Proponiamo
alla lettura un articolo, apparso su La Stampa del 1 novembre con il titolo ad
effetto “Se una bistecca può mettere fine all’India pluralista” per la firma di
Roberto Toscano, sul tema del “fondamentalismo”, l’inevitabile categoria mentale
che sembra spiegare tutti i mali del mondo odierno.
Qui,
si parte da una bistecca di manzo per arrivare al pericolo di una caduta della “democrazia”,
altra onnipresente categoria mentale che diviene invece la panacea di tutti i mali.
Panakeia, la dea della guarigione universale |
"Agenti
di polizia fanno irruzione nelle cucine di un ristorante per verificare se vi
si cucina un alimento proibito. Siamo forse nella Ginevra di Calvino, un
regime di «dittatura contro il peccato» in cui si reprimeva ogni segno di
edonismo non solo sessuale, ma anche estetico e gastronomico? O forse nell'Arabia
Saudita contemporanea, dove gli agenti del «Comitato per l'imposizione della
virtù e l'interdizione del vizio» sorvegliano e colpiscono i comportamenti
devianti dei sudditi del regno?
E
invece no. Siamo nell'India contemporanea, nell'India democratica.
È
accaduto la settimana scorsa a New Delhi, dove l'operazione di polizia ha interessato
la sede di rappresentanza dello Stato del Kerala nella capitale federale.
Gli
agenti intervenivano dietro segnalazione di uno dei movimenti dell'induismo
radicale, l'Hindu Sena, secondo cui nel ristorante della «Kerala House» si
sarebbe servita carne bovina.
Niente
di nuovo, si potrebbe dire. Sono molti gli Stati indiani in cui la
macellazione dei bovini è proibita, e fra l'altro la stessa Costituzione indiana,
al suo articolo 48, stabilisce che lo Stato, nel quadro dell'impegno per
sviluppare agricoltura e allevamento, «prenderà misure tese a proibire la
macellazione di vacche e vitelli». Finora tuttavia questa proibizione risultava
tutt'altro che universale, con Stati (fra cui, incidentalmente il Kerala, che
oggi protesta per l'incursione nella sua sede della capitale) e riferita alla
macellazione piuttosto che al consumo. In alcuni Stati, infatti, la vendita di
carne bovina è libera purché la macellazione sia avvenuta altrove, mentre
spesso nei menù dei ristoranti il manzo viene presentato, spesso in modo
fraudolento, come bufalo - che non rientra nella proibizione. Ma soprattutto
proibizione teorica e prassi tollerante - tipiche di un Paese così vasto, variegato,
plurale - rendevano finora la questione più simbolica e teorica che pratica.
Da
quando invece Narendra Modi si è insediato nella carica di Primo ministro le
cose sono profondamente cambiate. Modi non è solamente leader del Bjp, partito
di centro-destra, ma milita fin dall'adolescenza in un movimento integralista,
l'Rss, la cui ideologia, l'«Hindutva», si basa sulla pretesa non solo di
imporre al Paese l'egemonia politica dell'induismo, ma anche di uniformarlo ai
canoni etici e ai precetti, comprese le proibizioni alimentari, della
tradizione indù.
Gli
equilibri, fatti di decentramento e tolleranza, che hanno finora permesso la
continuazione e la vitalità della straordinaria scommessa della democrazia
indiana, risultano oggi minacciati da una spinta all'uniformità che può solo
essere portata avanti con l'autoritarismo e la repressione. Il Chief Minister
(governatore) dello Stato di Haryana, lo ha detto senza equivoci: «I musulmani
possono continuare a vivere in questo Paese, ma dovranno rinunciare a
mangiare carne bovina».
Il
Primo ministro Modi evita di usare linguaggi analoghi, e continua invece a
focalizzarsi sull'economia, contando sull'appoggio della classe imprenditoriale,
frustrata dalla inettitudine politica degli ultimi governi del Partito del
Congresso. Ma la sua presenza al vertice del Paese ha dato un segnale non
equivoco ai militanti, anche quelli più violenti ed estremisti. Si sentono
autorizzati, ad esempio, a condurre campagne di mobilitazione per esigere di
estendere la proibizione della macellazione dei bovini agli Stati
non-proibizionisti, e soprattutto ad esasperare la questione facendo montare
il fanatismo popolare. Le conseguenze sono evidenti, e tragiche. Il mese
scorso un musulmano è stato linciato in un villaggio a pochi chilometri di
distanza dalla capitale perché qualcuno ha denunciato che nel suo frigorifero
c'era carne di vacca. Un'atrocità che Modi ha tardato a condannare, e che
evidentemente vorrebbe minimizzare, mentre episodi analoghi di violenza omicida
vengono segnalati in altre parti del Paese.
L'offensiva
induista si estende anche ad altri campi, come la campagna per la «conversione
di ritorno» all'induismo che prende di mira musulmani e cristiani. Per i
radicali dell'Hindutva è oggi possibile ristabilire, con una miscela di
incentivi e pressioni, l'omogeneità religiosa indiana - secondo loro
storicamente spezzata dalla violenza degli invasori musulmani e
successivamente dal proselitismo, in un contesto coloniale, dei missionari
cristiani. Si tratta di un disegno basato, come sempre accade nelle
narrazioni integriste, su una memoria storica più mitica che reale, dato che ad
esempio l'islam si è diffuso in India a partire dai porti del Sud per
l'influenza dei mercanti arabi prima che dal Nord del Paese come effetto delle
invasioni musulmane. Inoltre la versione monolitica dell'induismo proposta (e
imposta) dai militanti integristi dell'Hindutva non corrisponde alla verità
storica di una spiritualità variegata e plurale capace di abbracciare edonismo
e ascetismo, tradizioni locali fra le più varie, forti differenze nel rituale
e nella mitologia. L'induismo dell’Rss, oggi in fase di offensiva politico-ideologica,
è invece una versione che viene, paradossalmente, dalla rivisitazione ottocentesca
del colonialismo britannico, da una sorta di assimilazione con le religioni
abramiche: lo dimostra la proposta di alcuni intellettuali induisti secondo
cui, al posto della grande ricchezza di testi che caratterizzano la tradizione
indù, andrebbe privilegiato e promosso dal punto di vista dottrinale e
pedagogico un solo «Libro
Sacro»,
il Bhagavad Gita.
Proprio
perché questa offensiva politica e di potere s'intreccia con dati che si
riferiscono alla storia e alle idee, lo scontro vede oggi in prima linea il
mondo intellettuale. Storici, scrittori, artisti, gente del cinema, si stanno
mobilitando per opporsi a una deriva che minaccia di distruggere la grande
creazione politica di Gandhi e Nehru: l'India plurale, democratica,
profondamente religiosa ma laica.
La
più recente presa di posizione è quella di oltre cento scienziati, che hanno
denunciato «la promozione di un pensiero irrazionale e settario da parte di
importanti esponenti del governo». Lo scontro, in India, sta diventando sempre
più aspro, con episodi di squadrismo induista contro esponenti del pensiero
laico e liberale, e anche casi di omicidio politico.
I
democratici indiani, e non solo gli intellettuali, temono oggi che l'India – come
risultato dell'offensiva politico-culturale dell'induismo integrista – diventi
sempre più simile a un «Pakistan indù», ovvero un Paese dove la presenza di
una religione di Stato rende impossibile un autentico pluralismo – anzi, la
stessa democrazia."
(di Roberto Toscano)
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