocche senza senso (un esempio per tutti “Cuccurucucu” del 1981), bensì testi “attraversati da una forte tensione etica e da un altrettanto forte spirito polemico” (2), costruiti con un metodo di “giustapposizione”, con successioni di frasi compiute di per se stesse, non di rado citazioni dai classici o da testi di spiritualità, espressioni stereotipate dei media, titoli di canzonette, slogan pubblicitari ecc.
Per quanto riguarda invece l’importanza che la cultura orientale, in particolare quella nord-africana e medio-orientale, riveste per Battiato, essa è ben espressa dalle stesse parole del Maestro: “Nel parlare di arabi non posso essere obiettivo. Non posso né voglio esserlo. Ho una sorta di simpatia fisica per questa gente, che supera qualsiasi resistenza... Per me rappresentano anche il ricordo di periodi folgoranti delle antiche civiltà tradizionali” (3). E ancora, a proposito della mistica islamica: “I Sufi rappresentavano le frange iniziatiche e cercavano una comunione totale con Dio, anche grazie alla musica e alla danza. Mi sono interessato al sufismo perché l’ho sempre sentito una filosofia molto vicina al mio modo di essere. Ho sempre avvertito un’affinità fortissima di pensiero per questa scuola. I loro testi sono fra le mie letture preferite” (4).
Anche in questa fase l’interesse, anzi il bisogno, di Battiato riguardo la ricerca spirituale è esplicitato nella sua produzione artistica. Ne è esempio un brano del 1981 molto famoso, ma forse non altrettanto ben compreso: “Centro di gravità permanente” (nell’album “La Voce del Padrone”), laddove l’espressione “centro di gravità permanente” indica il grado di coscienza di sé, “è quel grado di conoscenza – dice Battiato - che ti porta a una tua verità personale e che si riflette all’esterno in una proiezione di giustizia e precisione.. E’ il centro intorno al quale ruota tutto il mondo della percezione e dell’impressione: è una posizione dalla quale tutto il resto è periferia, una posizione dalla quale vedi il mondo.. Da quel punto si vede con chiarezza e precisione. Ma ci sono vari livelli” (5) La nozione di “centro di gravità permanente” è alla base degli insegnamenti di una figura poco nota nell’ambito della spiritualità contemporanea, Georges Ivanovič Gurdjieff. Dice Franco Battiato “Scoprii per primi i mistici indiani: Yogananda, Aurobindo. Poi sono passato al buddhismo, ai sufi, e soprattutto al sistema di Gurdjieff. Maestri ne ho avuti tanti. Tra i nostri occidentali Santa Teresa d’Avila, Giovanni Della Croce e poi tutti i padri del deserto, Sant’Agostino. Ho iniziato da autodidatta. Ho imparato a ordinare il disordine, a non disperdermi. Dice Gurdjieff: Il tempo è prezioso, non sprecarlo per cose che non siano in rapporto con la tua meta”. (6).

G.I. Gurdjieff
Ma chi era G.I. Gurdjieff? Nato in Anatolia intorno al 1860-70, fu filosofo, venditore di tappeti, musicista, mistico. Dopo aver studiato con i monaci ortodossi, viaggiò in Medio Oriente, tra i Dervisci, in Tibet, in India, ricevendo insegnamenti da maestri di molte tradizioni spirituali. Nei primi anni del ‘900, in Russia, iniziò ad insegnare, combinando insieme elementi di cristianesimo, sufismo ed altre tecniche psicofisiche, ed elaborando della “danze sacre”, che vennero presentate per la prima volta nel 1919. Nel ’22 si trasferì a Parigi, e compì vari viaggi negli Stati Uniti, dove morì nel 1949, lasciando molti allievi, ma senza aver mai fondato – volutamente – una vera organizzazione. Infatti il suo stesso insegnamento non consente sistematizzazioni e definizioni sintetiche. “Io insegno – egli disse – che quando piove i marciapiedi si bagnano”. La domanda di base – conosci te stesso – è illuminata da una idea maestra: che “l’uomo è chiamato a lottare per l’autoperfezione, in servizio al nostro sacro vivente Universo” (7). Nel suo insegnamento “movimenti e danze sacre erano allo stesso tempo un simbolo di leggi universali ed un campo per la ricerca individuale” (8). Gurdjieff crea così una metodica di tecniche psicofisiche che cercano di favorire il superamento degli automatismi fisici e psicologici che condizionano l’uomo, costringendolo a vivere in uno stato di veglia solo apparente, ma in realtà molto simile ad uno stato di sogno continuo.
Come spiega lo stesso Battiato, Gurdjieff ha operato una sintesi tra Oriente e Occidente: “non insegnava a diventare santi, bonzi, yogi o fachiri. Consigliava invece di fare esercizi all’interno della vita quotidiana, magari mentre ti trovi in un caffè o in un mercato. E’ il misticismo applicato alla vita. Io ho seguito la sua scuola per circa dieci anni e vi sono tuttora legato” (9).
A questo punto devono essere necessariamente citati tre brani assolutamente esemplificativi del percorso musicale-spirituale di Battiato: “E ti vengo a cercare” e “L’oceano di silenzio” del 1988 (dall’album “Fisiognomica”) e “L’ombra della luce” del 1991 (da “Come un cammello in una grondaia”).
Se “No U Turn” poneva al centro “lo sforzo di conoscere se stessi e la propria verità”, qui viene presentato “invece il risultato di questa ricerca” (10). Soprattutto “L’ombra della luce”, che Battiato definisce “la vetta della mia produzione”, nella quale la forza della luce “è tale da rendere pallide ombre non solo il dolore di certe situazioni esistenziali deprimenti e nevrotiche, ma anche la gioia delle esperienze più profonde e appaganti” (11). Il brano è mistico nel verso senso del termine. Il Maestro lo scrisse in stato di meditazione nell’arco di sei mesi, come pure era accaduto per “L’oceano di silenzio”. A proposito del silenzio, Battiato dice: “è considerato da tutti un bene, anche se tutti lo credono difficilissimo da raggiungere. Il silenzio è una tecnica, ed è quindi facile da raggiungere… E’ la direzione ossessiva imboccata da questa società, che fa diventare quasi impossibile lo studio del silenzio… Il silenzio è un’igiene totale” (12). “E ti vengo a cercare” viene invece definita dal suo autore “una canzone volutamente ambigua. C’è una ricerca doppia. Divini sono, per chi ama, anche una donna o un uomo, a seconda dei casi. Però la tendenza è verso un essere superiore. C’è anche il tema dell’emancipazione dalle passioni che fa pensare a qualcosa di divino, così come anche la ricerca dell’essenza” (13).
Il tema della meditazione come pratica di vita è ripreso in modo esplicito in un pezzo del 1993, significativamente intitolato “Haiku” (14) (in “Caffè de La Paix”). La meditazione di cui parla Battiato non è una astratta operazione della mente – come spesso viene erroneamente intesa. E’ il corpo stesso che agisce-non-agisce, nell’abbandono di sé in unità con il cosmo. E’ esperienza viva, concreta, al di là dei confini sovente artificiosi tra scuole, tradizioni, orienti e occidenti.
Franco Battiato, come ha espressamente detto più volte, non ha alcuna “verità” da comunicare, bensì esperienze personali da proporre, e lo fa anche (15) attraverso la musica. La sua è una religiosità libera, consapevole del fatto che ogni “percorso interiore è diverso per ognuno” (16). La sua esperienza, la sua storia personale, la sua stessa origine siciliana, lo hanno certamente portato ad avvicinarsi maggiormente alla cultura islamica, alla tradizione Sufi e alla figura di Gurdjieff. Ma nemmeno le tradizioni spirituali estremo-orientali gli sono estranee. In un brano del 2004, “La porta dello spavento supremo” (nell’album “Dieci stratagemmi”) il testo si rifà chiaramente ai Veda, le Scritture basilari dell’India classica. Canta Battiato: “Bisognerà per forza / attraversare alla fine / la porta dello spavento supremo”, cioè compiere il passaggio definitivo, l’abbandono dell’io e della materia.
Nel 2007, poi, esce l’album “Il vuoto”, che già nel titolo richiama la nozione fondamentale degli insegnamenti buddhisti, la vacuità (si ricordi “The void”, titolo provvisorio del brano dei Beatles “Love You To” del ’66). Nell’album, almeno tre brani sono molto espliciti nei loro riferimenti agli insegnamenti del Buddha: “Niente è come sembra” (“Niente è come sembra / niente è come appare / perché niente è reale”, recita il ritornello), “Io chi sono?”, che non a caso è la domanda che ogni praticante deve imparare a porsi nel giusto modo, e “Stati di gioia”, che esprime, sia pure nei limiti ristretti concessi agli uomini dalle parole e dalle note musicali, i “risultati” – certamente provvisori – della ricerca spirituale ed artistica del Maestro.


NOTE
1) P. Jachia, E ti vengo a cercare, Ed. Ancora, pagg. 28-29
2) Idem, pag. 39
3) F. Pulcini-F. Battiato, Tecnica mista su tappeto, Ed. EDT, pag. 44
4) Idem, pag. 46
5) Idem, pag. 59
6) Intervista a F. Battiato da Vanity Fair – cit. in:
 http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/musicaemistica/medbat.htm
7) J. Moore, Gurdjieff: l’uomo e la letteratura, in:
 http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/gurdjieff/moore.htm
8) Idem
9) Pulcini, pagg.56-57
10) Jachia, pag. 65
11) Idem
12) Pulcini, pag. 80
13) Idem, pag. 78
14) L’haiku è una classica forma poetica giapponese, in 17 sillabe disposte in 3 versi di 5, 7 e 5 sillabe. Molti tra i più grandi compositori di haiku erano e sono monaci e maestri Zen
15) Battiato è anche autore di opere (“Genesi”, “Gilgamesh”, “Messa Arcaica”..), è regista cinematografico e apprezzato pittore
16) Pulcini, pag. 16

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