lunedì 2 novembre 2015

Le vacche e i nemici della democrazia

Proponiamo alla lettura un articolo, apparso su La Stampa del 1 novembre con il titolo ad effetto “Se una bistecca può mettere fine all’India pluralista” per la firma di Roberto Toscano, sul tema del “fondamentalismo”, l’inevitabile categoria mentale che sembra spiegare tutti i mali del mondo odierno.
Qui, si parte da una bistecca di manzo per arrivare al pericolo di una caduta della “democrazia”, altra onnipresente categoria mentale che diviene invece la panacea di tutti i mali.

Panakeia, la dea della guarigione universale

"Agenti di polizia fan­no irruzione nelle cucine di un risto­rante per verificare se vi si cucina un alimento proibi­to. Siamo forse nella Gine­vra di Calvino, un regime di «dittatura contro il pecca­to» in cui si reprimeva ogni segno di edonismo non solo sessuale, ma anche esteti­co e gastronomico? O forse nell'Arabia Saudita con­temporanea, dove gli agen­ti del «Comitato per l'impo­sizione della virtù e l'inter­dizione del vizio» sorve­gliano e colpiscono i com­portamenti devianti dei sudditi del regno?
E invece no. Siamo nel­l'India contemporanea, nel­l'India democratica.
È accaduto la settimana scorsa a New Delhi, dove l'operazione di polizia ha in­teressato la sede di rappre­sentanza dello Stato del Kerala nella capitale federale.
Gli agenti interveniva­no dietro segnala­zione di uno dei mo­vimenti dell'induismo radi­cale, l'Hindu Sena, secondo cui nel ristorante della «Kerala House» si sarebbe servita carne bovina.
Niente di nuovo, si potreb­be dire. Sono molti gli Stati indiani in cui la macellazione dei bovini è proibita, e fra l'al­tro la stessa Costituzione in­diana, al suo articolo 48, sta­bilisce che lo Stato, nel qua­dro dell'impegno per svilup­pare agricoltura e alleva­mento, «prenderà misure te­se a proibire la macellazione di vacche e vitelli». Finora tuttavia questa proibizione risultava tutt'altro che uni­versale, con Stati (fra cui, in­cidentalmente il Kerala, che oggi protesta per l'incursio­ne nella sua sede della capita­le) e riferita alla macellazione piuttosto che al consumo. In al­cuni Stati, infatti, la vendita di carne bovina è libera purché la macellazione sia avvenuta al­trove, mentre spesso nei menù dei ristoranti il manzo viene presentato, spesso in modo fraudolento, come bufalo - che non rientra nella proibizione. Ma soprattutto proibizione te­orica e prassi tollerante - tipi­che di un Paese così vasto, va­riegato, plurale - rendevano fi­nora la questione più simbolica e teorica che pratica.
Da quando invece Narendra Modi si è insediato nella carica di Primo ministro le cose sono profondamente cambiate. Mo­di non è solamente leader del Bjp, partito di centro-destra, ma milita fin dall'adolescenza in un movimento integralista, l'Rss, la cui ideologia, l'«Hindutva», si basa sulla pretesa non solo di imporre al Paese l'egemonia politica dell'indui­smo, ma anche di uniformarlo ai canoni etici e ai precetti, comprese le proibizioni ali­mentari, della tradizione indù.
Gli equilibri, fatti di decen­tramento e tolleranza, che hanno finora permesso la con­tinuazione e la vitalità della straordinaria scommessa del­la democrazia indiana, risulta­no oggi minacciati da una spin­ta all'uniformità che può solo essere portata avanti con l'au­toritarismo e la repressione. Il Chief Minister (governatore) dello Stato di Haryana, lo ha detto senza equivoci: «I musul­mani possono continuare a vi­vere in questo Paese, ma do­vranno rinunciare a mangiare carne bovina».
Il Primo ministro Modi evi­ta di usare linguaggi analoghi, e continua invece a focalizzar­si sull'economia, contando sull'appoggio della classe im­prenditoriale, frustrata dalla inettitudine politica degli ulti­mi governi del Partito del Congresso. Ma la sua presen­za al vertice del Paese ha dato un segnale non equivoco ai militanti, anche quelli più vio­lenti ed estremisti. Si sentono autorizzati, ad esempio, a condurre campagne di mobi­litazione per esigere di esten­dere la proibizione della ma­cellazione dei bovini agli Stati non-proibizionisti, e soprat­tutto ad esasperare la que­stione facendo montare il fa­natismo popolare. Le conse­guenze sono evidenti, e tragi­che. Il mese scorso un musul­mano è stato linciato in un vil­laggio a pochi chilometri di distanza dalla capitale perché qualcuno ha denunciato che nel suo frigorifero c'era carne di vacca. Un'atrocità che Mo­di ha tardato a condannare, e che evidentemente vorrebbe minimizzare, mentre episodi analoghi di violenza omicida vengono segnalati in altre parti del Paese.
L'offensiva induista si esten­de anche ad altri campi, come la campagna per la «conversio­ne di ritorno» all'induismo che prende di mira musulmani e cristiani. Per i radicali dell'Hindutva è oggi possibile ristabili­re, con una miscela di incentivi e pressioni, l'omogeneità reli­giosa indiana - secondo loro storicamente spezzata dalla violenza degli invasori musul­mani e successivamente dal proselitismo, in un contesto co­loniale, dei missionari cristia­ni. Si tratta di un disegno basa­to, come sempre accade nelle narrazioni integriste, su una memoria storica più mitica che reale, dato che ad esempio l'islam si è diffuso in India a partire dai porti del Sud per l'influenza dei mercanti arabi prima che dal Nord del Paese come effetto delle invasioni musulmane. Inoltre la versione monolitica dell'induismo pro­posta (e imposta) dai militanti integristi dell'Hindutva non corrisponde alla verità storica di una spiritualità variegata e plurale capace di abbracciare edonismo e ascetismo, tradi­zioni locali fra le più varie, forti differenze nel rituale e nella mitologia. L'induismo dell’Rss, oggi in fase di offensiva politi­co-ideologica, è invece una ver­sione che viene, paradossal­mente, dalla rivisitazione otto­centesca del colonialismo bri­tannico, da una sorta di assimi­lazione con le religioni abramiche: lo dimostra la proposta di alcuni intellettuali induisti se­condo cui, al posto della grande ricchezza di testi che caratte­rizzano la tradizione indù, an­drebbe privilegiato e promos­so dal punto di vista dottrinale e pedagogico un solo «Libro
Sacro», il Bhagavad Gita.
Proprio perché questa of­fensiva politica e di potere s'in­treccia con dati che si riferi­scono alla storia e alle idee, lo scontro vede oggi in prima li­nea il mondo intellettuale. Sto­rici, scrittori, artisti, gente del cinema, si stanno mobilitando per opporsi a una deriva che minaccia di distruggere la grande creazione politica di Gandhi e Nehru: l'India plura­le, democratica, profondamen­te religiosa ma laica.
La più recente presa di posi­zione è quella di oltre cento scienziati, che hanno denun­ciato «la promozione di un pensiero irrazionale e settario da parte di importanti espo­nenti del governo». Lo scontro, in India, sta diventando sem­pre più aspro, con episodi di squadrismo induista contro esponenti del pensiero laico e liberale, e anche casi di omici­dio politico.
I democratici indiani, e non solo gli intellettuali, temono oggi che l'India – come risulta­to dell'offensiva politico-cultu­rale dell'induismo integrista – diventi sempre più simile a un «Pakistan indù», ovvero un Pa­ese dove la presenza di una re­ligione di Stato rende impossi­bile un autentico pluralismo – anzi, la stessa democrazia."

(di Roberto Toscano)






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