lunedì 23 febbraio 2015

Adversus Buddham

Quella che segue è una intervista di Arrigo Muscio a Roberto Dal Bosco, autore del volume “Contro il buddismo”, recentemente pubblicato dalla Casa Editrice Fede & Cultura.
Il testo dell’intervista è presentato qui come apparso sul sito www.genitoricattolici.org, nella sua versione integrale e senza alcuna modifica, tranne nel caso del nome dell’autore di “La violenza e il sacro”, (citato al punto 6) che per un probabile refuso è divenuto Réné Girad anziché René Girard.
Il termine “buddista” viene riportato così come lo si trova in tutta l’intervista, anche se è ormai invalso l’uso tra gli studiosi di scrivere “buddhismo”, in quanto la lettera “h” è in questo caso aspirata (si veda:
http://bifrost.it/Lingue/Sanscrito.html).

Inoltre, si è volutamente scelto di non accompagnare il testo con alcun commento, per vari motivi.
Innanzitutto perché le argomentazioni esposte nel ridotto spazio di una intervista non possono certo avere l’ampiezza e la profondità del contenuto di un intero libro, con il quale ci si potrà eventualmente confrontare in altra occasione.
Inoltre, sembra a mio parere ben più interessante – invece di entrare nell’inutile spirale polemica di uno scontro di opinioni – proporre la lettura del testo come fosse uno “specchio” per il praticante del Dharma: uno strumento di verifica della propria pratica e dei suoi rischi – compreso quello di una qualche forma di “fondamentalismo buddhista” –, e delle modalità del proprio rapportarsi agli altri.

“1) Lei ha scritto il libro “Contro il buddismo” che fa stecca nel coro del politicamente corretto. Secondo il comune sentire infatti il buddismo viene considerato una filosofia di vita improntata alla pace e all’amore e non una religione; come mai quindi ha sentito il bisogno di scrivere tale volume?

La nascita del libro ha una sua storia. Quando non avevo neppure diciotto anni, feci un sogno.
Sognai che ero su un treno nel deserto, diretto verso delle montagne altissime all’orizzonte.
Come il treno aumentava la velocità indefinitamente, mi accorgevo che ai lati della ferrovia vi erano centinaia di corpi di soldati cinesi morti. La visione del sogno poi mi portava in cima ad un dirupo, dove un monaco lamaista guardava il sole e sorrideva. Questo sogno mi toccò profondamente, portandomi ad interessarmi alla questione del Tibet e alle tematiche buddiste.
La ferrovia Pechino-Lhasa
Seppi solo anni dopo che i cinesi stavano costruendo la contestatissima ferrovia Pechino-Lhasa... Così, negli anni crebbe in me il desiderio di scriverne, così iniziai un romanzo, i cui primi capitoli rimasero nel cassetto. Passarono gli anni, e vidi le mie posizioni sul Tibet e sul buddismo in generale mutare completamente. Così, quando accennai al romanzo ad un amico che aveva contatti con un editore importante, lui mi disse che se invece di un romanzo avessi voluto scrivere un saggio sul lato oscuro del buddismo, lui lo avrebbe fatto pubblicare subito.
Così fu, ma l’importante editore, che non nominerò, si tirò indietro all’ultimo, dopo avermi inviato il contratto: d’improvviso, avevano paura. Dovetti aspettare ben due anni prima di trovare un editore coraggioso come Fede&Cultura che mi pubblicasse...
Ciò detto, mi sono sempre chiesto perché il bisogno di scrivere un libro del genere non lo abbia sentito nessuno prima. Che il buddismo non sia una religione di pace e amore, ma un culto che ha le sue storie di sangue - come tutti gli altri - è uno di quegli stereotipi totalmente errati che ha invaso la nostra cultura e che ora è impossibile da scrostare. Una recente raccolta di saggi accademici, “Buddist Warfare”, si chiede la medesima cosa che mi sono chiesto io: come è possibile che la gente pensi che la storia del buddismo sia priva di fatti cruenti? I vari cattedratici, forse con le mani legate dal politicamente corretto, non danno una risposta efficace...
Le sette buddiste la fanno da padrone ovunque oramai, ammantate di quella insopportabile aura di innocenza e bontà. Il fatto che la società, gli stati ma ancor di più le nostre istituzioni religiose, non trovino il modo di reagire a questa situazione, è di per sé un indice del tremendo stato di disorientamento che stiamo vivendo.
Il fatto che il libro stia vendendo abbastanza bene mi dice però che una scintilla da qualche parte ancora cova.

2) Perché, secondo lei, vi sono personaggi dello spettacolo che si prodigano attivamente a favore del sorriso del Budda?

Il sinologo Orville Schell ha analizzato il buddismo hollywoodiano in modo molto perspicace, utilizzando categorie geopolitiche. Nel caso del buddismo tibetano, il Dalai Lama - che aspira a divenire un sovrano temporale - necessita di ambasciate in giro per il mondo. La pattuglia di divi buddisti e filotibetani funziona dunque come una sorta di “ambasciata” del governo tibetano in esilio. L’idea non è priva di un suo strategico genio: Hollywood, la mecca del cinema, ha rappresentato per decenni la seconda fonte di entrata dell’export americano, essendo la prima l’industria aerospaziale. Un ganglio economicamente vitale, e ancor di più la fabbrica dei modelli antropologici a cui buona parte dell’umanità si assoggetta - dal taglio dei capelli al modo di sorridere, i divi di Hollywood da più di un secolo oramai dettano legge sul globo terracqueo. Un vero ineffabile soft-power, non di rado pienamente accordato con la volontà politica del Dipartimento di Stato USA e del grande ordine cavalleresco che regna sugli affari degli USA, la CIA. La quale ha con il Dalai Lama un filo diretto, come un mese fa ha sostenuto la Sueddeutsche Zeitung. Il Dalai Lama - che ha ammesso i finanziamenti CIA, e il cui fratello è risaputamente un agente di Langley - è stato per anni un residuo della Guerra Fredda. Ora che la Cina fa davvero paura, ecco che lo ritirano fuori per destabilizzare la regione, che è ricca di acqua, e, più a nord in Xinjiang, di petrolio.
Per quanto invece riguarda altri movimenti buddisti e la loro propensione alla conversione delle star, la loro operazione ha lo stesso scopo. Va forte, nel mondo dello spettacolo e della moda in Italia ma ora pure nel cinema USA, la giapponese Soka Gakkai. Quante persone possono decidere di vincere le proprie diffidenze rispetto ad un invito ad entrare nel movimento quando ti viene presentato con il volto sorridente di Roberto Baggio o di Orlando Bloom?
La tecnica non è diversa da quella usata da Scientology: prima converti le star, poi gli altri verranno. Noto che il narcotraffico ai suoi albori pure ebbe la stessa idea: dare prima la cocaina alle star (come visibile in un film sull’argomento, Blow) per poi attrarre nel disastro della droga l’uomo della strada.

3) Nel suo scritto si accenna anche a scandali sessuali che hanno coinvolto “religiosi buddisti”; come mai tali scandali, diversamente da quelli che accadono in campo cattolico, non sono ampiamente pubblicizzati?

I casi di abuso sessuale perpetrati dal clero buddista - per lo meno da quello di scuola tantrica - presentano una situazione ben più preoccupante, in quanto l’abuso, e talvolta persino il femminicidio, è prescritto in alcuni testi sacri per i buddisti vajrayana - la tradizione del Dalai Lama per intenderci. Gli abusi quindi, in questi casi non sarebbero da ascriversi all’opera perversa di un “prete” peccatore che va contro i suoi voti, ma anzi, sono da leggersi come un tentativo di andare sino in fondo agli insegnamenti dei suoi maestri. L’abuso come “preghiera”, in sostanza - qualcosa di assolutamente attinente alla magia nera.
Quanto al clamore degli scandali sessuali presso i cattolici, sposo in pieno la teoria dello studioso protestante Philip Jenkins, che dati statistici alla mano ha dimostrato che gli abusi presso i cattolici sono percentualmente quasi la metà di quelli commessi nelle altre confessioni.
Sposo anche la teoria che vuole che la questione dei preti pedofili sia solo uno dei tanti volti dell’immane attacco portato contro Benedetto XVI, perpetrato mezzi di propaganda già ingegnati orrendamente dal grande stratega della comunicazione del III Reich Goebbels, che montando una campagna identica a quella che vediamo oggi voleva screditare la Chiesa Cattolica dopo l’enciclica Mit brennender Sorge con la quale Pio XI condannava il pensiero nazista. Davanti a Benedetto XVI che mette sotto accusa il relativismo, gli si risponde allo stesso modo, anzi con ancora più violenza. Il fatto che abbiano copiato un vecchio piano nazista però ci dice anche che i nemici della Chiesa stanno esaurendo fantasia e creatività. A suo modo, un buon segno.

4) Nel suo libro viene evidenziato il fatto che all’interno del buddismo si agitano molti demoni. Può spiegare per quali ragioni tale religione è intrisa di magia nera e di adorazioni diaboliche?

C’è da dire che l’intero edificio del buddismo lamaista, per esempio, si basa su antichi riti prebuddisti, di cui ha salvato tutto il pantheon di esseri preternaturali.
La locandina del film di Scorsese
La leggenda della conversione del Tibet, per esempio, è illuminante. Il “santo” Padmasambhava affrontò i demoni locali ma non li scacciò, come ad esempio si legge nei Vangeli: li sottomise, come peraltro insegnano a fare i grimori della magia nera nostrana. Il buddismo tibetano coabita con i demoni, che anzi sono destinatari di preghiere e riti, o ancora di più, sono veri motori di azione politica: non è noto infatti, anche se visibile in film come Kundun, che importanti decisioni del governo tibetano sono prese dagli “oracoli”, che altro non sono che persone che, durante apposite cerimonie, vengono possedute dai vari demoni del Tibet che fanno così saper cosa consigliano di fare.
In buona sostanza, una “demoniocrazia”.
Queste pratiche non sono da considerarsi come degli aspetti folcloristici: da queste cerimonie di possessione sono sorte numerose decisioni importanti per la storia della compagine del Dalai Lama, come la decisione di riparare in India o la “guerra” contro i compagni lamaisti seguaci del demone Shugden, che ora nella capitale in esilio Dharamsala sono privati dei diritti civili.
Al di là del caso tibetano, c’è da dire che in tutto il buddismo, ad attirare i demòni è sicuramente il vuoto. Perché il vuoto è di per sé un concetto antitetico al creato. Laddove noi pensiamo vi sia il vuoto, si può infilare il demonio, e continuare ad agire indisturbato. Per questo, sostengo che il Nulla buddista sia una “maschera”. Una maschera che può indossare chi vuole la distruzione del creato e dell’umanità. Lo stesso concetto di nirvana - cioè di estinzione - è di per sé il precipuo programma dell’Inferno: lo sterminio della razza umana, il fratello minore cui il Signore ha dedicato tutto il suo amore e la sua attenzione. Di qui le corrispondenze tra buddismo e la cultura dell’aborto, che ho tentato di indagare nel libro in un capitolo dedicato alla questione dell’aborto in Giappone.

5) Lei ha scritto che il buddismo rappresenta un pericolo per l’intera umanità. Come mai?

Il Buddismo è un pericolo per l’umanità perché vuole la sua estinzione. Perché non vive la vita come un dono unico ed irripetibile, ma come una dolorosa prigione da cui sfuggire. L’uomo non è posto da Dio al centro del Creato, anzi, è vissuto come un ostacolo da superare verso uno stadio superiore, in cui nulla più esiste - uno stato in cui il creato è distrutto per sempre. La fortuna del buddismo odierno viene tutta da qui: dalla sua facile integrazione con tutte le teorie anti-umane che sono oramai pacificamente nell’aria. Decrescita, Zero-Growth, riduzione della popolazione terrestre, e tutte le altre culture della morte più o meno legate all’ecofascismo oramai imperante, pensato dai potenti (in primis il Club di Roma) per liberarsi del fastidio dell’umanità e abbracciato gioiosamente adesso dai movimenti cosiddetti ambientalisti. Il Buddismo è la religione giusta per ridurre la popolazione terrestre: la rende docile, poco attaccata alla vita, e non troppo desiderosa di riprodursi (il seme, nelle varie pratiche tantriche, è infatti ritenuto, sprecato). La religione ideale per rendere i figli di Dio una serqua di lemming imbecilli. Questo, almeno secondo me, è un grande problema. Il buddismo non è l’avversario maggiore, è solo un valvassino di quello che è il vero nemico dell’uomo, che oggi più che mai chiede di scatenarsi sulla razza umana.

6) Come la mettiamo, secondo lei, con i raduni religioni in cui si prega Gesù Cristo e, accanto, si innalzano preghiere ad un dio ben diverso da nostro Signore Gesù Cristo?

Sono un puro effetto, e neanche il peggiore, del disorientamento che vivono le nostre comunità religiose. Un segno dei tempi. Il filosofo René Girard, nel suo studio «La violenza e il sacro» parlava del periodo che precede il sacrificio del capro espiatorio, un periodo che chiama “crisi sacrificale”, dove regna l’indistinzione: in una società in preda alla crisi sacrificale non v’è differenza tra alto e basso, maschio e femmina, giusto e sbagliato, bene e male. È il grande Carnevale del relativismo, di cui tanto ci ha parlato il nostro Papa. Sta scritto “E quale accordo fra Cristo e Beliar?” (Seconda lettera ai Corinzi, capitolo 6 versetto 15). Io rispondo, certo, che nessun accordo è possibile. Nessuno. Che qualcuno immagini che questo accordo sia possibile è effetto di questa orribile “crisi sacrificale”, che solo appunto con un grande sacrificio potremo cacciar via. La posta in gioco, lo sappiamo tutti, è altissima.

7) Il suo libro, che riporta testimonianze di missionari e che si conclude con un invito alla preghiera, come viene giudicato dai cattolici? E da tutti gli altri?

Il libro ha subito molto attacchi ad intra da parte di cattolici. Si tratta a volte di cattolici tiepidi, altre volte da cattolici progressisti. Non è mancato anche qualche attacco di qualche sparuto cattolico tradizionalista perché vede stupidamente nel buddismo una Chiesa conservatasi pura, oppure è legato a trascorsi culturali di estrema destra, e sulla fascinazione dell’estrema destra per il buddismo ho scritto un intero capitolo del libretto.
Quanto agli extra ecclesiam, ho registrato diversi attacchi da parte di buddisti, che in molti casi hanno dimostrato bellamente l’attitudine nichilista e finanche violenta di cui parlo nel libro e che loro vorrebbero invece negare. In diversi forum, come quello di Costanza Miriano che mi ha dedicato un post o in quello del mio editore, spesse volte si è dovuto rimuovere commenti perché pieni di insulti e perfino di bestemmie. L’anticristianismo dei buddisti nostrani, lungi dall’immagine di pace che si vorrebbe trasmettere, è emerso in tutti i casi con estrema evidenza.
Quanto a me personalmente, certo c’è qualche amico che non mi rivolge più la parola... Ma questo a parte, l’interesse verso il libro è stato ampio anche in persone totalmente estranee alla vita spirituale. Molti mi hanno detto di aver comprato il libro perché stressati dagli amici buddisti che pressano per convertirli nel giro di una cena: la lettura del libro, mi dicono, ora ha fornito qualche utile argomento per dire “no, grazie”.

8) Che cosa pensa della recente visita del Dalai Lama, accolto con tutti gli onori ed acclamato dalla folla, ai terremotati dell'Emilia? Una signora di una certa età ha affermato di essere devota al Dalai Lama ed un'altra, sempre di una certa età, si è commossa dichiarando d'aver percepito serenità.

 La mia modesta e forse errata opinione è che una Chiesa debole, e un complesso civile religioso (ad applaudire il Dalai Lama al comune di Milano, è bene ricordarlo c’erano anche dei politici cattolici) che permetta al Dalai Lama di venire a fare proseliti speculando sulla disgrazia, sia un grosso problema non solo per i giovani, sempre più privi di riferimento, ma anche per gli anziani. Personalmente, in molte chiese mi capita, durante le messe, di osservare delle signore anziane sempre più indifferenti alla routine della cerimonia. È un problema madornale, perché è su di loro che si compone l’ossatura del cristianesimo: le famose “vecchiette” che si trovano a recitare il rosario... tutto questo sta sparendo perché, come dicevo prima, dalle nostre parti sta sparendo il senso del sacro. Il sacro è affogato nell’indistinzione... è quindi quasi naturale che guardino al Dalai Lama come ad un qualcosa che - così si vuol credere - possa ancora ammantarsi di una qualche sacralità. Questo in fondo è il vero segreto della proliferazione delle non-religioni in Europa: il nostro inesorabile svuotamento.
E, come dicevo prima, nel vuoto amano insinuarsi i diavoli.”

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