Quello che segue è il Prologo di un recente volume di Marco Vannini, All’ultimo papa – Lettere sull’amore, la
grazia e la libertà, pubblicato da Il
Saggiatore.
L’autore è uno dei maggiori filosofi e
teologi italiani, studioso della mistica cristiana e dei suoi protagonisti, in
particolare Meister Eckhart.
Questo suo lavoro è costituito da sette
lettere, che Vannini indirizza a Benedetto XVI definendolo l’ultimo papa, nel senso in cui tale
formulazione è stata usata da Friedrich Nietzsche nella sua opera maggiore, Così parlò Zarathustra, del 1885.
L’occasione per scrivere il libro è
fornita a Vannini dalle dimissioni del Pontefice, delle quali egli individua una
causa “nella contraddizione tra la
necessità di difendere la credenza tradizionale, soprattutto per le masse
popolari, e il doveroso rigetto di una religione ridotta a mitologia, cui è
ignota l’esperienza dello spirito” (pag. 14).
I temi delle lettere sono quelli
dell’amore, della grazia, della fede, della libertà, della giustizia. E, argomento
di particolare interesse in questa sede, il tema del tesoro nascosto, ovvero quella conoscenza di noi stessi prefigurata
sia dalla filosofia classica sia dalla mistica cristiana.
Non a caso già nel Prologo l’Autore cita la Lettera
ai vescovi della chiesa cattolica emanata nel 1989 dalla Congregazione per la dottrina della fede, diretta all’epoca proprio
dal cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI.
Il documento, pubblicato con il
titolo Alcuni aspetti della meditazione
cristiana, costituiva tra l’altro una condanna esplicita della meditazione
buddhista, considerata un “modo erroneo
di pregare” (pag. 10 della Lettera ai
vescovi), la cui diffusione comporta il rischio di un “pernicioso sincretismo” (pag. 12) tra la
meditazione cristiana e i metodi delle meditazioni orientali. Torneremo in seguito sul temi della Lettera ai vescovi del 1989. Ora, è interessante notare che la tradizione
buddhista è più volte citata nel libro di Vannini: questa attenzione da parte
di uno studioso della mistica non deve affatto essere motivo di stupore, anche
se molti praticanti del Dharma ritengono
che il buddhismo non solo non sia una religione (ineccepibile, se si pensa solo alle tradizioni abramitiche), ma men che meno una mistica. A
costoro, forse timorosi, come gli estensori del documento della Congregazione,
di qualche tipo di contaminazione (che
non è sincretismo, è anzi la normale
storia di qualsiasi tradizione culturale), è bene ricordare che il termine
stesso mistica ha la sua radice nel
verbo greco muein, tacere, e che il termine
sanscrito muni, che troviamo nel nome
di clan del Buddha storico, Shakyamuni,
oltre che con saggio viene anche
tradotto con silenzioso. E nulla meglio del silenzio può avvicinare l’uomo alla saggezza, quella che nasce dall’interiorità
e non dall’accumulo di nozioni.
Scrive Vannini:
“L’ultimo papa è il protagonista del
capitolo intitolato “Außer Dienst”,
ovvero fuori servizio, a riposo, del capolavoro di Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
È un vecchio triste, dal viso magro e
pallido, ma con una bella mano affilata - la mano di chi ha sempre impartito
benedizioni. A lui, che ha servito fino all’ultima ora il vecchio Dio, cui un
tempo tutto il mondo ha creduto, il mondo è diventato estraneo e lontano.
Il suo dialogo con Zarathustra – l’ateo -
è in realtà il dialogo tra due uomini pii, in cui ciascuno riconosce la
religiosità dell’altro. L'ultimo papa è ben consapevole che è stata la fede,
intesa come volontà di verità, rifiuto della menzogna, a convertire Zarathustra
all’ateismo, cioè a impedirgli di credere a un Dio frutto di mani e intelletto
dell’uomo, e perciò, nonostante il suo ateismo, vicino a Zarathustra sente un
segreto profumo d’incenso, una fragranza di lunghe benedizioni, per cui in
nessun luogo della Terra può sentirsi meglio che presso di lui.
Dal canto suo, anche Zarathustra esprime
rispetto per il vecchio, perché ama tutti gli uomini pii, mentre disprezza l’ “uomo
più brutto”: costui è il vero assassino di Dio, che uccide Dio perché non
sopporta colui che lo vede da parte a parte, ovvero vede intera la sua
laidezza, la laidezza di chi nega la verità, nega i valori, ed è perciò il vero
ateo.
Ha servito fedelmente il suo Dio e lo
conosce da vicino, l’ultimo papa. Sa che era un Dio nascosto, pieno di mistero,
che anche ad avere un figlio giunse per vie traverse: sulla soglia della sua
fede sta un adulterio - dice, alludendo all'episodio del concepimento di Maria.
Chi lo venera come Dio dell'amore, non ha una concezione molto elevata
dell'amore, dato che questo Dio volle essere anche giudice, mentre chi ama, ama
al di là di ogni ricompensa o giudizio. Agli inizi, da giovane, questo Dio orientale
- lo JHWH biblico - era duro e vendicativo, aveva costruito anche un inferno
per la soddisfazione dei suoi diletti, ma poi è diventato molle,
misericordioso. Stanco del mondo, è morto soffocato dalla sua stessa pietà,
come Zarathustra stesso ha intuito: non ha potuto sopportare la vista dell'uomo
sulla croce - l'amore per l'uomo era diventato il suo inferno e da ultimo la
sua morte.
Zarathustra dichiara che questo Dio
defunto gli era comunque ripugnante, non aveva occhio limpido e faccia sincera,
ma modi e facce equivoche da prete. E poi, perché doveva prendersela con le sue
creature, questo vasaio cui erano mal riusciti i suoi prodotti (il riferimento
è alla Lettera ai Romani 9, 20-21), se le sue creature non lo avevano compreso?
Perché non aveva parlato più chiaramente? Vendicarsi sui suoi vasi e sulle sue
creature era stato davvero un peccato contro il buon gusto! Esiste infatti un
buon gusto anche nel campo della pietà, che finisce per far dire: “Basta con
questo Dio! Meglio nessun Dio, meglio costruirci il destino con le nostre mani,
meglio essere folli, meglio essere noi stessi Dio!”.
Anche da questo breve e parziale riassunto
appare evidente quanto significativa sia questa pagina, scritta verso il 1885.
Il
punto di partenza è inoppugnabile: Dio è morto, come Zarathustra stesso
proclama all'inizio e come Nietzsche aveva già affermato nella Gaia scienza, ovvero è morta la fede nel
vecchio Dio. Pochi anni prima, in Umano,
troppo umano (I, 113), il filosofo tedesco lo aveva detto così:
Quando,
in un mattino di domenica, sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci
chiediamo: ma è mai possibile? Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni
fa, che diceva di essere il figlio di Dio. La prova di una tale asserzione
manca. Sicuramente nei nostri tempi la religione cristiana è un'antichità
emergente da epoche remotissime, e che si creda a quella asserzione - mentre
per il resto si è rigorosi nell'esaminare ogni pretesa - è forse il frammento
più antico di questa eredità. Un Dio che genera figli con una donna mortale, un
saggio che incita a non lavorare più, a non pronunciare più sentenze e a badare
invece ai segni della prossima fine del mondo; una giustizia che accetta
l'innocente come vittima vicaria; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di
bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi
contro un Dio, espiati da un Dio; paura di un aldilà, la porta del quale è la
morte; il segno della croce come simbolo in un tempo che non conosce più la
condanna e l'ignominia della croce - qual gelido soffio ci manda tutto ciò,
come dal sepolcro di un antichissimo passato? Chi crederebbe che una cosa
simile viene ancora creduta?
L'antica fede è finita, uccisa dalla sua
stessa volontà di verità, che perciò, di fronte all'oggettività storica, si proibisce
la menzogna di credere in quel Dio. Più ancora della volontà di verità, però, è
stato il principio dell'amore, costitutivo di una fede imperniata sul Cristo
morto in croce per amore dell'umanità, che l'ha fatta progressivamente
evolvere, in modo tale che il vecchio Dio Padre, rex tremendae majestatis, terribilmente esigente coi suoi figli, è
diventato un nonno misericordioso e poi addirittura una nonna, figura ancora
più buona e condiscendente, ma del tutto insignificante. Non a caso ai nostri
giorni si è diffuso il concetto di Dio-Madre, già enunciato da papa Giovanni
Paolo i, poi ampiamente rilanciato soprattutto dalla teologia cosiddetta al
femminile, e si fa un giubileo sul Dio-misericordia.
Questa pagina di Nietzsche sull'ultimo
papa, ormai fuori servizio, balza imperiosa alla mente di fronte al fatto
clamoroso, storicamente unico (quelle di Celestino V nel 1294 furono cosa ben
diversa), delle dimissioni di Benedetto XVI.
Sulle ragioni di questa rinuncia le
opinioni dei cosiddetti vaticanisti, che le riportano a problemi contingenti
del suo incarico e della Chiesa, sono riduttive. Non sbagliate, nel senso che
anche questi problemi avranno probabilmente giocato un ruolo nel far sentire al
papa tutto il peso del suo ufficio, ma certamente non essenziali, perché le
questioni che gli rendevano gravosa la croce, davvero cruciali, erano ben
altre.
Le beghe e gli intrighi curiali sono
fastidiosi, ma non nuovi, anzi, presenti da sempre. La vicenda della pedofilia
è penosa per la Chiesa di questi anni, ma non è una novità: ecclesiastici
donnaioli, pedofili, sodomiti ci sono sempre stati: nel Decameron la novella di Abraam Giudeo e Giannotto di Civignì mostra
anzi, paradossalmente, che la loro presenza testimonia che Dio assiste la sua
Chiesa. Destinato a esaurirsi in una stagione anche l'episodio delle carte
trafugate dal segretario-maggiordomo: evento certo non tale da scuotere una
navicella che ha corso ben altri mari e affrontato ben altre tempeste. Anche
altri problemi, più seri, come quello del celibato dei preti o del sacerdozio
femminile, non sono nuovi, né tali da turbare più di tanto un'istituzione
abituata a pensare in termini di secoli, se non di millenni.
Il vero dramma è un altro e riguarda una
cosa davvero essenziale: il venir meno dei fondamenti storici della fede.
Ricordiamo che la principale fatica intellettuale di Benedetto XVI negli anni
del suo pontificato è stata la redazione di una vita di Gesù, il cui ultimo
volume precede, non casualmente, di pochi mesi le sue dimissioni.
Il lavoro è presentato come uno studio
scientifico, di cui è autore il professor Joseph Ratzinger, l'esperto di storia
del cristianesimo che dialoga con i dotti, prima ancora che il pontefice romano
che parla ex cathedra. E il professor
Ratzinger, cui sono ben noti i risultati della ricerca scientifica, non poteva
onestamente credere alle storie bibliche, sa benissimo che sono invenzioni la
Genesi, le storie dei patriarchi, l'Esodo ecc. E poi: costruzione mitica la
storia della nascita di Gesù, il concepimento verginale, così come buona parte
dei miracoli evangelici, ivi compresa la stessa resurrezione. Ma Benedetto XVI conosceva
anche la profondità spirituale del cristianesimo, la fede come esperienza dello
spirito, che sussiste intatta senza quelle credenze su cui è stata fondata per
due millenni - anzi, viene davvero alla luce proprio senza di esse. Far passare
il cristianesimo da mitologia a conoscenza dello spirito nello spirito deve
essergli apparso un compito quasi impossibile, o tale comunque da richiedere
forze molto superiori a quelle di un vecchio papa.
Il dramma di Benedetto xvi è prefigurato
da Nietzsche in un altro capitolo del suo capolavoro, quello sulla “Festa
dell'asino”, in cui tutti i personaggi si inginocchiano di fronte a un asino,
venerandolo e incensandolo come un Dio. Già in antichissime immagini
anticristiane Gesù era raffigurato come un asino, appeso alla croce, e anche
qui si tratta di una sua parodia, cui alludono chiaramente alcune delle lodi
rivoltegli. L'asino è un surrogato del vecchio Dio che è morto, ma
all'indignato stupore di Zarathustra l'ultimo papa risponde che è meglio
adorare un Dio sotto questa forma, piuttosto che non adorarlo affatto. In
realtà, chi ha detto “Dio è spirito” ha fatto compiere il più grande passo
verso l'incredulità, e non è facile sulla Terra rimediare a una tale parola. Il
papa sa bene che chi ha detto “Dio è spirito” è Gesù stesso, nel colloquio con
la samaritana narrato da Giovanni nel capitolo quarto del suo vangelo, e sa
anche che la concezione di Dio come spirito è comprensibile so-lo se si ha
esperienza dello spirito, ovvero quando si è spirito. Proprio allora però si è
tentati di pensare che lo spirito sia qual-cosa dell'uomo, per cui, in
conclusione, non vi sia un Dio al di fuori dell'uomo stesso. Il vecchio papa,
che la sa lunga in materia di fede, conosce bene questa vicenda, che accompagna
da sempre la mistica cristiana, nella quale proprio l'esperienza dello spirito
conduce vicino a quell'ateismo che fu detto appunto “spirituale”, ben più
temibile di quello banale dell'Illuminismo o del Positivismo. Ecco perché per
la grande maggioranza degli uomini occorre un idolo, un Dio-Altro da adorare.
Benedetto XVI si è trovato stretto nella
contraddizione tra la necessità di difendere la credenza tradizionale,
soprattutto per le masse popolari, e il doveroso rigetto di una religione
ridotta a mitologia, cui è ignota l'esperienza dello spirito. Da una parte,
infatti, quando dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, il 15
ottobre 1989 il cardinale Ratzinger emanò quella Lettera ai vescovi su alcuni
aspetti della meditazione cristiana che è, di fatto, una condanna non solo
della meditazione di tipo buddhista, ma anche di ogni passaggio mistico per il
distacco, per il vuoto, nel timore che esso comporti la fine del cristiane-simo
in quanto religione, come noi la conosciamo da secoli.
Dall'altra, Benedetto XVI il 12 settembre
2006 pronunciò a Ratisbona quel discorso che difendeva appassionatamente
l'eredità filosofica greca, il Logos, in un momento in cui il biblicismo sempre
più predominante nella Chiesa annulla il cristianesimo come religione della
ragione, riducendolo così a una variante debole dell'ebraismo.
A differenza dell'ultimo papa dello Zarathustra, Benedetto XVI però non è
stato messo fuori servizio, ma si è ritirato volontariamente, per non
partecipare a feste dell'asino di nessun tipo. Perciò qui ci si rivolge a lui
come all’ “ultimo papa” in un senso nobile, con profondo rispetto”.
Da
leggere:
M.
Vannini, All’ultimo papa. Lettere sull’amore, la grazia e la libertà,
Ed. Il Saggiatore
F.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Ed. Mursia
Alcuni aspetti della meditazione cristiana – Lettera ai
vescovi della chiesa cattolica, Ed. Paoline
(si
trova anche in:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19891015_meditazione-cristiana_it.html)
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