Le fonti nel
Canone Pali
Nella
sesta ed ultima sezione del Sutra del Nirvana Definitivo (Mahaparinibbanasuttanta), poco prima di
abbandonare il corpo, il Buddha Shakyamuni, rivolgendosi al discepolo Ananda,
dice: “Tu forse potresti pensare:
l’insegnamento del Maestro è finito per sempre, adesso non abbiamo più un
maestro. Non devi pensare così, Ananda, poiché quello che vi ho spiegato e
insegnato è che il Dhamma e la disciplina, alla mia morte, saranno il vostro maestro”
(1).
Già
qualche tempo prima aveva detto: “Ananda,
coloro i quali, ora o dopo la mia morte, riusciranno a essere isole per se
stessi [..], che faranno del Dhamma e di null’altro la loro isola e il loro
rifugio, costoro diverranno i monaci migliori e lo saranno in virtù del
desiderio di imparare” (2).
Queste
poche parole sono già sufficienti a dimostrare la centralità del Dharma,
dell’insegnamento, rispetto alla figura umana, storica, del Buddha, del
Maestro.
Ciò
che il Buddha sempre indicava ai suoi discepoli non era la sua persona, men che
meno se stesso come una qualche manifestazione divina o comunque trascendente,
e nemmeno la sua propria esperienza del Risveglio, bensì il Dharma (Dhamma in lingua pali), il suo insegnamento concreto, così come si era
espresso nel corso di 40 anni, a partire dal primo sermone nel Parco delle Gazzelle
a Sarnath, presso Varanasi, nei giorni successivi al Risveglio sotto l’albero pipal.
Il primo sermone del Buddha a Sarnath |
A sua
volta, il Dharma non è una nuova
scoperta, una “invenzione” del Buddha Shakyamuni, una nuova visione del mondo
che avrebbe dovuto sostituirne una precedente, bensì è lo stesso Dharma da sempre esposto dai Risvegliati
di ogni tempo e luogo.
Il
Buddha non fu quindi un “mediatore” tra il mondo ordinario ed un ipotetico
mondo trascendente, tra il mondo degli uomini e il mondo degli dei, tra il samsara e il nirvana intesi come due universi distinti e separati. Il suo
insegnamento si pose da subito al di là del ruolo svolto dalla casta
sacerdotale hindu, i brahmani, che
officiavano i sacrifici agli dei secondo complicati riti che essi solo
conoscevano e potevano quindi svolgere correttamente, pena la nullità del rito
stesso.
Uomo
tra gli uomini, il suo ruolo fu quello di un insegnante, un amico spirituale,
un medico che prescrive una terapia, colui che semplicemente indica la Via, non
la percorre al posto di nessuno. Sta poi al discepolo camminare con le proprie
gambe, seguire la terapia, assumere le medicine sperimentandone di persona l’efficacia.
Per
questi motivi succintamente esposti, dopo la morte del Buddha i suoi discepoli
si concentrarono soprattutto sulla raccolta e sulla corretta trasmissione degli
insegnamenti, dapprima in forma orale e successivamente per iscritto, fino alla
redazione del Canone così come lo conosciamo (tra il II Concilio – 340 a.C. –
ed il III, nel 247 a.C.).
Si
noti che anche l’arte buddhista (se si può usare tale espressione) risentì di
questa impostazione: per diverso tempo infatti il Buddha non venne raffigurato
come persona, ma mediante l’immagine di un seggio vuoto o altri simboli iconografici
(la ruota del Dharma, l’ombrello,
l’impronta dei piedi…). Solo nei secoli successivi comparirà l’immagine del
Buddha come persona, anche sotto l’influenza dell’arte greca.
Dopo
questa indispensabile premessa intorno al primato
degli insegnamenti rispetto alla figura del Maestro, è da dire che negli
stessi testi del Canone Pali è comunque possibile reperire preziose
informazioni in merito a molti episodi della vita del Buddha Shakyamuni, da lui
stesso riferiti nel corso dei suoi sermoni quali elementi integranti degli
stessi.
Si è
già citato il Sutra (in pali: sutta) del Nirvana Definitivo, che si
trova nel Suttapitaka, il Canestro (pitaka) dei Sutra (gli altri due canestri (3) in cui è diviso il Canone Pali sono il Vinayapitaka, con i testi delle regole monastiche, e l’Abhidhammapitaka, il canestro della
conoscenza superiore dei fenomeni, con insegnamenti sull’etica, la psicologia,
la filosofia, la cosmologia…). Qui vengono narrati gli eventi relativi
all’ultimo periodo della vita del Buddha, i suoi ultimi spostamenti, la sua
infermità, il famoso episodio dell’ospitalità da parte del fabbro Cunda e
dell’ultimo pasto del Buddha, le indicazioni impartite ai monaci sul da farsi dopo
la sua morte, l’abbandono del corpo e l’entrata nel Parinirvana. Non si tratta, è chiaro, di un testo storico né
apologetico, esso è, come gli altri sutra,
soprattutto una raccolta di insegnamenti, per quanto ricca di indicazioni
biografiche e di spunti letterari estremamente interessanti.
Il Parinirvana del Buddha |
Per
quanto concerne invece la nascita e la vita di Siddhartha Gautama Shakyamuni,
colui che diverrà il Buddha, il Risvegliato, molti episodi sono narrati nel
canestro delle regole monastiche, il Vinayapitaka,
nelle sezioni denominate Mahavagga
(discorsi lunghi) e Cullavagga
(discorsi brevi).
Altri
testi ancora, oltre al Sutra del
Nirvana Definitivo, sono ospitati nel già citato canestro dei Sutra (il Suttapitaka).(4)
A
questo punto, può risultare utile una cronologia
essenziale della vita del Buddha Shakyamuni, tratta dall’antologia “La vita di
Buddha nei testi del Canone Pali”. Le date sono ovviamente ipotetiche:
8 aprile 566 a.C. (o una data intermedia fra il 557 e il
570)
Il principe Siddhartha (“Colui che ha raggiunto lo scopo”)
nasce nel Parco di Lumbini, presso Kapilavastu, capitale dello stato himalayano
degli Shakya, una oligarchia guerriera che vantava fra i suoi antenati Gautama,
veggente dell'epoca vedica. Il padre è il re Suddhodana, la madre la regina
Maya; a una settimana dal parto Maya muore e il principino viene lasciato alle
cure della zia materna Mahaprajapati.
550 a.C.
Vengono celebrate le nozze del principe sedicenne con la
cugina Yashodhara (sembra tuttavia che successivamente egli abbia avuto anche
un'altra moglie di nome Gopa).
537 a.C.
A 29 anni abbandona la reggia di Kapilavastu e rinuncia alle
ricchezze per dedicarsi alla vita ascetica.
536 523 a.C.
Segue alcuni guru del suo tempo. A Vaisali (odierna Besarh)
diviene discepolo di Arada Kalama che lo istruisce sulla "sfera del
nulla". Insoddisfatto dei risultati, si trasferisce nel Magadha, regione
nord orientale dell'India. Qui, nei pressi del Gange, diviene discepolo di
Udraka Ramaputra, assieme ad altri cinque discepoli. In seguito Siddhartha
abbandona anche questo guru e diviene un libero anacoreta della giungla.
Affiancato dai cinque compagni, si dedica a pratiche penitenziali di
mortificazione e di digiuno.
523 a.C.
Dopo aver abbandonato la via della mortificazione ed essere
stato, per questo motivo, respinto dai cinque compagni, siede in meditazione
sotto l'albero pipal (Ficus religiosa) e medita per sette giorni. Alla fine,
nella notte del plenilunio dell'8 dicembre secondo la tradizione conquista
l'illuminazione e diviene un Buddha.
522 a.C.
Recatosi a Benares, città sacra sita in riva al Gange,
ritrova i cinque compagni e predica loro il cosiddetto Sermone di Benares, che
contiene la prima esposizione della Legge buddhista. Nello stesso anno
Bimbisara, re del Magadha, mecenate e amico personale del Buddha, gli fa dono
della Foresta di bambù, favorendo così la diffusione del suo insegnamento.
522 a.C. e post
Per una quarantina di anni il Buddha si dedica alla vita
della Comunità e a un fecondo proselitismo: converte laici, asceti erranti, briganti,
giovani brahmani e ricche cortigiane.
507 a.C.
Si sceglie come servitore il fedele Ananda: divenuto
eminente discepolo, quest'ultimo ricordava a memoria tutti i grandi discorsi
del Buddha e li recitò nel primo concilio di Rajagrha.
486 a.C. (o una data Intermedia fra il 477 e il 486)
Il Buddha entra nel Parinirvana: il suo corpo viene cremato
e le reliquie vengono divise fra la Comunità.
(5)
Tra i
tanti episodi della vita del Buddha che sarebbe possibile citare, se ne riporta
qui uno in particolare, forse non molto noto, che può rivestire un particolare
interesse per il lettore occidentale in quanto riporta alla mente la vicenda,
narrata nel Vangelo di Luca, della presentazione al Tempio di Gesù e
dell’incontro con Simeone.
Asita rende visita al futuro Buddha |
È la storia
del veggente Asita, un grande yogi,
il quale, avendo saputo della nascita del futuro Buddha, si reca al palazzo
degli Shakya per vederlo.
Infatti
Asita, grazie ai suoi poteri yogici, aveva osservato un gruppo di Deva che
manifestavano grande felicità e aveva chiesto loro il motivo di tanta gioia.
Gli dei gli avevano così risposto:
“"Nella città degli Shakya, nel parco di
Lumbini, è venuto al mondo il Bodhisatta [in sanscrito bodhisattva], la perla
mirabile, l'incomparabile; egli viene per il bene e per la felicità degli
uomini, e per questo noi siamo così felici e gioiosi. Colui che è la più
eccelsa di tutte le creature, l'uomo superiore, il primo degli uomini, il più
grande di tutti gli esseri, farà girare la Ruota del Dhamma nel bosco dei
Veggenti, lui che ruggisce come un leone, il poderoso re degli animali".
All'udire queste parole l'eremita Asita
scese rapidamente dal cielo e si recò al palazzo di Suddhodana, dove si sedette
al cospetto degli Shakya e domandò loro: "Dov'è il principe? Anch'io desidero
vederlo". Allora gli Shakya mostrarono ad Asita il bambino, il loro
principe, splendente come l'oro fuso nel crogiolo da un valente artigiano,
mirabile nella sua gloria e nella sua bellezza incomparabile. Quando vide il
principe splendente come una fiamma viva e come le stelle del firmamento, come
il sole d'autunno quando è limpido e non offuscato da nubi, Asita si abbandonò
alla gioia e fu rapito in estasi.
I Deva del cielo tenevano sospeso nello
spazio etereo che divide il cielo dalla terra un baldacchino, sontuoso nel
dedalo di una miriade di stoffe e drappeggi, e agitavano code di yak
impugnandole con manici d'oro; ma i Deva che sostenevano il baldacchino e
agitavano le code di yak erano visibili solo all'asceta. Al colmo della
felicità l'eremita Asita, chiamato la Gloria Nera, che portava i capelli a
trecce, accolse quel bambino simile a una pietra preziosa scintillante su una
stoffa color arancio, maestoso sotto il baldacchino innalzato in suo onore;
esperto nell'interpretazione dei segni e dei presagi, Asita fece allora
risuonare la sua voce gioiosa per salutare come si conviene il capo degli Shakya:
"Ecco l'Incomparabile, il Capo di tutti gli esseri umani".
Ma poi, ricordandosi della sua età
ormai avanzata, cadde in uno stato di profonda tristezza e si mise a piangere.
Di fronte alle sue lacrime, gli Shakya chiesero ad Asita: "Forse che il
bambino corre qualche pericolo?". Per tranquillizzare gli Shakya l'eremita
rispose: "Non prevedo nulla di funesto per il bambino, e non c'è alcun
pericolo per lui, perché non è un essere inferiore: non è, infatti, di casta
inferiore; non abbiate allora alcun timore.
"Questo principe raggiungerà il
grado più alto dell'Illuminazione perfetta e farà girare la Ruota del Dhamma;
lui che possiede lo sguardo puro, e vede ciò che per gli uomini è bene,
diffonderà lontano la Via Santa.
"Ma la mia vita volge ormai alla
fine, e la morte mi coglierà mentre il bambino sorriderà alla vita; io non
ascolterò il Dhamma dell'Incomparabile: ecco perché sono così triste".
Dopo aver riempito di gioia gli Shakya
egli lasciò il palazzo per andare a riprendere la sua vita religiosa” (6).
Alcuni
secoli dopo, si leggerà nel Vangelo di Luca, 2,22-35:
“Quando venne il tempo della loro
purificazione secondo la Legge di Mosè, [Giuseppe e Maria] portarono il bambino
a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore:
ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una
coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
La presentazione al Tempio di Rembrandt |
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome
Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo
Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe
visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque
dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino
Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo
servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua
salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le
genti e gloria del tuo popolo Israele».
Il padre e la madre di Gesù si
stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a
Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in
Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti
cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima»”.
Senza
addentrarsi ulteriormente nelle ricerca di analogie tra storie appartenenti ad
epoche, luoghi e tradizioni molto lontane tra loro, è sufficiente osservare i
due diversi atteggiamenti umani: Asita, dopo aver provato gioia ed essere
entrato in uno stato estatico, si rattrista e piange pensando alla sua prossima
morte e quindi all’impossibilità di ascoltare gli insegnamenti del futuro
Buddha. Al contrario, Simeone si abbandona “in
pace” alla volontà divina, e quindi alla morte, avendo potuto vedere di
persona la luce della salvezza per tutti i popoli.
NOTE
(1)
In: La
rivelazione del Buddha, vol. I – I testi antichi, a cura di R. Gnoli,
Ed. Mondadori, pag. 1181.
(2)
Id.,
pag. 1141.
(3)
Si
tratta probabilmente dei canestri nei quali venivano conservati gli
insegnamenti scritti su supporti di origine vegetale.
(4)
Molti
testi del Canone Pali sono leggibili, tradotti in italiano a cura di Enzo
Alfano, nel prezioso sito Internet: http://www.canonepali.net/index.html.
(5)
Dall’Introduzione
di G. Burrini a: V. Cucchi (a cura di), La vita di Buddha nei testi del
Canone Pali, Ed. Xenia, pagg. XI-XI.
(6)
L’episodio
di Asita è narrato nel Mahavagga
679-697, ed è leggibile nel sito “in
quiete” di Gianfranco Bertagni: (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/cucchi.txt).
L’incontro tra Asita e Siddhartha è riportato in maniera estesa nel più tardivo
Buddhacarita
di Asvaghosa (di cui si parlerà successivamente), nel Canto I, 49-80.
ottobre 2014
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