lunedì 1 ottobre 2012

UNISABAZIA 2005/06 - 4 - La comunità dei praticanti ieri e oggi


La diffusione del buddhismo in Asia
Buddhismo o buddhismi?

“Vi potrebbe venire questo pensiero: non abbiamo più il Maestro. Non dovete considerare la cosa così. La Legge e la Regola che da me vi furono insegnate, queste vi siano Maestre dopo la mia dipartita”. Queste parole, che il Buddha proferì ai monaci nell’ultimo periodo della sua vita, attestano chiaramente il fatto che egli non nominò un successore, affidando invece la Comunità dei praticanti, il Samgha che si era formato intorno a lui, al Dharma da lui insegnato e all’insieme di Regole monastiche (Vinaya) che aveva nel tempo promulgato.
I monaci costituirono quindi, dal momento del primo discorso ai cinque compagni di Sarnath, il vero e proprio Samgha, parola che significa “Comunità dei Virtuosi”, e che ancora oggi indica l’insieme dei praticanti il Sentiero.
La prima preoccupazione dei monaci fu pertanto quella di memorizzare, ordinare e trasmettere gli insegnamenti ricevuti. A tal fine, un anno dopo la morte del Buddha, si tenne a Rajagriha un primo Concilio a cui parteciparono, si dice, 499 monaci, sotto la guida del discepolo Mahakasyapa. Il Concilio durò 7 mesi. Il monaco Ananda, dotato di una prodigiosa memoria, recitò tutti gli insegnamenti del Buddha, e fu così che nacque la raccolta dei Sutra. Poi, Upali enunciò a memoria le Regole del Vinaya, ed infine lo stesso Mahakasyapa recitò il contenuto dell’Abhidharma, raccolta di insegnamenti che trattano dell’analisi dei fenomeni (psicologia, cosmologia, metafisica..). Nacquero così le tra grandi raccolte di testi che ancora oggi compongono il Canone Buddhista, chiamato Tripitaka, ovvero i Tre Canestri. E’ da dire però che quasi certamente i testi dell’Abhidharma sono in realtà di molto successivi a quell’epoca. Per diversi secoli gli insegnamenti del Buddha (come già era avvenuto per i Veda) vennero tramandati verbalmente, fino a che, tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., l’India passò dalla cultura orale a quella scritta, cosa che contribuì non poco alla sclerotizzazione degli insegnamenti stessi e alla crisi del buddhismo in India.
Oltre a quello di Rajagriha, si tennero altri due (o forse tre) Concili, nel corso dei quali si evidenziarono le prime divergenze tra diverse scuole nascenti all’interno del Samgha.


Il Buddhismo Mahayana

La più importante delle fratture verificatesi nelle storia del Samgha buddhista avvenne intorno al I sec. d.C., e fu provocata da varie cause: diverse interpretazioni degli insegnamenti e delle regole monastiche, la nascita di nuovi Sutra (soprattutto il Sutra della Perfezione della Saggezza e il Sutra del Loto della Vera Legge), e il fatto che l’insegnamento del Buddha, espandendosi in tutto il territorio indiano grazie all’attività dei monaci, era venuto in contatto con una moltitudine di altre tradizioni hindu, zoroastriane, ellenistiche.. Nacque quindi un grande movimento rinnovatore, conosciuto come Mahayana, il “Grande Veicolo” (maha = grande, yana = carro, veicolo, Via). In opposizione all’Hinayana, il “Piccolo Veicolo”, più correttamente indicato dal termine Theravada, la “Via degli Anziani” (thera = anziano). Entrambe le scuole sono tuttora vive nei vari paesi dell’Asia, e non solo.
I due “veicoli” convissero tranquillamente all’interno degli stessi monasteri in quanto, nonostante le differenze dottrinali, la pratica hinayana e quella mahayana erano molto simili, essendo la distinzione fondamentale nelle motivazioni della pratica stessa.
In effetti la maggior parte delle idee sviluppate dal Mahayana erano già contenute nel buddhismo antico, che non venne snaturato, ma anzi ne fu arricchito e approfondito.
Ciò in cui il Mahayana pone grande enfasi è l’impegno concreto del praticante a ricercare la liberazione di tutti gli esseri piuttosto che quella personale, individuale, rinunciando quindi al Nirvana fino a che tutti gli esseri senzienti non vi abbiano potuto accedere. Questo atteggiamento altruistico trova espressione nell’ideale della compassione universale e nella figura del bodhisattva.

Il Bodhisattva
Già nella tradizione Theravada, ma ancor più nel Mahayana, il bodhisattva (alla lettera: “Essere dell’Illuminazione”, bodhi = illuminazione, dalla radice “bud” da cui Buddha; sattva da sat = essere, e quindi “essenza”) è colui che, spinto dalla compassione, pronuncia il voto di ottenere l’illuminazione per aiutare tutti gli esseri a liberarsi dalla sofferenza e dalle sue cause. Ad esempio, nella tradizione Zen il voto viene così espresso: “Shujo muhen sei gan do”, ovvero “Per quanto numerosi siano gli esseri senzienti, faccio voto di liberarli tutti”.

Manjusri
La Via del bodhisattva inizia suscitando bodhicitta, la Mente del Risveglio (citta = mente), ovvero l’aspirazione al Risveglio supremo, e prosegue con la pratica delle Sei Paramita, ovvero le Sei Perfezioni:
1) dana, il dono (di cose materiali, di parole, di insegnamenti, o anche di un sorriso, o della stessa vita...)
2) sila, la moralità (di corpo, parola e mente: non uccidere, non mentire, non essere avaro, non adirarsi, non avere una sessualità scorretta...)
3) kshanti, la pazienza (la sopportazione delle avversità, il perdono..)
4) virya, lo sforzo (l’energia nel vincere i difetti, nella pratica..)
5) dhyana, la meditazione (la pratica continua della purificazione della mente)
6) prajna, la saggezza (la conoscenza diretta della dottrina della vacuità, per cui tutti i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca).
Ciò che è importante, è che i voti del bodhisattva non sono riservati ai monaci, ma possono essere pronunciati anche dai laici, uomini e donne. Il Mahayana rappresenta quindi la diffusione del Dharma tra la gente, la semplificazione delle regole, la rivalutazione del ruolo dei laici, l’esaltazione delle virtù fondamentali del buddhismo: la benevolenza (maitri) e la compassione (karuna).
Avalokiteshvara
Alcuni bodhisattva (detti bodhisattva mahasattva, Grandi Esseri) furono anche considerati come emanazioni di un Buddha: ad es. Avalokiteshvara, che incarna la compassione, e di cui i Dalai Lama del Tibet sono l’emanazione. Oppure Manjusri, che incarna la saggezza.
Alla fine, il buddhismo mahayana sarà caratterizzato da un gran numero di Buddha e di bodhisattva. La figura del Buddha Shakyamuni perde la sua storicità e diviene un aspetto dell’Assoluto, dell’Essenza Ultima della realtà, in un processo di deificazione alimentato dalla devozione popolare. Inizia il culto delle reliquie, dei luoghi santi, e nascono infinite storie e leggende. Sempre più, la pratica del Sentiero lascia il posto ad un semplice sentimento di devozione che non di rado diviene superstizione.
Sarà l’opera di grandi maestri riformatori, apparsi a più riprese nei secoli successivi e nei vari paesi, a rinnovare e rinfrescare continuativamente la pratica dell’autentico Dharma, tramandandone ad oggi l’essenza. Così fecero Nagarjuna e Santideva in India, Tzong Khapa e Milarepa in Tibet, Bodhidharma e Hui Neng in Cina, Dogen e Kodo Sawaki in Giappone, e decine e decine di altri maestri.

Diffusione del Buddhismo

Fino al 450 d.C. il buddhismo prosperò in India, sorsero grandi monasteri e università con migliaia di monaci e di studiosi, ma poi iniziò il declino, anche e forse soprattutto a causa di invasioni esterne. Prima da parte di tribù dell’Asia Centrale, poi, alla fine del X sec., da parte dei musulmani, per i quali i buddhisti erano infedeli idolatri. Il buddhismo, che non esercitava già più una grande influenza, finì quindi per sparire dall’India in cui era nato.
Nel frattempo però gli insegnamenti del Buddha erano stati trasmessi dai monaci itineranti in altri territori dell’Asia. In generale, il Mahayana era divenuto predominante al Nord, il Theravada al Sud.

Diffusione del Buddhismo in Asia

Sri Lanka conobbe il Dharma già nel 250 a.C., fu proprio lì che il Canone in lingua Pali venne messo per iscritto per la prima volta. Altri paesi theravada furono, e sono, Birmania, Thailandia e Cambogia, a partire dai primi secoli dopo Cristo.
In Cina giunse invece il Mahayana, intorno al I sec. d.C., e lì incontrò le grandi scuole del Confucianesimo e del Taoismo. Nel VI sec. arrivò in Corea e Giappone, dove si svilupparono diverse scuole (Tendai, Shingon, Terra Pura, Zen..)
Nell’VIII sec. d.C. il Mahayana giunse in Tibet, dove conobbe un grande sviluppo, evolvendosi in forme nuove, note come Tantrayana o Vajrayana (o anche, termine non più in uso, come Lamaismo, dove la parola Lama traduce il sanscrito Guru, ovvero maestro spirituale).

In tutti i paesi in cui giunse, il Buddhismo si insediò in maniera generalmente pacifica, interagendo senza grossi traumi con le tradizioni religiose preesistenti. E questo senza dubbio grazie alla sue caratteristiche di base, quali l’assenza di dogmi e di rigide strutture gerarchiche, la netta separazione tra spiritualità e politica, l’etica della non-violenza, la concezione di un sé privo di esistenza intrinseca, l’attenzione costante alla concreta sofferenza delle persone e di tutti gli esseri. Ha quindi saputo trasformarsi, adeguarsi ai tempi, alle culture, agli stessi individui, senza perdere la propria essenza. Ha scritto il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh: “Le forme del buddhismo devono cambiare perché l’essenza del buddhismo rimanga inalterata. Questa essenza consiste nei principi vitali che non possono essere ricondotti ad alcuna formulazione specifica” (e questo risponde alla domanda: buddhismo o buddhismi?).
D’altra parte, il buddhismo è, e sa di essere, impermanente, non-sostanziale e condizionato, così come esso stesso insegna essere la natura di tutte le cose.
Buddhismo e Occidente

Storia recente è invece la diffusione del Dharma in Occidente, anche se i primi contatti documentati risalgono all’epoca stessa del Buddha, in quanto in India esistevano colonie greche già nel VI sec. a.C. Altri contatti vi furono più tardi, nel periodo delle spedizioni in India di Alessandro il Grande (IV sec. a.C.). Nel XIII sec. Marco Polo venne in contatto col Mahayana cinese. Poi, dal XVI sec., furono i Gesuiti ad avere notizie di prima mano sul Buddhismo, in Cina e in Giappone.
Un vero interesse, anche se solo accademico, nascerà però in Europa a partire dalla metà del 1800, ad opera di pensatori come Arthur Schopenhauer o Carl Gustav Jung, uno dei padri della psicoanalisi.
Un importante canale attraverso cui il Dharma è entrato in Occidente è l’immigrazione, in Europa e negli Stati Uniti, dalla Cina (dopo il 1860, con la mano d’opera per la costruzione delle grandi ferrovie americane), dal Vietnam (dopo la guerra con gli USA), dal Giappone (dopo la II Guerra Mondiale), dal Tibet (dopo l’invasione cinese degli anni ‘50).
Sono così giunti in Occidente anche grandi maestri di Dharma, i quali hanno insegnato e insegnano i fondamenti teorici del Buddhismo e soprattutto la pratica del Sentiero, contribuendo alla formazione di quella che alcuni già chiamano una Via Occidentale, un “Navayana” (Nuovo Veicolo) o un “Buddhayana” che superi l’antica divisione tra Mahayana e Theravada e che soprattutto si ponga in una posizione di dialogo fecondo, d’altra parte inevitabile, con le tradizioni religiose e culturali già presenti in Occidente, prima fra tutte il Cristianesimo nei suoi diversi aspetti.
Si possono ricordare in tal senso figure come Thich Nhat Hanh dal Vietnam, Taisen Deshimaru e Shunryu Suzuki dal Giappone, Thubten Yeshe, Chogyam Trungpa e Champa Gyatso dal Tibet, Hsuan Hua dalla Cina, e altri ancora.

Anche in Italia il Buddhismo sta conoscendo una interessante evoluzione. Nel 1985 è nata l’Unione Buddhista Italiana (U.B.I.), con funzione di collegamento e coordinamento dei Centri di Dharma delle diverse tradizioni che vi aderiscono, e che contano ormai un numero di praticanti che non è irrealistico stimare in circa 25/30.000. Si sta inoltre formando una generazione di insegnanti di Dharma riconosciuti. Essi sono i responsabili di Centri di pratica molto frequentati, quali ad es. la Comunità Bodhidharma di Lerici, la Comunità Merigar di Grosseto, l’Istituto Tzong Khapa di Pomaia, il Monastero Enso-Ji di Milano, il Monastero Fudenji di Salsomaggiore, il Tempio Zenshinji di Orvieto, il Monastero Santacittarama di Rieti, i Dojo Soto Zen di Torino, Roma, Fossano, l’Ass. Meditazione di Consapevolezza di Roma, la Comunità Stella del Mattino di Lodi, il Centro Rabten Ghe Pel Ling di Milano, e mille altri.

L'Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia (Pisa)
È ormai possibile dire che il Dharma non è più un mito dell’Oriente misterioso, ma è entrato a far parte della società occidentale non solo come moda, come curiosità o come facile supporto di un mero “materialismo spirituale” (vedi il New Age, vero e proprio “supermarket del sacro”). Bensì come seria speculazione filosofica e psicologica o, ancor più e meglio, per ciò che esso è, da quella notte a Bodhgaya, sotto l’albero di pipal: una autentica pratica di evoluzione spirituale, fondata su consapevolezza, compassione e non-violenza.

m. Mauro Ton Ko, dicembre 2005




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