Nietzsche e il Buddha
Uno dei maggiori biografi di Nietzsche ha scritto che “non c’è credo religioso che Nietzsche abbia
studiato con maggior passione del buddhismo”(1).
In molte delle sue opere egli riporta infatti brani tratti dai testi
che da Oriente continuavano a giungere in Europa e ad essere tradotti, o
precisi riferimenti a studi buddhisti di autori europei(2). Alcune sue
annotazioni riguardavano gli aspetti etici del buddhismo: in un frammento del
1875-76 cita come dette dal Buddha queste parole: “Andate e nascondete le vostre buone azioni e confessate davanti alla
gente i peccati che avete fatto”, contrapponendole a quelle del Cristo, che
egli riporta così: “Cristo dice invece
(Matteo): Fate vedere alla gente le vostre buone azioni”(3). Secondo il suo
pensiero, quindi, per quanto sia difficile da praticare l’etica buddhista è
comunque più rigorosa e coerente di quella cristiana, che manterrebbe, esigendo
di mostrare il bene compiuto, “un residuo
di vanità e di orgoglio”(4).
Se il punto di partenza del confronto tra Cristianesimo e Buddhismo è
qui l’etica, ciò che Nietzsche vuole evidenziare riguarda soprattutto il tema
della conoscenza di sé: per il
cristiano confessare il peccato porta “a
un grado di autonomia che permette al massimo il disprezzo di sé e
l’autocommiserazione, ma che delega la potenza del perdono esclusivamente alla
divinità”(5). Per il buddhista è invece un atto di sincerità verso se
stesso e di padronanza di sé, in quanto il peccato non ha da essere giudicato
da nessuno, bensì conosciuto. Il
perdono e la conoscenza sono un tutt’uno, al di là del giudizio morale.
Nel Cristianesimo prevale l’aspetto etico, anzi moralistico, nel
Buddhismo invece quello conoscitivo – il che è del tutto coerente con
l’impostazione delle tradizioni spirituali dell’India che identificano
nell’ignoranza-avidya l’origine della
sofferenza. “I santi indiani – scrive
Nietzsche nel 1878-79 – [..] stanno a un
gradino intermedio fra il santo cristiano e il filosofo greco [..]: la
conoscenza, la scienza – nella misura in cui esse esistevano –, l’elevazione al
di sopra degli altri uomini, attraverso la disciplina e l’educazione del
pensiero, furono richieste dai buddhisti come segno di santità, allo stesso
modo in cui le stesse qualità vengono negate e bollate nel mondo cristiano come
segno di non santità”(6).
Riprendendo il pensiero di Schopenhauer, ed ancora in polemica con il
Cristianesimo, Nietzsche auspica una trasformazione etica e culturale
dell’Europa anche nella direzione indicata dal Buddhismo: “Un passo avanti [dopo il Brahmanesimo]: e gli dèi furono gettati da parte, ‑ cosa che l’Europa dovrà pur fare
una volta! Ancora un passo avanti: e non si ebbe più bisogno neanche dei
sacerdoti e dei mediatori e entrò in scena Buddha, il maestro della religione
dell'autoredenzione: come è ancora lontana l'Europa da questo grado di civiltà!”(7)
Il Cristianesimo, inoltre, ha una storia che “contrariamente alla morale buddhistica dei popoli che mangiano il riso,
è piena zeppa di violenza e gronda sangue”(8).
Nietzsche secondo E. Munch |
L’opera nella quale il giudizio di Nietzsche sul Buddhismo è più
articolato è l’Anticristo, del 1888,
già citato a proposito del Codice di Manu.
È opportuno riportare per intero i passi in questione:
“XX – Con la mia condanna del
cristianesimo non vorrei avere fatto torto a una religione affine che
addirittura giunge a superarlo in quanto a numero di fedeli: il buddhismo.
Entrambe, essendo religioni nichilistiche, sono correlate, sono religioni della
décadence; ma si differenziano l'una dall'altra in modo sorprendente. Il
critico del cristianesimo è profondamente grato ai saggi indiani, giacché ora è
possibile comparare queste due religioni. Il buddhismo è cento volte più
realista del cristianesimo, ha ereditato un modo freddo e oggettivo di porsi i
problemi; nasce dopo un movimento filosofico durato centinaia di anni; appena
esso sorge, il concetto di «Dio» è già eliminato. Il buddhismo è l'unica
religione veramente positivistica che la storia ci mostri, anche nella sua
teoria della conoscenza (un rigoroso fenomenalismo); esso non parla più di
«lotta contro il peccato» bensì, e in ciò dando del tutto ragione alla realtà,
di «lotta contro il dolore». Si è già lasciato alle spalle, e questo lo
distingue profondamente dal cristianesimo, l’autoinganno dei concetti morali; si
trova, per esprimere il concetto con parole mie, al di là del bene e del male.
I due fatti fisiologici su cui si fonda e sui quali concentra il suo sguardo
sono: innanzi tutto un’eccessiva eccitabilità della sensibilità che si esprime
con una raffinata capacità di soffrire, e in secondo luogo un eccesso di
intellettualismo, una vita spesa troppo a lungo sui concetti e sulle procedure
logiche, sotto i quali l'istinto personale ha subito il male a vantaggio
dell’«impersonale» [..]. Sulla base di tali condizioni fisiologiche si sviluppa
uno stato di depressione: contro essa Buddha prende delle misure igieniche. Vi
oppone la vita all'aria aperta, la vita in movimento; la moderazione e la
scelta dei cibi; la cautela verso tutte le bevande alcooliche, come pure verso
tutti i sentimenti che producono bile e riscaldano il sangue; nessuna
preoccupazione né per sé né per gli altri. Egli esige pensieri che diano o
quiete o allegria, e trova il modo per disabituarsi a quelli di altro tipo.
Intende la bontà, l’essere buoni, come vantaggioso alla salute. La preghiera è
esclusa, come pure l’ascetismo; nessun imperativo categorico, soprattutto
nessuna costrizione, nemmeno nelle comunità monastiche (si è liberi di
andarsene): tutto ciò sarebbe un modo per accrescere quell'eccessiva
eccitabilità. Sempre per questa ragione pretende che non si combatta contro
coloro che hanno un modo diverso di pensare; il suo insegnamento si oppone più
di ogni altra cosa al sentimento di vendetta, di avversione, di ressentiment
(«l’inimicizia non cessa con l'inimicizia», è questo il commovente ritornello
di tutto il buddhismo). E a ragione: queste emozioni sarebbero del tutto
dannose rispetto al principale obiettivo dietetico. Combatte la stanchezza
spirituale che egli trova e che si esprime con eccessiva «obiettività» (vale a
dire con una diminuzione dell'interesse dell'individuo, con una perdita del
baricentro, dell’«egoismo»), con un severo ritorno anche agli interessi più
spirituali, alla persona. Nella dottrina di Buddha l’egoismo diviene un dovere:
il principio «una sola cosa è necessaria», il «come ti puoi liberare dalla
sofferenza» regolano e circoscrivono tutta la dieta spirituale [..].
XXI – La condizione per il buddhismo è un
clima assai dolce, una grande mitezza e liberalità nei costumi, nessun
militarismo; assieme al fatto che il movimento ha il suo focolare nelle classi
più elevate e colte. Si ambisce alla serenità, alla tranquillità, all’assenza
di desideri come meta suprema e si raggiunge tale meta. Il buddhismo non è una
religione in cui si aspira semplicemente alla perfezione: la perfezione è la
norma. Nel cristianesimo gli istinti di chi è sottomesso e oppresso sono in
primo piano: le classi inferiori sono quelle che vi cercano la salvezza. Qui la
casistica del peccato, l’autocritica, l’inquisizione della coscienza è
praticata come occupazione, come rimedio specifico contro la noia; qui è
costantemente tenuto in vita un rapporto affettivo con un potente chiamato
«Dio» (con la preghiera); il più elevato viene considerato irraggiungibile, un
dono, una «grazia». Qui manca anche un luogo che sia pubblico: i luoghi
nascosti, le stanze buie sono cristiani. Qui si disprezza il corpo, si ripudia
l'igiene come forma di sensualità; la Chiesa si oppone alla pulizia (la prima
misura presa dai cristiani dopo la cacciata dei mori fu la chiusura dei bagni
pubblici, mentre la sola Cordova ne possedeva 270). È cristiano un certo senso
di crudeltà verso sé stessi e verso gli altri, è cristiano l’astio per coloro
che la pensano differentemente, è cristiana la volontà persecutoria. Idee tetre
ed eccitanti sono in primo piano; gli stati spirituali più desiderati e
designati con i nomi più eccelsi sono quelli epilettoidi; la dieta viene scelta
in modo da favorire fenomeni morbosi e sovreccitare i nervi. È cristiana
l’ostilità mortale contro i dominatori della Terra, contro i «nobili», e nello
stesso tempo una competizione più nascosta e segreta (si lascia loro il corpo,
si vuole solo l’«anima»). È cristiano l’odio per lo spirito, l’orgoglio, il
coraggio, la libertà, il libertinaggio spirituale; è cristiano l’odio per i
sensi, per la gioia dei sensi, l’odio per la gioia in generale...
XXII – Il cristianesimo, quando lasciò il suo
luogo d’origine, le classi più umili, i bassifondi del mondo antico, quando
cercò il potere fra popoli barbari, non si trovò davanti uomini stanchi, ma
uomini dall’animo selvaggio, che si distruggevano tra di loro, uomini forti
eppure malriusciti. L’insoddisfazione di sé, il dolore di sé stessi, non sono,
come per i buddhisti, un'eccessiva eccitabilità e la facoltà di soffrire, ma,
al contrario, il desiderio predominante di nuocere, di sfogare una tensione
interiore attraverso azioni e idee ostili. Per dominare sui barbari il
cristianesimo aveva bisogno di valori e di concetti barbari: il sacrificio del
primogenito, il bere sangue alla comunione, il disprezzo per lo spirito e la
cultura, la tortura in ogni sua forma, fisica e spirituale, una grande pompa
nel culto pubblico. Il buddhismo è una religione per uomini più maturi, per
razze divenute più benevoli e miti, straordinariamente spirituali, sensibili al
dolore (l’Europa non è neppure lontanamente matura per esso): il ricondurre
alla pace e alla serenità, a una dieta nelle cose dello spirito, a un certo
irrobustimento del corpo. Il cristianesimo invece vuole dominare sulle belve;
il suo rimedio è renderle malate, indebolire è la ricetta cristiana per
addomesticare, per condurre alla «civiltà». Il buddhismo è una religione per la
fine, per la stanchezza della civiltà, il cristianesimo non ne incontra una
dinanzi a sé, eventualmente la fonda.
XXIII – Il buddhismo, ripetiamolo, è cento
volte più freddo, più veritiero, più oggettivo. Non ha più bisogno di rendere
dignitoso il suo dolore, la sua capacità di soffrire, attraverso l'interpretazione
del peccato: dice semplicemente ciò che pensa: «io soffro». Invece per il
barbaro il dolore in sé non è decoroso: egli come prima cosa ha bisogno di
un'interpretazione del dolore per ammettere a se stesso che soffre (il suo
istinto lo induce piuttosto a negare le sofferenze, spingendolo a sopportarle
in silenzio). In questo caso la parola «diavolo» fu un beneficio: si aveva un
nemico schiacciante e terribile, non bisognava vergognarsi di soffrire a causa
di un simile nemico. Nel fondo del cristianesimo sono riscontrabili alcune
sottigliezze che appartengono all'Oriente. Innanzi tutto sa che è assolutamente
indifferente che una cosa sia vera in se stessa, ma che è della massima
importanza quanto essa sia creduta vera. La verità e la fede che qualcosa sia
vero: due mondi di interesse totalmente diversi, quasi antitetici, ai quali si
giunge percorrendo due strade completamente differenti. Essere sapienti a tale
riguardo è sufficiente in Oriente per rendere un uomo saggio: così la pensano i
brahmani, così ritiene Platone, così intendono gli studiosi di scienza
esoterica. Se, per esempio, la felicità consiste nel credersi redenti dal
peccato, per un uomo non è necessario, come condizione, essere un peccatore, ma
sentirsi peccatore. Però, se è indispensabile soprattutto la fede, allora si
dovranno screditare la ragione, la conoscenza e la ricerca: la via per la
verità diviene una via proibita. Una forte speranza è uno stimulans per la
vita, più grande di ogni singola felicità che si realizzi effettivamente. È
necessario sostenere chi soffre, con una speranza che nessuna realtà possa
smentire, che nessuna realizzazione possa vanificare: una speranza nell’aldilà.
(Fu proprio a causa di questa capacità di tenere in sospeso gli infelici che i
greci consideravano la speranza il male dei mali, il male più insidioso: quello
rimasto in fondo al vaso del male). Perché l'amore sia possibile, Dio deve
essere una persona; affinché gli istinti più bassi abbiano voce, Dio deve
essere giovane. Per soddisfare l'ardore delle donne si pone in primo piano un
santo di bell’aspetto, per appagare quello degli uomini una Maria. Ciò si fonda
sul presupposto che il cristianesimo intendeva dominare su un terreno dove il
culto di Afrodite e Adone aveva già determinato il concetto di culto religioso.
La pretesa della castità rafforza la veemenza e l'intensità interiore
dell'istinto religioso, rende il culto più caldo, più fanatico e spiritualmente
più intenso. L’amore è la condizione in cui l’uomo il più delle volte vede le
cose come non sono. La forza illusoria raggiunge qui il suo apice, come pure
quella che mitiga e trasfigura. Nell’amore si sopporta di più, si tollera
tutto. Si trattava di rintracciare una religione nella quale l’amore fosse
possibile: con essa ci poniamo al di sopra degli aspetti peggiori della vita,
non lo si vede nemmeno più. E così è per le tre virtù cristiane: fede, speranza
e carità: io le definisco i tre stratagemmi cristiani. Il buddhismo è troppo
maturo, troppo positivistico per essere ancora tanto astuto”(9).
In sintesi, afferma perentoriamente Nietzsche, “il buddhismo non promette ma mantiene, il cristianesimo promette tutto,
ma non mantiene nulla”(10).
La posizione di Nietzsche sul Buddhismo non è paragonabile a quella di
Schopenhauer: se questi era arrivato a definirsi buddhista, Nietzsche ne esalta
gli insegnamenti soprattutto in antitesi a quelli cristiani, usa certi aspetti della dottrina del
Buddha quasi come un’arma nella sua polemica anticristiana.
Infatti, più o meno nello stesso periodo cui appartiene L’Anticristo, egli esprime anche dure
critiche nei confronti del Buddhismo, che è da lui associato alla “catastrofe nichilistica che pone fine alla
cultura terrestre”(11).
Ne evidenzia taluni elementi negativi, che esso condivide con il
Cristianesimo, “soprattutto per quanto
riguarda il lato nichilistico e decadente che si concentra nella lotta contro i
sentimenti ostili riconosciuti come fonte del male”(12).
Nella Gaia scienza (1881) scrive: “le due religioni mondiali, il buddhismo e il cristianesimo, potrebbero
aver avuto la loro base d’origine, e a un tempo il segreto della loro repentina
diffusione, in una mostruosa malattia della volontà. E in verità così è
accaduto: entrambe queste religioni s’imbatterono nell’esigenza di un ‘tu devi’
innalzata all’assurdo da una malattia della volontà, e progrediente fino alla
disperazione; entrambe queste religioni furono maestre di fanatismo in epoche
di snervamento della volontà e pertanto offrirono a innumerevoli uomini un
appoggio, una nuova possibilità di volere, un godimento nel volere”(13).
E in Al di là del bene e del male (1886) si legge: “Forse non c'è nulla di più venerando, nel
cristianesimo e nel buddhismo, della loro arte di ammaestrare le creature più
umili a collocarsi, attraverso la devozione, in un apparente ordine superiore
di cose, e di tener stretto, in tal modo, a sé quel loro contentarsi
dell'ordine reale, all'interno del quale esse vivono abbastanza duramente e
proprio questa durezza è necessaria!”(14).
Citiamo infine, per cercare di comprendere in sintesi l’atteggiamento
di Nietzsche nei confronti delle religioni e della posizione del Buddhismo
all’interno di esse, un brano del 1888-89: “come
si presenta una religione ariana affermativa, prodotto delle classi dominanti:
il codice di Manu. Come si presenta una religione semitica affermativa,
prodotto delle classi dominanti: il codice di Maometto. L’Antico Testamento,
nelle parti più antiche. Come si presenta una religione semitica negativa, come
prodotto delle classi oppresse: il Nuovo Testamento – una religione da ciandala(15). Come si presenta una religione ariana
negativa, sviluppatasi tra le classi dominanti: il buddhismo”(16).
L’eterno ritorno, l’oltreuomo e l’India
Si è fatto cenno in precedenza a come la lettura del Codice di Manu, con la sua esposizione
delle ere cosmiche, gli Yuga, e della
concezione circolare del tempo abbia forse influenzato la dottrina nicciana
dell’eterno ritorno, che riveste un
ruolo centrale nell’opera più nota del filosofo tedesco, Così parlò Zarathustra,
concepita negli anni 1882-85 tra Genova, Rapallo e l’Engadina.
Il testo è un vero e proprio poema filosofico in prosa, in cui
l’Autore si esprime con un linguaggio mitico-simbolico, il cui modello è il
Nuovo Testamento. In esso il profeta Zarathustra,
alter ego di Nietzsche, disconosce
radicalmente all’esistenza una direzione,
un qualsiasi senso metafisico. Se il
mondo è composto da un numero finito di elementi, in un tempo infinito dovrà
necessariamente ripetere le stesse combinazioni, per un numero infinito di
volte: “Tutto va, tutto ritorna; la ruota
dell’esistenza gira eternamente. Tutto muore, tutto rifiorisce; le stagioni
dell’esistenza si susseguono eternamente.
Tutto si spezza, tutto si ricongiunge:
eternamente si costruisce lo stesso edificio dell’esistenza. Tutto si separa,
tutto si ritrova; l’anello dell’esistenza resta eternamente fedele a se stesso.
A ogni momento l’esistenza comincia; attorno a
ogni “qui” gira la sfera “là”. Il centro è dovunque. Tortuoso è il sentiero
dell’eternità”(17).
L’eterno ritorno, che distrugge la struttura lineare del tempo,
richiede all’uomo una radicale trasfigurazione: l’uomo della tradizione “vive il passato come qualcosa di cui non può
disporre, come un’autorità, e si vendica infliggendo a sé e agli altri le sofferenze
della morale, della religione”(18). L’eterno ritorno è invece un tempo
libero dal principio di autorità, è una condizione nella quale dire sì, così voglio, così vorrò al tempo che cammina a ritroso. L’uomo che
dice sì all’eterno ritorno è un uomo
nuovo: “Non più un pastore, non più un
uomo – ma un rinnovato, un illuminato che rideva. Non mai ancora sulla terra un
uomo rise al pari di lui!”(19)
Quest’uomo nuovo non è “una
forma potenziata dell’umanità del passato”, bensì un soggetto “assolutamente eterogeneo rispetto alla
tradizione precedente”(20). È lo übermensch, termine assolutamente centrale in Nietzsche(21), la cui stessa
traduzione – superuomo, oltreuomo, uomo superiore – è al
centro di annose polemiche, legate alle diverse interpretazioni del suo
pensiero: precursore dell’ideologia razzista del nazional-socialismo,
distruttore della ragione, critico rivoluzionario della società borghese, o
semplicemente folle…
L’oltreuomo (traduzione che
qui privilegiamo) è “un non-più-soggetto,
sgravato dal senso di colpa e dalla volontà di vendetta, equilibrato nel suo
rapporto con il mondo e la natura. L’oltreuomo non si vede come un uno opposto
al molteplice, ma è in grado di riconoscersi come pluralità, oltrepassando
perciò la struttura eminentemente gerarchica su cui si fonda la soggettività
metafisica, che riproduce all’interno dell’io i meccanismi di dominio che
vigono nel mondo sociale”(22).
Ananda K. Coomaraswamy |
Un autore che già nel 1918 aveva trovato una profonda corrispondenza
tra il pensiero di Nietzsche, nei due nessi cruciali qui accennati, l’eterno
ritorno e l’oltreuomo, e le dottrine dell’India tradizionale è Ananda Kentish Coomaraswamy, insigne
studioso delle religioni e delle arti indiane, nato a Sri Lanka nel 1877 da
padre indù e madre inglese, autore di molti testi e responsabile delle sezioni
orientali del Museo di Belle Arti di Boston fino al 1947, anno della sua morte.
Nel saggio La visione
cosmopolita di Nietzsche Coomaraswamy rileva che la nozione di übermensch è “simile alla concezione cinese di ‘uomo superiore’ e a quella indiana di
mahapurusa(23), bodhisattva e
jivanmukta”(24). Il filosofo tedesco ripropone quindi concezioni molto
antiche, più volte apparse nella storia dell’umanità. In India ciò che egli
chiama übermensch è detto arhat (colui che ha percorso l’Ottuplice
Sentiero buddhista), buddha (il
risvegliato, l’illuminato), jina (il
vittorioso, il conquistatore), tirthankara
(lo scopritore del guado), bodhisattva
(colui la cui essenza è il risveglio, l’incarnazione della compassione), jivanmukta (il liberato in vita).
È colui le cui azioni sono al di là del bene e del male, in quanto
scaturiscono dalla sua natura liberata. Come l’eroe Arjuna del testo classico
della spiritualità e dell’epica induista, la Bhagavad Gita, la sua
azione è distaccata dall’esito, dal frutto dell’agire stesso: “L’insegnamento di Nietzsche – afferma
Coomaraswamy – è un puro nişkama dharma”(25),
il dovere compiuto senza desiderio (kama)
e senza l’attesa della ricompensa.
Il comportamento dell’übermensch
non è legato alla moralità, perché egli agisce come i bodhisattva: “essi hanno
raggiunto la spontaneità dell’azione dice Asvaghosa – poiché la loro disciplina
è in accordo con la sapienza e l’attività di tutti i Tathagata”(26), di
tutti i Buddha. L’übermensch è “il più alto risultato e scopo dell’umanità”(27).
È quindi questo – secondo Coomaraswamy, che probabilmente sopravvaluta
l’influenza indiana nel pensiero di Nietzsche – il vero senso delle parole di
Zarathustra al popolo raccolto sul mercato: “Io vi annunzio il superuomo. L’uomo va superato [..]. Che cosa è la
scimmia per l’uomo? Una derisione o una dolorosa vergogna. E questo appunto
dev’essere l’uomo per il superuomo: una derisione o una dolorosa vergogna [..].
Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: il superuomo sia
il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra, e
non credete a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali. Sono
avvelenatori, lo sappiano o no”(28).
Zarathustra - Zoroastro |
Ma infine, chi era lo Zarathustra
alla cui voce Nietzsche affida il proprio pensiero?
È una domanda che ancora una volta ci riporta in Oriente: Zarathustra
è infatti il profeta fondatore della religione iranica detta appunto zoroastrismo, noto in Grecia e a Roma
come Zoroastro, e vissuto tra le
popolazioni Indo-iraniche nel II millennio a.C.
O forse è solo una figura del
mito, un modello per i seguaci iranici dei culti di Ahura Mazda, il creatore di tutti i mondi.
In tale culto compare anche, in subordine, la figura di Mitra, strettamente connessa al Sole, protettore
della giustizia e della verità.
Il culto di Mitra, in forma iniziatica, riservata agli uomini, si
diffuse anche in Occidente, in particolare nell’Impero Romano dove fu
assimilato ad Apollo.
Un elemento particolare dello zoroastrismo è l’annuncio della
risurrezione dei morti e della ri-creazione dei corpi, in relazione con
l’arrivo del Saoshyant, il Salvatore,
preannunciato dal profeta Zarathustra.
Questo momento di Rinnovamento finale, di Giudizio universale, è
anticipato nei rituali degli ultimi dieci giorni dell’anno, lo stesso periodo
in cui fu creato l’universo e in cui fu rivelata la religione(29).
A proposito dello Zarathustra di Nietzsche, Giorgio Colli (1917-1979),
insigne studioso e curatore dell’edizione italiana delle sue opere, ha affermato
che il modello di Nietzsche è in realtà greco, anche se la figura del profeta e
i simboli utilizzati sono orientali, persiani e biblici. “Ma l’originale greco di questa traduzione orientale non è difficile da
scoprirsi [..]. Zarathustra è l’uomo che ha colto la conoscenza misterica, e la
sua azione [..] non è altro che un riflesso di quella conoscenza sugli uomini.
Il valore più alto della vita nella conoscenza, e il riassorbimento di ogni
azione nella conoscenza: di questo i Greci soltanto sono stati il modello”(30).
In tal modo, attraverso Zarathustra, Nietzsche ritorna – eterno
ritorno… – all’origine, la Grecia. Non la Grecia di Socrate e di Apollo, però,
ma quella di Dioniso, quel dio che era giunto colà danzando, con il suo corteo
di Ninfe e Satiri e di fiere ammansite, dallo stesso Oriente di śiva…
"Crederei solo a un dio che sapesse danzare" |
1) Cit. in: G. Pasqualotto, pag. 103
2) Nietzsche lesse il Buddha pubblicato nel
1881 dal grande orientalista tedesco Hermann Oldenberg
3) Id.
4) Id. – Anche se in verità ciò che si legge
in Matteo è sì: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché
vedano le vostre opere buone” (Mt, 5,16), ma poco oltre è detto: “Guardatevi
dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro
ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei
cieli” (Mt, 6,1), nonché: “Quando fai l’elemosina non sappia la tua sinistra
ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta”(Mt, 6,3).
5) G. Pasqualotto, pag. 105
6) F. Nietzsche, Umano troppo umano, in:
http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=1&id_news=228
7) F. Nietzsche, Aurora, § 96, in:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Nietzsche/Opere/AUR.html
8) F. Nietzsche, Umano troppo umano, cit. in:
http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=1&id_news=228
9) F. Nietzsche, L’Anticristo, §
XX-XXI-XXII-XXIII, in:
http://sentieridellamente.it/files/L-Anticristo--testo-integrale-.pdf
10) Id., § XLII
11) Cit. in: G. Pasqualotto, pag. 110
12) Id.
13) F. Nietzsche, La gaia scienza, in:
http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=1&id_news=228
14) F. Nietzsche, Al di là del bene e del
male, III, 61, in:
http://www.webethics.net/testi/Nietzsche_Aldiladelbeneedelmale.pdf
15) Nel sistema castale indiano, i
fuori-casta, gli “intoccabili”
16) F. Nietzsche, Frammenti postumi, cit. in:
G. Pasqualotto, pag. 110
17) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
pag. 191
18) G. Vattimo e G. Costa, pag. 1357
19) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
pag. 141-142
20) G. Vattimo e G. Costa, pag. 1357
21) Il termine übermensch non fu coniato da
Nietzsche, ma era già in uso nella lingua tedesca dal XVI secolo
22) G. Vattimo e G. Costa, pag. 1357
23) Maha = grande. Puruşa indica il genere umano,
il principio maschile primordiale: dal suo corpo smembrato (bocca, braccia,
cosce, piedi) nacquero le 4 caste. Dalla mente la luna, dall’occhio il sole,
dal respiro il vento ecc.
24) In: A. K. Coomaraswami, La danza di Śiva,
Ed. Luni, pag. 142
25) Id., pag.
146
26) Id., pag.
148
27) Id.
28) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
pag. 19
29) Cfr. M. Eliade, Storia delle credenze e
delle idee religiose, Ed. Sansoni, Vol. I, pag. 329 e segg.
30) G. Colli, Nota introduttiva a F.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in:
https://asidel.files.wordpress.com/2011/12/cosi-parlc3b2-zarathustra.pdf