martedì 2 ottobre 2012

UNISABAZIA 2005/06 - 7 - La guerra

Lo sguardo del Buddha di fronte alla guerra.

Più cerchi di sottomettere i nemici esterni, più numerosi diventeranno:
se invece disciplini la tua mente non avrai più neanche un nemico.

(Milarepa)

Lo Zen e la II Guerra Mondiale

Gli insegnamenti del Buddha non costituiscono un corpus dottrinario, all’interno del quale cercare le risposte definitive alle più svariate domande. Il buddhismo non vuole prendere posizione su argomenti di carattere generale, essendo essenzialmente una disciplina che affronta un problema pratico, la sofferenza degli esseri senzienti.
Non esiste pertanto una “dottrina” buddhista sulla guerra. Si può anzi dire che non ve ne sia bisogno, tanto è evidente l’importanza, nel Sentiero buddhista, della compassione (karuna), dell’amichevolezza (maitry), della non-violenza attiva (ahimsa) – non come astratti principi filosofici, ma come concreto stile di vita.
Il Buddha Shakyamuni nel corso della sua vita diede insegnamenti a monaci e laici, asceti e prostitute, briganti e ricchi proprietari. E non rifiutò di rispondere alle domande di re, come Bimbisara del Magadha, di prìncipi, come i Licchavi, di militari, come il generale Siha. Con essi parlò di politica, di potere, di guerra. Talvolta intervenne di persona, come nel caso della disputa tra due popoli per l’uso delle acque del fiume Rohini.
Quando parlò di guerra, lo fece dal punto di vista della sofferenza degli esseri senzienti, e non con i sottili distinguo della politica e della teologia tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, sante e no. Ne parlò con grande semplicità, senza “se” e senza “ma”, come poi fecero Cristo, Gandhi, Aldo Capitini, Thich Nhat Hanh, S.S. il Dalai Lama.


Il Mahatma Gandhi

Per quattro motivi, fondamentalmente, il buddhismo rifiuta in maniera del tutto naturale la guerra, tutti molto concreti:

a) genera l’uccisione di ogni forma di esseri senzienti (non si parla mai dello sterminio degli animali nel corso delle guerre)
b) nasce dall’odio e genera nuovo odio. E l’odio, l’avversione, è una delle radici della sofferenza (con l’attaccamento e l’ignoranza)
c) provoca turbamento e intolleranza
d) tutto ciò per cui gli uomini combattono (ideali, religione, patria, razza, ricchezza, territori..) è impermanente, privo di sostanza, illusorio.

Propongo qui di seguito alcuni passi dei testi del Canone che affrontano l’argomento della guerra.

Nel primo, il Sangama Sutra, il Buddha ascolta dai monaci il racconto di una guerra in cui il re Ajatasatru aveva sconfitto Pasenadi, re del Kosala. Il Buddha afferma che il quel momento Pasenadi sta provando grande dolore per la sconfitta, e dice: “Genera odio il vincitore, prova dolore lo sconfitto; colui che ha rinunciato alla vittoria e alla sconfitta dimora calmo nella gioia”.
In una seconda battaglia, il re Pasenadi sconfigge Ajatasatru, prima vittorioso, lo imprigiona ma poi lo grazia. E il Buddha così commenta: “Depreda l’uomo finchè gli fa comodo, e quando altri lo depredano egli, depredato, depreda a sua volta. Così pensa lo stolto finchè il male non lo raggiunge; ma quando il male lo raggiunge, allora lo stolto prova dolore. All’uccisore tocca un uccisore, al vincitore un vincitore, all’offensore un offensore, all’astioso un astioso. Per il volgere del karma il depredato depreda”.


In un’altra occasione, narrata nel Pabbatupama Sutra, il re Pasenadi dice al Buddha di essere molto impegnato “in quelli che sono i compiti dei re, dei guerrieri incoronati ebbri di potere, posseduti dalla brama dei godimenti”. E il Buddha gli chiede: che cosa si dovrebbe fare se un uomo giungesse da est, uno da ovest, e da nord, e da sud, e annunciassero che quattro grandi valanghe stanno annientando tutti gli esseri? Di fronte a ciò, risponde il re, si potrebbe solo avere un comportamento “conforme al Dharma, un retto comportamento, un retto operare, un operare meritorio”. Queste valanghe, chiarisce il Buddha, sono invecchiamento e morte: “Come una roccia di una grande montagna che tocca il cielo precipita in forma di valanga da tutti i lati, travolgendo la pianura nelle quattro direzioni, così arrivano la vecchiaia e la morte, annientando tutti gli esseri senza distinzione. Nobili, sacerdoti, commercianti, fuori-casta, nessuno può sfuggire o tenerle a bada. Il pericolo imminente seppellisce ogni essere. Dunque non c’è posto né profitto per la guerra. La vittoria non può essere conseguita con l’uso degli elefanti, né dei cavalli, né dei carri, né dei fanti, né delle preghiere, né del denaro. Piuttosto il saggio miri alla salvezza, abbia fiducia nel Buddha, nel Dharma e nel Samgha. Colui che vive rettamente nel corpo, nella parola e nella mente è lodato in questa vita e trova la felicità autentica nelle vita prossima”.

Nell’Attadanda Sutra il Buddha dispiega il suo sguardo compassionevole sull’umanità in conflitto: “Quando la si coltiva, la pianta della violenza genera paura e sofferenza. Guardate gli uomini che lottano tra loro. Vi parlerò ora del turbamento che ho provato osservando gli uomini dibattersi come pesci in una piccola pozza, in competizione gli uni con gli altri. Non vedendo altro che conflitti, ho provato grande dolore. Ma è allora che scorsi una freccia conficcata qui, nel cuore, difficile da vedere. Oppresso da questa freccia, l’uomo corre da ogni parte. Ma se semplicemente la si estrae, allora non si corre più, non si cade più”.

Nel Dhammapada, infine, gli insegnamenti del Buddha sulla violenza trovano la loro più alta sintesi: “Mai, invero, si placano quaggiù gli odii con l’odiare: col non-odiare si placano. Questa è legge eterna” (I,5). “Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui è il migliore dei vincitori di ogni battaglia” (VIII,103). “La vittoria alimenta inimicizia, perché chi è vinto giace dolente. Chi ha abbandonato vittoria e sconfitta, costui ristà tranquillo e felice” (XV,201).


Praticare la Via, l’11 settembre 2001
 
11 settembre 2001

Un maestro del passato ha detto: in un solo zazen è compreso tutto l’universo. Seduti in zazen in armonia con se stessi, non vi è più nulla di oggettivo né di soggettivo… Né Americani né Islamici che si affrontano, né paradiso o inferno, né profitto o perdita… La maggior parte delle persone vuole afferrarsi ad una forma fissa, vi si attacca credendo di poter controllare tutto. Cercano la sicurezza nella permanenza, nella materia… non vedono che tutto è impermanente, effimero e mutevole. La prova della fragilità e della vulnerabilità di questa concezione della vita è che con un coltellino tascabile si può scuotere il mondo intero e l’illusoria sicurezza della nostra società…
Il progresso, la ricchezza, i grattacieli, gli aerei, i coltellini, tutto dipende dallo spirito, da come viviamo la vita. Per questo è importante la pratica, continuare, ripetere l’azione buona, l’azione che proviene dallo spirito di Buddha e che conduce allo spirito di Buddha. Solo questo spirito può liberare gli uomini dalla sofferenza e condurli ad una pace autentica. Non si può essere felici da soli, né a discapito degli altri.

(Michel Bovay, Dojo Zen di Zurigo)

Shujo muhen seigan do: per quanto numerosi siano gli esseri, faccio voto di salvarli tutti [è il primo dei quattro voti del Bodhisattva]. Questo significa nessuna separazione, nessun dualismo. Il Buddha ed io, in unità. In questo momento, tuttavia, si sente ovunque, in tutti i media, solo una insopportabile ignoranza: assistiamo ad una propaganda che oppone una parte ad un’altra… Si vuole sempre la separazione. Oggi, è stata dichiarata la guerra… Questa mentalità non è la via della saggezza, ma quella della suprema ignoranza. Se al contrario noi riusciamo a capire, nelle nostra vita personale e collettiva… la retribuzione karmica dovuta alle nostre azioni precedenti, noi possiamo dimorare nella pace privi di amarezza di fronte a qualsiasi evento.

(Philippe Coupey, Ass. Zen Internazionale)

Per capire [come degli uomini possano fare cose simili] basta guardare in se stessi, fare luce sulle proprie illusioni. Zazen permette di far questo. Illuminare le proprie illusioni, non respingerle, ma cessare di identificarsi con esse…
Il peggio è in ognuno e Buddha è ugualmente in ognuno. Il demone è in ognuno, Buddha è in ognuno. E lo sguardo del Buddha sublima le illusioni, i veleni.

(Gérard Pilet, Dojo Zen di Parigi)

Il terrore è nel cuore dell’uomo. Noi dobbiamo estirparlo.
Dobbiamo evitare la distruzione del cuore, fisico e psicologico. La radice del terrorismo deve essere trovata per essere eliminata.
Ma non può essere localizzata dai militari. Le bombe e i missili non possono raggiungerla, ancor meno distruggerla…
Quelli tra noi che possiedono una luce devono diffonderla e offrirla agli altri perché il mondo non cada nel buio totale…
Noi dobbiamo essere certi che il modo in cui viviamo quotidianamente (praticando o meno un consumo consapevole, operando o meno delle discriminazioni, partecipando o meno alle ingiustizie) non crei ulteriore terrorismo nel mondo. Abbiamo bisogno di un risveglio collettivo per fermare la corsa all’autodistruzione.

(Thich Nhat Hanh)

Vi sono due risposte possibili a ciò che è accaduto. Una ha la sua origine nell’amore, l’altra nella paura. Ispirati dalla paura rischiamo il panico, individualmente e collettivamente, e i nostri atti provocheranno altre sofferenze. Ispirati dall’amore, troveremo la sicurezza e la forza, offrendole anche agli altri… Noi decidiamo oggi ciò che sarà domani. Oggi. In questo stesso istante. Non cerchiamo di condannare i malvagi, condanniamo le cause. Sciupando questa occasione di cercare le cause, riprodurremo gli effetti che sono scaturiti da tali cause…
Per noi le cause sono chiare. Non abbiamo imparato le più elementari lezioni della vita. Non abbiamo compreso la saggezza spirituale di base…
Il messaggio che troviamo in tutte le sorgenti di verità è chiaro: noi tutti siamo una sola cosa, un’unità. Dimenticare questa verità è la sola causa dell’odio e delle guerre, ed ora dobbiamo ricordarci dell’amore, in ogni istante. Se potessimo amare anche coloro che ci hanno aggredito, cercando di capire perché l’hanno fatto, come reagiremmo? Ma se noi rispondiamo con la distruzione alla distruzione, alla rabbia con la rabbia, all’attacco con l’attacco, quale sarà il risultato?..
Che cosa devo fare per conservare la bellezza e lo splendore del mondo, per eliminare la collera e l’odio causati dall’ingiustizia, nella parte di mondo che io posso influenzare?
Per favore, cercate oggi la risposta a questa domanda con tutta la ricchezza che è in voi…
Se tu desideri godere della pace, offri la pace all’altro.
Se desideri la sicurezza del rifugio, offri all’altro la sicurezza del rifugio.
Se aspiri a capire cose apparentemente incomprensibili, aiuta l’altro a meglio capire.
Se vuoi guarire la tua tristezza e la tua collera, guarisci la tristezza e la collera dell’altro.
Gli altri ti aspettano proprio ora. Si volgono a te per essere guidati, aiutati, incoraggiati, fortificati, illuminati, rassicurati. E prima di tutto, guardano a te per ricevere amore.
La mia religione è molto semplice. La mia religione è la bontà.

(S.S. Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)

Normalmente, vogliamo evitare ad ogni costo la parola perdita. Siamo condizionati a cercare solo il guadagno, il benessere, la soddisfazione di tutti i desideri. Anche se capiamo intellettualmente che nella vita la perdita è il fango nel quale il fiordiloto può dischiudersi, quando essa si manifesta la maggior parte delle persone crede che la perdita sia l’opposto del guadagno… La parola perdita rimanda alla morte e a tutto ciò di cui generalmente non si vuol parlare. Implica lo scacco, l’impermanenza. Si tratta di sofferenza, paura, abbandono, rinuncia; tutte cose che riteniamo negative, ma che in realtà arricchiscono per molti di noi le nostre motivazioni alla pratica…
Cosa perdiamo? Il nostro egocentrismo, l’attaccamento al sé, le nostre idee, i nostri condizionamenti… quando avremo imparato come veramente perdere, allora sapremo come essere veramente vivi…
Una monaca era scivolata in un dirupo. Era riuscita ad aggrapparsi ad una ramo e vi restava appesa, con la sensazione di essere sospesa nel vuoto. Chiamò aiuto, ed uno dei suoi maestri che passava di lì con altri studenti la udì e le disse: Basta che ti lasci andare! Lasciati cadere, ora, senza esitare! – Quando ella lasciò la presa, realizzò che in realtà fin dall’inizio era appoggiata al suolo!
La notte muore nel giorno,
il giorno muore nella notte.
L’esalazione è intima con la perdita,
inspirando io mi rinnovo.
(Jakusho Kwong - Sonoma Mountain Zen Center)

m. Mauro Ton Ko, febbraio 2006

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