sabato 20 ottobre 2012

UNISABAZIA 2010/11 - I Greci in India


I Greci in India: scontri e incontri

Già 1000 anni prima dell’Era Volgare, durante il regno ebraico di Salomone, i contatti tra il mondo mediterraneo e il sub-continente indiano erano relativamente frequenti e costanti.
Successivamente, dal VI secolo a.C. al V sec. d.C. è documentata la presenza in India di Greci: esploratori, soldati, mercanti, filosofi, ambasciatori… E questo sia nelle valli gangetiche dell’India del Nord sia nelle regioni meridionali dell’odierno Tamil Nadu.
Le fonti sanscrite attestano infatti che nel V sec. a.C. esistevano in India importanti colonie greche. Nei Vishnu Purana (1) è detto che “a est di Bharata [l’India] vivono i Kirata e a ovest gli Yavana”. La letteratura buddhista li chiama “Yona”. Nel Sutra di Assalayana, il Buddha stesso, nel discorso che tiene al giovane brahmana (2) Assalayana in merito alla suddivisione in caste, cita i Greci, dicendo: “Tu che pensi, Assalayano: hai sentito che tra gli Ioni ed i Kabuli ed in altri paesi stranieri vi sono due sole caste, signori e servi; e che il signore può divenire servo, ed il servo signore?”. Questo non significa che il Buddha “storico” sia entrato in contatto con i Greci, ma dimostra comunque che essi erano ben conosciuti nell’India del V - VI sec. a.C.
I termini che designano i Greci dell’India, Yona e Yavana, derivano direttamente dal nome “Ioni”, con cui venivano chiamati i Greci che abitavano le coste e le isole dell’Asia Minore (l’attuale sponda egea della Turchia).

Pitagora

Pitagora
E’ interessante osservare che era ionico, essendo nato a Samo, il filosofo Pitagora, contemporaneo del Buddha Shakyamuni, il quale poneva a fondamento della propria scuola (che era insieme filosofica, religiosa e politica) una visione del mondo molto simile a quella di diverse tradizioni indiane. Secondo Pitagora, il quale molto probabilmente, come il Buddha, come Socrate, come Cristo, non scrisse mai nulla, l’anima sopravvive dopo la morte del corpo, e trasmigra in altri corpi (metempsicosi). La catena delle trasmigrazioni cessa solo dopo la purificazione dell’anima stessa. La sua filosofia era quindi non solo una diversa visione dell’uomo e del mondo, ma piuttosto una vera e propria disciplina spirituale, basata sulla non-violenza, sulla rinuncia, su una alimentazione vegetariana, e sostenuta altresì da una comunità di persone motivate dalle stesse finalità. I suoi discepoli erano divisi, come in molte comunità spirituali indiane, tra gli “acusmatici”, cioè gli ascoltatori, e i “matematici”, coloro che erano ammessi agli insegnamenti più profondi. Pitagora era quindi molto simile ad un guru, i maestri spirituali delle tradizioni indiane. Così come gli insegnamenti erano (e sono tuttora, in certi ambiti) di ordine “essoterico”, ovvero rivolti a tutti, o “esoterico”, destinati ad una cerchia di iniziati.

Alessandro/Sikandar

Nel 334 a.C. Alessandro, figlio di Filippo II, sovrano del regno greco di Macedonia, intraprese una grande spedizione verso oriente, con l’intento di conquistare il mondo, fondando un impero insieme militare e culturale. Con lui c’erano infatti, oltre ad un esercito di 40.000 uomini, anche numerosi scienziati e filosofi.
Alessandro/Sikandar
Dopo ben sette anni di marce e battaglie, raggiunse i confini del territorio indiano, nella zona dell’attuale Kandahar (oggi in Afghanistan), forma modificata di Alessandria. Entrò poi nella valle di Kabul e in questi territori fondò insediamenti greci che, molto tempo dopo, avrebbero avuto profonda influenza nella storia dell’India. Ricevette anche la visita di un giovane rifugiato dal regno di Magadha, nel nord-ovest dell’India, vicino al regno della dinastia Shakya, che dette i natali a Siddhartha Gautama, il Buddha. Il nome del giovane era, pronunciato alla greca, Sandrokottos, ma si trattava di Chandragupta, il futuro fondatore dell’impero Maurya.
Nel 326 a.C. l’esercito greco attraversò l’Indo su un ponte di barche e giunse a Taxila, grande centro commerciale dove convivevano le tre grandi tradizioni spirituali dell’India dell’epoca: Brahmanesimo, Buddhismo, Jainismo. Lì Alessandro incontrò i “gimnosofisti” (i “sapienti nudi”): asceti di diverse scuole, che avevano rinunciato al mondo per ricercare la liberazione, monaci, yogi, śramana. Cercò di convincere uno di loro, Dandamo, a seguirlo insieme al gruppo dei filosofi greci, ma questi rifiutò dicendo al grande re: “Perché hai viaggiato tanto? Io ho tanta terra quanta ne hai tu o chiunque altro. Anche se possiedi tutti i fiumi, non puoi bere più di me. Apprendi da me questa saggezza: non desiderare nulla e tutto sarà tuo.” Alessandro non fu fermato da queste parole, ma il filosofo Pirrone, che era con lui, ne rimase certamente colpito: quando tornò in Grecia fondò infatti la scuola degli Scettici (3), nella quale si ritrovano molti punti di contatto con gli elementi della spiritualità indiana.
In realtà la spedizione di Alessandro non penetrò nell’India come la intendiamo oggi. Egli non giunse alla grande pianura del Gange, ma si fermò al Punjab, nel nord-ovest dell’attuale stato indiano. I suoi stessi soldati, ridotti a meno della metà, chiesero di non proseguire. Consapevole che non sarebbe stato possibile battere i grandi eserciti dei regni indiani, Alessandro iniziò il viaggio di ritorno. Ma non rivide più la Grecia: a causa delle ferite riportate in battaglia, o forse per un avvelenamento, morì a Babilonia nel 323 a.C., a 33 anni. Qualche tempo prima, l’asceta jaina Calano (Kalyana, cioè il virtuoso) aveva accettato di seguirlo, ma si era subito ammalato. Dopo aver rifiutato le cure dei medici greci, ritenendo che fosse meglio morire piuttosto che vivere al di fuori delle regole di condotta che egli stesso aveva scelto, salì da solo sul rogo funebre, dicendo ad Alessandro: “Ci rincontreremo a Babilonia”. E così avvenne.

Maitreya
Il tentativo di Alessandro di fondare un impero esteso fino all’India morì insieme a lui, ma la sua figura ormai leggendaria (non a caso è conosciuto come Alessandro Magno, o Alessandro il Grande) rimase viva nelle tradizioni medio-orientali e indiane, dove venne ricordato come un eroe, un semidio. E’ anzi probabile che la fama di Sikandar, come era chiamato in Oriente, abbia contribuito alla concezione del Bodhisattva (4) Maitreya, il Buddha del futuro, il quale è spesso rappresentato seduto “all’europea”, su una alta sedia, con entrambi i piedi a terra o con la caviglia destra sul ginocchio sinistro.
Ancor oggi, molti capi clan del Pakistan del Nord e del Kashmir sostengono di essere diretti discendenti di Sikandar, e i Kafir dell’Afghanistan affermano di essere di pura stirpe greca (5).
La spedizione di Alessandro diede origine nell’India settentrionale a diversi Regni ellenistici (almeno 36), che durarono fino al 10 d.C., e la cui presenza rafforzò ulteriormente il rapporto e lo scambio linguistico, religioso, filosofico, scientifico, tra i due mondi. Ne derivò una forma di cultura indo-greca la cui influenza è visibile ancora oggi.

Menandro/Milinda


Il più famoso dei re indo-greci fu senza dubbio Menandro I, il quale regnò su un vasto territorio dell’attuale Punjab verso la metà del II sec. a.C.
Oltre che dagli storici greci, è ricordato anche nella letteratura buddhista con il nome di Milinda, che ricorre già nel titolo di un fondamentale testo del buddhismo più antico, redatto forse in sanscrito e poi in pali, il Milindapaňha, ovvero Le domande di Milinda. Si tratta di una serie di dialoghi, divisi in 7 libri, paragonabili ai dialoghi socratici/platonici, tra il re Menandro/Milinda e il monaco buddhista Nagasena. Nell’opera vengono toccati un po’ tutti gli argomenti degli insegnamenti del Buddha, con il probabile scopo di creare un testo utile alla diffusione del buddhismo, fors’anche nella stessa Grecia. Alla fine del VII libro dell’opera si legge che Milinda, dopo i lunghi colloqui con Nagasena, “cessò dall’aver dubbio alcuno nelle Tre Gemme”(6), “divenne pieno di fiducia e libero di brame e tutto il suo orgoglio e presunzione lasciarono il suo cuore” e si dedicò ad una sincera pratica del Dharma del Buddha. Lasciò il regno al figlio e “abbandonando la vita sotto un tetto per una condizione senza tetto, divenne grande in introspezione e raggiunse lo stato di arhat”(7). Non è possibile stabilire se la conversione di Menandro sia un fatto storico, ma è certo che il testo dimostra il profondo interesse del re greco, forse anche dettato da un calcolo politico, per le tradizioni religiose dei suoi sudditi indiani.
Le influenze reciprocamente esercitate dalle culture greca e indiana nei sei secoli prima dell’Era Volgare sono documentate in vari campi. Si sono visti esempi negli ambiti filosofici e spirituali. In campo artistico, è probabile che l’influsso ellenistico abbia contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell’arte buddhista (per quanto questa definizione possa valere). Alle origini, il Buddha non venne mai raffigurato: sarebbe stato un condizionamento, una riduzione dell’essenza del suo insegnamento, la vacuità, e quindi il non-dicibile, a ciò che è visibile, ad un mero concetto, ad una nozione rappresentabile. La presenza del Buddha nelle opere d’arte era solo suggerita da simboli: un seggio vuoto, un ombrello regale, un reliquiario… Sotto l’influenza dei canoni dell’estetica greca, vennero invece create le prime raffigurazioni antropomorfiche del Buddha, soprattutto nella postura in piedi. Osservandole ancora oggi, non è possibile non andare col pensiero alle immagini classiche delle divinità greche, soprattutto alle figure apollinee con i fini drappeggi dei manti.

Eracle/Vajrapani
Eracle/Vajrapani protegge il Buddha
Un interessante caso di fusione tra elementi delle due culture è quello, attestato anche in un famoso bassorilievo, tra la figura del semidio greco (e poi romano) Eracle e il bodhisattva Vajrapani, “colui che tiene il vajra” (8), uno dei protettori del Buddha, di cui rappresenta la potenza.Nel bassorilievo, Vajrapani è raffigurato nudo, muscoloso, con le tipiche fattezze di Eracle. Ed il vajra nelle sue mani diviene un tozzo bastone, che rinvia alla famosa clava del semidio greco.
Secondo certe tradizioni, infatti, Eracle si era recato in India, dove aveva avuto molti figli maschi ed una figlia, Pandea. Ne parla lo scrittore Lucio Flavio Arriano (nato nel 95 d.C.) nella sua opera India (Indiké), dove dice che la popolazione indiana dei Sibi sosteneva di discendere dai soldati superstiti della spedizione di Eracle, ed infatti la loro tipica arma era la clava. In India Eracle scoprì anche un nuovo ornamento, la margherita marina, ovvero l’ostrica perlifera, la cui pesca è ancora oggi fiorente lungo le coste indiane.

Dioniso/Śiva

Come Eracle, anche il dio Dioniso si dice abbia compiuto, prima di Alessandro, una spedizione in India, della quale parla Arriano. Ivi egli fondò città e diede loro delle leggi; fece dono agli Indiani del vino, come aveva fatto con i Greci; insegnò a seminare e ad arare la terra con i buoi.
Dioniso
  “Insegnò loro a venerare diversi dèi e in particolare lui stesso suonando cembali e timpani; fece loro imparare la danza dei Satiri”, il kordax (9); mostrò come farsi crescere i capelli in onore della divinità…
Dioniso (Bacco per i Romani, ma anche Liber Pater) era il dio al centro del culto chiamato Orfismo (da Orfeo, sacerdote del culto stesso). Non era una divinità originaria della Grecia, bensì della Tracia (tra le attuali Grecia, Bulgaria e Turchia Europea). Era quindi estraneo al pantheon dell’aristocrazia greca, ma molto più vicino alle classi popolari, e alla loro spinta democratica e libertaria.
Caratteristica centrale dell’Orfismo è la concezione della necessità per l’uomo di trasmigrare da un corpo ad un altro (non necessariamente umano), fino a raggiungere la perfezione spirituale. Il corpo è una sorta di prigione in cui l’anima è racchiusa a causa delle sue colpe, ma è anche ciò che le permette di evolversi. La via della salvezza non consiste in una astratta contemplazione del divino, ma negli slanci frenetici, fisici e spirituali, che preparano l’unione effettiva col dio. L’Orfismo ha addolcito gli aspetti più estremi di altre forme del culto dionisiaco, ha sostituito le danze orgiastiche (il kordax), l’uso rituale del vino e della carne, con offerte vegetali e di incenso, e con danze e canti liturgici.
Ma tutti questi aspetti, più o meno estremi, del culto dionisiaco (che sono anche alla base delle concezioni pitagoriche), hanno permesso ad alcuni studiosi di collegare la figura di Dioniso a quella del dio indiano Śiva e al culto śivaita, fino a far parlare di Dioniso come di uno Śiva occidentale.
Shiva/Pashupati
Sono déi accomunati da infiniti elementi: le sembianze fisiche, i capelli lunghi, l’abbigliamento “selvaggio” o la stessa nudità, l’uso rituale di sostanze inebrianti, il vino o il soma (10), e di carni; l’utilizzo di strumenti musicali, soprattutto a percussione, per raggiungere stati di trance mistica; e, non ultima, una sessualità vissuta con finalità di ordine spirituale, argomento che necessiterebbe di una trattazione a se stante. Dioniso e Śiva rappresentano le energie naturali, sono déi della natura: mostrano all’uomo i metodi per conoscere se stesso (Śiva è il Signore dello Yoga) e per comunicare con tutti gli esseri viventi: gli animali, anche i più feroci, ascoltavano rapiti e pacificati la musica del sacerdote dionisiaco Orfeo, e Śiva è anche Paśupati, Signore degli animali.
Dioniso, si è detto, ha insegnato agli Indiani la danza sacra dei Satiri che porta all’unione col dio. E Śiva è anche Nataraja, il Signore della danza, manifestazione dell’energia ritmica primordiale da cui Tutto ha origine.

Molti secoli dopo, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) scriverà: “Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare”.

Testi e siti Internet citati e /o consultati

Danielou, Storia dell’India, Ed. Ubaldini
Danielou, Śiva e Dioniso, Ed. Ubaldini
Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini
Batchelor, Il risveglio dell’Occidente, Ed. Ubaldini
Abbagnano, Storia della filosofia, Ed. UTET
Severino (a cura di), Filosofia, Ed. Curcio
Kipling, L’uomo che volle essere re, Ed. Sellerio
Cornu, Dizionario del Buddhismo, Ed. Bruno Mondadori
Cagnola (a cura di), Dialoghi del Re Milinda, Ed. Phoenix (3 voll.)
Arriano, L’India, Ed. BUR
Omodeo Salè, Breve storia dell’arte indiana, Ed. Martello
Grant – Hazel, Dizionario della mitologia classica, Ed.SugarCo

http://www.canonepali.net/mn/mn_93.htm (voce: Assalayana Sutta)

http://it.wikipedia.org (voci: Vajrapani, Orfismo, Dioniso, Regno indo-greco, Alessandro)

Note
1) I Purana sono antichissime raccolte di testi della letteratura indiana successiva ai Veda. In essi sono trattati argomenti quali la creazione e la distruzione degli universi, le genealogie divine, le storie delle dinastie regali, le arti militari, la medicina, la geografia.. I Purana sono divisi in varie categorie: Brahma P., Visnu P., Garuda P., Shiva P. ecc. – Ebbero la funzione di far pervenire gli insegnamenti anche alle categorie sociali “inferiori” e alle donne.
2) Appartenente alla prima delle quattro caste tradizionali, quella sacerdotale (della quale possono far parte anche laici che svolgono attività non sacerdotali).
3) Dal greco skepsis, che significa critica, investigazione, ed anche dubbio, però in senso positivo, il dubbio che non blocca, ma spinge alla ricerca.
4) Il bodhisattva (= “essere dell’Illuminazione”) è colui che rinuncia per la sua grande compassione ad entrare nel nirvana, al fine di aiutare tutti gli esseri a raggiungere con lui il Risveglio.
5) A queste tradizioni, che si è visto essere solo in parte leggendarie, si ispirò Rudyard Kipling per il suo romanzo breve “L’uomo che volle essere re” del 1888, da cui John Huston trasse il film “L’uomo che volle farsi re” (1975) con Sean Connery e Michael Caine.
6) Il Buddha, il Dharma (gli insegnamenti), il Sangha (la comunità dei praticanti).
7) Colui che, emancipato da tutte le contaminazioni delle passioni, alla morte entra nel nirvana, liberato dall’esistenza ciclica, il samsara. La via dell’arhat si distingue da quella del bodhisattva per la compassione di quest’ultimo, che dedica agli altri esseri la propria pratica.
8) Il vajra (= “fulmine”, o “diamante”) rappresenta i mezzi abili, ed è accompagnato dalla campana, simbolo della vacuità. Il buddhismo tantrico è detto anche Vajrayana, la Via del vajra.
9) I Satiri erano geni dei monti e dei boschi, che accompagnavano le Ménadi, le seguaci di Dioniso, nelle feste. Rappresentavano gli aspetti più licenziosi del comportamento umano, e vennero raffigurati anche con zampe di cavallo, code e piccole corna sulla fronte.
10) Soma è il nome di una pianta (non meglio identificata) e del suo succo, utilizzato ritualmente come inebriante o forse come vero e proprio allucinogeno durante alcuni tipi di cerimonie.


m. mauro ton ko, ottobre 2010

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