Dalla letteratura dei Jataka al Jatakamala di Arya Sura
Nel Maha Saccaka Sutta (Il discorso maggiore
a Saccako) il Buddha narra al giovane Saccako la propria esperienza sotto
l’albero del Risveglio. Quando giunge a parlare del quarto livello della
meditazione, afferma: “Diressi il mio
spirito alla contemplazione delle mie vite anteriori: una nascita, due nascite,
tre nascite, quattro... cinque... dieci... venti... trenta... quaranta...
cinquanta... cento... mille... cinquemila nascite, dieci epoche di riproduzione
del mondo, dieci epoche di distruzione del mondo, dieci epoche di distruzione e
riproduzione del mondo. Tutto ricordai con precisione: in un certo luogo mi
trovavo, avevo un certo nome, appartenevo ad una certa stirpe e a una certa
famiglia, un mestiere esercitavo; provai gioia e dolore, e così terminai la mia
esistenza, per nascere di nuovo in un’altra vita… Così richiamai alla mia
memoria un gran numero delle mie vite anteriori, contemplando ciascuna di esse
in tutti i suoi caratteri e fin nei suoi più piccoli dettagli” (1).
Il processo della reincarnazione |
Come è
noto, Siddhartha Gautama era nato all’interno di un contesto culturale (l’India
del VI sec. a.C.) per il quale la dottrina della reincarnazione era un dato di
fatto (quasi) universalmente accettato. Ma la reincarnazione presuppone
l’esistenza di un “sé” individuale e permanente (atman) che passa da un
corpo all’altro, vita dopo vita. Questa nozione del sé venne però nettamente
rifiutata dal Buddha, per il quale il sé esiste solo in dipendenza dei cinque
aggregati (corpo, sensazioni, percezioni, volizioni, coscienza), che a loro
volta sono fenomeni composti, impermanenti, soggetti alla causalità e alla
distruzione. Per il buddhismo, “non
esiste anima immortale e [..] tutto il mondo fenomenico compare e scompare in
un flusso perennemente mutevole” (2).
Il
buddhismo accetta però la realtà del
processo di rinascita, negando nel contempo che esso sia sostenuto da una sostanza
soggiacente (l’atman, un’anima
immortale). E’ come una fiamma, si dice, che è trasmessa da una fonte (es. una
torcia) ad un’altra: la fiamma non è identica alla fonte, ma non ne è nemmeno
totalmente differente. Nello stesso modo, l’eredità karmica delle azioni
passate origina formazioni psicofisiche sempre nuove. “Non è quindi la stessa ‘persona’ a fare ritorno” (3), bensì un “continuum”,
un flusso di coscienza, privo di sostanza autonoma, una serie di istanti
psichici collegati tra loro da rapporti causali, in continuo e ininterrotto
divenire, e privo altresì di una origine, di una “causa prima”, in quanto ogni
istante è causato da un istante precedente, in una catena senza inizio.
In un
contesto di cultura “popolare”, cioè all’interno delle modalità con cui veniva
comunemente interpretata e vissuta la nozione di “rinascita”, si innesta la
concezione secondo la quale la natura di Buddha, la natura del Risveglio, è sì
presente in tutti gli esseri, ma la sua piena manifestazione è il risultato di
una progressiva evoluzione spirituale, che si compie attraverso la pratica
delle sei “perfezioni” (la generosità, l’etica, la pazienza, l’energia, la
concentrazione, la saggezza) e dei quattro “incommensurabili” (l’equanimità,
l’amore, la compassione, la gioia compartecipe).
Il bodhisattva della compassione |
Il
combinato delle concezioni di un processo nascita-morte-rinascita e di una
evoluzione spirituale verso la piena realizzazione del Risveglio attraverso un
“accumulo” dei meriti di azioni virtuose, diede origine all’interno delle
comunità del buddhismo indiano ad un vero e proprio “genere” letterario,
centrato sulla figura del Bodhisattva (4), cioè colui che
diverrà, vita dopo vita, il Buddha dell’era presente, Siddhartha Shakyamuni.
Sono i Jataka (le “Nascite”), ovvero le narrazioni delle grandi gesta
(in senso etico) compiute dal Buddha nelle sue vite precedenti, sotto forme non
solo umane, ma anche divine e animali.
I
racconti dei Jataka provengono quindi
direttamente dalla bocca del Buddha, sono i ricordi delle sue esistenze
precedenti da lui stesso raccontate ai discepoli. Ed infatti i 547 racconti dei
Jataka fanno parte integrante del
Canone Pali (nel Khuddaka Nikaya, la
Raccolta dei Testi Brevi del Sutta Pitaka).
Benché la raccolta sia stata redatta nei secoli successivi, gli episodi che la
costituiscono risalgono ad epoche precedenti, probabilmente al periodo della
vita del Buddha storico (VI sec. a.C.).
I Jataka, come si è detto, non sono
esposizioni sistematiche degli insegnamenti del Buddha, come i Sutra, e non contengono dissertazioni
filosofiche. Sono invece racconti semplici, di facile lettura, con una forte
valenza di edificazione, di insegnamento etico; sono volti ad infondere negli
ascoltatori e nei lettori sentimenti di devozione e di fiducia nel valore del
compimento del bene in vista della liberazione finale. I Jataka infatti “racchiudono
una psicologia e un sistema etico raffinati, basati sulle intuizioni del Buddha
riguardo alle leggi naturali che governano tutto l’esistente. [..] Sono una
efficacissima rappresentazione del funzionamento del karma, così come esso si dispiega nell’arco di vite successive”
(5).
Il
Buddha insegna che il karma “non si dispiega in una semplice progressione
lineare” (6) di causa-effetto;
è difficile rintracciare l’evolversi del karma
nella vita di tutti i giorni (propria e altrui), vedere le connessioni tra le
azioni di corpo, parola e mente ed i loro effetti. Si può perfino giungere a
pensare che tale relazione nemmeno esista, credendo nell’idea che le azioni non
abbiano conseguenze morali o psicologiche. Oppure, mal comprendendo il karma, si può cadere nell’estremo
opposto, per cui tutte le azioni sarebbero predeterminate (dal destino, dai
condizionamenti sociali, ambientali, biologici), negando ogni possibile libertà
all’agire umano. In entrambi i casi, non avremmo nessun controllo sulla vita,
nessuna responsabilità etica. E questa forma di ignoranza darebbe origine –
come in effetti accade – a nuove sofferenze.
La
lettura dei Jataka era – ed è tuttora
– una occasione per riflettere sulle scelte morali, aprire gli occhi alla
realtà del karma, ripensare ad un’autentica qualità della vita, capire le
conseguenze delle azioni umane, liberare la mente da schemi distruttivi di
comportamento consolidati nel tempo e divenuti veri e propri automatismi (7).
I Jataka esprimono pertanto, a partire dai
primi secoli dell’era presente, un primo autentico interesse da parte dei
praticanti, monaci e laici, per la vita del Buddha, per la sua “biografia” in
quanto bodhisattva. Parallelamente,
cresce all’interno del “movimento” buddhista l’importanza dei laici, ai quali fino ad allora era solo
attribuita la possibilità di acquisire meriti attraverso il sostentamento della
comunità monastica, le donazioni, la costruzione di templi e monasteri. Fino ad
allora, l’Illuminazione era rimasta invece a coronamento della vita monastica,
ma non di quella laicale.
In
altre parole, nasce, anche a partire di qui, il grande movimento riformatore
noto come Mahayana, il Grande
Veicolo (in – apparente – contrapposizione con lo Hinayana, il Piccolo Veicolo, ma più correttamente Theravada,
la Via degli Anziani), nel quale la
figura del bodhisattva, l’essere
autenticamente compassionevole alla ricerca della liberazione dalla sofferenza
per tutte le esistenze e non solo per se stesso, è assolutamente centrale.
Per
questi motivi i Jataka ebbero da
subito una grandissima diffusione in tutti i territori dell’Asia in cui si
irradiò il buddhismo, influenzando profondamente anche le letterature locali.
Addirittura in molte zone nacquero altre storie, che si aggiunsero alle
raccolte originarie provenienti dall’India attraverso il Tibet o la Cina.
A
partire dai Jataka, vennero composte
opere poetiche e si allestirono rappresentazioni sceniche, sia per edificazione
delle persone, sia per puro senso estetico, ed anche per alleviare la
sofferenza durante le veglie funebri. Tradizioni tuttora vive in molte aree
dell’Asia.
Le grotte di Ajanta |
Inoltre,
scene ed episodi tratti dai Jataka
vennero scolpiti o dipinti sui monumenti e nei siti buddhisti, ad es. in India
(le grotte di Ajanta, i reliquiari di Sanci, Amaravati ecc.), a Giava (il
famoso Borobudur), in Birmania.
Raffigurazione dei Jataka ad Ajanta |
Anche
le letterature non buddhiste ne furono influenzate: diverse opere composte
successivamente nella tradizione hindu si fondarono sui Jataka o ne riportarono alcuni. Basti ricordare il Pancha-tantra,
un’opera in cinque sezioni (pancha =
cinque, tantra = capitoli) attribuita
a Vishnusharman, redatta nel V sec. d.C. perché servisse all’educazione dei
figli del re Amarashakti (i Jataka
erano invece destinati a tutta la popolazione). Si tratta di una raccolta di
fiabe, che a sua volta divenne la base delle narrazioni favolistiche
medio-orientali, e che influenzò anche le letterature del Medio Evo europeo. Ai
Jataka (attraverso il “filtro” del Pancha-tantra tradotto in arabo,
siriano, persiano) attinsero scrittori come Boccaccio, Ariosto, Matteo Bandello, La Fontaine, Chaucer.
Tra le diverse
raccolte di Jataka pubblicate nel
tempo, al di fuori del Canone Pali, riveste particolare importanza quella
attribuita ad un grande poeta indiano, Arya
Sura, vissuto nel III – IV sec. d.C., di cui non si sa quasi nulla. Alcuni
lo identificano con Asvaghosa, l’autore del Buddhacarita
(“Le gesta del Buddha”), ma pare
un’ipotesi non sostenibile. Arya Sura compose una raccolta di 34 Jataka, conosciuta come Jatakamala,
la “Ghirlanda
delle nascite” (mala =
rosario, ghirlanda, corona). Egli non fu un semplice compilatore, infatti
rielaborò le storie scelte in uno stile estremamente raffinato che fece di lui
uno dei maggiori scrittori indiani, e del suo Jatakamala una delle opere più importanti e più amate di tutta la
letteratura sanscrita.
Nel Jatakamala, come si è già detto a
proposito dei Jataka del Canone Pali,
è efficacemente rappresentato il funzionamento della legge del karma,
termine sanscrito che significa “azione”, ma in un senso molto ampio, che va a
comprendere le connessioni causali tra le azioni umane e i loro effetti. Dal
punto di vista buddhista studiare e comprendere la natura del karma e il suo modo di operare può
realmente trasformare il corso della propria vita. Il meccanismo delle leggi
karmiche è estremamente complesso, come il Buddha stesso affermava, non sempre
esso si manifesta in maniera lineare e immediatamente comprensibile: molto
spesso possiamo vedere come chi opera il male prosperi tranquillamente nella
propria esistenza, mentre operatori di bene altrettanto spesso soffrono in
povertà e malattie o sono vittime di violenza. Il che ci pare ingiusto e
incomprensibile, e rende scettici sulla reale operatività del karma. Ciò che i Jataka ed il Jatakamala
insegnano è che il nostro sguardo deve essere il più possibile ampio e
proiettarsi su interi cicli di esistenze. In questa prospettiva nulla va
perduto, nulla si crea dal nulla, nulla avviene in maniera casuale. “Ogni azione mette in moto forze che
produrranno risultati in preciso accordo con la natura dell’azione stessa” (8). Il fatto stesso di nascere in un corpo umano è uno dei frutti preziosi
(non a caso nel buddhismo si parla di “preziosa rinascita umana”) di azioni
positive compiute nelle passate esistenze.
Il bodhisattva offre se stesso alla tigre affamata (dai Jataka) |
NOTE
(1) Cit. in V. Cucchi (a cura di) La vita di Buddha nei testi del
Canone Pali, pag. 48.
(2) V. la voce Karman
in: M. Eliade (a cura di), Enciclopedia delle Religioni, Ed.
Jaca Book, vol. 10 – Buddhismo, pag.
318.
(3) P. Cornu, Dizionario del buddhismo, Ed. Bruno
Mondadori, pag. 685.
(4) Alla lettera “Essere
la cui essenza è il Risveglio”; colui che rinuncia al Nirvana per aiutare gli altri esseri a raggiungerlo.
(5) Introduzione a:
Arya Sura, Le vite passate del Buddha, Ed. Ubaldini, pag. 9.
(6)
Id..
(7)
Id.,
pagg. 10-11.
(8)
Introduzione a: Arya Sura, Le vite passate del Buddha,
pag. 10.
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