Quando Bhrigu, sacerdote del fuoco, scelse
Vishnu come il più degno di
venerazione rispetto a Brahma e Shiva, prese una decisione che aveva solide
fondamenta, in quanto Vishnu è “l’unico
dei tre [dei della Trimurti] ad essere chiaramente nominato nei testi
vedici”[1],
ovvero i testi più antichi dell’Induismo. In un canto del Rig Veda si dice infatti:
“proclamerò
ora l’eroica potenza di Vishnu, che misurò gli spazi terrestri
e
che puntellò l’altissimo cielo, scavalcando con i suoi immensi passi il
Trimundio”.
Si tratta di Vishnu Trivikrama, colui che
compie tre passi per delimitare l’intero Universo, divinità solare che, come il
sole nel suo percorso quotidiano, tocca i tre punti limite del mondo: la terra,
l’aria, il cielo (per il sole: il levante, lo zenit, il ponente).
Vishnu Trivikrama
è quindi anche Vishnu Urukrama, l’Onnipervadente: il suo
nome deriva infatti dalla radice vish,
pervadere.
E già in questo periodo della storia
dell’India egli è dotato del suo simbolo principale, il Chakra, la Ruota del Sole.
Se in epoca vedica Vishnu è ancora una
divinità secondaria, egli acquisisce successivamente un ruolo predominante
nella Trimurti, insieme con Shiva.
Oltre ad essere una figura solare, si
identifica anche con le Grandi Acque, divenendo Vishnu Narayana: da narah, le acque primordiali, origine
della vita, e ayana, la dimora del
Creatore che sta al di sopra delle acque stesse e periodicamente provvede alla
rigenerazione del Cosmo. E proprio all’oceano primordiale fa riferimento il simbolo
“V” che i devoti di Vishnu portano sulla fronte.
Vishnu Narayana
ha quattro forme: la prima è Vasudeva, una forma imperscrutabile,
se non per i saggi che la possono intuire come luce brillante e fiammeggiante,
trascendenza perfetta priva di attributi. La seconda, Shesa, è un serpente che
sorregge l’Universo sulla propria testa; la terza è la forma attiva, con la
quale Vishnu, sotto dieci diversi aspetti (Dasavatara), scende sulla Terra per
ristabilire il Dharma, l’equilibrio, la Legge cosmica, quando necessario; la
quarta forma riposa sulle Acque, disteso sulle spire del serpente Ananta,
l’Eternità.
Nella sua forma antropomorfica
tradizionale, Vishnu è rappresentato come un giovane molto bello, con la pelle
scura (un riferimento all’attuale Età Oscura, il Kali Yuga), la testa incoronata e quattro braccia. Nelle mani regge
la Conchiglia della Vittoria, che è anche strumento bellico per la potenza del
suo suono, il Chakra (arma da lancio
e simbolo del sole), la mazza e un fiore di loto.
Fondamentali caratteristiche della sua
personalità sono una assoluta dignità ed imparzialità e il distacco dalle
passioni sia umane che divine: Vishnu è la personificazione divina delle virtù
dei popoli arii (arya = nobile), il
cui simbolo è lo svastika destrogiro
, emblema solare di buon auspicio (su = bene, asti = essere). Per questi motivi Vishnu è una delle divinità più
amate e venerate nell’Induismo. Se Shiva è un dio eroico che spesso ricorre
alla forza, anche alla violenza, Vishnu è altrettanto eroico, ma è tale grazie
alla forza della persuasione, della pazienza, della calma. In questo senso è
affine alla figura del Buddha (del tutto umana), e non a caso la devozione per
Vishnu ha contribuito alla rinascita induista quando il Buddhismo ha iniziato
ad entrare in crisi nel subcontinente indiano.
Associato a Vishnu (alcuni dicono come suo
vahana, “veicolo”, altri lo vedono
come divinità a sé, rilevandone la comune connessione con il Sole) è Garuda, figura con corpo umano e con
becco e artigli di uccello rapace. Garuda è fratello di Aruna, cocchiere di
Surya, il Sole. In quanto personificazione dei raggi solari, è colui che porta
tutto a consumazione, quindi distruttore di ostacoli. È anche acerrimo nemico
dei serpenti, dal cui regno salva la propria madre Vinata, che era stata lì
rinchiusa per gelosia dalla di lei sorella Kadru, madre dei Naga, i serpenti, esseri dei mondi
oscuri, custodi dei tesori sotterranei[2].
Anche se Vishnu è Shesa, il serpente che regge il cosmo, e proprio su un
serpente, Ananta, il dio riposa tra le Acque primordiali. Ma i miti e i simboli
non sono il luogo in cui cercare logica e pura razionalità, come non lo sono le
profondità dell’inconscio umano da cui sorgono...
Proprio nella famosa immagine di Vishnu
coricato sul serpente compare la sua compagna, Lakshmi, che gli massaggia delicatamente i piedi, partecipando così
anch’essa alla prossima rinascita dell’Universo.
Lakshmi, detta anche Shri, “prosperità”, o Padma,
“loto”, è la personificazione divina della buona sorte, del benessere. Secondo
un mito del grande poema epico Ramayana
ella sorse dall’Oceano di Latte, così come Afrodite nacque dal mare.
In un testo devozionale vishnuita è detto:
“Shri,
la sposa di Vishnu, è eterna e imperitura; e come Egli è tutto pervadente, Ella
è onnipresente. Vishnu è il pensiero, Lei è la parola. Hari [Vishnu] è la gentilezza, Lei è la prudenza. Vishnu
è conoscenza, Lei è intelletto. Lui è dirittura, Lei è devozione. Egli è il
creatore, Lei è la creazione. Shri è la terra; Hari è il suo sostegno. Vishnu è
la forza, l'eterna Lakshmi è l’umiltà. Egli è desiderio, Shri è volontà. Egli è
il sacrificio, Lei è il dono sacrificale...
Lakshmi è l’altare, Hari è l’impalcatura dell’altare. Shri è il
combustibile, Hari è il grasso sacrificale”[3].
I Dasavatara
Lakshmi, fedele
compagna di Vishnu, compare al suo fianco in ognuno dei suoi Avatara, sotto le forme di Sita,
di Rukmini, di Varahi ecc.
I Dasavatara |
Il termine Avatara, che grazie ad
Internet[4]
e al cinema[5]
si è diffuso anche in Occidente, significa letteralmente “discesa” e indica
l’apparizione, l’incarnazione di un dio sulla Terra[6].
La nozione di Avatara è fondamentale nell’Induismo e deriva da tradizioni molto
antiche, relative non al solo Vishnu, ma anche per esempio a Indra o a Shiva.
Sotto un certo aspetto si può parlare di Avatara
anche nel Buddhismo, relativamente alla figura del bodhisattva[7]
del Buddhismo Mahayana.
L’azione dell’incarnarsi del dio sulla Terra
non è legata ad un suo semplice desiderio (come avvenne nel caso di Giove, che
si fece cigno per sedurre Leda), ma risponde ad un preciso stato di necessità,
come spiega nella Bhagavad Gita il dio Krishna,
il principale Avatara di Vishnu,
rivolgendosi ad Arjuna:
Si legge infatti nel capitolo IV, ai versi
7 e 8:
“Ogni
volta che in qualche luogo dell’Universo la religione declina e l’irreligione
avanza, o discendente di Bharata, Io vengo in persona.
Discendo
di era in era per liberare le persone pie, annientare i miscredenti e
ristabilire i principi della religione”[8].
L’Avatara
– incarnazione della parte non-manifesta del dio che crea il mondo con solo
una parte di se stesso, secondo la dottrina vedica[9]
– “discende” quindi sulla Terra per salvare gli esseri dalla sofferenza e dal
male.
Il numero degli Avatara di Vishnu varia a seconda delle tradizioni: si parla di 6,
di 22, di 34, o di numeri ancora più grandi, nonché di Avatara “secondari”; inoltre sono talvolta considerati Avatara anche saggi, mistici, fondatori
di scuole filosofiche, come ad esempio il bengalese Ramakrishna (1836-1886).
A partire dal X secolo, si fa riferimento
tradizionalmente a dieci Avatara di
Vishnu, i Dasavatara (dasa =
dieci), ovvero:
1.
Matsya,
il Pesce
2.
Kurma,
la Tartaruga
3.
Varaha,
il Cinghiale
4.
Narasimha,
l’Uomo-Leone
5. Vamana, il Nano
6. Parasurama,
Rama con la scure
7. Rama, il Grazioso
8. Krishna, l’Affascinante
9.
Buddha, il Risvegliato
10. Kalki, il Cavallo Bianco
Il mito di Matsya è per gli Occidentali facilmente riconoscibile: essendo
stato pescato da Manu, il primo uomo di questa era, un piccolo pesce (in realtà
Vishnu) lo pregò di salvarlo e tenerlo con sé. Manu, compassionevolmente, fece
quanto richiesto. Il pesce crebbe, fino a che gli ordinò di costruire una
grande barca che potesse contenere una coppia di ogni animale e un seme di ogni
pianta, poiché stava per sopraggiungere un Diluvio. Così, Vishnu-Matsya,
divenuto gigantesco, salvò Manu-Adamo-Noè, trainando la barca fino ad una
montagna. Grazie alla compassione di entrambi il mondo poté così ripopolarsi.
Kurma, la Tartaruga, è
l’Avatara che salvò gli dei, rimasti
privi, proprio a causa del Diluvio, dell’Amrita,
l’Ambrosia dei miti greci. Vishnu-Kurma si tuffò nell’Oceano di Latte e fece da
sostegno al Monte Mandara, che dei e asura
usarono come mestola per frullare l’Oceano stesso, facendo così riaffiorare l’Amrita, il nettare dell’immortalità. Qui
Vishnu svolge con tutta evidenza il suo ruolo di punto di equilibrio
dell’Universo, in quanto base dell’axis
mundi (il monte) intorno al quale ruota il Tempo (il serpente che lo fa
girare): è la ricostituzione del Cosmo, l’Armonia a partire dalla quale tutte
le cose possono manifestarsi, avere la vita di cui Amrita è essenza e simbolo.
Varaha |
Anche Varaha,
il Cinghiale, è figura-simbolo della restaurazione del Mondo dopo il Diluvio,
in quanto rappresenta la forza che vince le tenebre. Varaha era in origine una
forma di Brahma, ma nei miti vishnuiti divenne Avatara di Vishnu. Grazie a Varaha, disceso negli abissi in cui
ella giaceva, una nuova Terra (di cui la dea Prithivi, “estensione”, è la
personificazione) emerse dalle acque dopo il Diluvio, sorretta dalle zanne – o
dalle braccia – del dio.
Il re Hiranyakashipu aveva ricevuto da
Brahma il dono di non poter essere ucciso né di giorno né di notte, né da un
uomo né da un dio né da un animale, né nel palazzo né fuori di esso. Anche per
questo era divenuto un prepotente tiranno, arrivando a decidere di assassinare
il proprio figlio, devoto di Vishnu. Al tramonto, tra le colonne intorno al
palazzo, prima di ucciderlo prese a deridere la sua fede. Ma dalle colonne si
materializzò un essere gigantesco, metà uomo e metà leone, che sbranò il
tiranno. Era Narasimha (nara, uomo, e simha, leone) quarto Avatara
di Vishnu, comparso quando non era più giorno ma non ancora notte, né dentro né
fuori il palazzo, vero defensor fidei,
simbolo della forza della fede ed altresì sintomo evidente di conflitti settari
all’interno dell’induismo antico[10].
Anche il re Bali, discendente di Hiranyakashipu,
era diventato un despota, in quanto aveva ottenuto grandi poteri grazie alla
forza della sua ascesi (tapas), alla
quale nemmeno gli dei potevano opporsi. Gli dei, preoccupati, chiesero a Vishnu
di intervenire. Egli, in forma di sacerdote nano, Vamana, si presentò alla corte del re, uomo peraltro pio e devoto
del dio Indra (altro probabile segno di conflitti storici tra culti diversi). Il
re offrì un dono a Vamana, e questi gli chiese un po’ di terra, quanta ne
avrebbe potuto misurare con tre dei suoi piccoli passi. Bali, caritatevole,
acconsentì, ma il nano si trasformò nel gigantesco Vishnu Trivikrama e con due
soli passi superò tutti i territori del regno. Non fece, per compassione, il
terzo passo, lasciando così a Bali le regioni degli Inferni. In questo mito, il
Vishnu Trivikrama creatore dei mondi diviene il distruttore di un regno,
restaurando però con la sua opera il Dharma,
l’Ordine divino, anche a livello politico oltre che cosmico.
Il sesto Avatara, Parasurama
(Rama con l’ascia da guerra, parasu,
che lo rende invincibile) ci testimonia invece di una guerra durata 21 anni
lungo le coste del Malabar (Sud-Ovest dell’India), tra i Brahmani, la casta sacerdotale, e gli Kshatrya, i guerrieri. Durante una visita nell’Ashram (comunità) del padre di Parasurama, che era un saggio brahmano, il re Kartavirya compì un
grave sacrilegio, rubando la Vacca dell’Abbondanza. Parasurama lo uccise,
nonostante il re avesse cento braccia. Iniziò allora una guerra tra i Brahmani
e gli Kshatrya, che si concluse con la disfatta dei guerrieri e la
restaurazione della classe sacerdotale.
Nel poema epico Ramayana, Parasurama, dio dalla scure invincibile, istruito da
Shiva, compare poi come avversario di Rama,
il settimo Avatara di Vishnu, ma
questo paradosso può essere spiegato col fatto che “storicamente Parasurama è una incarnazione del Sud, mentre Rama, più
antico, è un Avatara del Nord, più genuinamente ariano”[11].
Rama, o Ramachandra, il Grazioso come la Luna,
è insieme con Krishna il più importante degli Avatara di Vishnu. Figura storica e mitica nello stesso tempo,
incarna le qualità del guerriero, disceso sulla Terra per combattere l’eterna
battaglia tra il Dharma e l’Adharma, la Luce e le Tenebre. In
termini storici, per conquistare sotto il dominio degli Arii tutta la penisola
indiana e l’isola di Lanka. Questo conflitto è l’oggetto di uno dei due grandi
poemi epici indiani, il Ramayana, opera di Valmiki,
composto, almeno nel suo nucleo centrale, tra il 500 e il 300 a.C. –quindi dopo
il Mahabharata, anche se narra fatti
antecedenti l’opera di Vyasa.
Avversario di Rama è il demone Ravana, re
di Lanka, il quale spadroneggia sulla Terra uccidendo i saggi Rishi e distruggendo gli altari.
Rama e Sita |
Prima ancora di essere un guerriero, Rama
è un saggio, che rimane vittima, con la moglie Sita (divinità preposta all’agricoltura, il cui nome significa
“solco”, da cui nacque), di un intrigo di palazzo, a seguito del quale si
ritira in esilio con il fratello Lakshmana e con Sita. Il demone Ravana si
innamora di Sita, la rapisce e la porta con sé a Lanka. Rama decide quindi di
invadere l’isola per liberare Sita. Per attuare il progetto Rama si allea con
il popolo degli uomini-scimmia (storicamente, gli abitanti dell’India del
Sud…), in particolare con il generale del re Sugriva, Hanuman, elevato a dio della fedeltà e tuttora popolarissimo in
India. Grazie ad un ponte costruito dagli uomini-scimmia, Rama e il suo
esercito invadono l’isola, Ravana è sconfitto, Sita è liberata… e Lanka è
sottoposta al dominio dell’India. Ma Rama non è certo che Sita durante la
prigionia gli sia rimasta fedele. Per provarlo, ella si sottopone alla prova
del fuoco (sati), e Agni, dio del
fuoco, la risparmia. Secondo una versione del mito, Rama la riprende con sé,
secondo un’altra Rama la ripudia e Sita poi muore inghiottita dalla terra da
cui era nata.
Rama è per gli induisti “l’uomo perfetto, il marito perfetto, l’amico
perfetto, è spiritualizzato anche come Dio perfetto, la più pura incarnazione”[12]
di Vishnu. Ai funerali il suo nome (“Ram
Ram”) viene ininterrottamente salmodiato. Quando il Mahatma Gandhi venne
colpito a morte da tre colpi di pistola, il 30 gennaio 1948, le sue ultime
parole furono: “He Ram! – Mio Dio!”[13].
Dell’ottavo Avatara di Vishnu, Krishna,
si dirà a parte, data l’importanza e la complessità della sua figura e del suo
culto nell’India antica e moderna.
Il successivo Avatara è la ben nota figura del Buddha, il Risvegliato. Già nei testi del Rig Veda – quindi ben prima del Buddha “storico” Siddhartha
Shakyamuni – era menzionato un Budha (sic), “l’intelligente”,
figlio del dio Soma, la Luna, e di Tara (“stella”, da lui rapita e sedotta),
moglie del precettore degli dei. Budha si identifica con il pianeta Mercurio
dell’astrologia indiana.
Il Buddha inserito nell’elenco dei Dasavatara (ma non in tutti quelli degli
Avatara) è invece Siddhartha Gautama Shakyamuni,
il “fondatore” di quello che divenne il “Buddhismo”, e del quale non
riproponiamo qui le ben note vicende.
La presenza del Buddha come manifestazione
di Vishnu è senza dubbio un segno dell’atteggiamento di grande tolleranza da
parte dell’Induismo nei confronti delle altre tradizioni religiose: durante la
sua vita il Buddha era entrato spesso in polemica con i brahmani, e nei suoi insegnamenti aveva nettamente rifiutato alcuni
elementi centrali dell’ortodossia induista – ad esempio la nozione di un Sé (atman) dotato di esistenza propria, la
funzione dei sacrifici agli dei, il ruolo stesso della casta sacerdotale... E
infatti il Buddhismo non è compreso tra le sei scuole (darshana) classiche astika
(“ortodosse”) hindu, è invece una
delle tre scuole nastika (con i
materialisti e i Jaina).
Ciononostante il Buddha è considerato un Avatara di Vishnu, in quanto venne
riconosciuto il fatto che tutta la sua esistenza fu dedicata alla ricerca del
Bene e della liberazione dalla sofferenza per tutti gli esseri.
Ma la vicenda di Vishnu-Buddha ci parla
inoltre della altrettanto grande capacità di assorbimento di una tradizione
religiosa da parte di un’altra. Il Buddha venne accettato dall’Induismo ma fu
anche limitato, adattato alla visione hindu:
egli perse la sua forza innovativa e rivoluzionaria, diventando un semplice
“restauratore” del Dharma, come sono
tutti gli Avatara.
D’altra parte in India non esiste un culto
del Buddha come Avatara di Vishnu, che
è citato come tale in pochi testi.
E in effetti anche i seguaci del Buddha
“buddhista” nel territorio indiano (Sri Lanka è uno Stato a sé) sono pochissimi:
alcune minoranze nell’India del Nord (Sikkim, Ladakh), i profughi giunti dal
Tibet dopo l’invasione cinese, i pellegrini di ogni parte del mondo che
visitano i luoghi santi del Buddha.
Ed infine Kalki, o Kalkin, futuro Avatara di Vishnu, raffigurato come
cavallo bianco, o come essere umano con la testa di cavallo, o come eroe sul
dorso di un cavallo.
Kalki |
Con Kalki si entra nell’apocalittica induista, così come esistono
un’apocalittica ebraica, una cristiana, una islamica (l’attesa del Mahdi, il “ben guidato da Dio” che
apparirà alla fine dei tempi)... Ed anche una buddhista, rappresentata dal
futuro Buddha Maitreya. Si rammenti a
questo proposito che il termine “apocalisse” non significa propriamente distruzione,
fine del mondo ecc., bensì “rivelazione”, “svelamento”, e “designa un genere letterario che presenta la storia passata, come
predizione del futuro, sotto forma di visioni, simboli, immagini mitiche e
numeri”[14]:
Anche se le apocalissi effettivamente ci parlano della fine di un mondo e della
speranza in un mondo a venire, migliore del precedente.
Kalki sarà figlio di un brahmano, diverrà un Chakravartin, “colui che fa girare la
Ruota”, un Monarca Universale[15],
e il suo compito sarà quello di restaurare il Dharma, la Legge cosmica, anche come diritto e giustizia umana. Il
momento della sua discesa sarà preceduto da segni evidenti: il caos e la
violenza regneranno tra gli uomini, la Verità e la Morale non avranno più alcun
valore, soltanto i beni materiali saranno desiderati, i rapporti tra uomo e
donna non saranno retti dall’amore ma solo dal piacere. E vi saranno anche
segni celesti: appariranno sette Soli, e per il gran calore le acque saranno
risucchiate.
Kalki esprime evidentemente la speranza,
da parte del mondo hindu, in una
futura restaurazione delle sue tradizioni e dei suoi valori, distrutti dalle
invasioni musulmane che si erano protratte dall’VIII secolo in poi, e di cui
avevano sofferto anche i buddhisti, che proiettarono in Maitreya le stesse
speranze. Così come fecero gli Ebrei con l’atteso Messia, o i Greci, che predicevano
la venuta un sovrano che avrebbe portato pace a tutti gli uomini. E i
Cristiani, che per bocca di Giovanni parlano, come i testi vishnuiti, di “un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si
chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi
occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta
scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un
mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio”[16].
[1] A. Morretta, Miti
indiani, Ed. Longanesi, pag. 120.
[2] Si osservi che i Naga nell’India del Sud divengono
oggetto di venerazione nel culto shivaita. Poiché Garuda è figura di origine
vedica, è probabile che la sua inimicizia coi Naga sia un ricordo dei pericoli che i popoli provenienti dal Nord
correvano nelle foreste indiane infestate dai serpenti.
[3] In Morretta, op.
cit., pag. 219.
[4] “Nel gergo di Internet, l’avatar è un'immagine scelta per rappresentare la propria
utenza in comunità virtuali, luoghi di aggregazione,
discussione, o di gioco on-line”. Da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Avatar_(realtà_virtuale).
[5] Avatar, film di fantascienza del 2009
diretto da James Cameron.
[6] L’Avatara
(o Vibhava)
va distinto dal Vyuha, l’emanazione dell’Essere Supremo (quattro nel caso di
Vishnu); dall’Antaryamin, la presenza divina in ogni essere; dal Vigraha,
il corpo visibile espressione del dio. Cfr. M. Stutley-J. Stutley, Dizionario
dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 48.
[7] Colui che rinuncia
al Nirvana per aiutare tutti gli
esseri a raggiungere la liberazione dalla sofferenza.
[8] Bhagavad
Gita, Ed. Bhaktivedanta, pag. 173 segg.
[9] Cfr. Morretta, op.
cit. pag. 127.
[10] Non si può non
pensare, in tutt’altro contesto, alla profezia secondo cui Macbeth non poteva
essere sconfitto da un nato da donna, e lo fu infatti da Macduff, nato da parto
cesareo.
[11] Morretta, op. cit.
pag. 148.
[12] Id. pag 154.
[13] D. Lapierre – L.
Collins, Stanotte la libertà, Ed. Mondadori, pag. 485.
[14] La
Bibbia, Ed. San Paolo, pag. 1302.
[15] Ciò che sarebbe
divenuto Siddhartha Shakyamuni secondo le profezie, se non avesse poi scelto la
Via della ricerca spirituale.
[16] Apocalisse,
XIX 11-13.
Ben scritto e ben detto.
RispondiEliminaConoscere il Krishna per me ha significato conoscere il vero Me (stesso).
E poi riconoscere che questo spirito azzurro che vive in una carne è solo un mio Riflesso.