sabato 25 febbraio 2017

Lui, Gary Gilmore - Esorcismi del XX secolo

Il 17 gennaio 1977, nel penitenziario di Stato dello Utah, venne giustiziato Gary Gilmore, nato a Waco, Texas, il 4 dicembre 1940, condannato alla pena capitale per omicidio. L’esecuzione fu richiesta dallo stesso Gilmore, che scelse volontariamente la fucilazione davanti al plotone di esecuzione piuttosto che una eventuale condanna al carcere a vita.
Il testo che qui pubblichiamo è stato redatto dallo scrivente nel febbraio-marzo 1977 e inserito quale Appendice alla propria tesi presentata al termine della Scuola di Perfezionamento in Filosofia presso l’Università di Genova con il titolo “Note di lettura per una immagine marxiana della morte”.
In apparenza l’argomento del testo (che risale esattamente a 40 anni orsono) esula da quelli solitamente trattati, ma in realtà il fatto cui si riferisce ha fortemente contribuito a reindirizzare gli interessi e la visione dello scrivente. “Lui, Gary Gilmore” fa parte ormai delle radici profonde di quanto viene costantemente pubblicato in questo blog, motivo per cui vogliamo ora proporlo alla lettura di quanti lo seguono, e che qui sinceramente ringrazio.    


 La festa punitiva

A partire dall’800, “la lugubre festa punitiva si va spegnendo... il cerimoniale della pena tende ad entrare nell’ombra, per non essere altro che un nuovo atto procedurale o amministrativo(1).
La festa sta per ricominciare? Il “caso G.” ha appassionato l’opinione pubblica americana (2), una parte di essa si è addirittura commossa “e si domanda come mai le autorità non proclamino ancora il lieto fine(3). E que­sto nonostante sia una opinione pubblica “che vuole pene più severe perché è spaventata dall’aumento della criminalità(4).
Lo spettacolo doveva cessare, ma l’esecuzione di Jerry Lurek è stata sospesa, poiché la sua morte – sedia elettrica – “sarebbe stata ripresa e trasmessa dalla televisio­ne(5).
Si può nuovamente parlare di festa lugubre, ma non di danza macabra. Non vi è ironia, non è la morte laica: è una “farsa circense”, un “miscuglio di scommessa e di sadico divertimento(6).

Il corpo del condannato

Il XIX secolo vede sorgere la pudicizia della pratica punitiva. “Se è ancora necessario, per la giustizia, ma­nipolare e colpire il corpo dei giustiziandi, lo farà da lontano, con decenza, seconde regole austere, e mirando ad un obiettivo ben più ‘elevato’. Per effetto di questo nuovo ritegno, tutto un esercito di tecnici ha dato il cam­bio al boia, anatomista immediato della sofferenza: sorveglianti, medici, cappellani, psichiatri, psicologi, educatori(7).
Alla anatomia immediata si sostituisce una morte più volte e in più modi differita. Il signore sa che solo il differimento della morte permette al servo di riconoscer­lo come signore; ma il servo vivente affina le armi della critica, e pone le basi del proprio autoriconoscimento. I tecnici hanno strappato il corpo del condannato dalle mani del boia, lo utilizzano per l’esercizio della loro volontà di sapere. Il loro limite è l’uso della critica delle armi da parte del signore – è il limite del differimento.
In prigione, G. “si trova male e finisce generalmente nei guai con i guardiani(8). Il tecnico dello spirito religiose fallisce la sua missione: “G. non ha chiesto, come la legge gli permetteva, la presenza di due sacerdoti al momento dell’esecuzione(9).
Ha successo il tecnico dello spirito laico, ma non con G.: “la sua donna... Nicole Barret... [viene] inter­nata in una clinica psichiatrica di Provo, Utah, su richiesta della madre(10). Così come la sorella di Nicole, April, era stata rilasciata da un o.p., prima di essere rapita da G. (11).
Infine, il tecnico del corpo, che con un grottesco rituale attestante la serenità dell’azione dello Stato, il suo essere fonte di giustizia sociale e non di vendetta privata, visiterà G. e ne constaterà “le buone condizioni fisiche(12).
Cessazione dello spettacolo e allentamento della presa sul corpo. “Di questo doppio processo... testimoniano i moderni rituali dell’esecuzione capitale... Una morte che dura un solo istante, che nessun accanimento deve moltiplicare in anticipo o prolungare sul cadavere, un’ese­cuzione che tocca la vita piuttosto che il corpo. Non più quelle lunghe procedure per cui la morte viene ritardata da intenzioni ben calcolate e moltiplicata da una serie di insulti successivi. Non più quegli espedienti che veniva­no messi in scena per uccidere i regicidi(13).

Les Tricoteuses de la Rèvolution
Il discorso del patibolo

Il rito dell’esecuzione voleva che il condannato proclamasse lui stesso la propria colpevolezza con la confessione pubblica che pronunciava, col cartello che inalberava, con le dichiarazioni che senza dubbioe lo si spingeva a fare(14).
Ne nasce un vero e proprio genere letterario, le “ultime parole del condannato”: “la giustizia aveva bisogno che la sua vittima autenticasse in qualche modo il supplizio che subiva(15).
Con la scomparsa della sofferenza dalla punizione, tale genere scompare. “Saranno i giornali, a riprendere nel la loro cronaca quotidiana il grigiore senza epopea dei delitti e delle punizioni. La spartizione è fatta, che il popolo si spogli dell’antico orgoglio dei suoi crimini; i grandi assassini sono divenuti gioco silenzioso dei saggi(16).
Più e più volte G. rompe il gioco silenzioso, e lo rompe attraverso i giornali stessi.
Perché il popolo dell’Utah non ha il coraggio delle sue convinzioni? Avete condannate un uomo a morte: me. E quando io accetto l’estrema punizione con dignità e stile, il popolo dell’Utah tentenna e discute con me. Siete stu­pidi(17).
Confessa la propria colpevolezza, riconosce l’impar­zialità del giudizio, autenticando il supplizio.
La saggezza del giornalismo non riesce ad operare fino in fondo la spartizione: G. sfugge al gioco dei saggi, il popolo non è orgoglioso del crimine, ma vuole ugualmente il lieto fine. E G. afferma: “siete stupidi”, “faccia­molo in fretta”. E scrive poesie: “Vuoi unirti a me dolce signora / Dimmi vuoi tu unirti a me / Insieme percorre­remo la valle delle ombre / Dell’oscurità dove il sentiero / Non esiste più / Dove il sole si è dimenticato del giorno(18).
G. è scandaloso: la sua voce rompe il silenzio in cui si deve svolgere il rito laico della condanna. Ma è una voce da tradurre, non da ascoltare: “da G. bisogna dire che non giunge nessun messaggio accettabile(19).

Gilmore tradotto

In ogni società la produzione del discorso è insie­me controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile ma­terialità(20).
Il discorso di G. non può essere in alcun modo recuperato. Le procedure di controllo e delimitazione vi si spuntano. Deve necessariamente essere tradotto, così come deve essere esorcizzato l’autore del discorso stesso.
Il “caso” può avere una “conclusione estremamente il logica(21), e questo non fa che confermare la richiesta di G. come irrazionale-irrecuperabile.
G. rischia di tornare in libertà(22). Si opera uno scambio rivelatore tra il soggetto e l’oggetto. La liber­tà di G. è un rischio per lo stesso G.
Ugualmente, la dose di medicinali ingerita da lui e da Nicole è “eccessiva(23), anche se il suicidio non è riuscito.
Ma il commento del discorso provvede a riportare l’ordine apparentemente dissolto: la volontà di sapere del giornale conduce alla verità più vera del comportamento di G.: “Cercherò in ogni tribunale di ottenere la scarcerazione e la mia libertà(24).“O mi uccidete o mi scarcerate” (25). “La sentenza è stata pronunciata ed io l’accetto. Se la commissione e la corte non dovessero essere di questo parere, mi dovranno allora lasciare andare(26). “Se non avete il fegato di uccidermi, allora mi dovete lasciare andare(27). Oggi, a 48 ore da un’esecuzione che sembra inevitabile, è nato il dubbio che G. voglia vivere e abbia giocato, con il sue ‘death wish’, il desiderio di morire, soltanto per sopravvivere(28).


Esorcismi del XX secolo

Poiché le procedure di controllo del discorso si rivelano insufficienti – effettivamente G. tradotto è ancora scandalosamente contraddittorio – la volontà di sapere, secondo une schema ragionevole, prima che razionale, si esercita sull’autore, operando una dissezione del suo corpo-gesto, ed una equa ripartizione del materiale così raccolto tra i tecnici della conoscenza.
Ne risulta, un tentativo di razionalizzazione totale, che spieghi e il death wish di G. e la sua vita preceden­te. Spiegare vita e morte insieme: l’antico sogno platonico, la ricerca freudiana di un principio unificatore “al di là” del piacere, vengono ripresi secondo raffinate tecniche di recupero-esclusione.
L’infanzia, naturalmente, è già segnata. Freud diviene un supporto alle teorie della predestinazione. “Quando ero bambino... ero perseguitato da un sogno: sognavo di essere decapitato da uomini mascherati. Per me è sempre stato più di un sogno, piuttosto un ricordo al quale ho sempre saputo di dover ubbidire presto o tardi(29). Non può esservi dubbio: G. “è un delinquente, lo è sempre stato(30). Lo rivela anche la sua figura, il suo “sguardo sfuggente in un viso affilato(31). L’occhio del giusto non sfugge agli sguardi indagatori, poiché non ha nulla da temere.
La pulsione di morte, “dimenticata” da larga parte della psicoanalisi ufficiale, svolge qui una valida fun­zione di razionalizzazione: “il desiderio di morte che G. porta dentro e che il furioso amore per Nicole (32) aiutò probabilmente a far esplodere si è rivolto contro se stesso: vittima e assassino si sono finalmente unificati nel­la persona di G.” (33).
Morte, amore, follia. Il progresso nella conoscenza del “caso G.” è evidenziato dall’unificazione dei problemi. “All’origine del dramma di G. ... fu l’amore. Un amo­re possessivo fino all’ossessione, tragico e disumano(34), “uno strano amore che... certamente ha scatenato le ultime riserve di follia ancora inesplorate in G.” (35).
Dove l’analisi dell’individuo e della coppia si ferma, interviene l’indagine sociologica. Non con la freddezza della statistica, ma con sofferti giudizi di valore che, data per certa l’irrecuperabilità del discorso di G., ne ricercano la motivazione. Prima nella famiglia, “una coppia di nomadi che fece trascorrere a G. notti e giorni nelle sale d’aspetto delle stazioni e negli hotel più laidi(36). Poi, nella società, in cui G. è “un loser, un perdente fra tanti in una società che castiga chi perde(37).
Il giudizio sulla “società” non fa però perdere di vista l’individuo, che ha dimostrato con la sua condotta la necessità di una emarginazione: “è sano di mente un condannato che chiede di essere messo a morte o non è per caso infermo per il fatto stesse di chiederlo? Il passato di G. nelle prigioni dell’Oregon è quello di un an­tisociale cronico, non nuovo alla sezione psichiatrica della prigione(38).
Ma le tecniche moderne dell’esclusione non dimenticano la loro origine. Si ritrova nella parola e nel gesto di G. il segno di una presenza che non viene nominata.
G. si sente posseduto da forze che non sa controllare”: “Non ho potuto farne a meno... non avevo altra scel­ta, era una cosa che non potevo fermare” (39). L’esclusione si fa esorcismo. Il discorso di G. è assolutamente ir­recuperabile, poiché egli è posseduto dal Maligno.


Reazionario!

Ogni sorta di tecnico del sapere è intervenuto sul discorso di G., che è stato sezionato e suddiviso come il suo corpo, divenuto oggetto di esercitazione per gli studenti di anatomia.
L’analisi si approfondisce ulteriormente, con l’in­tervento della politologia prima, e di un materialismo storico sui generis, poi.
Pazzo, quindi, disadattato, delinquente, alcolizzato, indemoniato e, naturalmente, reazionario.
La categoria “leninista” dell’oggettività permette di capire e valutare il fatto: “l’esecuzione di G. sembra ora diventare un ottimo espediente per riattivare i sinistri ingranaggi delle esecuzioni capitali e dare forza agli am­bienti americani più reazionari che chiedono il ripristino puro e semplice della massima pena(40). L’atteggiamento di G. ha provocato reazioni che vanne al di là delle sue stesse intenzioni. Ma l’analisi politica non conosce la volontà del singolo: G. è oggettivamente reazionario. Anzi, egli stesso ha rifiutato gli appoggi che i movimenti “pro­gressisti” gli offrivano. Le sue parole “fanno cadere molti veli”: “Non mi piace che mia madre, i negri e i figli di puttana si impiccino nella mia vita. Sono tutti un mucchio di vigliacchi. Non mi piace che la NAACP [Associazione nazionale per il progresso della gente di colore] si interessi al mio caso, perché loro sono una appendice fasulla di zio Tom e io sono un bianco(41). Un nuovo Franti – razzista, per giunta – che non può certo insegnare nulla: “diversamente da ciò che forse lui ha creduto [oggettivamente, quindi] l’unica verità da lui dimostrata è che l’esecuzione capitale non è una ‘morte da uomo’, ma solo un atto orrendo e spaventosamente inutile(42).
Per colpa sua, “le azioni legali intraprese da gruppi contro la pena di morte e dall’associazione per i diritti civili si sono esaurite senza risultato(43), e “la associazione per il progresso della gente di colore non ha mancato di ricordare come la giustizia sembri colpire con maggior frequenza e severità i poveri e i diseredati, in maniera comunque assai sproporzionata alla distribuzione dei crimini(44).
Se G. si riferisce alla NAACP dicendo: “Voglio che questa gente sia buttata fuori a calci”, gli avvocati del­la stessa NAACP non possono che mettere in dubbio la nor­malità del suo stato mentale. In tal modo, si sancisce l’esclusione di un discorso irrecuperabile, e la non-contraddittorietà del punto di vista delle associazioni “pro­gressiste”.

Mors oeconomica

Come già la psicoanalisi, anche il materialismo viene qui utilizzato a fini di razionalizzazione-esclusione. Al di sotto degli epifenomeni sovrastrutturali – il desiderio di morte, il problema giuridico, l’amore e la follia, ecc. – si ricerca l’istanza economica fondamentale, il vero motore di tutta la vicenda. Ed infatti il denaro ac­compagna G., dai suoi primi incerti passi di criminale fino al momento della sua morte.
Ci si pone una domanda inquietante: “G. è un uomo deciso a morire con dignità dopo una vita sbagliata, o un personaggio cinico e astuto, capace di giocare anche la carta della sua morte per procurarsi un ergastolo d’oro a suon di milioni?” La risposta, implicita, si rivela errata solo in apparenza: infatti G., si è visto, è un perdente.
Forse ci sbagliamo, ma è davvero un successo troppo grande e fruttuoso per uno che vuole morire(45). Lo sbaglio, se c’è, non è d’altra parte fonte di rammarico: G. era predestinato, il sogno non può mentire.
A lui spettano ormai “centinaia di migliaia di dol­lari in diritti d’autore per la storia della sua vita, di prossima pubblicazione(46), e per la vendita dell’auto­rizzazione a girare un film sulla sua vicenda.
Una definitiva, conferma viene due girmi prima dell’esecuzione: “G. starebbe cercando di vendere all’asta due posti a spettatori che vogliano assistere alla sua fine(47). Non può sussistere alcun dubbio: il suo attaccamento al denaro è patologico, rivelatore di una psiche malata.


L’analisi interminabile

Il pazzo non è proponibile come modello. Non è un “eroe”. Il suo discorso – per definizione – non può co­stituire un insegnamento accettabile. Lo si ascolta solo per tradurlo e correggerlo, interpretarlo e commentarlo.
L’inizio dell’analisi – l’emarginazione del cri­minale e del folle, la punizione e la cura vissute nel segreto dell’esclusione – si confonde con il punto di arrivo.
Attraverso la ricerca della morte – e “l’atto suicida è sempre patologico(48) – attraverso un amore “strano”, “disumano” – attraverso un maniacale desiderio di denaro, anche nel momento della morte - attraverso tutte le pieghe di una follia totale, irrecuperabile, si è definita la linea dell’analisi: è un cerchio, che rende interminabile, infinita, l’analisi stessa. In esso, la follia di G. non ha un inizio (l’infanzia? il death wish?) e non ha un termine, neppure con la sua morte: Excell White, condannato per omicidio, ha chiesto di morire (49) e giornalisti ed avvocati hanno espresso il timore “che l’esecuzione di G. diventi un circo e che il battage ispiri altri criminali alla ri­cerca di una simile gloria(50).
Il discorso di G. è circolare, finito in se stesso ed infinito per l’analisi. La sua superficie non offre appi­gli, sancisce il fallimento della volontà di sapere.
Un suo recupero non è possibile, “per la contradizion che nol consente(51): “G. ha realizzato il suo desiderio di morire, privando, con il suo comportamento, i sostenitori del supplizio del piacere della vendetta sociale; e gli abolizionisti di un possibile martire(52).

Gary Gilmore è morto, lunedì 17 gennaio 1977, alle ore 8.06, nel penitenziario di Stato dello Utah, fucilato da 5 volontari.

vvvvvvv

Note

1. Foucault, Sorvegliare e punire, pag. 10
2. cfr. CdS, 1.12.1976
3. G, 18.11.1976
4. G, 12.11.1976
5. St, 19.1.1977
6. U, 19.1.1977
7. Sorvegliare e punire, pag. 13
8. G, 12.11.1976
9. G, 15.1.1977
10. G. 15.1.1977
11. cfr. St, 15.1.1977
12. St, 17.1.1977
13. Sorvegliare e punire, pag. 14
14. id., pag.71
15. id., pag. 72
16. id., pag. 75
17. G, 12.11.1976
18. Eva, 27.1.1977
19. U, 19.1.1977
20. Foucault, L’ordine del discorso, pag. 9
21. St, 21.11.1976
22. G, 15.12.1976 e St, 21.11.1976
23. CdS, 17.11.1976
24. G, 16.12.1976
25. St, 16.12.1976
26. CdS, 1.12.1976
27. U, 5.12.1976
28. St, 15.1.1977
29. St, 5.1.1977
30. St, 17.1.1977
31. U, 5.12.1976
32. “una ragazza dalla psiche fragile”: U, 5.12.1976
33. St, 5.1.1977
34. Eva, 27.1.1977
35. St, 5.1.1977
36. St, 5.1.1977
37. St, 5.1.1977
38. G, 12.11.1976
39. G, 12.11.1976
40. U, 19.1.1977
41. U, 5.12.1976
42. U, 19.1.1977
43. St, 15.1.1977
44. St, 19.1.1977
45. U, 5.12.1976
46. G, 3.12.1976
47. G, 15.1.77 e L, 15.1.1977
48. Moron, Il suicidio, pag. 75
49. cfr. CdS, 2.12.1976
50. G, 3.12.1976
51. Inferno, XXVII, 120
52. St, 19.1.1977

Abbreviazioni:

CdS: Corriere della Sera
G: Il Giorno
St: La Stampa
U: L’Unità
L.: Il Lavoro

The Adverts
Nel 1977 il gruppo punk inglese The Adverts pubblicò Gary Gilmore's Eyes, il cui testo parlava della storia di Gary Gilmore e della sua scelta di donare i suoi occhi dopo l’esecuzione.
Il brano – per chi ama il genere punk… -  può essere ascoltato qui:
Il testo, nella versione originale e in una traduzione italiana, è invece leggibile qui:


Nel 1979 lo scrittore statunitense Norman Mailer pubblicò un romanzo dedicato alla storia di Gary Gilmore, The Executioner’s Song, che vinse il Premio Pulitzer per la narrativa. Il romanzo uscì in Italia nel 1981con il titolo Il canto del boia presso l’Editore Mondadori