IX – Upadana, l’attaccamento
Dice il Buddha: “Condizionato dal desiderio ha origine
l’attaccamento” (upadana, in sanscrito e in pali), ovvero l’attaccamento a ciò che è
stato oggetto del desiderio, della sete, della brama. È il nono anello,
rappresentato nel bhavachakra
dall’immagine di una scimmia (già vista nel terzo anello, la coscienza), che
coglie frutta su un albero.
Si legge nei testi: “Esistono forme che l’occhio può
conoscere, forme desiderabili, piacevoli, care e deliziose, amabili, eccitanti.
Se un monaco ne rimane affascinato, se le accoglie con gioia, se continua ad
attaccarsi ad esse [..] finirà con l’avere una coscienza da esse dipendente,
che su esse si attacca [..] ma, senza attaccarsi, egli si libera”. E si
prosegue poi con gli altri sensi.
Upadana, l'attaccamento |
Attaccarsi significa quindi rimanere
legati ai “prodotti” dei processi percettivi, basarsi su di essi, non accettare
che cambino, rifiutare la loro impermanenza, ovvero la loro reale essenza, la
loro vacuità. E quindi soffrire e costruire altresì le fondamenta delle future
sofferenze.
Per le leggi del karma, le azioni talvolta
maturano i propri frutti nella vita presente, altre volte i frutti dell’azione
verranno raccolti in altre esistenze successive.
Dice il Buddha: “Affermo che delle azioni
intenzionali compiute e accumulate non può esserci cancellazione senza che si
faccia esperienza dei loro risultati, sia che questo avvenga in questo mondo,
sia che questo avvenga in altre condizioni”.
Upadana,
l’attaccamento, fa quindi da tramite tra trishna,
il desiderio, e bhava, il divenire,
il decimo anello, dal quale si originano nascita e vecchiaia-e-morte (XI e
XII).
È detto: “Nel momento in cui un essere
abbandona questo corpo, ma non è ancora nato in un altro corpo – tutto ciò, vi
dico, si costruisce sul desiderio. Poiché in quel momento il desiderio diventa
l’agente [upadana] per ciò”.
Come si intuisce, upadana è un elemento dinamico. È l’agente del processo,
così come lo è il vento allorquando strappa le fiammelle di un fuoco e le
trasporta altrove, dove genereranno una nuova fiamma, nel contempo uguale e
diversa dalla precedente.
Il riferimento è alle antiche credenze
dell’India tradizionale (che il Buddha non rifiuta né accoglie
incondizionatamente, ma trasforma radicalmente in una nuova visione), secondo
le quali l’ultimo desiderio di un morente è ciò che causa e determina la nuova
nascita.
All’origine delle sofferenze umane non
c’è tanto il possesso degli oggetti quanto l’attaccamento a ciò che possediamo,
anzi, che crediamo di possedere, in quanto non ne riconosciamo la natura
impermanente e non-sostanziale.
L’attaccamento si manifesta sotto
diverse forme: può essere un impulso momentaneo, spontaneo, effimero; oppure si
tratta di attaccamenti che nascono da continue ripetizioni e che si trasformano
col tempo in vere e proprie abitudini, in comportamenti automatici. Questi sono
molto più difficili da riconoscere e influiscono più profondamente sulla vita
della persona, sul suo presente e sul suo futuro. L’oggetto dell’attaccamento
(una persona, un ideale, un ruolo sociale, degli oggetti materiali o
immateriali…) si riveste di una forte componente emotiva, pare divenire
insostituibile, assolutamente indispensabile per la vita dell’individuo. Il
quale, in definitiva, crea da se stesso i legami in cui resta
imprigionato.
Tali legami, ovvero stati mentali,
sono ciò che incatenano ad una esistenza ciclica condizionata, non illuminata,
priva di libertà, dominata dalla sofferenza e dalle frustrazioni inevitabili,
data la reale natura dei fenomeni.
Upadana è
tradizionalmente raggruppato in quattro sezioni:
v Kamupadana, l’attaccamento
agli oggetti dei sensi, all’eros, alle passioni; una naturale forma di difesa
della vita, che però diviene attaccamento quando si rifiuta di vedere la natura
impermanente della vita stessa e delle sue manifestazioni, il che ci impedisce
di fruirne fino in fondo! Ne è un buon esempio la attuale “società dei
consumi”, fondamento della quale è la coazione a ripetere il gesto
dell’acquisizione di beni, indipendentemente dal reale bisogno che se ne ha.
v Ditthupadana, l’attaccamento
alle opinioni, alle false idee, nelle due diverse tipologie del nichilismo
(per cui ad esempio non c’è bisogno di seguire alcuna legge morale, in quanto
non esiste effetto karmico delle azioni, nulla sussistendo dopo la morte) e
dell’eternalismo (secondo cui esiste un’anima immortale, atman, indipendente dai processi fisici
e mentali che passa da un corpo all’altro fino a fondersi con il Sé Universale,
Brahman). Caso emblematico è la
figura dell’intellettuale mai disposto ad abbandonare le proprie idee ed
opinioni.
v Silabbatupadana, l’attaccamento
a regole e rituali, il che è tipico di una mente formalistica, la quale ritiene
che basti seguire alla lettera delle norme e dei rituali esteriori per
attingere alla liberazione. È una radicale critiche che il Buddha rivolse alla
religione brahmanica e alla casta sacerdotale che monopolizzava la spiritualità
indiana dell’epoca.
v Attavadupadana, l’attaccamento
alla falsa opinione dell’esistenza di un io. Ne consegue la formazione di una
personalità piena di sé, con un ego inflazionato che viene proiettato
all’esterno di sé e in un futuro senza fine.
Naturalmente si tratta soltanto di
classificazioni, che l’India antica amava profondamente, e che certo non sono prive
di utilità pratica. Altre categorie ancora si potrebbero aggiungere: ad
esempio, il maestro theravada Nyanaponika Thera proponeva una
ulteriore distinzione, tra l’attaccamento perseguito attivamente e quello
di cui si fruisce passivamente. Nella prima categoria rientrano i godimenti
legati ai sensi, la sessualità, la fruizione estetica, la spinta ad ammassare,
ad accumulare, la sete di potere a tutti i livelli… Nella passività rientrano
invece il desiderio di sottomettersi, l’istinto gregario, l’affidarsi
compulsivamente a relazioni personali o di gruppo, il culto dei capi, il legame
con le usanze, con le tradizioni… Come pure l’abbandono del mistico nei
confronti della divinità o verso la beatitudine della meditazione, che è pur
sempre una forma di intossicazione dello spirito.
Tutte queste categorie, queste
catalogazioni, sono anch’esse frutto del lavoro della mente, e sono pertanto
generiche, non esaustive, provvisorie. In ogni caso, non devono divenire a loro
volta oggetti di attaccamento.
Diceva il Buddha che “l’insegnamento
è come una zattera che serve per approdare all’altra sponda [la liberazione, il
nirvana]. L’intelligente, dopo aver attraversato il fiume, non si caricherà la
zattera sulle spalle”.
Così colui che si incammina su una Via
spirituale deve costantemente vigilare su se stesso affinché nemmeno gli ideali
spirituali, gli insegnamenti, la pratica, i meriti accumulati, il Buddha e il
Nirvana stessi divengano oggetti di attaccamento, concetti, obiettivi da
perseguire al di fuori di sé.
Diceva ancora il Buddha: “Solo
un monaco che non raccoglie ottiene il Nirvana”.
X – Bhava, il divenire
A partire dal quarto anello (namarupa, il complesso psico-fisico) e fino al nono (upadana, l’attaccamento) è stato preso
in esame il meccanismo in base al quale l’uomo interagisce col mondo esterno ed
interno. Un meccanismo ripetitivo, introiettato al punto di divenire spesso
automatico, difficilmente riconoscibile, che dalla sensazione e sotto la spinta
del desiderio porta l’uomo ad attaccarsi agli oggetti senza riconoscere, per
ignoranza, la loro non-sostanzialità ed impermanenza, dando così origine alla
sofferenza.
Tutto il meccanismo sin qui descritto origina il
decimo anello, bhava, il divenire,
rappresentato dall’immagine di una donna in stato di gravidanza.
Il termine sanscrito (e pali) bhava deriva dalla
radice bhu, che ha il significato di
“origine”, “genesi”, “venire alla luce”, e si associa quindi nel contesto del bhavachakra, al karma e alla rinascita.
Bhava è il divenire in cui stiamo agendo
ora (talvolta bhava indica l’azione
stessa), ed è anche l’anello di congiunzione con la vita futura (jati, la nascita, undicesimo anello). È
la base, condizionata dall’attaccamento, su cui si sviluppa una nuova
esistenza: la rinascita è quindi preparata durante l’intero corso della vita
presente, attraverso il processo intenzionale di attività, esperienze,
desideri, pensieri…
Bhava, il divenire |
L’esistenza futura è ciò in cui si deve esplicare
l’effetto di ciò che è stato compiuto, in quanto eredità del passato.
Dalla sensazione, che di per sé è il semplice
incontro tra oggetto sensibile e organo di senso, scaturisce il desiderio,
ovvero una reazione che a livello cognitivo è una manifestazione dell’ignoranza
dell’autentica natura dei fenomeni (avidya)
e a livello emotivo si manifesta come avidità/avversione.
Dal desiderio sorge
l’attaccamento, cioè l’aspettativa che un qualcosa avvenga (o non avvenga) come
noi vogliamo, oppure resti così come ci piace.
A questo punto il divenire è
innescato.
Per questo, i tre nidana (anelli) della sete, dell’attaccamento e del divenire sono
definiti nel loro insieme come i “fattori di produzione”, laddove i due
successivi sono i “fattori prodotti”, nascita e vecchiaia-e-morte, che
sono relativi all’esistenza futura.
Come si è visto, l’anello del divenire
riguarda espressamente il karma. Che costituiva già il secondo
anello, quello dei samskara (o sankhara), le formazioni mentali
condizionate dall’ignoranza, avidya.
Perché due anelli, entrambi relativi al karma?
Nel caso dei samskara, si tratta del karma
passato, dei semi karmici che entrano a far parte dell’esistenza presente.
Nel caso di bhava, si tratta invece delle azioni compiuto nel corso della vita
presente e degli stati mentali ad esse associati; sono qui presenti due
aspetti:
-
quello
attivo di produzione karmica e
-
quello
passivo, gli effetti di tale produzione, che portano al processo di
rinascita.
Si
parla pertanto dei due aspetti che il processo di crescita, di sviluppo (bhava) può assumere:
·
da
una parte il kammabhava [si presti attenzione a non confondere il termine kamma,
in sanscrito karma, l’azione consapevole che genera effetti karmici, con kama,
la sensualità],
il processo karmico vero e proprio cioè le azioni consapevoli che originano il
“carico” karmico,
·
dall’altra
upapattibhava,
ovvero l’effetto del precedente, la necessità della rinascita quale risultato
inevitabile dell’accumulazione karmica.
Secondo i testi antichi, vi sono 9
possibili modalità di esistenza generate da upapattibhava,
a seconda del tipo di attaccamento sviluppato. Ad esempio, se si è spinti
dall’attaccamento agli oggetti dei sensi (kamupadana),
si produce un processo karmico della stessa natura, kamabhava, il quale
costituisce a sua volta un preparativo per la rinascita nel mondo legato ai
sensi, il kamaloka, che comprende i mondi degli dei e degli dei gelosi, i
regni degli uomini, degli animali, degli spiriti famelici, e gli inferni.
Ma, senza entrare in ulteriori dettagli,
ciò che conta è comprendere che scopo della persona saggia non è di rinascere
in uno dei diversi modi di esistenza, bensì liberarsi dal ciclo della
ripetizione delle esistenze.
È detto: “Il saggio dunque non crea né ha
come scopo la crescita e il decadimento [..], egli non costruisce nulla nel
mondo, è libero dalla sofferenza e ottiene il nirvana: la nascita si conclude”.
Testi
Cornu Dizionario del Buddhismo Ed.
Bruno Mondadori
Falà Tanha, il desiderio in:
Paramita n. 39
Falà Upadana, l’attaccamento in:
Paramita n. 40
Falà Bhava, il divenire in:
Paramita n. 41
Nyanaponika Thera La
visione del Dhamma Ed.
Ubaldini
Johansson La psicologia dinamica del buddhismo antico Ed.
Ubaldini
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