Il 17 gennaio 1977, nel penitenziario
di Stato dello Utah, venne giustiziato Gary
Gilmore, nato a Waco, Texas, il 4 dicembre 1940, condannato alla pena
capitale per omicidio. L’esecuzione fu richiesta dallo stesso Gilmore, che
scelse volontariamente la fucilazione davanti al plotone di esecuzione
piuttosto che una eventuale condanna al carcere a vita.
Il testo che qui pubblichiamo è stato
redatto dallo scrivente nel febbraio-marzo 1977 e inserito quale Appendice alla
propria tesi presentata al termine della Scuola di Perfezionamento in Filosofia
presso l’Università di Genova con il titolo “Note
di lettura per una immagine marxiana della morte”.
In apparenza l’argomento del testo (che
risale esattamente a 40 anni orsono) esula da quelli solitamente trattati, ma
in realtà il fatto cui si riferisce ha fortemente contribuito a reindirizzare
gli interessi e la visione dello scrivente. “Lui, Gary Gilmore” fa parte ormai
delle radici profonde di quanto viene costantemente pubblicato in questo blog,
motivo per cui vogliamo ora proporlo alla lettura di quanti lo seguono, e che
qui sinceramente ringrazio.
La
festa punitiva
A partire
dall’800, “la lugubre festa punitiva si
va spegnendo... il cerimoniale della pena tende ad entrare nell’ombra, per non
essere altro che un nuovo atto procedurale o amministrativo” (1).
La
festa sta per ricominciare? Il “caso G.” ha appassionato l’opinione pubblica
americana (2), una parte di essa si
è addirittura commossa “e si domanda come
mai le autorità non proclamino ancora il lieto fine” (3). E questo nonostante sia una opinione pubblica “che vuole pene più severe perché è
spaventata dall’aumento della criminalità” (4).
Lo
spettacolo doveva cessare, ma l’esecuzione di Jerry Lurek è stata sospesa,
poiché la sua morte – sedia elettrica – “sarebbe
stata ripresa e trasmessa dalla televisione” (5).
Si
può nuovamente parlare di festa lugubre, ma non di danza macabra. Non vi è ironia,
non è la morte laica: è una “farsa
circense”, un “miscuglio di scommessa
e di sadico divertimento” (6).
Il
corpo del condannato
Il XIX
secolo vede sorgere la pudicizia della pratica punitiva. “Se è ancora necessario, per la giustizia, manipolare e colpire il
corpo dei giustiziandi, lo farà da lontano, con decenza, seconde regole
austere, e mirando ad un obiettivo ben più ‘elevato’. Per effetto di questo
nuovo ritegno, tutto un esercito di tecnici ha dato il cambio al boia,
anatomista immediato della sofferenza: sorveglianti, medici, cappellani,
psichiatri, psicologi, educatori” (7).
Alla anatomia immediata si
sostituisce una morte più volte e in più modi differita. Il signore sa che solo
il differimento della morte permette al servo di riconoscerlo come signore; ma
il servo vivente affina le armi della critica, e pone le basi del proprio
autoriconoscimento. I tecnici hanno strappato il corpo del condannato dalle
mani del boia, lo utilizzano per l’esercizio della loro volontà di sapere. Il
loro limite è l’uso della critica delle armi da parte del signore – è il limite
del differimento.
In prigione, G. “si
trova male e finisce generalmente nei guai con i guardiani” (8). Il tecnico dello spirito religiose
fallisce la sua missione: “G. non ha
chiesto, come la legge gli permetteva, la presenza di due sacerdoti al momento
dell’esecuzione” (9).
Ha
successo il tecnico dello spirito laico, ma non con G.: “la sua donna... Nicole Barret... [viene] internata in una clinica psichiatrica di Provo, Utah, su richiesta
della madre” (10). Così come la
sorella di Nicole, April, era stata rilasciata da un o.p., prima di essere
rapita da G. (11).
Infine, il tecnico del corpo, che con un grottesco
rituale attestante la serenità dell’azione dello Stato, il suo essere fonte di
giustizia sociale e non di vendetta privata, visiterà G. e ne constaterà “le buone condizioni fisiche” (12).
Cessazione
dello spettacolo e allentamento della presa sul corpo. “Di questo doppio processo... testimoniano i moderni rituali dell’esecuzione
capitale... Una morte che dura un solo istante, che nessun accanimento deve moltiplicare
in anticipo o prolungare sul cadavere, un’esecuzione che tocca la vita
piuttosto che il corpo. Non più quelle lunghe procedure per cui la morte viene
ritardata da intenzioni ben calcolate e moltiplicata da una serie di insulti
successivi. Non più quegli espedienti che venivano messi in scena per uccidere
i regicidi” (13).
Les Tricoteuses de la Rèvolution |
Il
discorso del patibolo
“Il rito dell’esecuzione
voleva che il condannato proclamasse lui stesso la propria colpevolezza con la
confessione pubblica che pronunciava, col cartello che inalberava, con le
dichiarazioni che senza dubbioe lo si spingeva a fare” (14).
Ne
nasce un vero e proprio genere letterario, le “ultime parole del condannato”: “la
giustizia aveva bisogno che la sua vittima autenticasse in qualche modo il
supplizio che subiva” (15).
Con
la scomparsa della sofferenza dalla punizione, tale genere scompare. “Saranno i giornali, a riprendere nel la loro
cronaca quotidiana il grigiore senza epopea dei delitti e delle punizioni. La
spartizione è fatta, che il popolo si spogli dell’antico orgoglio dei suoi
crimini; i grandi assassini sono divenuti gioco silenzioso dei saggi” (16).
Più
e più volte G. rompe il gioco silenzioso, e lo rompe attraverso i giornali
stessi.
“Perché il popolo dell’Utah non ha il
coraggio delle sue convinzioni? Avete condannate un uomo a morte: me. E quando
io accetto l’estrema punizione con dignità e stile, il popolo dell’Utah
tentenna e discute con me. Siete stupidi” (17).
Confessa
la propria colpevolezza, riconosce l’imparzialità del giudizio, autenticando
il supplizio.
La saggezza
del giornalismo non riesce ad operare fino in fondo la spartizione: G. sfugge
al gioco dei saggi, il popolo non è orgoglioso del crimine, ma vuole ugualmente
il lieto fine. E G. afferma: “siete
stupidi”, “facciamolo in fretta”.
E scrive poesie: “Vuoi unirti a me dolce
signora / Dimmi vuoi tu unirti a me /
Insieme percorreremo la valle delle ombre / Dell’oscurità dove il sentiero / Non esiste più / Dove il sole si è dimenticato del giorno” (18).
G.
è scandaloso: la sua voce rompe il silenzio in cui si deve svolgere il rito
laico della condanna. Ma è una voce da tradurre, non da ascoltare: “da G. bisogna dire che non giunge nessun
messaggio accettabile” (19).
Gilmore tradotto
“In ogni società la produzione del discorso è
insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo
numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i
pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante,
temibile materialità” (20).
Il
discorso di G. non può essere in alcun modo recuperato. Le procedure di
controllo e delimitazione vi si spuntano. Deve necessariamente essere tradotto,
così come deve essere esorcizzato l’autore del discorso stesso.
Il
“caso” può avere una “conclusione
estremamente il logica” (21), e
questo non fa che confermare la richiesta di G. come irrazionale-irrecuperabile.
“G. rischia di tornare in libertà” (22). Si opera
uno scambio rivelatore tra il soggetto e l’oggetto. La libertà di G. è
un rischio per lo stesso G.
Ugualmente,
la dose di medicinali ingerita da lui e da Nicole è “eccessiva” (23), anche
se il suicidio non è riuscito.
Ma
il commento del discorso provvede a riportare l’ordine apparentemente dissolto:
la volontà di sapere del giornale conduce alla verità più vera del
comportamento di G.: “Cercherò in ogni
tribunale di ottenere la scarcerazione e la mia libertà” (24).“O mi
uccidete o mi scarcerate” (25). “La sentenza è stata pronunciata ed io l’accetto.
Se la commissione e la corte non dovessero essere di questo parere, mi dovranno
allora lasciare andare” (26). “Se non avete il fegato di uccidermi, allora
mi dovete lasciare andare” (27). “Oggi, a 48 ore da un’esecuzione che sembra
inevitabile, è nato il dubbio che G. voglia vivere e abbia giocato, con il sue ‘death
wish’, il desiderio di morire, soltanto per sopravvivere” (28).
Esorcismi del XX secolo
Poiché
le procedure di controllo del discorso si rivelano
insufficienti – effettivamente G. tradotto è ancora scandalosamente contraddittorio
– la volontà di sapere, secondo une schema ragionevole, prima che razionale, si
esercita sull’autore, operando una dissezione del suo corpo-gesto,
ed una equa ripartizione del materiale così raccolto tra i tecnici della
conoscenza.
Ne risulta, un tentativo di
razionalizzazione totale, che spieghi e il death wish di G. e la sua vita
precedente. Spiegare vita e morte insieme: l’antico sogno platonico, la
ricerca freudiana di un principio unificatore “al di là” del piacere, vengono
ripresi secondo raffinate tecniche di recupero-esclusione.
L’infanzia,
naturalmente, è già segnata. Freud diviene un supporto alle teorie della
predestinazione. “Quando ero bambino...
ero perseguitato da un sogno: sognavo di essere decapitato da uomini
mascherati. Per me è sempre stato più di un sogno, piuttosto un ricordo al quale
ho sempre saputo di dover ubbidire presto o tardi” (29). Non può esservi dubbio: G. “è un delinquente, lo è sempre stato” (30). Lo rivela
anche la sua figura, il suo “sguardo
sfuggente in un viso affilato” (31).
L’occhio del giusto non sfugge agli sguardi indagatori, poiché non ha nulla da
temere.
La pulsione di morte, “dimenticata”
da larga parte della psicoanalisi ufficiale, svolge qui una valida funzione di
razionalizzazione: “il desiderio di morte
che G. porta dentro e che il furioso amore per Nicole (32) aiutò probabilmente a
far esplodere si è rivolto contro se stesso: vittima e assassino si sono
finalmente unificati nella persona di G.” (33).
Morte,
amore, follia. Il progresso nella conoscenza del “caso G.” è evidenziato
dall’unificazione dei problemi. “All’origine
del dramma di G. ... fu l’amore. Un amore possessivo fino all’ossessione,
tragico e disumano” (34), “uno strano amore che... certamente ha scatenato le
ultime riserve di follia ancora inesplorate in G.” (35).
Dove
l’analisi dell’individuo e della coppia si ferma, interviene l’indagine
sociologica. Non con la freddezza della statistica, ma con sofferti giudizi di
valore che, data per certa l’irrecuperabilità del discorso di G., ne ricercano
la motivazione. Prima nella famiglia, “una
coppia di nomadi che fece trascorrere a G. notti e giorni nelle sale d’aspetto delle stazioni e negli hotel più laidi” (36). Poi, nella
società, in cui G. è “un loser, un
perdente fra tanti in una società che castiga chi perde” (37).
Il
giudizio sulla “società” non fa però perdere di vista l’individuo, che ha
dimostrato con la sua condotta la necessità di una emarginazione: “è sano di mente un condannato che chiede di
essere messo a morte o non è per caso infermo per il fatto stesse di chiederlo?
Il passato di G. nelle prigioni dell’Oregon è quello di un antisociale
cronico, non nuovo alla sezione psichiatrica della prigione” (38).
Ma le tecniche
moderne dell’esclusione non dimenticano la loro origine. Si ritrova nella
parola e nel gesto di G. il segno di una presenza che non viene nominata.
“G. si sente
posseduto da forze che non sa controllare”: “Non ho potuto farne a meno... non avevo altra scelta, era una cosa che
non potevo fermare” (39). L’esclusione
si fa esorcismo. Il discorso di G. è assolutamente irrecuperabile, poiché egli
è posseduto dal Maligno.
Reazionario!
Ogni sorta di tecnico del sapere è intervenuto sul discorso
di G., che è stato sezionato e suddiviso come il suo corpo, divenuto oggetto di
esercitazione per gli studenti di anatomia.
L’analisi
si approfondisce ulteriormente, con l’intervento della politologia prima, e di
un materialismo storico sui generis, poi.
Pazzo,
quindi, disadattato, delinquente, alcolizzato, indemoniato e, naturalmente,
reazionario.
La
categoria “leninista” dell’oggettività permette di capire e valutare il fatto: “l’esecuzione di G. sembra ora diventare un
ottimo espediente per riattivare i sinistri ingranaggi delle esecuzioni
capitali e dare forza agli ambienti americani più reazionari che chiedono il
ripristino puro e semplice della massima pena” (40). L’atteggiamento di G. ha provocato reazioni che vanne al di
là delle sue stesse intenzioni. Ma l’analisi politica non conosce la volontà del
singolo: G. è oggettivamente reazionario. Anzi, egli stesso ha rifiutato gli
appoggi che i movimenti “progressisti” gli offrivano. Le sue parole “fanno cadere molti veli”: “Non mi piace che mia madre, i negri e i
figli di puttana si impiccino nella mia vita. Sono tutti un mucchio di
vigliacchi. Non mi piace che la NAACP [Associazione nazionale per il
progresso della gente di colore] si
interessi al mio caso, perché loro sono una appendice fasulla di zio Tom e io
sono un bianco” (41). Un nuovo Franti
– razzista, per giunta – che non può certo insegnare nulla: “diversamente da ciò che forse lui ha creduto
[oggettivamente, quindi] l’unica verità
da lui dimostrata è che l’esecuzione capitale non è una ‘morte da uomo’, ma
solo un atto orrendo e spaventosamente inutile” (42).
Per
colpa sua, “le azioni legali intraprese
da gruppi contro la pena di morte e dall’associazione per i diritti civili si
sono esaurite senza risultato” (43),
e “la associazione per il progresso della
gente di colore non ha mancato di ricordare come la giustizia sembri colpire
con maggior frequenza e severità i poveri e i diseredati, in maniera comunque
assai sproporzionata alla distribuzione dei crimini” (44).
Se
G. si riferisce alla NAACP dicendo: “Voglio
che questa gente sia buttata fuori a calci”, gli avvocati della stessa
NAACP non possono che mettere in dubbio la normalità del suo stato mentale. In
tal modo, si sancisce l’esclusione di un discorso irrecuperabile, e la non-contraddittorietà
del punto di vista delle associazioni “progressiste”.
Mors oeconomica
Come
già la psicoanalisi, anche il materialismo viene qui utilizzato a fini di
razionalizzazione-esclusione. Al di sotto degli epifenomeni sovrastrutturali –
il desiderio di morte, il problema giuridico, l’amore e la follia, ecc. – si ricerca
l’istanza economica fondamentale, il vero motore di tutta la vicenda. Ed
infatti il denaro accompagna G., dai suoi primi incerti passi di criminale fino
al momento della sua morte.
Ci si pone una domanda inquietante: “G. è un uomo deciso a morire con dignità
dopo una vita sbagliata, o un personaggio cinico e astuto, capace di giocare
anche la carta della sua morte per procurarsi un ergastolo d’oro a suon di
milioni?” La risposta, implicita, si rivela errata solo in apparenza:
infatti G., si è visto, è un perdente.
“Forse ci
sbagliamo, ma è davvero un successo troppo grande e fruttuoso per uno che vuole
morire” (45). Lo sbaglio,
se c’è, non è d’altra parte fonte di rammarico: G. era predestinato, il sogno
non può mentire.
A
lui spettano ormai “centinaia di migliaia
di dollari in diritti d’autore per la storia della sua vita, di prossima
pubblicazione” (46), e per la
vendita dell’autorizzazione a girare un film sulla sua vicenda.
Una
definitiva, conferma viene due girmi prima dell’esecuzione: “G. starebbe cercando di vendere all’asta due
posti a spettatori che vogliano assistere alla sua fine” (47). Non può sussistere alcun dubbio:
il suo attaccamento al denaro è patologico, rivelatore di una psiche malata.
L’analisi interminabile
Il
pazzo non è proponibile come modello. Non è un “eroe”. Il suo discorso – per definizione
– non può costituire un insegnamento accettabile. Lo si ascolta solo per
tradurlo e correggerlo, interpretarlo e commentarlo.
L’inizio
dell’analisi – l’emarginazione del criminale e del folle, la punizione e la
cura vissute nel segreto dell’esclusione – si confonde con il punto di arrivo.
Attraverso
la ricerca della morte – e “l’atto
suicida è sempre patologico” (48)
– attraverso un amore “strano”, “disumano” – attraverso un maniacale desiderio
di denaro, anche nel momento della morte - attraverso tutte le pieghe di una
follia totale, irrecuperabile, si è
definita
la linea dell’analisi: è
un
cerchio, che rende interminabile, infinita, l’analisi stessa. In esso, la
follia di G. non ha un inizio (l’infanzia? il death wish?) e non ha un termine, neppure con la sua morte: Excell White,
condannato per omicidio, ha chiesto di morire (49) e giornalisti ed avvocati hanno
espresso il timore “che l’esecuzione di
G. diventi un circo e che il battage ispiri altri criminali alla ricerca di
una simile gloria” (50).
Il
discorso di G. è circolare,
finito in se stesso ed infinito per l’analisi. La sua superficie non offre appigli,
sancisce il fallimento della volontà di sapere.
Un
suo recupero non è possibile, “per la contradizion
che nol consente” (51): “G. ha realizzato il suo desiderio di morire,
privando, con il suo comportamento, i sostenitori del supplizio del piacere
della vendetta sociale; e gli abolizionisti di un possibile martire” (52).
Gary Gilmore è morto, lunedì 17 gennaio 1977, alle ore 8.06, nel
penitenziario di Stato dello Utah, fucilato da 5 volontari.
vvvvvvv
Note
1. Foucault, Sorvegliare e punire, pag. 10
2. cfr. CdS, 1.12.1976
3. G, 18.11.1976
4. G, 12.11.1976
5. St, 19.1.1977
6. U, 19.1.1977
7. Sorvegliare e punire, pag. 13
8. G, 12.11.1976
9. G, 15.1.1977
10. G. 15.1.1977
11. cfr. St, 15.1.1977
12. St, 17.1.1977
13. Sorvegliare e punire, pag. 14
14. id., pag.71
15. id., pag. 72
16. id., pag. 75
17. G, 12.11.1976
18. Eva, 27.1.1977
19. U, 19.1.1977
20. Foucault, L’ordine del discorso, pag. 9
21. St, 21.11.1976
22. G, 15.12.1976 e St, 21.11.1976
23. CdS, 17.11.1976
24. G, 16.12.1976
25. St, 16.12.1976
26. CdS, 1.12.1976
27. U, 5.12.1976
28. St, 15.1.1977
29. St, 5.1.1977
30. St, 17.1.1977
31. U, 5.12.1976
32. “una ragazza dalla psiche fragile”: U, 5.12.1976
33. St, 5.1.1977
34. Eva, 27.1.1977
35. St, 5.1.1977
36. St, 5.1.1977
37. St, 5.1.1977
38. G, 12.11.1976
39. G, 12.11.1976
40. U, 19.1.1977
41. U, 5.12.1976
42. U, 19.1.1977
43. St, 15.1.1977
44. St, 19.1.1977
45. U, 5.12.1976
46. G, 3.12.1976
47. G, 15.1.77 e L, 15.1.1977
48. Moron, Il suicidio, pag. 75
49. cfr. CdS, 2.12.1976
50. G, 3.12.1976
51. Inferno, XXVII, 120
52. St, 19.1.1977
Abbreviazioni:
CdS: Corriere della Sera
G: Il Giorno
St: La Stampa
U: L’Unità
L.: Il Lavoro
The Adverts |
Nel 1977 il gruppo punk inglese The Adverts pubblicò Gary Gilmore's Eyes, il cui testo parlava della storia di Gary Gilmore e della sua scelta
di donare i suoi occhi dopo l’esecuzione.
Il brano – per chi ama il genere punk… - può essere ascoltato qui:
Il testo, nella versione originale
e in una traduzione italiana, è invece leggibile qui:
Nel 1979 lo scrittore statunitense Norman Mailer pubblicò un romanzo dedicato
alla storia di Gary Gilmore, The
Executioner’s Song, che vinse il Premio Pulitzer per la narrativa. Il
romanzo uscì in Italia nel 1981con il titolo Il canto del boia presso l’Editore Mondadori