In occasione della fine di un anno caratterizzato non solo dalle difficoltà economiche di molti, ma soprattutto dal proliferare a livello individuale, sociale, politico, di una cultura della violenza, della discriminazione, del razzismo, dell'egoismo, pubblico qui, quale proposta di riflessione per il prossimo 2015, un breve scritto del 2002 – ma di assoluta attualità – di Raimon Panikkar, sacerdote cattolico, filosofo, teologo e scrittore spagnolo, di cultura indiana e catalana, il quale dedicò gran parte della sua vita e dei suoi studi al dialogo interreligioso.
Il brano è tratto dal volume Pace e interculturalità, edito da Jaca Book, ed è stato pubblicato nel 2003 dalla rivista Mondialità dei Missionari Saveriani di Parma.Raimon Panikkar (1918 - 2010) |
1. La pace è partecipazione all'armonia del ritmo dell'Essere. La pace non altera il ritmo della realtà. Non è statica, né dinamica. Non è nemmeno un movimento dialettico. E non significa assenza di forze o di polarità. L'Essere è ritmico, è ritmo, integrazione a-dualista del movimento e del riposo. La cultura tecnocratica occidentale, coltivando l'accelerazione, ha sconvolto i ritmi naturali: è senza pace.
2. E' difficile vivere senza pace esterna; impossibile senza pace interna. Ogni giorno, dopo l'ultima guerra mondiale, mille persone muoiono vittime della guerra. In tutto il mondo vi sono milioni di profughi, bambini nelle strade e persone che muoiono di fame. Non si deve minimizzare questa degradazione umana della nostra razza. Ma se la pace interna sussiste c'è ancora speranza. D'altronde non si può godere di una pace interna se il nostro ambiente umano ed ecologico è vittima di violenze e di ingiustizie. In tal caso la pace interna è un'illusione. E nessun autentico saggio (da Buddha a Cristo) si rinchiude nell'egoismo e nell'autosufficienza.
3. La pace: non la si conquista per se stessi, né la si impone agli altri. È dono dello Spirito. La pace non proviene né da spiritualità masochiste, né da pedagogie sadiche. I regimi imposti non fondano la pace per chi li riceve: bambino, povero, famiglia o nazione che sia. A noi manca l'atteggiamento più femminile del ricevente. La natura della pace è d’essere grazia, dono. È frutto di una rivelazione: dell'amore, di Dio, della bellezza della realtà, è esistenza della provvidenza, bontà della creazione, speranza, giustizia. È Gabe e Aufgabe, dono e responsabilità.
4. La vittoria ottenuta con la sconfitta violenta del nemico non conduce mai alla pace. La maggior parte delle guerre ha trovato giustificazione come risposta a trattati di pace anteriori. I vinti riappaiono ed esigono ciò che è stato loro rifiutato. La stessa repressione del male non ha risultati durevoli. La pace non è il risultato di un processo dialettico del bene contro il male. Il giovane rabbino di Nazaret invitava a far crescere insieme grano e zizzania. La pace fugge il campo dei vittoriosi (Simone Weil). La vittoria è sempre sulle persone; e le persone non sono mai assolutamente cattive.
5. Il disarmo militare richiede un disarmo culturale. La civiltà occidentale ha sviluppato un arsenale di armamenti, qualitativamente e quantitativamente; deve esservi un che di inerente a questa cultura: spirito di competizione, soggettività, tendenza a trascurare il campo dei sentimenti, senso di superiorità, di universalità, ecc.. Il fatto che i discorsi [per la pace, nella civiltà occidentale] si concentrino sulla distruzione degli armamenti, senza prestare attenzione alle questioni più fondamentali, costituisce un esempio di questo stato spirituale. Allora il disarmo culturale - prerequisito per la pace - è difficile almeno come quello militare. Implica una critica alla cultura e un approccio autenticamente interculturale.
6. Nessuna cultura, religione o tradizione può risolvere isolatamente i problemi del nostro mondo. Oggi nessuna religione potrebbe fornire risposte universali (se non altro perché le domande non sono le stesse). Purtroppo nel momento in cui gran parte delle religioni tradizionali tendono a deporre il manto dell'imperialismo, del colonialismo e dell'universalismo, la cosiddetta visione "scientifica" del mondo sembra raccogliere l'eredità culturale di questi atteggiamenti. Qui bisognerebbe citare la parola pluralismo.
7. La pace appartiene principalmente all'ordine del mythos, non del logos. Shalom, pax, eirene, salam, Friede, shanti, ping-an...: la Pace è polisemica; ha numerosi significati. La mia nozione di pace può non essere pacifica per qualcun altro. La pace non è sinonimo di pacifismo. E un mito, qualcosa in cui si crede in quanto dato. Ma non è irrazionale, anzi rende intelligibile l'atto di intendere. Un tempo la pace veniva firmata in nome di Dio; nella nostra epoca la pace sembra un mito unificante emergente ed è anche in suo nome che si fa guerra. Il mythos non dev'essere separato dal logos, ma i due non dovrebbero venire identificati.
8. La religione, via verso la pace. La religione è stata sempre considerata in passato come via di salvezza. Perciò le religioni erano fattori di pace interiore per i propri adepti e di guerre per gli altri. È un fatto che gran parte delle guerre nel mondo sono state guerre religiose. Oggi siamo testimoni di una trasformazione della nozione stessa di religione: le religioni sono modi di raggiungere la pace (non significa ridurle ad un unico denominatore). E la strada per la pace è rivoluzionaria: esige l'eliminazione dell'ingiustizia, dell'egoismo e della cupidigia.
9. Perdono, riconciliazione, dialogo: solo essi conducono alla pace. Punizione, indennizzo, restituzione, riparazione e cose simili non portano alla pace, non spezzano la legge del karma. Credere che ristabilire l'ordine spezzato risolva la situazione è un modo di pensare grossolano, meccanicistico e immaturo. L'innocenza perduta esige la redenzione e non il sogno di una paradiso ritrovato. La via verso la pace è in avanti e non indietro. La storia umana esige perdono. Per perdonare ci vuole una forza che vada oltre l'ordine meccanico di azione-reazione, ci vuole lo Spirito Santo, Amore pilastro dell'universo.
2. E' difficile vivere senza pace esterna; impossibile senza pace interna. Ogni giorno, dopo l'ultima guerra mondiale, mille persone muoiono vittime della guerra. In tutto il mondo vi sono milioni di profughi, bambini nelle strade e persone che muoiono di fame. Non si deve minimizzare questa degradazione umana della nostra razza. Ma se la pace interna sussiste c'è ancora speranza. D'altronde non si può godere di una pace interna se il nostro ambiente umano ed ecologico è vittima di violenze e di ingiustizie. In tal caso la pace interna è un'illusione. E nessun autentico saggio (da Buddha a Cristo) si rinchiude nell'egoismo e nell'autosufficienza.
3. La pace: non la si conquista per se stessi, né la si impone agli altri. È dono dello Spirito. La pace non proviene né da spiritualità masochiste, né da pedagogie sadiche. I regimi imposti non fondano la pace per chi li riceve: bambino, povero, famiglia o nazione che sia. A noi manca l'atteggiamento più femminile del ricevente. La natura della pace è d’essere grazia, dono. È frutto di una rivelazione: dell'amore, di Dio, della bellezza della realtà, è esistenza della provvidenza, bontà della creazione, speranza, giustizia. È Gabe e Aufgabe, dono e responsabilità.
4. La vittoria ottenuta con la sconfitta violenta del nemico non conduce mai alla pace. La maggior parte delle guerre ha trovato giustificazione come risposta a trattati di pace anteriori. I vinti riappaiono ed esigono ciò che è stato loro rifiutato. La stessa repressione del male non ha risultati durevoli. La pace non è il risultato di un processo dialettico del bene contro il male. Il giovane rabbino di Nazaret invitava a far crescere insieme grano e zizzania. La pace fugge il campo dei vittoriosi (Simone Weil). La vittoria è sempre sulle persone; e le persone non sono mai assolutamente cattive.
5. Il disarmo militare richiede un disarmo culturale. La civiltà occidentale ha sviluppato un arsenale di armamenti, qualitativamente e quantitativamente; deve esservi un che di inerente a questa cultura: spirito di competizione, soggettività, tendenza a trascurare il campo dei sentimenti, senso di superiorità, di universalità, ecc.. Il fatto che i discorsi [per la pace, nella civiltà occidentale] si concentrino sulla distruzione degli armamenti, senza prestare attenzione alle questioni più fondamentali, costituisce un esempio di questo stato spirituale. Allora il disarmo culturale - prerequisito per la pace - è difficile almeno come quello militare. Implica una critica alla cultura e un approccio autenticamente interculturale.
6. Nessuna cultura, religione o tradizione può risolvere isolatamente i problemi del nostro mondo. Oggi nessuna religione potrebbe fornire risposte universali (se non altro perché le domande non sono le stesse). Purtroppo nel momento in cui gran parte delle religioni tradizionali tendono a deporre il manto dell'imperialismo, del colonialismo e dell'universalismo, la cosiddetta visione "scientifica" del mondo sembra raccogliere l'eredità culturale di questi atteggiamenti. Qui bisognerebbe citare la parola pluralismo.
7. La pace appartiene principalmente all'ordine del mythos, non del logos. Shalom, pax, eirene, salam, Friede, shanti, ping-an...: la Pace è polisemica; ha numerosi significati. La mia nozione di pace può non essere pacifica per qualcun altro. La pace non è sinonimo di pacifismo. E un mito, qualcosa in cui si crede in quanto dato. Ma non è irrazionale, anzi rende intelligibile l'atto di intendere. Un tempo la pace veniva firmata in nome di Dio; nella nostra epoca la pace sembra un mito unificante emergente ed è anche in suo nome che si fa guerra. Il mythos non dev'essere separato dal logos, ma i due non dovrebbero venire identificati.
8. La religione, via verso la pace. La religione è stata sempre considerata in passato come via di salvezza. Perciò le religioni erano fattori di pace interiore per i propri adepti e di guerre per gli altri. È un fatto che gran parte delle guerre nel mondo sono state guerre religiose. Oggi siamo testimoni di una trasformazione della nozione stessa di religione: le religioni sono modi di raggiungere la pace (non significa ridurle ad un unico denominatore). E la strada per la pace è rivoluzionaria: esige l'eliminazione dell'ingiustizia, dell'egoismo e della cupidigia.
9. Perdono, riconciliazione, dialogo: solo essi conducono alla pace. Punizione, indennizzo, restituzione, riparazione e cose simili non portano alla pace, non spezzano la legge del karma. Credere che ristabilire l'ordine spezzato risolva la situazione è un modo di pensare grossolano, meccanicistico e immaturo. L'innocenza perduta esige la redenzione e non il sogno di una paradiso ritrovato. La via verso la pace è in avanti e non indietro. La storia umana esige perdono. Per perdonare ci vuole una forza che vada oltre l'ordine meccanico di azione-reazione, ci vuole lo Spirito Santo, Amore pilastro dell'universo.
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