Assistiamo spesso in questi strani giorni a
stucchevoli dibattiti, tra i quali quello sull’uso del velo femminile.
Secondo alcuni, l’accettazione dell’uso del
velo nei luoghi pubblici o aperti al pubblico costituirebbe un segno di
rispetto nei confronti delle culture cui appartengono le persone che lo
adottano. Altri sostengono opinioni contrarie, giungendo ad esprimere il timore
di un possibile scontro tra culture diverse. Anche se non è ben chiaro a cosa
si riferiscano, specialmente per quanto concerne un Occidente culturalmente in
stato vegetativo.
Il velo è quindi divenuto oggetto di dibattito
tra giornalisti, politici, giuristi, sociologi, psicologi, educatori,
religiosi, blogger ecc.
Ovvero: come
parlare del velo attraverso un velo, quello di Maya, il velo
dell’illusione, dell’ideologia, del magico potere ammaliatore.
Ciò che qui interessa è il fatto che di velo
sul viso si opinò anche nel già citato Lalitavistara
Sūtra, testo buddhista di circa duemila anni or sono, quindi diversi secoli
prima della nascita delle culture islamiche, alle quali il pensiero corre pavlovianamente
quando si parla di velo.
Ne dibatté nel cap. XII la principessa Gopā,
prima tra le ottantaquattromila donne che a vario titolo componevano la cerchia
femminile del futuro Buddha.
Gopā rifiutava di velare il proprio viso e per
questo era oggetto di feroci critiche da parte della famiglia e della corte del
re suo suocero.
La sua replica rispecchia pienamente
l’atteggiamento buddhista di allora e di oggi nei confronti di simili
problematiche (ad esempio la questione delle caste – oggi diremmo, sbagliando,
delle classi sociali – o del potere, o della guerra ecc.). Ovvero, non tanto
considerare il problema come ‘problema’, come oggetto di disquisizioni
filosofiche o sociologiche, di dibattiti ideologici, di scontri politici, ma
piuttosto vivere autenticamente al di là del problema. Non tamquam non esset, ma perché effettivamente non est, è insostanziale, è vacuitas
vacuitatum. Proprio come lo sono coloro
che ne dibattono: fantasmi in un mondo di fantasmi, quattro capponi nelle mani
di Renzo, stupide galline che si azzuffano per niente (Battiato).
È detto in L.V. XII:
Intanto Gopā, la giovinetta della famiglia Śākya, in presenza del
suocero, della suocera e di tutti coloro che vivevano nel palazzo non teneva
velato il proprio viso. Costoro dicevano tra loro, biasimandola con severità:
Quella giovane ha un comportamento indecoroso, poiché non indossa mai il velo.
Allora Gopā della stirpe Śākya, avendolo saputo, recitò questi versi
in presenza di tutti gli abitanti del palazzo:
32. Senza velo, una persona onorabile risplende seduta, in piedi o in
cammino; la pietra preziosa Maṇi sulla cima di uno stendardo appare ancor più
brillante.
33. Senza velo, una persona onorabile risplende quando parte e
risplende ugualmente quando ritorna; in piedi o seduta, una persona onorabile
risplende ovunque.
34. Una persona onorabile risplende mentre parla ed ugualmente
risplende quando rimane in silenzio, come l’uccello kalabiṅka quando lo si vede
o quando canta.
35. Con una veste di kuśa, senza abiti o con una veste povera e il
corpo emaciato, una persona onorabile brilla per il proprio splendore; colui
che possiede delle qualità è adorno delle sue stesse qualità.
36. Risplende ovunque la persona onorabile priva di difetti; per
quanto adorno possa essere, l’essere immaturo che commette il male non
risplende.
37. Coloro che con il male nel cuore pronunciano parole dolci sono
come una brocca di veleno ricoperto di nettare. Il fondo dell’animo di simili
persone è duro al tocco come una roccia, è come carezzare la testa di un
serpente.
38. Tutti accorrono con gioia laddove si trovano persone onorabili,
come verso laghetti sacri indispensabili per la vita degli esseri; le persone
onorabili sono sempre come un vaso ricolmo di latte e di caglio; la vista di
tali esseri puri è una vera benedizione.
39. Coloro che da molto tempo sono stati lasciati da amici dissoluti e
sono stati accolti da preziosi amici virtuosi ed hanno abbandonato il male per
dimorare nel Dharma del Buddha: la vista di siffatte persone è una benedizione
che dà ottimi frutti.
40. Coloro che hanno ottenuto il controllo sui loro corpi e ne hanno
perfettamente soggiogato i difetti; coloro che, padroni del loro linguaggio,
proferiscono sempre parole discrete; coloro che avendo padroneggiato i loro
sensi sono nella quiete ed hanno uno spirito pacificato; per quale motivo siffatte
persone dovrebbero velare il proprio viso?
41. Quandanche ricoprissero il loro corpo con mille vesti, coloro il
cui spirito è privo di disciplina, senza pudore né modestia, coloro che privi
di tali qualità non hanno nemmeno un linguaggio veritiero, vanno per il mondo
più nudi di coloro che sono nudi.
42. Coloro che con la mente domata e i sensi costantemente soggiogati,
soddisfatte del loro sposo, non rivolgono il loro pensiero ad altri se non a
lui, appaiono, senza velo, splendenti come il sole e la luna: perché siffatte
persone dovrebbero velare il loro viso?
E ancora:
43. I grandi e saggi Ṛṣi, abili nel leggere i pensieri degli altri,
conoscono le mie motivazioni, così come le moltitudini degli dei conoscono la
mia disciplina, le mie qualità, il mio controllo, la mia prudenza; per quale
motivo dovrei quindi velare il mio viso?
Si dice infine nel testo che udendo le parole
della nuora il re Śuddhodana fu ricolmo
di felicità, di soddisfazione e di piacere, e per la gioia che provò, [le donò]
una coppia di stole bianche disseminate di pietre preziose del valore di
centomila koti di pala, una collana di perle ed una ghirlanda d’oro
impreziosita da splendide perle rosse.
E tutto questo senza alcun bisogno di proporre
tavole rotonde o disegni di legge, partecipare a talk show o inscenare
manifestazioni pro o contro.
Semplicemente seguendo l’esempio di Gopā:
togliendo il velo dai propri occhi, così come la principessa lo aveva tolto dal
suo bellissimo viso.
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