venerdì 31 ottobre 2014

Su alcune fonti della vita del Buddha - I

Le fonti nel Canone Pali

Nella sesta ed ultima sezione del Sutra del Nirvana Definitivo (Mahaparinibbanasuttanta), poco prima di abbandonare il corpo, il Buddha Shakyamuni, rivolgendosi al discepolo Ananda, dice: “Tu forse potresti pensare: l’insegnamento del Maestro è finito per sempre, adesso non abbiamo più un maestro. Non devi pensare così, Ananda, poiché quello che vi ho spiegato e insegnato è che il Dhamma e la disciplina, alla mia morte, saranno il vostro maestro(1).
Già qualche tempo prima aveva detto: “Ananda, coloro i quali, ora o dopo la mia morte, riusciranno a essere isole per se stessi [..], che faranno del Dhamma e di null’altro la loro isola e il loro rifugio, costoro diverranno i monaci migliori e lo saranno in virtù del desiderio di imparare(2).

Queste poche parole sono già sufficienti a dimostrare la centralità del Dharma, dell’insegnamento, rispetto alla figura umana, storica, del Buddha, del Maestro.
Ciò che il Buddha sempre indicava ai suoi discepoli non era la sua persona, men che meno se stesso come una qualche manifestazione divina o comunque trascendente, e nemmeno la sua propria esperienza del Risveglio, bensì il Dharma (Dhamma in lingua pali), il suo insegnamento concreto, così come si era espresso nel corso di 40 anni, a partire dal primo sermone nel Parco delle Gazzelle a Sarnath, presso Varanasi, nei giorni successivi al Risveglio sotto l’albero pipal.
Il primo sermone del Buddha a Sarnath
A sua volta, il Dharma non è una nuova scoperta, una “invenzione” del Buddha Shakyamuni, una nuova visione del mondo che avrebbe dovuto sostituirne una precedente, bensì è lo stesso Dharma da sempre esposto dai Risvegliati di ogni tempo e luogo.
Il Buddha non fu quindi un “mediatore” tra il mondo ordinario ed un ipotetico mondo trascendente, tra il mondo degli uomini e il mondo degli dei, tra il samsara e il nirvana intesi come due universi distinti e separati. Il suo insegnamento si pose da subito al di là del ruolo svolto dalla casta sacerdotale hindu, i brahmani, che officiavano i sacrifici agli dei secondo complicati riti che essi solo conoscevano e potevano quindi svolgere correttamente, pena la nullità del rito stesso.
Uomo tra gli uomini, il suo ruolo fu quello di un insegnante, un amico spirituale, un medico che prescrive una terapia, colui che semplicemente indica la Via, non la percorre al posto di nessuno. Sta poi al discepolo camminare con le proprie gambe, seguire la terapia, assumere le medicine sperimentandone di persona l’efficacia.
Per questi motivi succintamente esposti, dopo la morte del Buddha i suoi discepoli si concentrarono soprattutto sulla raccolta e sulla corretta trasmissione degli insegnamenti, dapprima in forma orale e successivamente per iscritto, fino alla redazione del Canone così come lo conosciamo (tra il II Concilio – 340 a.C. – ed il III, nel 247 a.C.).
Si noti che anche l’arte buddhista (se si può usare tale espressione) risentì di questa impostazione: per diverso tempo infatti il Buddha non venne raffigurato come persona, ma mediante l’immagine di un seggio vuoto o altri simboli iconografici (la ruota del Dharma, l’ombrello, l’impronta dei piedi…). Solo nei secoli successivi comparirà l’immagine del Buddha come persona, anche sotto l’influenza dell’arte greca.

Dopo questa indispensabile premessa intorno al primato degli insegnamenti rispetto alla figura del Maestro, è da dire che negli stessi testi del Canone Pali è comunque possibile reperire preziose informazioni in merito a molti episodi della vita del Buddha Shakyamuni, da lui stesso riferiti nel corso dei suoi sermoni quali elementi integranti degli stessi.
Si è già citato il Sutra (in pali: sutta) del Nirvana Definitivo, che si trova nel Suttapitaka, il Canestro (pitaka) dei Sutra (gli altri due canestri (3) in cui è diviso il Canone Pali sono il Vinayapitaka, con i testi delle regole monastiche, e l’Abhidhammapitaka, il canestro della conoscenza superiore dei fenomeni, con insegnamenti sull’etica, la psicologia, la filosofia, la cosmologia…). Qui vengono narrati gli eventi relativi all’ultimo periodo della vita del Buddha, i suoi ultimi spostamenti, la sua infermità, il famoso episodio dell’ospitalità da parte del fabbro Cunda e dell’ultimo pasto del Buddha, le indicazioni impartite ai monaci sul da farsi dopo la sua morte, l’abbandono del corpo e l’entrata nel Parinirvana. Non si tratta, è chiaro, di un testo storico né apologetico, esso è, come gli altri sutra, soprattutto una raccolta di insegnamenti, per quanto ricca di indicazioni biografiche e di spunti letterari estremamente interessanti.

Il Parinirvana del Buddha
Per quanto concerne invece la nascita e la vita di Siddhartha Gautama Shakyamuni, colui che diverrà il Buddha, il Risvegliato, molti episodi sono narrati nel canestro delle regole monastiche, il Vinayapitaka, nelle sezioni denominate Mahavagga (discorsi lunghi) e Cullavagga (discorsi brevi).
Altri testi ancora, oltre al Sutra del Nirvana Definitivo, sono ospitati nel già citato canestro dei Sutra (il Suttapitaka).(4)
A questo punto, può risultare utile una cronologia essenziale della vita del Buddha Shakyamuni, tratta dall’antologia “La vita di Buddha nei testi del Canone Pali”. Le date sono ovviamente ipotetiche:

8 aprile 566 a.C. (o una data intermedia fra il 557 e il 570)
Il principe Siddhartha (“Colui che ha raggiunto lo scopo”) nasce nel Parco di Lumbini, presso Kapilavastu, capitale dello stato himalayano degli Shakya, una oligarchia guerriera che vantava fra i suoi antenati Gautama, veggente dell'epoca vedica. Il padre è il re Suddhodana, la madre la regina Maya; a una settimana dal parto Maya muore e il principino viene lasciato alle cure della zia materna Mahaprajapati.

550 a.C.
Vengono celebrate le nozze del principe sedicenne con la cugina Yashodhara (sembra tuttavia che successivamente egli abbia avuto anche un'altra moglie di nome Gopa).

537 a.C.
A 29 anni abbandona la reggia di Kapilavastu e rinuncia alle ricchezze per dedicarsi alla vita ascetica.

536 523 a.C.
Segue alcuni guru del suo tempo. A Vaisali (odierna Besarh) diviene discepolo di Arada Kalama che lo istruisce sulla "sfera del nulla". Insoddisfatto dei risultati, si trasferisce nel Magadha, regione nord orientale dell'India. Qui, nei pressi del Gange, diviene discepolo di Udraka Ramaputra, assieme ad altri cinque discepoli. In seguito Siddhartha abbandona anche questo guru e diviene un libero anacoreta della giungla. Affiancato dai cinque compagni, si dedica a pratiche penitenziali di mortificazione e di digiuno.

523 a.C.
Dopo aver abbandonato la via della mortificazione ed essere stato, per questo motivo, respinto dai cinque compagni, siede in meditazione sotto l'albero pipal (Ficus religiosa) e medita per sette giorni. Alla fine, nella notte del plenilunio dell'8 dicembre secondo la tradizione conquista l'illuminazione e diviene un Buddha.

522 a.C.
Recatosi a Benares, città sacra sita in riva al Gange, ritrova i cinque compagni e predica loro il cosiddetto Sermone di Benares, che contiene la prima esposizione della Legge buddhista. Nello stesso anno Bimbisara, re del Magadha, mecenate e amico personale del Buddha, gli fa dono della Foresta di bambù, favorendo così la diffusione del suo insegnamento.

522 a.C. e post
Per una quarantina di anni il Buddha si dedica alla vita della Comunità e a un fecondo proselitismo: converte laici, asceti erranti, briganti, giovani brahmani e ricche cortigiane.

507 a.C.
Si sceglie come servitore il fedele Ananda: divenuto eminente discepolo, quest'ultimo ricordava a memoria tutti i grandi discorsi del Buddha e li recitò nel primo concilio di Rajagrha.

486 a.C. (o una data Intermedia fra il 477 e il 486)
Il Buddha entra nel Parinirvana: il suo corpo viene cremato e le reliquie vengono divise fra la Comunità. (5)

Tra i tanti episodi della vita del Buddha che sarebbe possibile citare, se ne riporta qui uno in particolare, forse non molto noto, che può rivestire un particolare interesse per il lettore occidentale in quanto riporta alla mente la vicenda, narrata nel Vangelo di Luca, della presentazione al Tempio di Gesù e dell’incontro con Simeone.
Asita rende visita al futuro Buddha
È la storia del veggente Asita, un grande yogi, il quale, avendo saputo della nascita del futuro Buddha, si reca al palazzo degli Shakya per vederlo.
Infatti Asita, grazie ai suoi poteri yogici, aveva osservato un gruppo di Deva che manifestavano grande felicità e aveva chiesto loro il motivo di tanta gioia. Gli dei gli avevano così risposto:
"Nella città degli Shakya, nel parco di Lumbini, è venuto al mondo il Bodhisatta [in sanscrito bodhisattva], la perla mirabile, l'incomparabile; egli viene per il bene e per la felicità degli uomini, e per questo noi siamo così felici e gioiosi. Colui che è la più eccelsa di tutte le creature, l'uomo superiore, il primo degli uomini, il più grande di tutti gli esseri, farà girare la Ruota del Dhamma nel bosco dei Veggenti, lui che ruggisce come un leone, il poderoso re degli animali".
All'udire queste parole l'eremita Asita scese rapidamente dal cielo e si recò al palazzo di Suddhodana, dove si sedette al cospetto degli Shakya e domandò loro: "Dov'è il principe? Anch'io desidero vederlo". Allora gli Shakya mostrarono ad Asita il bambino, il loro principe, splendente come l'oro fuso nel crogiolo da un valente artigiano, mirabile nella sua gloria e nella sua bellezza incomparabile. Quando vide il principe splendente come una fiamma viva e come le stelle del firmamento, come il sole d'autunno quando è limpido e non offuscato da nubi, Asita si abbandonò alla gioia e fu rapito in estasi.
I Deva del cielo tenevano sospeso nello spazio etereo che divide il cielo dalla terra un baldacchino, sontuoso nel dedalo di una miriade di stoffe e drappeggi, e agitavano code di yak impugnandole con manici d'oro; ma i Deva che sostenevano il baldacchino e agitavano le code di yak erano visibili solo all'asceta. Al colmo della felicità l'eremita Asita, chiamato la Gloria Nera, che portava i capelli a trecce, accolse quel bambino simile a una pietra preziosa scintillante su una stoffa color arancio, maestoso sotto il baldacchino innalzato in suo onore; esperto nell'interpretazione dei segni e dei presagi, Asita fece allora risuonare la sua voce gioiosa per salutare come si conviene il capo degli Shakya: "Ecco l'Incomparabile, il Capo di tutti gli esseri umani".
Ma poi, ricordandosi della sua età ormai avanzata, cadde in uno stato di profonda tristezza e si mise a piangere. Di fronte alle sue lacrime, gli Shakya chiesero ad Asita: "Forse che il bambino corre qualche pericolo?". Per tranquillizzare gli Shakya l'eremita rispose: "Non prevedo nulla di funesto per il bambino, e non c'è alcun pericolo per lui, perché non è un essere inferiore: non è, infatti, di casta inferiore; non abbiate allora alcun timore.
"Questo principe raggiungerà il grado più alto dell'Illuminazione perfetta e farà girare la Ruota del Dhamma; lui che possiede lo sguardo puro, e vede ciò che per gli uomini è bene, diffonderà lontano la Via Santa.
"Ma la mia vita volge ormai alla fine, e la morte mi coglierà mentre il bambino sorriderà alla vita; io non ascolterò il Dhamma dell'Incomparabile: ecco perché sono così triste".
Dopo aver riempito di gioia gli Shakya egli lasciò il palazzo per andare a riprendere la sua vita religiosa(6).

Alcuni secoli dopo, si leggerà nel Vangelo di Luca, 2,22-35:
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, [Giuseppe e Maria] portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
La presentazione al Tempio di Rembrandt
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima»”.


Senza addentrarsi ulteriormente nelle ricerca di analogie tra storie appartenenti ad epoche, luoghi e tradizioni molto lontane tra loro, è sufficiente osservare i due diversi atteggiamenti umani: Asita, dopo aver provato gioia ed essere entrato in uno stato estatico, si rattrista e piange pensando alla sua prossima morte e quindi all’impossibilità di ascoltare gli insegnamenti del futuro Buddha. Al contrario, Simeone si abbandona “in pace” alla volontà divina, e quindi alla morte, avendo potuto vedere di persona la luce della salvezza per tutti i popoli.

NOTE

(1)    In: La rivelazione del Buddha, vol. I – I testi antichi, a cura di R. Gnoli, Ed. Mondadori, pag. 1181.
(2)    Id., pag. 1141.
(3)    Si tratta probabilmente dei canestri nei quali venivano conservati gli insegnamenti scritti su supporti di origine vegetale.
(4)    Molti testi del Canone Pali sono leggibili, tradotti in italiano a cura di Enzo Alfano, nel prezioso sito Internet: http://www.canonepali.net/index.html.
(5)    Dall’Introduzione di G. Burrini a: V. Cucchi (a cura di), La vita di Buddha nei testi del Canone Pali, Ed. Xenia, pagg. XI-XI.
(6)    L’episodio di Asita è narrato nel Mahavagga 679-697, ed è leggibile nel sito “in quiete” di Gianfranco Bertagni: (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/cucchi.txt). L’incontro tra Asita e Siddhartha è riportato in maniera estesa nel più tardivo Buddhacarita di Asvaghosa (di cui si parlerà successivamente), nel Canto I, 49-80.

ottobre 2014

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