Oltre quarant’anni or sono uscì, per i tipi delle Edizioni “Buddhismo
Scientifico”, il volume Etica buddhista ed etica cristiana, ovvero una
traduzione diretta dalla lingua Pali del fondamentale testo buddhista noto come
Dhammapada.
Il curatore dell’opera, il Dott. Ing. Luigi Martinelli, fondatore della
Associazione Buddhista Italiana in Firenze, fu autore della traduzione, dei
commenti ad ogni singolo capitolo nonché dell’Introduzione, che desideriamo qui
proporre alla lettura e alla riflessione.
Come già evidente nel titolo del volumetto, ormai introvabile nelle
librerie, è centrale nell’opera il confronto costante tra gli insegnamenti
dell’etica buddhista e quelli dell’etica cristiano-occidentale, un confronto
che rimane sempre equanime, imparziale e preciso, che non vuole “far apparire
cose diverse come uguali o cose uguali come diverse”.
Introduzione a: Etica buddhista ed etica cristiana, di Luigi Martinelli
""Il Dhammapada è un testo del Canone Pali Buddhista appartenente al
secondo Cesto della Tipitaka, cioè al gruppo dei discorsi o insegnamenti del
Buddha o Nikaya. Detto gruppo si suddivide in diversi sottogruppi. Si hanno
così i «34 discorsi lunghi» o Digha Nikaya, i «152 discorsi medi» o Majjhima
Nikaya, i «Discorsi raggruppati» o Samyutta Nikaya, i «Discorsi ordinati» o
Anguttara Nikaya e infine una miscellanea di «Discorsi minori» o Kud-dhaka
Nikaya. A quest'ultimo sottogruppo di opere minori appartengono alcuni dei
testi più noti e più antichi del Canone Buddhista. Tra questi sono da
considerare il Dhammapada, di cui presentiamo una traduzione, il Suttanipata,
l'Udana, l'Ittivuttaka, il Theraghata e il Therighata, opere che contengono
espressioni di eccezionale profondità e bellezza.
Il Dhammapada, insieme al
corrispondente testo sanscrito Udanavarga, viene considerato come un testo
basico da tutte le scuole Buddhiste per il suo contenuto etico che interessa
tutti i campi della vita umana.
Nei suoi 26 Capitoli troviamo indicata, a linee più o meno estese, tutta
la Dottrina Buddhista nelle sue peculiari caratteristiche. Del resto la stessa
denominazione Dhammapada dalle parole Pali Dhamma (Dottrina) e pada (piede o basico elemento)
indica il suo contenuto che si potrebbe propriamente tradurre in «Basici Elementi della Dottrina».
Del Dhammapada sono state fatte una grande quantità di traduzioni
dall'originale lingua Pali in tutte le lingue, compresa quella italiana, tra
cui ricordiamo le traduzioni del Frola e del Pavolini (attualmente tutte e due
fuori stampa).
Essendo il Dhammapada il libro del Canone Buddhista che espone tutti gli
elementi della Dottrina, in modo succinto, ma attraente, e adattato alla vita
pratica, abbiamo ritenuto necessario provvedere ad una nuova traduzione del
testo originale, che, tenuto conto delle traduzioni già esistenti,
specialmente in lingua inglese, si attenesse strettamente al testo Pali
conservandone lo spirito, affinché il lettore principiante, al quale il libro
è principalmente destinato, possa, in modo inconfondibile, comprenderlo nel
suo vero significato, senza essere tentato di cercarne delle inutili
interpretazioni nascoste tra le righe, cosa che lo stesso Buddha ha sempre
ripudiato.
A questo punto è sorta in noi la visione della necessità di corredare
questa nuova traduzione con un commento adatto al lettore occidentale, non per
spiegare il significato del testo che risulta quasi sempre ben chiaro, ma per
orientare il lettore, che non conosca in modo profondo la Dottrina del
Buddha, verso una più naturale investigazione pratica di confronto tra
l'insegnamento etico buddhista e quello dell'etica che potremmo chiamare
cristiano-occidentale perché derivata dall'influenza del cristianesimo sulle
abitudini e sulla mentalità propria dei popoli dell'Occidenti. Infatti, un
lettore occidentale, di fronte ad un testo di insegnamento pratico come il
Dhammapada, pensiamo che non possa esimersi, dato anche il particolare
carattere discorsivo degli stessi occidentali, dal manifestare in modo più o
meno palese una certa tendenza al confronto con le abitudini, usi e idee a cui,
da due millenni, egli è stato acclimatato. Poiché è molto facile, in certi
casi, giudicare per eccesso o per difetto in modo errato, senza mantenere una
opinione equanime, abbiamo ritenuto utile un commento orientativo nel senso di
dare a questo lettore una interpretazione basica dei capitoli del Dhammapada
nel loro significato generale più aderente alla Dottrina del Buddha come
esposta in tutti gli altri testi Canonici in modo più vasto e dettagliato.
Questo Commento di confronto non ha, né potrebbe avere
carattere critico per nessuno, perché è al di fuori della mentalità di un
buddhista di esporre opinioni che portino a qualsiasi tipo di malevolenza.
D'altra parte, però, il chiarire le posizioni della Dottrina Buddhista, troppo
spesso fraintesa o rimaneggiata, è un dovere a cui più volte gli stessi primi
discepoli del Buddha si accinsero, quando qualcuno tentò di far dire al Sublime
cose che erano al di fuori del suo insegnamento. Noi buddhisti sentiamo,
perciò, questo dovere di presentare uno dei testi più importanti nel suo
aspetto interpretativo più puro.
Se, qualche volta, di confronto tra Buddhismo e Cristianesimo
si può parlare, non è per valorizzare l'uno o per svalorizzare l'altro, anzi la
ricerca dei loro punti in comune è cosa di ovvio interesse. Però, una Dottrina
chiara che vuol trovare dei punti in comune con altre Dottrine non deve
confondere il lettore ignaro ponendo in ombra le peculiari differenze che
costituiscono la base dell'insegnamento del Fondatore, né tentare con
circonlocuzioni ipocrite, chiamandole esoteriche come ora è tanto di moda,
tentare di far dire alle parole cose che sono al di fuori del loro significato
oramai attestato da secoli di uso. Un confronto freddo e imparziale non è mai
nocivo all’avvicinamento di due Dottrine e ne può anzi provocare un migliore
accordo che non una ricerca ipocrita e sforzata di far apparire cose diverse
come uguali o cose uguali come diverse.
Come il
Buddha ha più volte ripetuto, il lettore non dovrà dar credito di fede né alle
sue parole né tanto meno alle nostre, dovrà, se lo ritiene opportuno, da sé
stesso sperimentare e approfondire gli insegnamenti dati da questo testo alla
luce di tutti gli elementi che le sue condizioni particolari di vita, in quel
momento, gli permettono. Non può essere verità assoluta tra le cose
impermanenti e condizionate e quindi anche un testo, sacro o no, fa parte delle
cose che sono una volta nate e che periranno. Ma certamente, testi come il
Vangelo Cristiano e il Dhammapada sono utili zattere per traversare il fiume
nel Cammino verso la perfezione, e, se usate in tempo e luogo propizio, possono
produrre un rapido progresso verso la Meta. Si usino, perciò, questi testi con
fiducia ma con prudenza, verificandoli continuamente alla luce della esperienza
pratica. Vi si troveranno sempre alcuni elementi nuovi adatti al particolare
momento della nostra vita e la loro utilità pratica diventerà allora evidente
senza volerne distorcere il significato letterale quando esso è ovvio.
Il Dhammapada è composto di 26
Capitoli, scritti in affascinante forma poetica, intarsiati di numerose,
preziose e geniali similitudini che fanno sì che ogni capitolo ci appare come
un delizioso e completo quadro pittorico dell'argomento trattato. I 26
Capitoli trattano ventisei argomenti tutti tratti dalla vita pratica del mondo
esteriore o dalla vita psichica del mondo interiore dell'uomo. Tutti i problemi
del rapporto dell'uomo verso il mondo esterno e verso la propria psiche vengono
esaminati alla luce della Dottrina insegnata dal Buddha 2500 anni or sono.
I soggetti sono trattati in
modo diretto, senza dare possibilità ad equivoci o false interpretazioni. Non
esistono interpretazioni esoteriche o nascoste, le parole hanno il loro
significato usuale e gli esempi, tratti quasi sempre da fatti della vita di
tutti i giorni, servono soltanto a chiarire meglio i concetti per mezzo di una
analogia. Più volte il Buddha, nei suoi discorsi ha affermato il vantaggio di
adoperare similitudini per rendere evidenti concetti difficili o non
spiegabili con parole, perché, egli dice, l'uomo intelligente è così portato
ad afferrare facilmente il significato di quanto si vuol comunicare. Questi
esempi non sono, però, simbolici nel senso di contenere significati nascosti o
esoterici o riservati a un gruppo limitato di persone o adepti. Tutto
l'insegnamento del Buddha è sempre per tutti coloro che lo possono o vogliono
capire usando soltanto la mente.
Soltanto nel capitolo 4 e nel
capitolo 33 viene preso un soggetto come simbolo. Si tratta di una pianta e di
un animale: il fiore di loto e l'elefante. Ma anche in questi casi il simbolo
ha il carattere semplice di un esempio pratico preso dalla natura per la
comprensione dell'argomento trattato con chiaro ed aperto significato facile a
capirsi da qualsiasi lettore attento e consapevole.
Apparentemente
gli argomenti dei 26 Capitoli sembrano distribuiti alla rinfusa senza una
connessione tra di loro, però, a nostro avviso, questa è soltanto una falsa
apparenza.
La sequenza
dei capitoli non può essere stata fatta senza un preciso scopo perché tutti i
testi del Canone buddhista sono sempre costituiti con particolare e ben
definito ordinamento e, assai raramente, non viene seguito un qualche
raggruppamento senza che abbia un significato che sia legato a una
utilizzazione pratica dell'insegnamento.
Abbiamo, perciò, pensato che
anche gli argomenti del Dhammapada, esposti in capitoli, dovevano costituire un
qualcosa di unitario e che la loro successione doveva rispondere ad uno schema
predisposto e ben preciso.
Studiando, allora,
l'ordinamento dei capitoli, ci sembra che questo coordinamento non solo ci sia,
ma risponda al seguente fine ben determinato. Partendo da considerazioni
realistiche confermabili dalla osservazione diaria dell'ambiente che ci
circonda e dalle reazioni più comuni della nostra psiche, si vuol mostrare la
via che logicamente conduce all'uomo buddhista ideale, profilato nelle sue
peculiari caratteristiche descritte nell'ultimo capitolo dell'opera.
Il Dhammapada è, così, un libro
che oltre ad affermare le varie qualità etiche che interessano la Dottrina
Buddhista dando una ragione appropriata a quelle qualità morali che conviene
scartare, fornisce anche un progressivo metodo di crescenti virtù da acquistare
per passare dalla ignoranza alla saggezza, dall'oscurità alla Illuminazione,
dalla schiavitù alla Liberazione.
Il capitolo primo costituisce,
con i suoi argomenti, quasi un indice generale di tutta l'opera, ed è
impostato in modo caratteristico perché fa uso del metodo dialettico di
esaminare le diverse situazioni sempre da due punti di vista opposti tra di
loro. Già il titolo del Capitolo, la cui traduzione letterale del vocabolo Pali
Yamaka significa doppio o coppia riferendosi, come in altri testi buddhisti,
ad una coppia di contrari o opposti, sta a dimostrare che la prima nozione che
ci fornisce la vita è che ogni cosa può sempre essere vista da due punti di
vista distinti. Questa è la base etica della vita perché vivere vuol dire
bilanciarsi continuamente tra le due opposte facce di ogni azione o pensiero e
operare una scelta che può essere giusta o errata e condurci, quindi, verso
una maggiore pace oppure verso una maggiore sofferenza.
Risulta, perciò, che tutto il
problema per eliminare la sofferenza consiste nel saper fare, volta per volta,
una opportuna scelta di azioni, di parole e di pensieri. La qualità più
importante che occorrerà, allora, coltivare per imboccare la scelta giusta è,
evidentemente, l'attenzione continua verso tutte le cose della vita. Per questo
troviamo che il capitolo secondo tratta immediatamente della importanza e
necessità del coltivare l'attenzione come base per la Via Buddhista di
Liberazione dalla sofferenza. Soltanto mediante l'attenzione si potrà
discernere l'errore derivato dall'ignoranza sulla vera realtà delle cose,
soltanto mediante l'attenzione si potrà verificare che è soltanto la nostra
atavica ignoranza che ci impedisce di avere l'evidenza che l'impermanenza delle
cose è la causa unica della sofferenza e che, quindi, non potremo aspettarci da
queste cose, che per loro natura nascono, durano un tempo e poi muoiono, se non
sofferenza e dolore anche quando esse appaiono mascherate sotto l'aspetto di
gioia o piacere.
Ma l'organo che è adibito alla
importantissima funzione dell'attenzione è la mente, perciò l'educazione e lo
sviluppo della mente dovrà avere un'importanza capitale per la Via Buddhista
di Liberazione e troviamo, infatti, che alla mente viene dedicato,
immediatamente, il terzo capitolo del Dhammapada.
Ma quale sarà la prima cosa che la mente osserverà nel
mondo circostante? Quale cosa per prima colpirà la sua attenzione? Il capitolo
quarto, con il suo simbolico fiore, dà la sua risposta: la mente potrà
osservare che tutte le cose nascono, vivono un tempo e poi muoiono, come un
fiore che sboccia, manda il suo profumo, vien reciso e appassisce.
I capitoli 5 e 6 descrivono il risultato pratico che
produce questa osservazione del mondo e che porta a dividere gli esseri in due
categorie. L'ignorante è colui che da queste osservazioni non ricava la giusta
conseguenza che le cose sono impermanenti e, perciò, fonte di sofferenza, per
loro stessa natura, e, quindi, nella loro mutabilità sono prive di un elemento
basico sostanziale o sé a cui ragionevolmente attaccarsi. Il saggio, invece è
colui che dalla esperienza dell'attenzione nota queste evidenti verità.
Come ampliazione della definizione di saggio del Capitolo sesto ne
consegue la definizione di uomo santo del Capitolo settimo. Il santo o Aharat,
per il buddhismo, è la stessa esperienza di saggezza messa continuamente in pratica
perché oramai fusa e assimilata nello stesso individuo. Perciò la santità, per
il buddhismo, è la conseguenza dello sviluppo e della espansione della saggezza
al di là del piano puramente discorsivo.
Dal Capitolo 8 al Capitolo 15
vengono trattate con maggior dettaglio e nei loro apparenti vantaggi e
svantaggi, le qualità della vita pratica che contraddistinguono il saggio,
l'ignorante e il santo. Il Capitolo 8 o delle Migliaia fornisce, infatti, una
norma pratica basica della saggezza: contentarsi di poco, ma ben fatto. Questo
fa il saggio.
I capitoli seguenti trattano,
invece, delle sofferenze che angustiano e caratterizzano la persona ignorante.
Il Capitolo 9 tratta del male o errore in generale, il Capitolo 10 tratta
della violenza o malevolenza che è una prima causa basica della sofferenza
umana perché porta a discordie, guerre, miserie ecc. rendendo nemici gli esseri
tra di loro. Il Capitolo 11 tratta della vecchiaia o decadenza visibile in
tutte le cose e in ogni momento e mette in evidenza la seconda causa basilare
della sofferenza, cioè il desiderio. Il Capitolo 12 pone l'attenzione sul
coltivare la propria personalità che è beneficioso quando non ci si attacchi
ad essa, essendo questo attaccamento la terza causa basica della sofferenza.
Infine il Capitolo 13 è dedicato al mondo esterno che ci circonda e che è causa
di sofferenza per coloro che, stoltamente, non lo considerano nella sua
transitoria realtà, cioè come un «miraggio» e che vengono così afferrati dalla quarta causa
fondamentale della sofferenza che è l'ignoranza della vera realtà delle cose.
I Capitoli 13 e 14 trattano
invece delle qualità che acquistano coloro che, eliminata l'ignoranza, sono
arrivati alla santità. Il vantaggio di essere liberi e illuminati produce la
calma, la tranquillità, la pace e una continua, serena, intensa felicità.
Dopo questo
panoramico esame degli aspetti evidenti che l'esperienza dei nostri sensi ci
fornisce rispetto alla realtà che ci circonda, esame che dovrebbe averci
convinti della convenienza di seguire il cammino della Santità e rifuggire il
cammino della illusione e dell'errore, fornendoci quella specie di retta
fiducia che è necessaria per decidersi ad imboccare la Via della Liberazione
indicata dal Buddha, i capitoli seguenti del Dhammapada, in modo logicamente coordinato,
spiegano, a colui che si è deciso a seguire la Via, come è possibile
perseguirla.
Il sistema
ha inizio con una educazione mentale del pensiero, perché, occorre ricordare,
che fin dai primi versi del primo capitolo si proclama che è la mente che crea
il suo mondo e, pertanto, solo da essa possiamo aspettarci dolore o felicità.
Il Capitolo 16 afferma la
necessità di eliminare dalla mente i desideri bramosi o passioni, come gli
affetti, gli amori e gli attaccamenti, il Capitolo 17 afferma che l'ira fa
parte della malevolenza ed è il secondo ostacolo per una educazione della
mente. Il Capitolo 18 insiste sulla necessità di purificare in ogni senso e in
ogni sua piccola impurezza la stessa mente, usando un processo meticoloso di
osservazione attenta. Questo al fine di raggiungere, come indicato nel seguente
Capitolo 19, la possibilità di essere giusto, cioè di avere sempre una retta
opinione sugli avvenimenti e sulle persone.
Questa purificazione, nei suoi
tre aspetti di purificazione dal desiderio, di purificazione dalla malevolenza
e di purificazione da errati giudizi, è la strada per entrare nel Cammino
della Liberazione come è indicato nel Capitolo 20 e i cui versi sono anche veri
gioielli di arte poetica.
Nel Capitolo 21, apparentemente
sconnesso, vengono indicate le difficoltà che si incontreranno nel Cammino,
però nel Capitolo 22 si mostrerà, anche, a quali conseguenze e maggiori rovine
si andrebbe incontro se, a questo punto, queste difficoltà ci impedissero di
proseguire o, peggio ancora, ci inducessero a tornare indietro.
Il Capitolo 23 fornisce al
viandante un simbolo o modello, preso dal mondo animale, che raffigura colui
che si sforza lungo il Cammino della Liberazione. È l'elefante, considerato
ammirevole e sacro in tutti gli angoli dell'Asia, il quale, con la sua
intelligenza, la sua forza, la sua pazienza, la sua calma e il suo amore,
quando occorra, per la solitudine dà l'esempio di come si debba procedere
nella difficile Via intrapresa, cioè con ferma tranquillità, con paziente
insistenza, senza lasciarsi prendere da esaltazioni o depressioni, contenti di
avanzare sempre ogni giorno sia pur di poco verso la mirabile Meta.
Come spiegato in altri testi
del Canone buddhista, è, però, soltanto con la eliminazione totale del
desiderio, a cui è dedicato il Capitolo 24, causa prima della sofferenza e
dell'errore, che il praticante può entrare in pieno nel Cammino raggiungendo la
condizione di « Non ritorno » o Anagami, cioè, soltanto quando la bramosia per qualunque
cosa, bella, brutta, inferno o paradiso, sia sradicata completamente, il
cerchio delle rinascite dolorose sarà rotto e la sofferenza completamente
distrutta. Soltanto allora il praticante sentirà il bisogno naturale di
distaccarsi completamente dalle cose del mondo senza alcun rimpianto, in maniera
quasi automatica, e diverrà un asceta, un Bhikkhu, come descritto nel Capitolo
25 penultimo del Dhammapada. Oramai egli sarà dedicato soltanto al
raggiungimento dell'unico scopo: il Nibbana.
L'ultimo Capitolo, il 26, a
coronamento della Via percorsa, mostra, sotto il nome di brahmano (cioè uomo
divino) quali sono le innumerevoli qualità e pregi che un tale uomo viene ad
avere. Questo Capitolo è, perciò, il riassunto delle qualità etiche di colui
che ha raggiunto la perfezione buddhista, che è Libero dalla sofferenza, che è
prossimo al Nibbana.
Da questo breve schema che
abbiamo tracciato, si vede come il Dhammapada, con i suoi 26 Capitoli, sia
armonicamente costruito e come ogni capitolo segua coerentemente il precedente
e prepari il terreno per il seguente secondo una linea ben stabilita di
progresso.""