martedì 2 ottobre 2012

UNISABAZIA 2005/06 - 6 - Il karma

Il Karma: destino o responsabilità ?


Tutto ha un effetto

Come più volte affermato, scopo di questi incontri non è tanto l’accumulare nozioni sul buddhismo, quanto “sgombrare il campo” da stereotipi, pregiudizi, errate informazioni che spesso vengono fornite dai media. A causa delle quali, il buddhismo diviene una “filosofia del pessimismo”, o il Dalai Lama è presentato come “il Papa dei buddhisti”, o la meditazione è la ricerca del “vuoto mentale”. Oppure si legge di “manager-zen”, di “acqua-zen”, di “yoga-sport” ecc.
C’è poi un tema, in particolare, su cui si sbizzarriscono gli “esperti” della TV e di certa carta stampata, e da cui hanno attinto a piene mani sedicenti “vie spirituali” nate in Occidente negli ultimi due secoli, fino al New Age (ora si parla di Next Age).

È il tema del karma, a proposito del quale J. Brosse, noto scrittore e monaco Zen dice: “Questa parola è entrata nel linguaggio corrente; la si usa in tutte le salse, spesso con un significato che non è quello corretto. Temo sempre il momento in cui in un ‘mondo’ (= sessione di domande e risposte) qualcuno chiederà: Che cosa è il karma?” (in: “Zen e Occidente”).
Può quindi essere utile, proprio per l’esigenza di chiarezza sopra menzionata, ritornare sull’argomento “karma”, già toccato in precedenza (in effetti, è un tema fondamentale in tutte le scuole buddhiste, insieme a quelli dell’impermanenza, del non-sé, della sofferenza, del Risveglio).

La radice del termine sanscrito karma (o karman) è KR-. Da essa derivano parole egualmente sanscrite come kriya (= azione, molto importante nella tradizione Yoga), o latine e poi italiane, come “creare”, “creazione” ecc..
E’ quindi evidente che il significato di karma è legato al fare, all’agire umano. Il senso che spesso in Occidente gli viene attribuito, quello di “destino” più o meno ineluttabile, di “predestinazione”, è dunque erroneo e fuorviante. Karma è l’azione del corpo, della parola, della mente. Ma ogni azione genera necessariamente delle conseguenze, vicine o lontane nel tempo e nello spazio, in quanto in una prospettiva buddhista (e non solo) ogni fenomeno non ha una esistenza autonoma, ma è interdipendente da tutti gli altri fenomeni (il fenomeno “foglio di carta” che abbiamo tra le mani è intimamente e indissolubilmente legato ai fenomeni “cellulosa”, “albero”, “acqua”, “terra”, “seme”, “sole”, “luce”, “uomo”… all’infinito). Per karma si intende quindi l’insieme delle azioni e dei loro effetti, e la legge di causalità che ne regola il dispiegarsi.
Nel suo “Dizionario buddhista” C. Humphreys, studioso e praticante inglese, lo definisce proprio come “legge della causa ed effetto” che “applicata alla sfera morale è la legge della causazione etica, attraverso cui l’uomo raccoglie ciò che semina, costruisce il suo carattere, crea il suo destino e ottiene la sua liberazione”. Il senso del karma è dunque legato alle scelte morali, lo stesso Buddha disse: “Monaci, ciò che io chiamo karma è la scelta. Avendo scelto, ciascuno agisce con il corpo, la parola o la mente”. Le azioni morali, evidenzia D. Keown, hanno conseguenze “transitive”, visibili negli effetti che ricadono sugli altri, e “intrasitive”, osservabili “nelle conseguenze delle azioni morali su chi le ha commesse” (in: “Buddhismo”).
Si dice nel buddhismo che la maturazione del karma è al di là di ogni comprensione, intendendo cioè che la legge del karma è estremamente profonda e complessa, e che non può essere pienamente compresa dalla mente ordinaria, dualista e concettuale. Ma è comunque possibile osservarne alcuni fattori, sulla base degli insegnamenti dei maestri del passato (ad es. nel “Lamrim”, il “Sentiero Graduale”, sistema di pratica centrale della scuola Gelugpa del buddhismo tibetano, ove fu introdotto da Lama Tsong Khapa nel XIV sec.).
 
Lama Tzong Khapa
 Per prima cosa, il karma può essere definito come “intenzione”, come una forza che permette alla mente di dirigersi verso il proprio oggetto, in un movimento continuo, ininterrotto.
Inoltre, è da dire che ogni intenzione è sì momentanea, ma quando svanisce può lasciare una traccia, una “impronta karmica”, una specie di “seme” nella mente. Questa traccia si aggiunge alle altre, lasciate nel passato, e si costituisce così un gruppo di tendenze che indirizzano le scelte future e che creano schemi di pensiero e di azione (le formazioni karmiche).
In base alle circostanze, l’impronta produrrà ad un certo momento il suo risultato, di quella stessa natura, che sarà sperimentato dal portatore del karma. Scrive Philippe Cornu, autore di un fondamentale “Dizionario del Buddhismo”: “Tutti i piaceri e la felicità che proviamo in questa vita sono dunque i risultati delle azioni virtuose accumulate in passato, così come ogni attuale sofferenza è il frutto di azioni negative compiute in precedenza”.
“Questo processo può essere paragonato al lavoro di un vasaio che plasma l’argilla fino a ottenere una forma finita: l’argilla molle è il nostro carattere e noi, quando operiamo una scelta morale, plasmiamo con le nostre mani la nostra natura in senso positivo o negativo” (D. Keown, in: “Buddhismo”).
Ma non tutto ciò che accade ad un individuo è determinato dal karma.
Su questo punto l’insegnamento del Buddha è molto chiaro. In un antico testo del canone Pali, il Sivaka Sutra, il Buddha dice che coloro che affermano che “tutte le sensazioni piacevoli, dolorose o neutre provate da questo o quell’individuo dipendono dal karma che egli ha creato nel passato, vanno troppo lontano rispetto a ciò che si può conoscere attraverso l’esperienza” e quindi sono in errore. In realtà, afferma il Buddha, vi sono otto cause possibili che provocano tali sensazioni: bile, flegma, circolazione dei soffi, combinazioni di umori, cambiamenti del tempo, avversità, acute sofferenze ed infine la maturazione del karma. Accanto alla legge del karma operano quindi, e l’esperienza stessa lo dimostra, leggi biologiche, leggi fisiche, leggi psicologiche…
Se si seguono le linee guida della meditazione sul karma insegnata nel Lamrim, si osservano quattro caratteristiche essenziali del karma stesso:

1) il karma è certo, è determinato: la natura del risultato è identica alla natura dell’intenzione (come la natura di una pianta è identica alla natura del suo seme);
2) il karma cresce: da una piccola azione positiva (o negativa) possono originarsi molteplici risultati positivi (o negativi);
3) un karma non creato non può dar luogo alla sperimentazione del suo effetto;
4) un karma compiuto non scompare nel tempo, a meno che non venga purificato (se negativo) da una pratica idonea.

Si parla di karma positivo, negativo o neutro in relazione alle intenzioni che presiedono alle azioni compiute, positive, negative o neutre. Tale carattere non è però dettato “da principi morali arbitrari, ma dalle implicazioni delle azioni stesse. Il criterio è insito nella motivazione dell’agente, unitamente alla sofferenza o al bene che l’azione cagiona al suo oggetto” (Cornu, “Dizionario del Buddhismo”). Tenendo conto altresì della distinzione operabile in certe situazioni tra l’intenzione e l’azione stessa.

Per karma compiuto si intende invece un karma che abbia completato le quattro fasi del suo percorso, ovvero:
1) la base, cioè l’essere senziente che permette il compiersi del percorso (ad es.: per la caccia, è la selvaggina)
2) il pensiero, nei suoi 3 elementi:
   a) identificazione della base (nell’es.: riconoscere la selvaggina)
   b) motivazione (desiderio cosciente di compiere l’azione, es. di cacciare)
   c) fattore mentale coinvolto (virtuoso, oppure passione oscurante, nell’es.: il desiderio di       mangiare la carne della preda)
3) l’azione (nell’es.: prendere la mira, sparare)
4) la conclusione (nell’es.: la morte della preda).
Tralasciando in questa sede tutte le altre dettagliate analisi della legge karmica proposte nel Lamrim (e oggetto di meditazione per i praticanti di quelle tradizioni), un punto importante e certamente problematico da considerare è quello del nesso, della continuità tra la persona che compie l’azione e quella che ne sperimenta l’effetto karmico (“intransitivo”). E’ il tema, per usare un termine molto accattivante, della rinascita: chi, o che cosa, rinasce?
Le varie scuole hanno proposto tesi diverse, che tengono sempre conto del fatto che dal punto di vista buddhista non esiste un “sé” individuale autonomo e permanente (anima, atman…) che passa di vita in vita, di corpo in corpo.
Ma ogni risposta, per quanto possa sembrare logica, coerente, esaustiva, è assolutamente provvisoria, approssimativa, ed anzi talvolta rischia di corrispondere solo al desiderio – del tutto umano – di immaginare cosa avverrà dopo la morte; oppure è il frutto dell’attaccamento ad un ego che, fatto uscire dalla porta, tenta di rientrare, sotto altra veste concettuale, dalla finestra.
Ogni risposta, in realtà, rinvia solo ad altre domande, all’infinito, e la vera soluzione potrà trovarsi solo nel e dal Risveglio…

Anche le scuole Zen accettano, pur senza entrare nelle dettagliate analisi del Lamrim, le teorie della trasmigrazione e delle rinascite. Durante la pratica di zazen, ciò che si può osservare è proprio la trasmigrazione: “possiamo andare da uno stato infernale di dolore e di ribellione a uno stato di pace prossimo alla beatitudine, prima di venire ripresi da desideri o da preoccupazioni familiari o finanziarie” (R. Yuno Rech, “Monaco zen in occidente”).
Nello Zen la legge del karma riveste una grande importanza. “La nozione del karma - scrive ancora il M° Yuno Rech – permette di accettare meglio quello che ci capita”, in quanto il mondo non è più visto come il luogo in cui tutto accade per caso. Considerando il karma in rapporto alla propria vita, invece, si diviene pienamente e consapevolmente responsabili delle proprie azioni.
Se correttamente inteso, il karma non può quindi divenire un alibi per l’egocentrismo, o per giustificare la passività o la rassegnazione, o il desiderio di un supplemento di esistenza. E’ invece una vera e propria, severa, impegnativa, etica della responsabilità (nei confronti di se stessi e di tutto ciò che esiste) e della libertà (che non è arbitrio, ma consapevolezza).
“Se crediamo al caso non c’è gran che da fare, ma se vediamo che tutto quello che ci capita è il risultato dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle azioni passate, persino di quelle di un passato molto lontano, prenderemo coscienza che tutto ha un effetto” (R. Yuno Rech).
In definitiva, il karma è soprattutto una nozione di grande utilità, in quanto “rende vana la credenza in una personalità autonoma” (J. Brosse, “Zen e Occidente”). Il karma non è determinismo, non è condizionamento alla nostra libertà di scelta, anzi ne può essere il fondamento.

m.Mauro Ton Ko, febbraio 2006

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